Categorie
diritto

Precetto notificato via posta: che succede se non ritira?

Quando notifichi un atto di precetto tramite il servizio postale, ipotesi ad oggi la più comune, dal momento che l’utilizzo dell’ufficio NEP è sempre meno diffuso, può accadere che il postino non trovi nessuno per la consegna dell’atto.

In questi casi, il postino verifica innanzitutto che l’indirizzo indicato nel precetto sia corretto, guardando che, ad esempio, ci siano le generalità del debitore sulla cassetta postale, sui campanelli e così via, chiedendo se del caso anche informazioni ai vicini.

Se queste informazioni mancano, può fare un controllo anagrafico e, se la residenza dovesse risultare errata, restituisce il plico al mittente con l’annotazione di indirizzo errato, trasferito e così via.

Se, invece, appare evidente che pur non essendo in casa il debitore abita ancora a tutti gli effetti là, il postino lascia un avviso nella casetta in cui si dice di aver tentato il recapito poi, una volta tornato in sede, gli spedisce una raccomandata in cui lo avvisa che il plico è stato depositato presso l’ufficio postale – CAD, comunicazione di avvenuto deposito.

A questo punto, possono succedere diverse cose.

Il debitore vede l’avviso che gli ha lasciato il postino, oppure riceve la raccomandata, e va presso l’ufficio postale a ritirare il plico con il precetto, che a questo punto è appunto da considerarsi effettivamente ricevuto.

Cosa succede se, invece, il debitore non vede gli avvisi (avviso vero e proprio e raccomandata) oppure li vede ma non va a ritirare il plico?

In questo caso, valgono le seguenti regole:

  • l’ufficio postale, dopo 10 giorni dalla spedizione della CAD, restituisce all’avvocato mittente quello che sarebbe stato l’avviso di ricevimento del plico, precisando che la consegna non è avvenuta per «temporanea assenza del destinatario» e che appunto si tratta di «atto non ritirato entro il termine di 10 giorni dalla data di spedizione della C.A.D.»;
  • il plico resta comunque depositato per sei mesi presso l’ufficio postale: il debitore può andarlo a ritirare anche in seguito, purché entro i sei mesi,   perché al termine degli stessi sei mesi anche il plico verrà restituito all’avvocato mittente.

In questo caso, quand’è che si ha il perfezionamento della notifica?

La legge prevede che la notifica si perfezioni, in questi casi in cui il plico non viene effettivamente ricevuto o ritirato dal debitore, trascorsi dieci giorni dalla spedizione della CAD, che poi è lo stesso giorno in cui il plico è stato depositato presso l’ufficio postale.

Questa data risulta dall’«avviso di ricevimento» (lo chiamiamo così anche se in pratica non c’è stato nessun ricevimento, ma si usa lo stesso cartoncino) in cui appunto l’ufficiale postale annota sia la data di avvenuto deposito che la data di spedizione della CAD – oltre che quella in cui il plico viene rispedito al mittente (ma questa data ha scarsa rilevanza).

Dunque in questi casi il pignoramento quando può essere promosso?

Bisogna contare 10 giorni dal momento in cui si può ritenere essersi perfezionata la notifica.

Poniamo ad esempio che il plico non recapitato sia stato depositato in data 16.4 e che in pari data, come è previsto, sia stata spedita la CAD.

recupero crediti

La notifica, dunque, è da considerarsi perfezionata il 26.4. Per poter fare il pignoramento occorre attendere i dieci giorni del precetto (so che non ha senso pratico aspettare i dieci giorni di un «avvertimento» che il debitore non ha di fatto visto, ma la procedura deve ovviamente essere rispettata ugualmente), pertanto: il pignoramento si potrà fare dal 7 maggio.

Iscriviti al blog per non perdere il fondamentale post del giorno.

Categorie
diritto

Rimesse bancarie: come funziona la revocatoria?

Esenzione di cui all’art. 67, comma 3, lett. b, L.F. e limitazioni previste dall’art. 70 L.F..

