proprietari casa (che io vorrei comprare) hanno disdetto contratto con agenzia immobiliare Gabetti. Tramite un vecchio annuncio sul web (scaduto e cioè non autorizzato dal proprietario), contatto Gabetti e mi procura incontro con loro. Se acquisto dovrò pagare % ad agenzia?
Direi proprio di sì, in quanto sembra esserci il nesso causale tra l’intervento del mediatore e la conclusione dell’affare di compravendita, che è il requisito previsto dal codice per la maturazione del diritto alla provvigione.
Volendo evitare questa conclusione, avresti forse potuto, tramite un’indagine catastale e a seguire anagrafica, risalire alle generalità dei proprietari per tentare poi di contattarli direttamente, anche se c’è da dire che le trattative per l’acquisto di una casa non sono poi così semplici da svolgere e richiedono una certa professionalità che può darsi l’agenzia abbia versato in questa occasione.
Resta solo da precisare che l’esistenza di un «contratto» tra le parti e il mediatore è del tutto ininfluente, essendo appunto sufficiente il nesso eziologico.
Se vuoi approfondire ulteriormente la questione, anche se a mio giudizio onestamente non credo ne possa valere la pena, chiama ora lo studio al numero 059 761926 e prenota il tuo primo appuntamento, concordando giorno ed ora con la mia assistente; puoi anche acquistare direttamente da qui: in questo caso, sarà poi lei a chiamarti per concordare giorno ed ora della nostra prima riunione sul tuo caso; a questo link, puoi anche visualizzare il costo.
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Guarda questo video per sapere meglio come funzionerebbe il lavoro con me.
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sono una studentessa fuori sede e condivido un appartamento con 4 ragazze, con contratto annuale. Sono piuttosto riservata, non esco la sera e non invito gente in casa, al contrario di loro, mi fermo solo 2 o3 notti la settimana perché in quei giorni ho lezione. Loro mi accusano del fatto che non esco e che sono sempre sui libri (a parte il fatto che non mi hanno mai invitata a uscire con loro), ho provato a chiarirmi ma dicono che sono io a dover cambiare. La situazione mi sta dando seri disturbi psicologici e influenza anche, in negativo, i miei studi. Contribuisco come loro a tutte le spese anche se non usufruisco degli stessi servizi( a me non interessa fare lavatrici per esempio, ma quando escono per ripicca staccano il riscaldamento e molto altro…. Posso recedere dal contratto e cercare un posto dove star meglio? Perderei anche la caparra di 4 mesi, o no ?
Non credo che tu possa fare il recesso anticipato, si tratta di una circostanza, questa del fatto che non è nato un feeling adeguato con le tue coinquiline, che non può essere in alcun modo imputabile alla proprietà, non riguardando nemmeno aspetti relativi all’immobile, ma solo ai rapporti umani tra voi.
Credo che la cosa possa essere risolta solo in via negoziale, con una trattativa con la proprietà e magari tramite il raggiungimento di un accordo sul punto.
Qualsiasi altra iniziativa contro le altre coinquiline credo non abbia molto senso. In teoria sarebbe possibile inviare loro una diffida, o invitarle ad una seduta da un mediatore, anche informalmente, però per me non vale proprio la pena, fai molto prima a cambiare appartamento, anche a costo di rimetterci un po’.
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Mio padre, due anni prima della sua morte, dava mandato all’agenzia immobiliare per vendere la casa. L’agenzia gli aveva presentato una signora, che aveva visitato la casa e fatto una proposta, rifiutata da mio padre. Qualche mese fa la stessa signora mi ha contattato direttamente, abbiamo raggiunto un accordo, e trascritto il preliminare. Ieri mi è arrivata una diffida dall’avvocato dell’agenzia, in cui mi si chiede il pagamento della provvigione sul prezzo di vendita. Cosa faccio, devo pagare l’agenzia?
Se hai già ricevuto una diffida da parte di un avvocato, è d’obbligo che tu ti rivolga il prima possibile al tuo avvocato di fiducia, per farti tutelare nel modo giusto e per gestire la situazione con la strategia migliore.
