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IMU dopo separazione: chi la paga?

Note dell’episodio.

In questa puntata, sempre a partire dalla domanda lasciataci da una nostra ascoltatrice tramite un messaggio vocale di whatsapp, e con l’intervento del collega «dal volto umano» Fabrizio Scalisi, parliamo di chi deve pagare l’IMU sulla casa famigliare assegnata ad un coniuge dopo la separazione e soprattutto vediamo se questa imposta è effettivamente dovuta o meno.

Ricordati che anche tu puoi mandare un vocale con la tua domanda cliccando o facendo tap sull’icona verde in basso a destra.

Riferimenti.

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Pace fiscale: che cos’è?

Innanzitutto bisogna chiarire che è ancora un progetto e non si sa con precisione quando verrà discusso.

Non si tratta di un condono, ma della possibilità di pagare una piccola somma a saldo di un debito più grande.

Si tratta di un provvedimento che consente il saldo e stralcio delle cartelle esattoriali per i piccoli contribuenti che sono in difficoltà economica.
Quindi si valuterà il debito e la situazione economica del contribuente.

A seconda della situazione in cui si trovano, i contribuenti potranno pagare da un minimo del 6% a un massimo del 25% del dovuto con un’aliquota intermedia del 10%.

È importante dire subito che non riguarderà tutti. La misura esclude i ‘grandi’ contribuenti, ma sarà efficace “solo per coloro che a causa della pesante recessione economica non hanno potuto pagare in tutto o in parte le imposte fino ad un tetto massimo di 100mila euro comprensivo di sanzioni, interessi e more”.

Le ragioni della pace fiscale sono diverse, i portavoce del Governo spiegano che così chi ” si trova in situazioni di disagio economico può chiudere per sempre la posizione con il

Fisco e tornare così ad essere attivi nella società”. Il provvedimento “potrebbe portare nelle casse dello Stato 60 miliardi di extragettito in 2 anni”. Per capire la portata del provvedimento, si consideri che l’anno scorso la ‘rottamazione delle cartelle’ ha visto l’adesione di 950mila debitori da cui l’erario attende 2 miliardi di euro per il 2018-2019.

Per maggiori informazioni, si può consultare il mio sito.

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Come non fare un comodato quando la cosa che servirebbe è un comodato?

faccio parte di un’associazione culturale che ha dato vita anche ad un movimento politico locale.
Di recente un’elettore si è proposto di concederci gratuitamente l ‘utilizzo di un locale commerciale di sua proprietà da utilizzare come ns sede. Vorrebbe però tutelarsi con una scrittura privata di comodato… ben disposti ad andargli incontro ma impossibilitati dal sostenere grandi spese (viviamo di autotassazione!) ed obblighi fiscali (tipici oneri del comodatario),ci chiedevamo se era possibile ricorrere ad una forma di scrittura che salvaguardasse entrambe le parti in questo senso. In parole povere può bastare, ai fini e valore legali, il mero accordo scritto (non registrato) tra le parti che specifichi la gratuità dell’uso (e lasciare le utenze intestate al proprietario pagando noi le bollette??)?

Facciamo un esempio.

Mettiamo che tu abbia bisogno di ridipingere casa tua, però non hai i soldi per la vernice. Allora vai in mesticheria e chiedi loro se hanno qualcosa che non sia vernice, ma venga venduta in bidoni di latta, sia colorata, ci si possa intingere un pennello e quando cosparsa sulle pareti ne determini l’aspetto cromatico.

I negozianti ti direbbero che se vuoi della vernice te la vendono volentieri, altrimenti te ne puoi anche andare affanculo.

Ugualmente, pari pari, fa lo Stato.

A te serve un contratto con il quale ottenere in godimento gratuito un immobile e magari regolare alcuni aspetti relativi a questa gestione come chi paga le spese, cosa succede se uno si fa male e così via.

Questo contratto è il comodato, cioè il negozio con cui una parte concede all’altra un bene in uso gratuito, esattamente come una sostanza per dipingere delle pareti sarà sempre una vernice.

Puoi dargli il nome che vuoi, a questo contratto, puoi scrivere nell’intestazione che è un «accordo», una «scrittura privata», gli puoi se vuoi anche dare un nome di persona come «Mario», «Gino» o, se preferisci, «Pina», ma chi lo prenderà in mano, con un minimo di formazione giuridica, saprà che è un comodato, perché tale è.

Tutto questo i giudici lo esprimono dicendo che il nomen juris apposto dalle parti ad un negozio non è né vincolante né più di tanto rilevante, perché il contratto viene «riconosciuto» e sussunto nel genere di appartenenza – operazione fondamentale, perché determina le norme allo stesso applicabili – in base per lo più al suo contenuto.

Io stesso mi trovo spesso di fronte contratti con nomi inappropriati, per lo più incompleti, perché relativi solo ad uno dei vari aspetti che trattano, quando in realtà sono contratti misti.

Quindi, in conclusione, un giorno il tuo bell’accordo privato, che in realtà è e non può essere altro che un comodato, potrebbe finire in mano ad un funzionario dell’agenzia delle entrate che lo riconoscerebbe subito e, qualora vi fossero state imposte da applicare da voi non pagate, vi farebbe un bell’avviso di accertamento.

Non ci sono quindi strade alternative per l’operazione che volete realizzare, se la volete la dovete fare nelle forme e con gli strumenti previsti dalla legge, con tutto quel che ne consegue. Piuttosto, l’unica cosa che puoi valutare, con l’aiuto di un bravo commercialista, è se ci sono agevolazioni per associazioni e onlus.