Prima di entrare nel cuore della questione, bisogna muovere l’analisi dal combinato disposto degli articoli 67, comma 3, lett. b, e 70 L.F..

L’art. 67, comma 3, lett. b, L.F. stabilisce che “non sono soggetti all’azione revocatoria le rimesse effettuate su un conto corrente bancario, purché non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca”, l’art. 70 L.F., invece, afferma che “la revocatoria dei pagamenti avvenuti tramite intermediari specializzati, procedure di compensazione multilaterale o dalle società previste dall’art. 1 della legge 23 novembre 1939, n. 1966, si esercita e produce effetti nei confronti del destinatario della prestazione.

Colui che, per effetto della revoca prevista dalle disposizioni precedenti, ha restituito quanto aveva ricevuto è ammesso al passivo fallimentare per il suo eventuale credito.

Qualora la revoca abbia ad oggetto atti estintivi di posizioni passive derivanti da rapporti di conto corrente bancario o comunque rapporti continuativi o reiterati, il terzo deve restituire una somma pari alla differenza tra l’ammontare massimo raggiunto dalle sue pretese, nel periodo per il quale è provata la conoscenza dello stato d’insolvenza, e l’ammontare residuo delle stesse, alla data in cui si è aperto il concorso. Resta salvo il diritto del convenuto di insinuare al passivo un credito d’importo corrispondente a quanto restituito”.

Quindi, per intraprendere un’azione revocatoria delle rimesse in conto corrente è necessario fornire la prova della conoscenza dello stato di insolvenza e che siano determinati i criteri della consistenza e durevolezza.

La conoscenza dello stato di insolvenza da parte della banca può essere provata con un insieme di fattori, tra cui il bilancio e i suoi indici.

Per la determinazione delle rimesse consistenti è da calcolare la media delle rimesse e la sua incidenza sul saldo medio. Solo quelle superiori sono consistenti.

Per la durevolezza, si calcola la media della durata delle rimesse consistenti e solo quelle con durata superiore alla media sono durevoli.

Conoscenza dello stato di insolvenza.

Analizziamo la sentenza del Tribunale di Torino del 20 febbraio 2014 pronunciata dalla Dottoressa Paola Rigonat.

È la più recente sentenza in materia, ed è indiscutibilmente interessante, da considerare quale ulteriore tentativo di conciliare le 2 norme sopra citate.

I punti analizzati dalla sentenza sono i seguenti.

La conoscenza dello stato di insolvenza può essere desunta dai seguenti elementi:

  1. bilanci: tali documenti contabili evidenziano la notevole esposizione debitoria della società nei confronti del sistema bancario, dell’erario, degli istituti previdenziali e dei fornitori e lo squilibrio tra i ricavi di esercizio, i costi di produzione e gli oneri finanziari;
  2. Centrale rischi della Banca d’Italia;
  3. andamento del conto corrente;
  4. comunicazione della società dell’impossibilità di ripianare l’esposizione debitoria maturata nei confronti dell’istituto di credito per carenza di liquidità;
  5. il blocco del conto corrente;
  6. sollecitazioni da parte di funzionari della banca.

Si tratta di elementi che, considerati unitariamente, non danno indicazioni utili ai fini della conoscenza dello stato di insolvenza, ma se considerati nel loro insieme costituiscono indubbiamente prova di tale conoscenza.

Le rimesse revocabili. I criteri della consistenza e durevolezza.

La sentenza di cui sopra tratta ovviamente degli articoli 67 e 70 L.F. e dei 2 requisiti richiesti dall’art. 67 L.F., la consistenza e la durevolezza.

Ricordiamo che sono revocabili solo le rimesse che hanno consentito di ridurre in modo consistente e durevole l’esposizione.