Ci sono diversi aspetti da analizzare:
1- quando l’agenzia immobiliare ha diritto alla provvigione: il nostro codice civile (art. 1755) riconosce a chi media tra acquirente e venditore il diritto alla provvigione, quando l’affare si conclude grazie al suo intervento. Quindi non qualsiasi attività di mediazione ne dà diritto, ma solo quella che ha portato, come nel tuo caso, alla vendita della casa, per la quale l’agente immobiliare ha svolto un’attività essenziale di mediazione tra domanda e offerta dell’immobile, e non quando ha semplicemente fatto visionare l’immobile agli acquirenti, senza presentare le parti o avviare le trattative.
2- cosa rappresenta la provvigione: l’agenzia ha investito tutte le sue risorse per far incontrare gli interessi delle parti, e il suo compenso è la provvigione dal 5 al 10% del valore del’immobile, che non dovrà essere anticipata, perchè sarà corrisposta solo dopo la conclusione dell’affare. Altrimenti amen. Ma se le parti messe in contatto dall’agenzia, concludono l’affare dopo la scadenza del mandato, con o senza esclusiva, bisogna sempre considerare l’attività di intermediazione svolta durante la validità del contratto, prima che scadesse. Insomma ogni volta che il mediatore mette lo “zampino” e l’affare si conclude, ha diritto alla provvigione, a meno che non sia intervenuta la prescrizione. Attenzione però, solo un avvocato competente in materia potrà dire con certezza se il diritto del mediatore alla provvigione si sia realmente prescritto, con riguardo al momento in cui ha avuto conoscenza della conclusione dell’affare, e non semplicemente dopo un anno dalla scadenza del mandato o dalla visita dell’immobile.
3- chi deve pagare l’agenzia: entrambe le parti che concludono l’affare devono pagare in percentuale la provvigione, per il fatto di esser state messe in contatto dal mediatore, ma, se dovessero cambiare, l’agenzia non potrebbe più avanzare alcuna pretesa, perchè vorrebbe dire che il venditore ha trovato da solo un altro acquirente, a meno che non si tratti di eredi.
E qui veniamo al tuo problema.
Sostituendoti a tuo padre, hai determinato un cambiamento nelle parti originarie messe in contatto dall’agenzia immobiliare (tuo padre e la signora) e quindi la stessa non potrebbe avere più pretese. Ma tu sei erede, non un altro e basta.
Un caso analogo al tuo è stato da poco affrontato dalla Cassazione che, in maniera innovativa, ha stabilito (sent. n. 6552/2018) che il mediatore ha diritto alla provvigione anche se l’affare è concluso da parti diverse da quelle messe in contatto, quando si tratta di eredi, in quanto questi agiscono perseguendo la medesima volontà del defunto, e non una volontà autonoma che nasce in quel momento.
Ti consiglierei di approfondire questa vicenda come si deve, con un avvocato di fiducia.
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il figlio più grande di mio marito (15 anni) ha chiesto ad entrambe i genitori, in un incontro congiunto da lui richiesto, di potersi trasferire da noi (da 5 anni lui e suo fratello di 11 anni vivono con la mamma a seguito di separazione e successivo divorzio), mantenendo comunque i rapporti con la mamma come erano quelli con il padre (1 we si ed uno no e 1 giorno a settimana). Viviamo in due paesi distanti 18 km e lui ha chiesto, ovviamente, anche di cambiare scuola. Mio marito ed io ci siamo subito detti favorevoli, mentre la madre si oppone chiedendo un perizia psicologica per il ragazzo (che è stabilissimo psicologicamente) volendo però stare lontana da avvocati e tribunale perché non “ha soldi per pagare». Mio marito ha trovato una psicologa specializzata in problematiche adolescenziali e ha chiesto a lei di comunicare la sua volontà al ragazzo: lei si rifiuta di farlo. Come ci si può comportare per evitare traumi al ragazzo che è stressatissimo?
Mi sembra evidente che ci si trovi di fronte ad una mamma che, per mille motivi magari che al momento non possiamo indagare, ma tra i quali potrebbe annoverarsi anche il timore di perdere un mantenimento, non vuole proprio sentirci.
Ad ogni modo, le strategie non sono molte, o meglio la strategia può essere solo una, molto semplicemente.
In prima battuta, dovete provare a invitare la madre davanti ad un mediatore familiare, per vedere se possibile instaurare un percorso di una o più sedute in cui discutere di persona il problema e trovare una soluzione concordata.
Nel caso in cui ciò avvenisse e si raggiungesse un accordo, bisognerebbe poi formalizzarlo tramite un accordo in house, per maggiori dettagli sul quale rimando alla scheda relativa.
