faccio parte di un’associazione culturale che ha dato vita anche ad un movimento politico locale.
Di recente un’elettore si è proposto di concederci gratuitamente l ‘utilizzo di un locale commerciale di sua proprietà da utilizzare come ns sede. Vorrebbe però tutelarsi con una scrittura privata di comodato… ben disposti ad andargli incontro ma impossibilitati dal sostenere grandi spese (viviamo di autotassazione!) ed obblighi fiscali (tipici oneri del comodatario),ci chiedevamo se era possibile ricorrere ad una forma di scrittura che salvaguardasse entrambe le parti in questo senso. In parole povere può bastare, ai fini e valore legali, il mero accordo scritto (non registrato) tra le parti che specifichi la gratuità dell’uso (e lasciare le utenze intestate al proprietario pagando noi le bollette??)?
Facciamo un esempio.
Mettiamo che tu abbia bisogno di ridipingere casa tua, però non hai i soldi per la vernice. Allora vai in mesticheria e chiedi loro se hanno qualcosa che non sia vernice, ma venga venduta in bidoni di latta, sia colorata, ci si possa intingere un pennello e quando cosparsa sulle pareti ne determini l’aspetto cromatico.
I negozianti ti direbbero che se vuoi della vernice te la vendono volentieri, altrimenti te ne puoi anche andare affanculo.
Ugualmente, pari pari, fa lo Stato.
A te serve un contratto con il quale ottenere in godimento gratuito un immobile e magari regolare alcuni aspetti relativi a questa gestione come chi paga le spese, cosa succede se uno si fa male e così via.
Questo contratto è il comodato, cioè il negozio con cui una parte concede all’altra un bene in uso gratuito, esattamente come una sostanza per dipingere delle pareti sarà sempre una vernice.
Puoi dargli il nome che vuoi, a questo contratto, puoi scrivere nell’intestazione che è un «accordo», una «scrittura privata», gli puoi se vuoi anche dare un nome di persona come «Mario», «Gino» o, se preferisci, «Pina», ma chi lo prenderà in mano, con un minimo di formazione giuridica, saprà che è un comodato, perché tale è.
Tutto questo i giudici lo esprimono dicendo che il nomen juris apposto dalle parti ad un negozio non è né vincolante né più di tanto rilevante, perché il contratto viene «riconosciuto» e sussunto nel genere di appartenenza – operazione fondamentale, perché determina le norme allo stesso applicabili – in base per lo più al suo contenuto.
Io stesso mi trovo spesso di fronte contratti con nomi inappropriati, per lo più incompleti, perché relativi solo ad uno dei vari aspetti che trattano, quando in realtà sono contratti misti.
Quindi, in conclusione, un giorno il tuo bell’accordo privato, che in realtà è e non può essere altro che un comodato, potrebbe finire in mano ad un funzionario dell’agenzia delle entrate che lo riconoscerebbe subito e, qualora vi fossero state imposte da applicare da voi non pagate, vi farebbe un bell’avviso di accertamento.
Non ci sono quindi strade alternative per l’operazione che volete realizzare, se la volete la dovete fare nelle forme e con gli strumenti previsti dalla legge, con tutto quel che ne consegue. Piuttosto, l’unica cosa che puoi valutare, con l’aiuto di un bravo commercialista, è se ci sono agevolazioni per associazioni e onlus.
4 risposte su “Come non fare un comodato quando la cosa che servirebbe è un comodato?”
come neonato movimento politico siete già sulla buona strada… cercare di non pagare le tasse!
😉
Dato che il comodato per sua natura giuridica è verbale, si potrebbe forse evitare la forma scritta che determina il successivo obbligo di registrazione all’agenzia entrate (oltre 200 € di costi)… parlatene col proprietario del locale.
Ma chi ti dà un immobile a voce? Se poi succede qualcosa al suo interno?