Per quanto concerne la consistenza, queste le precisazioni della sentenza “in assenza di precisazioni legislative in merito ai criteri in base ai quali verificare la consistenza”, appare ragionevole ritenere che il giudizio sulla stessa non debba essere assoluto ma relativo e che debba dunque tenere conto dell’andamento fisiologico del conto corrente: è necessario valutare ogni singola rimessa e verificare se la stessa abbia un’incidenza percentuale superiore alla media, sul saldo, calcolati l’importo medio delle rimesse ed il saldo medio del conto corrente post-rimessa (vedasi Tribunale di Milano 25.05.2009).

Per quanto concerne, invece, la durevolezza, si richiede una prolungata assenza di utilizzi della rimessa, ben difficile da riscontrare nella pratica.

Per capire meglio facciamo un esempio di come si determina una rimessa revocabile.

In primis è necessario premettere che:

  • i versamenti in conto corrente bancario assumono natura solutoria solo se avvenuti su conto scoperto;
  • i versamenti revocabili devono intervenire nel semestre antecedente al fallimento;
  • per considerare consistenti le rimesse non può farsi riferimento ad un criterio quantitativo assoluto ma a diversi elementi quali: 1) l’entità massima dell’esposizione; 2) l’entità media dei versamenti sia in entrata che in uscita; 3) l’ammontare del debito nel momento in cui la singola rimessa è stata effettuata;
  • per essere considerate durevoli le rimesse non devono essere compensate da successivi prelievi; in tal senso si deve far ricorso ad un criterio relativo dipendente dalla valutazione della frequenza delle movimentazioni del conto.

Dopo questa premessa è possibile individuare le fasi del procedimento per la determinazione delle rimesse revocabili.

  1. Individuare inizio periodo sospetto e se a tale data risulta provata la scientia decoctionis; diversamente individuare la data successiva in cui è provata. (Es. la conoscenza dello stato di insolvenza è stata individuata all’inizio del semestre antecedente il fallimento, ossia il 19.03.2017).
  2. Individuare la data e l’esposizione debitoria massima fra il periodo sospetto (nostro es. il 19.03.2017) e la data di fallimento (es. 19.09.2017). (Facendo riferimento al nostro esempio, sono stati individuati: 18.06.2017 ed € 19.508,80).
  3. Individuare l’esposizione debitoria alla chiusura del conto corrente o alla data del fallimento. (Nel nostro esempio il saldo alla data di fallimento risulta negativo – € 222,18).
  4. Verificare la sussistenza di rimesse consistenti (almeno pari al 10% della differenza fra le esposizioni di cui al punto 2 e 3) e durevoli (10 giorni, ma anche più o meno in relazione alla frequenza media) intervenute dopo il periodo sospetto e sommarle. (Nel nostro esempio la consistenza è calcolata al 10% di € 19.508,80 <<esposizione debitoria massima>> – € 222,18 <<saldo negativo>>, con il risultato di € 1.928,66, mentre la durevolezza della riduzione dell’esposizione debitoria è stata determinata in un brevissimo lasso di tempo <<lo stesso giorno della rimessa, risultata pari ad € 16.611,00>>).
  5. Agire in revocatoria per una somma non superiore alla differenza fra le esposizioni di cui al punto 2 e 3. (Nel nostro esempio la rimessa revocabile è di € 16.611,00, in quanto la somma delle rimesse revocabili è risultata pari ad € 16.611,00, mentre la somma massima revocabile ammonta ad € 19.286,62).

A parere dello scrivente, vi è giurisprudenza di merito (Trib. Torino, 20.02.2014 – Trib. Reggio Emilia, 31.08.2017) che ha tentato una soluzione a risolvere una problematica certamente di non facile soluzione.

In assenza di disposizioni chiare, qualsiasi giudizio, inerente l’azione di revocatoria fallimentare delle rimesse bancarie, diventa aleatorio, ma qualora la Curatela Fallimentare riesca a provare sia la conoscenza dello stato di insolvenza da parte dell’istituto di credito che le prove relative ai 2 requisiti richiesti per la revocatoria delle rimesse, la consistenza e la durevolezza, il giudizio ha buone possibilità di vedere un esito positivo.