Se la madre non venisse alla mediazione familiare, oppure, pur partecipando, non si raggiungesse nessun accordo, l’unica soluzione per determinare il cambio delle condizioni sarebbe un ricorso appunto per modifica condizioni, in cui chiedere, in prima battuta, l’audizione del figlio di 15 anni che vuole trasferirsi dal padre.
Ovviamente se la cosa si potesse definire tramite un accordo davanti al mediatore sarebbe preferibile per svariati motivi, dunque vale la pena investire un po’ di tempo, attenzione e denaro in questo tentativo.
Solo se la mediazione dovesse fallire, si potrebbe considerare il passaggio alla fase successiva.
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Sono in alterco con un mio parente per un tetto che si deve ripristinare. Vengo al sodo. Dopo la morte dei miei suoceri abbiamo diviso l’immobile. A me è toccato il piano dove abitava mia suocera che era fornita di tutte le utenze. Il mio parente cioè il figlio abitava all’ultimo piano ma non aveva le utenze perchè usufruiva degli stessi contatori che erano allocati nell’appartamento dove abitava mia suocera. Dopo che abbiamo fatto l’atto e mi ha dato la chiave dell’appartamento con grande stupore notai che nell’appartamento mancavano tutte le utenze. Praticamente si è fatto la voltura di tutte le utenze trasferendoli nel suo appartamento senza dire niente a nessuno principalmente a me. Io ho dovuto fare tutti gli allacciamenti delle utenze con una spesa non indifferente. Adesso mi fa pervenire una diffida da un avvocato per il rifacimento del tetto.
Se hai già ricevuto una diffida da parte di un avvocato, è pressoché d’obbligo che tu metta la materia in mano prima possibile ad un tuo avvocato di fiducia, per confezionare una risposta adatta, ma soprattutto per gestire la situazione con la strategia migliore.
Detto questo, in generale la questione dei contatori è e resta una questione diversa da quella del tetto, che evidentemente, almeno a giudizio del tuo parente, abbisogna di interventi di manutenzione, riparazione, rifacimento e così via.
Questa richiesta ovviamente non la puoi paralizzare sostenendo che in passato sono stati fatti degli illeciti riguardo le utenze, ma intanto devi valutare la situazione del tetto, anche perché potrebbero derivarne problemi anche di sicurezza, sia vostra come condomini sia di eventuali terzi.
Tutto quello che puoi fare, sempre che la questione riguardante le utenze sia fondata, sarà richiedere un risarcimento danni, coltivando una vertenza a parte, la cui opportunità e convenienza potrai valutare con il legale che sceglierai intanto comunque per la questione del tetto.
È importante capire che non si può operare compensazione di somme di denaro finché le somme che si vorrebbero mettere in compensazione non sono state entrambe liquidate, cioè determinate nel loro preciso ammontare, salvo che non si raggiunga, a riguardo, un accordo.
Anche per il raggiungimento di un accordo, tuttavia, credo che sia per te assolutamente indispensabile l’assistenza di un avvocato o, tutt’al più, di un mediatore.
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io e la mia ex compagna ci siamo lasciati da circa 1 mese e abbiamo un figlio di tre mesi,il quale lo vedo la sera intorno le otto x circa due ore in villa o in macchina con la presenza della madre il quale mi dice che siccome è troppo piccolo non può lasciarmelo ,nemmeno se lo porto con me a casa (ora vivo con i miei) e non mi sono rivolto a nessun avvocato ancora poiché ho paura che il giudice mi riduca i giorni che posso vedere mio figlio a tre o quattro a settimana…ora lei lavora in un bar dove fa turni mattina o sera ,lasciando mio figlio alla madre, allora le chiedo signor avvocato se avvio una procedura per regolarizzare L affido posso riuscire ad ottenere di vedere il bambino tutti i giorni almeno 3 ore visto che non allatta più dal seno quindi potrei allattarlo io dal biberon o cambiarli io il pannolino perché comunque sia invece di lasciarlo alla madre quando lei lavora potrebbe lasciarlo a me visto che sono il padre
L’affido è sempre bene farlo regolamentare, per mille motivi che ho spiegato nella scheda relativa, alla cui lettura ti invito.
Purtroppo, non si possono in alcun modo prevedere le decisioni del giudice.
Per questo, a mio giudizio, conviene investire in un percorso di mediazione familiare, nel contesto del quale queste tue giuste osservazioni possono essere manifestate e discusse con la madre alla presenza di un mediatore che vi aiuta a comunicare.
