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Si può fare il GDPR col culo degli altri? Sì e solo da noi!

A proposito del famoso e famigerato decreto GDPR. Io ho una ditta individuale, sono soltanto io, i dati che ho di terze persone sono quelli dei clienti a cui faccio fattura. Il mio commercialista mi ha praticamente passato la patata bollente dandomi un elenco di studi a cui rivolgermi. In questo periodo non ho soldi da spendere e non intendo spenderne. Esiste un modo per disporre autonomamente l’informativa da mandare ai miei clienti?!

Quando due si sposano, o quando un’azienda vuole fare un regalo di Natale ai suoi dipendenti o collaboratori, a volte si opta per eseguire una donazione a favore di una associazione o organizzazione non profit, consegnando nelle mani del destinatario del pensiero una dichiarazione scritta su un bigliettino o una lettera con una formula che più o meno recita così «Volendo farti un regalo, ho pensato che anche tu saresti stato più contento se, al post di ricevere una bomboniera di merda, ti avessi fatto sapere che i soldi per acquistare quella bomboniera sono stati devoluti alla lega per la tutela dei gatti senza una gamba».

È una prassi che, onestamente, mi ha sempre lasciato un po’ perplesso, per quanto sia sicuramente lodevole prendersi cura dei gatti senza una gamba e delle altre miliardi di cause meritevoli che esistono al mondo.

Infatti, con grande saggezza, di solito, di chi si comporta così, si suole dire, utilizzando un’espressione gravemente omofoba che riporto solo per completezza espositiva, che «vuol fare il finocchio col culo degli altri».

In effetti, la solidarietà e la beneficienza devono essere spontanee.

Decido io, innanzitutto, a chi voglio e se voglio fare un regalo, di qualsiasi genere, non lo decidi tu, specialmente se parti per fare un regalo a me.

In secondo luogo, a me potrebbe non stare a cuore, o anche starmi profondamente sul cazzo, la causa verso cui tu hai conferito il mio regalo, cosa che renderebbe la situazione ancora più spiacevole.

Temo che molte persone non protestino semplicemente per buona educazione e perché magari a cavallo donato non si guarda in bocca, anche se per la verità di donato in situazioni del genere spesso non c’è davvero un cazzo, se non un sentimento poco piacevole di essere stati vagamente presi per il culo senza neanche la possibilità di replicare perché poi «pare brutto».

Perché questa lunga digressione su un tema che non sembra poi così tanto attinente?

Ma perché forse anche tu potresti procedere in un modo simile per fare le tue informative.

Prendi un foglio di carta e ci scrivi sopra una cosa come la seguente:

«Caro cliente, in questo documento avrei voluto e forse anche dovuto mettere la informativa sul trattamento dei tuoi dati personali imposta dalla legislazione europea e nazionale.Tuttavia non mi sono potuto permettere un avvocato o un altro consulente che mi fornisse la necessaria assistenza tecnica e, anche se me li fossi potuti permettere, non li avrei comunque incaricati perché secondo me queste cose sono delle stronzate [spero qui di aver interpretato bene il tuo pensiero, credo di non sbagliarmi!]. Preferisco utilizzare i soldi che guadagno dalla mia attività per reinvestire nell’azienda e fornirti servizi sempre migliori / andare in vacanza con la mia famiglia / andare al centro massaggi dalle cinesi [se io fossi un tuo cliente mi piacerebbe che tu mettessi quest’ultima alternativa]».

E voilà, ecco fatto il GDPR col culo degli altri!

Ma non ringraziarmi.

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Come non fare un comodato quando la cosa che servirebbe è un comodato?

faccio parte di un’associazione culturale che ha dato vita anche ad un movimento politico locale.
Di recente un’elettore si è proposto di concederci gratuitamente l ‘utilizzo di un locale commerciale di sua proprietà da utilizzare come ns sede. Vorrebbe però tutelarsi con una scrittura privata di comodato… ben disposti ad andargli incontro ma impossibilitati dal sostenere grandi spese (viviamo di autotassazione!) ed obblighi fiscali (tipici oneri del comodatario),ci chiedevamo se era possibile ricorrere ad una forma di scrittura che salvaguardasse entrambe le parti in questo senso. In parole povere può bastare, ai fini e valore legali, il mero accordo scritto (non registrato) tra le parti che specifichi la gratuità dell’uso (e lasciare le utenze intestate al proprietario pagando noi le bollette??)?

Facciamo un esempio.

Mettiamo che tu abbia bisogno di ridipingere casa tua, però non hai i soldi per la vernice. Allora vai in mesticheria e chiedi loro se hanno qualcosa che non sia vernice, ma venga venduta in bidoni di latta, sia colorata, ci si possa intingere un pennello e quando cosparsa sulle pareti ne determini l’aspetto cromatico.

I negozianti ti direbbero che se vuoi della vernice te la vendono volentieri, altrimenti te ne puoi anche andare affanculo.

Ugualmente, pari pari, fa lo Stato.

A te serve un contratto con il quale ottenere in godimento gratuito un immobile e magari regolare alcuni aspetti relativi a questa gestione come chi paga le spese, cosa succede se uno si fa male e così via.

Questo contratto è il comodato, cioè il negozio con cui una parte concede all’altra un bene in uso gratuito, esattamente come una sostanza per dipingere delle pareti sarà sempre una vernice.

Puoi dargli il nome che vuoi, a questo contratto, puoi scrivere nell’intestazione che è un «accordo», una «scrittura privata», gli puoi se vuoi anche dare un nome di persona come «Mario», «Gino» o, se preferisci, «Pina», ma chi lo prenderà in mano, con un minimo di formazione giuridica, saprà che è un comodato, perché tale è.

Tutto questo i giudici lo esprimono dicendo che il nomen juris apposto dalle parti ad un negozio non è né vincolante né più di tanto rilevante, perché il contratto viene «riconosciuto» e sussunto nel genere di appartenenza – operazione fondamentale, perché determina le norme allo stesso applicabili – in base per lo più al suo contenuto.

Io stesso mi trovo spesso di fronte contratti con nomi inappropriati, per lo più incompleti, perché relativi solo ad uno dei vari aspetti che trattano, quando in realtà sono contratti misti.

Quindi, in conclusione, un giorno il tuo bell’accordo privato, che in realtà è e non può essere altro che un comodato, potrebbe finire in mano ad un funzionario dell’agenzia delle entrate che lo riconoscerebbe subito e, qualora vi fossero state imposte da applicare da voi non pagate, vi farebbe un bell’avviso di accertamento.

Non ci sono quindi strade alternative per l’operazione che volete realizzare, se la volete la dovete fare nelle forme e con gli strumenti previsti dalla legge, con tutto quel che ne consegue. Piuttosto, l’unica cosa che puoi valutare, con l’aiuto di un bravo commercialista, è se ci sono agevolazioni per associazioni e onlus.