 

Categorie
diritto

Ex badante minaccia denuncia molestie sessuali: che fare?

a meta’ novembre 2016 ho dovuto prendere una badante italiana per mia madre e’ stata da noi con vitto e alloggio fino il 18 gennaio 2017 premetto che iniziava la sera alle 22 e se ne andava alle 14e30 del giorno successivo cosi’ fino al venerdì quando finiva alle 14e30 percepiva euro 250 la settimana in nero sabato e domenica liberi, perché cosi’ voleva essere pagata per un totale di euro 1.000 al mese , una settimana fa mi e’ arrivata una lettera dell’avvocato in cui diceva che per tutto il suo periodo lavorativo aveva percepito solo 400 euro e che adesso fatto il calcolo fatto dal suo avvocato ne dovrei dare 2.700 per inps ferie eccc., in piu’ se non dovessi accettare paventa di denunciarmi anche per molestie sessuali , cose non assolutamente vere dicendomi che ha testimoni inventati logicamente , vorrei sapere cosa potrei fare e come agire nei suoi confronti visto che non vorrei essere infangato anche come molestatore

La prima cosa che si può valutare di fare, considerando attentamente tutte le circostanze, è «smontare» la sua minaccia contestandole per iscritto, tramite una apposita diffida, da redigere e inviare vista la delicatezza della materia rigorosamente con l’assistenza di un avvocato, proprio l’aver paventato tale evenienza, facendola apparire correttamente per ciò che è, cioè sostanzialmente una ricattatrice, ma soprattutto privando l’eventuale successiva denuncia che lei dovesse presentare di credibilità.

Si tratta, ovviamente, nel suo caso di un comportamento gravemente scorretto, che costituirebbe anche condotta penalmente rilevante per almeno un paio di reati, anche se la presentazione della denuncia va valutata con ancor più attenzione e in una prima fase meglio limitarsi alla sola diffida.

Può essere utile anche la collaborazione di una agenzia investigativa per raccogliere informazioni sulla situazione e sulle persone coinvolte.

Per quanto riguarda i pagamenti, non dici se quelli che avete fatto li avete erogati con metodi tracciabili come assegni, bonifici, ecc., ovvero in contanti e, in questo ultimo caso, se vi siete fatti rilasciare delle quietanze.

In ogni caso, avendo ricevuto una richiesta tramite avvocato, devi comunque farla riscontrare ad un altro avvocato, per cui la mossa che devi fare adesso, quella sulla quale devi concentrarti ora, è proprio cercarne uno valido che possa assisterti, a prescindere da qualsiasi questione di merito.

Categorie
diritto

Soldi sotto il materasso: come posso fare per metterceli?

io in posta ho una somma di denaro abbastanza considerevole, non fidandomi più ne delle banche e neanche della posta,volevo ritirare il mio denaro in contanti. Sono andato in posta e il direttore mi ha detto che non possono darmelo in contanti solo con assegno, volevo sapere per cortesia se è legale quello che mi ha detto il direttore? Per avere i miei soldi e metterli sotto il materasso come devo fare?

Il codice civile direbbe, in linea di principio, che «i debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento e per il suo valore nominale» (art. 1277).

Questo significa che il creditore ha sempre diritto di chiedere che il pagamento avvenga in contanti, rifiutando qualsiasi altra forma di pagamento, come il bonifico bancario, l’assegno, paypal e quant’altro. Viene fatta solo salva l’ipotesi, dai giudici, che il mezzo di pagamento diverso dal contante che si vuol utilizzare sia un mezzo usuale tra le parti, come avviene ad esempio tra due imprese che regolano da sempre i rapporti reciproci tramite bonifico, nel qual caso il rifiuto del mezzo consueto da parte del creditore e la sua pretesa del contante viene generalmente ritenuto violatore del principio di buona fede, previsto dal codice civile.