Dal momento che tuo figlio è ancora molto piccolo, dovrai avere a che fare ed interagire con la madre ancora per molto tempo, ragione per cui l’apertura e il mantenimento di un canale di dialogo è estremamente importante.
I tuoi prossimi passi sono sia scegliere un avvocato che un mediatore familiare.
Per entrambe queste cose, se vuoi un preventivo dal nostro studio, puoi chiedercelo compilando il modulo apposito nel menu principale del blog.
Oggi parliamo un po’ della posta elettronica, uno strumento generalmente considerato di grande utilità per l’incremento della produttività personale ed aziendale, ma che, in realtà, ha dimostrato, in modo considerevole sotto alcuni aspetti, tutti i suoi limiti, specialmente nella comunicazione cliente – avvocato.
Le considerazioni che faccio qui sono utili sia per il mio specifico campo di lavoro, quello di avvocato e mediatore familiare, sia più in generale per tutti coloro che utilizzano questo strumento, in qualsiasi altro settore, dove spesso la mail è imposta anche maniacalmente.
Personalmente, ho creduto per tanti anni nell’utilità della mail e l’ho persino anche tanto propugnata, chiedendo a chi corrispondeva con me di preferirla al telefono, poi mi sono dovuto, anche un po’ amaramente, ricredere.
Il fatto è che utilizzare la mail, per trattare molte questioni, è solo un modo per finire per incartarsi, sia pure… digitalmente.
In tante situazioni, si deve per forza ripiegare sul caro, vecchio telefono, quando ovviamente non è possibile incontrarsi di persona.
La moderna catena di montaggio.
Il fatto è che la mail é gente che non sa scrivere, spesso non sa nemmeno cosa deve pensare, che corrisponde con gente che non sa leggere o non ne ha voglia…
Questo vale anche per le chat, naturalmente peraltro.
I fautori dell’utilizzo sempre più massiccio della posta elettronica sostengono che in questo modo non si verrebbe interrotti e quindi disturbati in quello che si sta facendo in quel momento.
In effetti, la mail è una specie di «biglietto» che si deposita nella casella di posta, dove il ricevente può andare a leggerlo ad orari prestabiliti o comunque in quelli che lui preferisce.
Il problema è che molte persone ricevono tra gli 80 e i 100 messaggi di posta elettronicaogni giorno.
Se rimani un giorno o due senza controllare la posta, poi ti ritrovi con la casella piena di magari oltre 300 messaggi, che è al di fuori del nostro normale limite di gestione umane del carico di lavoro.
Il nostro cervello, di fronte ad una situazione del genere, viene sopraffatto. Da quale messaggio cominciare? Ce ne sarà uno urgente / quale sarà il più urgente? Perchè cominciare tanto non finirò mai…
Con questo senso di sopraffazione, sai qual è la strategia di sopravvivenza del nostro cervello? Quella di procrastinare. Rimandare a domani, sconfitto dal senso di sopraffazione. Solo che il giorno dopo i messaggi saranno ancora di più.
Non puoi allontanarti più di tanto dalla tua casella di posta elettronica, sei costretto a controllarla ogni giorno. Per questo, ho avuto occasione di scrivere sui social che la casella di posta elettronica è la moderna catena di montaggio, dove molti lavoratori della conoscenza (knowledge workers) sono condannati a stare attaccati per diverse ore.
La mail è davvero più efficiente?
Ma lavorare per «bigliettini», oltre che essere spesso inefficiente (quante volte ci si scambia una decina di messaggi nell’arco di due o tre giorni per una cosa che al telefono avrebbe potuto essere lavorata in 2 minuti?), è anche disumanizzante e alienante.
Questi due aspetti, peraltro, sono legati tra loro. Non sentire il tono della voce, non poter interagire, non condurre il confronto «in diretta» non consente di lavorare davvero sul problema.
Rinunciare agli aspetti umani dell’interazione comporta inefficienza.
Quindi non è solo più brutto lavorare su testi scritti cui si può dedicare peraltro poca attenzione, visto il numero, senza avere di fronte le facce delle persone con cui avviene lo scambio, ma è anche deteriore per la qualità e la riuscita del lavoro stesso.
Steve Ilardi ha scritto un bellissimo testo sulla depressione, purtroppo non tradotto in Italiano, in cui si indica tra i fattori che la favoriscono la mancanza, tipica delle società moderne, di face time cioè di tempo trascorso faccia a faccia con altri essere umani…
D’accordo, il telefono non è un face time però è già meglio di un biglietto elettronico da leggere sotto a un monitor di vetro. Possiamo sentire la voce e, attraverso la voce, buona parte della «vibrazioni» dell’altra persona.
Si apprende e si comunica per risonanza.
Già Platone e tutti i più grandi maestri della storia dell’umanità avevano intuito che non si apprende tanto dai libri, che sono un qualcosa da usare quando proprio non hai altra alternativa, in qualche caso essenziali ed utilissimi, ma per risonanza, andando cioè dal maestro, vicino al maestro, a vivere, quando possibile, in una struttura dove abita il maestro, dal momento che siamo esseri fatti di energia, onde e vibrazioni.
Questa cosa deve essere vera, altrimenti non si spiegherebbe perché così tanta gente va a vedere concerti dal vivo o partite allo stadio, quando nelle case di ognuno di noi sono disponibili impianti per ascoltare musica con resa sonora peraltro anche molto migliore e vedere partire con regia e angolazioni sicuramente superiori, comodamente al caldo e con tutte le comodità.
Orbene, un professionista è e deve essere anche, nel suo piccolo, un maestro o una guida… Se devo dare indicazioni ai miei clienti senza far sentir nemmeno la mia voce, tramite un biglietto che ognuno può «leggere» o «interpretare» come crede, quale può essere l’efficienza del mio lavoro?
Una parte importante del lavoro quotidiano di ogni avvocato che lavora nel mondo di oggi peraltro è gestire le cazzate con cui sono infarcite le teste dei clienti che arrivano a studio.
Nel mondo contemporaneo, le persone non si affidano più ad un professionista con fiducia (e questa è una grande tragedia di cui abbiamo già parlato, ma di cui dovremo certamente tornare a parlare) come facevano per lo più gli utenti di un tempo che, consapevoli dei propri limiti, si limitavano a cercare un avvocato che fosse una nota persona perbene e si affidavano a lui.
Oggi la gente vuole studiare cose che non ha la minima speranza di capire – dal momento che per poter delineare la strategia di trattazione di un problema legale bisogna aver studiato anni diritto e aver fatto ulteriori anni di pratica legale concreta sul campo – vuole formarsi un proprio parere e vuole muoversi secondo queste ogni volta tragiche convinzioni.
Questo perché non si fida, ha paura di essere fregata e finisce così per rovinarsi da sola.
Sembra assurdo, ma lo vedo accadere tutti i giorni.
Non parlo a caso, è esattamente così.
In realtà, la gente dunque di come si tratta un problema legale non ci capisce e non ci può capire un cazzo, è la cruda ma non meno vera realtà. Dovrebbe solo affidarsi completamente all’avvocato che ha scelto.
Purtroppo non lo fa, così una buona parte del tempo e delle risorse che si sarebbero potute utilizzare per poter lavorare sul problema va utilizzato per «svuotare il vaso» del cliente da tutte le cazzate che, con ricerche su google, parlando con un cancelliere in pensione, un cugino che venti anni fa ha fatto una causa, un amico carabbbbbbiniere con 35 bi, si è innestato nella testa.
La tenerezza che provo ogni volta che arriva quello che «Avvocato, io ho fatto già venti anni fa una causa e so perfettamente come funziona». E l’incredulità quando non cambiano parere nemmeno quando gli dico «Onestamente, io ho seguito in ventidue anni migliaia e migliaia di procedimenti. Non credi che abbia un panorama di osservazione un po’ più vasto del tuo?»
Breve nota a margine: se sei un cliente o potenziale cliente di un avvocato, ammetti di non capirci un cazzo. Sarà bellissimo e ti darà un vantaggio enorme sugli avversari già in partenza.
Tornando a noi, come si potrebbe fare a svuotare il vaso delle cazzate via posta elettronica?
Bisognerebbe che rispondessi ad ogni mail scrivendo un libro intero.
E nemmeno in quel caso probabilmente funzionerebbe.
In questi casi, prendo in mano il telefono. A volte uso la mail, ma solo per dire alla mia assistente di convocare in studio il cliente perché «gli devo parlare». E gli devo parlare quando il telefono purtroppo so già che sarebbe inutile.
Spesso comunque per rispondere ad una mail, se voglio concludere, prendo il telefono.