Purtroppo, su questo chiaro, semplice e, in fondo, corretto sistema codicistico intervengono le disposizioni di natura od origine fiscale, che vietano i pagamenti in contanti nei casi in cui le somme superino un determinato importo. Non è purtroppo il solo caso in cui istituti e regole propri del diritto civile vengono distorti per ragioni tributarie, tanto che sicuramente si potrebbe parlare di fiscalizzazione del diritto e della pratica civile, un discorso molto ampio che qui mi limito solo ad accennare.

Ora non ti so dare il corretto riferimento normativo, cosa per la quale occorrerebbe una apposita ricerca, che non ho né il tempo né la voglia di fare, anche perché le disposizioni fiscali, a differenza di quelle civilistiche, sono una vera e propria congerie di testi sparsi qua e là, ma si tratta, in fondo, di una mera curiosità a questo punto.

Volendo andare a fondo nella questione potresti chiedere con una diffida tramite pec il pagamento in contanti, a quel punto per denegartelo sarebbero tenuti ad indicare i riferimenti normativi e le basi legali, ma anche qui direi che si tratti per lo più di una perdita di tempo.

Per convertire i tuoi asset in banconote da mettere sotto al materasso, credo che l’unica sia accettare questo assegno dall’ente postale, poi tentare di prendere accordi per cambiarlo presso il tuo istituto di credito. Purtroppo, le poste hanno voluto fare le banche ma ci sono ancora alcune lacune…

Categorie
diritto

Quando tempo ho per pagare dopo aver perso una causa?

ho perso una causa in appello, la sentenza è di 14 mesi fa (21/07/2012) me lo ha comunicato il mio Avvocato per telefono che dovrò pagare circa 10.000 euro per spese tribunale e Avv. controparte, io e mio marito abbiamo pensioni gravate del quinto, siamo in affitto, parzialmente arredato, mio marito invalido al 100% quanto tempo passa, prima di dover pagare?
Noi non abbiamo questa cifra e il nostro Avvocato è già stato pagato.
Sì può rateizzare, o concordare con l’Avvocato?
Abbiamo un’auto usata del 2005, possono fare il fermo Amministrativo?

Non c’è un termine per pagare, quindi il creditore può chiedervi il pagamento anche subito.

Per poter godere di una dilazione, dovete concordarla con il creditore stesso, è più facile di quello che possa sembrare a volte.

Sul fermo amministrativo, onestamente non sono molto preparato ma direi che si tratti di un sistema di tutela e recupero non praticabile nel vostro caso, essendo riservato alle pubbliche amministrazioni.

Categorie
diritto

il padroncino può trattenere la merce se non viene pagato?

Sono un trasportatore padroncino e lavoro con contratto presso una ditta di trasporti. In base alle ultime leggi sui termini di pagamento come posso esigere il pagamento di fatture con scadenza a 90 gg e che vengono pagate invece a 110 – 120 o piu’ gg ? Posso trattenermi la loro merce ed esigere il pagamento immediato delle fatture in sospeso (circa 40.000 €) e conseguente risoluzione del rapporto di lavoro? Chiedo questo perche’ ho piu’ interesse a rientrare dei miei crediti che di mantenere il rapporto lavorativo.

A tuo favore non è previsto alcun diritto di ritenzione ed è logico che sia così, perché la merce che trasporti non è nemmeno di proprietà del tuo committente, quello che ti ha commissionato il trasporto, ma poi ti paga a rilento, bensì di proprietà, quasi sempre, del destinatario finale o comunque di terzi.

Una volta scaduto il termine previsto, e da te a suo tempo accettato, di pagamento a 90 giorni dall’emissione della fattura, puoi esigere il pagamento immediato, ma se non pagano i metodi per procedere sono sempre quelli: ricorso per ingiunzione di pagamento. Una cosa particolare che ci potrebbe probabilmente essere a tuo favore è la possibilità di ottenere, in quanto rapporto di subfornitura, la concessione della provvisoria esecutorietà del decreto che, come tale, è molto efficace.