Certo, bisogna evitare di essere interrotti o disturbati. Questa mattina, ad esempio, ho fatto una mediazione di coppia in una sessione di due ore e mezza. Purtroppo, durante questa sessione, non ho potuto rispondere al telefono. In questi casi, devo la mia completa attenzione alle persone che l’hanno acquistata. Nè più né meno, that simple.
Però ho un’assistente che risponde per me e che può dire quando uno può richiamare e comunque segnarmi chi ha chiamato in modo che possa richiamarlo io.
Insomma, bisogna trovare altri sistemi perché questo vespaio di bigliettini scritti da gente che non sa scrivere o non capisce quel che sta scrivendo per gente che ha poca voglia (e ne ha poca per forza, perché ne riceve troppi) di leggere non va bene.
Conclusioni.
La mail può andare bene per alcune limitate cose da mandare per iscritto.
Se un cliente mi chiede un preventivo glielo mando per posta elettronica, se vuole anche via pec e con firma digitale. Alè. Le vecchie «formalità». Ti posso mandare in allegato un file Word – definitivo, peraltro, che se fosse un file su cui lavorare sarebbe ad esempio molto meglio usare google documents, modificare sempre lo stesso documento on line senza andare avanti e indietro con le varie versioni di un medesimo documento con alto rischio di fare confusione.
Dunque, niente di tranchant, la mail è anche utile, ma personalmente l’ho ridimensionata molto, col telefono risolvo molto di più.
Diciamo che è un investimento maggiore di tempo, energia e frammentazione della tua giornata, ma che spesso ripaga.
Il mio primo consiglio come mediatore alle coppie di separati che si insultano via chat (se pensate che siano solo due coglioni a farlo, sappiate che è un errore: lo fanno tutti e, quando dico tutti, intendo proprio tutti) è di smettere di comunicare per iscritto e usare solo il telefono. Funziona alla grandissima.
Ci costruiamo una vita perfetta per non essere interrotti e poi non sappiamo bene che cazzo fare perché rimaniamo frammentati, nonostante la mancanza di interruzioni.
La realtà è probabilmente che anche qui è questione di cicli, c’è un tempo per chiudere tutto e fare meditazione ad esempio e un tempo per immergersi nel fragore disordinato del lavoro e della vita.
Continuiamo la nostra importante «serie» di post sulla mediazione familiare passando all’esame dei vari modelli diffusi nella pratica di mediazione, cominciando da quello integrato.
Sono infatti ormai presenti, anche nel nostro Paese, diversi modelli di mediazione familiare, che si differenziano tra loro per vari aspetti tra cui gli scopi più immediati, le tecniche tramite le quali essi vengono perseguiti e le applicazioni.
I principali sono almeno sei:
il modello integrato o parziale di Emery, Marlow, Bernardini;
il modello globale o operativo di Heynes e Buzzi;
il modello sistemico di Irving, Ardore, Malagoli, Togliatti e Mastropaolo;
il modello strutturato di Coogler e Roberts;
il modello ecosistemico di Babu e Bèrubè e Parkinson;
il modello transizionale – simbolico di Cigoli e Marzotto.
Il ruolo del mediatore è ovviamente destinato a variare a seconda del tipo di approccio nel cui contesto si muove, naturalmente dando conto del fatto che ogni professionista interviene in modo diverso nel caso su cui sta lavorando e che, a parte le proprie propensioni personali, derivanti da aspetti formativi o esperienziali, il mediatore può comunque integrare tecniche prese dall’uno o dall’altro approccio, se ritenute più idonee per la situazione da trattare. Così infatti come lo psicologo o psichiatra, pur essendo specializzato in un determinato tipo di metodo, può smussarlo o integrarlo con interventi presi a prestito da altri metodi a lui non congeniali ma che ben possono adattarsi alla personalità del paziente da seguire.
Ad ogni buon conto, può essere opportuno sviluppare alcuni cenni relativi ai vari metodi di mediazione familiare sopra elencati.
Il modello integrato o parziale
In questo modello, il focus è sui problemi relativi all’affidamento e alla gestione dei figli, concentrandosi sulla definizione di un gruppo di regole, atteggiamenti e modalità riguardo al tema, ma lasciando una certa discrezionalità e forse anche libertà alle parti, anche con riguardo ai loro stati emotivi, e ampia discrezionalità di forma e interventi al mediatore.
La gestione delle sedute, di conseguenza, è abbastanza informale, non essendoci regole precostituite in modo rigido ma solo indicazioni di massima. Questo è probabilmente uno degli aspetti in base ai quali i diversi approcci alla mediazione si differenziano tra loro, ed è fondamentale per il tema che ci occupa in questa sede, che è appunto il ruolo del mediatore familiare.
Nel modello integrato, come in quello sistemico, la formalità è mantenuta al minimo livello rispetto, ad esempio ad altri modelli che in materia sono molto più rigidi: tra questi ovviamente il principale è il modello strutturato.
Il punto di riferimento dell’approccio integrato è la ricerca di una soluzione pratica, a prescindere dall’applicazione di regole di diritto, che non vengono più di tanto prese in considerazione nemmeno come riferimento culturale, ciò che causa a volte un certo disorientamento per i protagonisti della mediazione, che sono abituati a far comunque «ossequio» a quello che prevede la legge – peccato che, tuttavia, in materia familiare la legge sia assolutamente generica e limitata per lo più a dichiarazione di principi o di valori, lasciando ampissima discrezionalità agli operatori giuridici; del resto, tuttavia, non potrebbe essere altrimenti, data la molto vasta eterogeneità delle situazioni familiari e relative problematiche, cosa che mal si presta, come tutte le situazioni eterogenee, ad essere gestita tramite l’applicazione di norme di diritto costruite a maglie eccessivamente rigide e dettagliate e dove rimane assolutamente necessaria una discrezionalità attenta del magistrato o comunque dell’operatore, che, proprio in questi casi, non potrà affatto esser la bouche de la loi come avrebbero desiderato gli Illluministi.
All’inizio della mediazione, in questo tipo di approccio si chiede alle parti di effettuare una piccola «rivoluzione copernicana» rispetto alla mentalità corrente, che vede l’accostarsi alla gestione di una crisi familiare come un conflitto o un agone, dove entrambi i contendenti devono dare il meglio di sé per poter portare a casa il risultato migliore. Alle parti si chiede, tutto al contrario, di pensare a cosa intendono ancora avere in comune con l’altra parte, a quel «nocciolo» di cose in comuni che, nonostante tutti i conflitti e le emozioni negative, le parti si rendono conto di avere ancora e di poter opportunamente gestire insieme, a partire spesso dai figli.
Per questo si ritiene, generalmente, che per la praticabilità di questo tipo di approccio mediatorio sia necessario un minimo di capacità di collaborazione all’interno della coppia. In realtà, sembra che proprio nel recupero di quel minimo comun denominatore che consenta di iniziare davvero questo percorso si possano concentrare le prime sedute, i primi incontri, che oltre a saggiare meglio la situazione concreta, possono iniziare ad essere utilizzati per cercare di sciogliere le tensioni, i conflitti e vedere se man mano nasce un minimo di spirito collaborativo tra le parti.
È un dato di esperienza comune che molte persone si accostano alla mediazione con diffidenza verso lo strumento ed inoltre cariche di tensione e conflitti non sopiti verso gli altri protagonisti della mediazione stessa. Ma quando si riesce a «rompere il ghiaccio» (questa espressione, presa a prestito dal linguaggio comune, descrive davvero bene il fenomeno, tanto che difficilmente se ne potrebbe trovare una che per quanto tecnica possa essere ritenuta più appropriata), spesso sgorgano tanto inaspettate quanto abbonandanti aperture e disponibilità collaborative che anteriormente non si potevano nemmeno scorgere.
La denominazione di questo metodo come «integrato» si riferisce al rapporto che il mediatore deve mantenere con i professionisti che si occupano degli aspetti più propriamente legali, e soprattutto economici, della crisi familiare: il mediatore si incarica di fluidificare la coppia o comunque le parti del rapporto, agevolando la consensualizzazione anche dal punto di vista emotivo e psicologico, mentre il legale e cioè l’avvocato si occupa della parte, a lui più congeniale, istituzionale e burocratica.
Tipicamente, in un approccio di questo genere, le parti vengono inviate ad incontrarsi, senza la presenza di nessun avvocato, ma personalmente, con il mediatore, per riprendere la collaborazione e il dialogo tra loro; il mediatore definirà un corpus di condizioni per la gestione della crisi familiare, tramite il dialogo con le parti. A quel punto, la palla passerà al legale, o ai legali, delle parti che avrà il compito di trasfondere tali condizioni in una forma legale e giuridicamente valida e vincolante. Compito del legale è anche quello, fondamentale, di controllare la validità di quanto le parti sono arrivare a decidere, con l’aiuto del mediatore, di voler praticare, perché abbastanza di sovente le parti chiedono cose di cui non si può ottenere l’omologazione. Il caso tipico è quello delle compensazioni tra eventuali canoni di affitto o occupazione di immobili e spese di mantenimento di minori, oppure dell’esclusione addirittura di qualsiasi mantenimento a favore di minori.
In questi casi, nei casi in cui cioè il legale rileva che la negoziazione ha portato alla definizione di clausole che non sono omologabili, sia nel contesto di una separazione consensuale, sia nel nuovo contesto delle convenzioni di negoziazione assistita – che comunque sono soggette al controllo da parte della magistratura tramite deposito in Procura (e va ricordato, al riguardo, che gli avvocati che vi partecipano devono attestare che le convenzioni non sono contrarie a norme imperative di legge, di talché si può affermare che un primo controllo deve essere effettuato proprio dai legali), in tali casi, si diceva, il legale deve informare prima possibile sia il mediatore che le parti della necessità di rivedere gli accordi riformulandoli in modo da renderli compatibili con le disposizioni di legge.
Spesso, tali circostanze determinano la necessità di rivedere l’intero impianto, perché cambiare una clausola determina uno squilibrio dell’assetto complessivo che le parti avevano peraltro attraverso non poche difficoltà individuato. Per questo è importante che lo «stop» che il legale giustamente e correttamente impone a parti e mediatore in questi casi sia illustrato prima possibile e con chiarezza e abbondanza di motivazioni, in modo che la spinta, anche emotiva, che le parti, con l’aiuto del mediatore, hanno trovato verso la consensualizzazione non vada dispersa, ma anzi, tutto al contrario, venga raccolta e si ricominci a lavorare di nuovo verso una soluzione di ripiego che tuttavia sia conforme alla legge e in grado di passare al vaglio della magistratura.
Le osservazioni che si possono fare al riguardo in relazione al ruolo del mediatore sono che appunto è opportuna in capo al mediatore stesso una conoscenza di base del diritto di famiglia dell’ordinamento in cui si trova ad operare, per prevenire il più possibile situazioni di «rimpallo» come questa tra la fase di mediazione e quella davanti al legale, che, specialmente se non ben gestite, possono essere perniciose intervenendo in circostanze di crisi familiare in cui gli equilibri sono sempre precari e possono venire a mancare, già addirittura spontaneamente, in qualsiasi momento.
Queste problematiche sono ovviamente destinate ad avere minor rilievo nei casi in cui il mediatore è anche un avvocato ben preparato in diritto di famiglia, che ha adeguatamente compreso i concetti di base della materia, mentre nel caso in cui il mediatore possegga una formazione non giuridica, come spesso avviene, con anche eccellenti risultati, una integrazione specifica al riguardo non sarebbe male o comunque una particolare attenzione al dato esperienziale maturato di volta in volta nella collaborazione con il legale.
Nell’approccio in esame, si considera possibile ed auspicabile il colloquio individuale tra mediatore e parte al fine di sbloccare eventuali situazioni in quel momento ferme in attesa della fluidificazione delle parti. Il colloquio con il singolo protagonista può avere la funzione di rinsaldare il rapporto di fiducia con il mediatore e di consentire alla parte interessata di confidare quel vasto novero di cose e pensieri che sicuramente non si sente di esternare nella seduta di coppia; naturalmente, la parte cercherà di farsi «alleato» il mediatore, ciò, altrettanto naturalmente, potrà avvenire solamente a livello emotivo, nel senso che il mediatore potrà manifestarsi vicino alla sofferenza e alla difficoltà della parte, mantenendo e dichiarando sempre tuttavia la sua equidistanza e non dando mai nemmeno il sospetto di poter favorire una parte rispetto all’altra, cosa che determinerebbe il fallimento pressochè immediato della mediazione. Il colloquio individuale è uno strumento molto delicato, nel corso del quale il mediatore ha molte responsabilità, ma ha anche molte opportunità circa l’efficacia del suo intervento e delle sue sedute. Se opportunamente gestito, questo strumento può determinare l’efficacia della mediazione.
Vedremo nei prossimi post gli altri modelli di mediazione.