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Mobbing: quanto tempo occorre perché ci sia?

Ho una domanda sul mobbing. Ho un lavoro precario presso una pubblica amministrazione, il contratto, durato 1 anno e mezzo e rinnovabile, scade a fine mese. Da poco è arrivato un nuovo capo, che da subito mi ha chiesto di scrivere una lettera “strana”, cosa che io ho rifiutato. Da quel momento, quando gli uffici sono pressoché vuoti viene ad inveire per questioni inutili relative al lavoro giornaliero, svolto come sempre da quando sono lì, ritenuto ineccepibile e che mai ha suscitato polemiche o discussioni di sorta. Su whatsapp incomincia ad aizzarmi contro i colleghi sostenendo che mando note di cui non conosce l’esistenza (e che invece ha scritto lui), e quando arrivo sento che mi buffona. Lo fa solamente con me perché a causa della precarietà sono ricattabile e probabilmente farà saltare il rinnovo del contratto. Il personaggio è arrivato da una quindicina di giorni e fa così da circa una settimana. Quanto tempo ci vuole per essere considerato mobbing?

Non ci sono criteri rigidi, tassativi e predeterminati, soprattutto valevoli per qualsiasi situazione.

La valutazione circa l’esistenza di un fenomeno di persecuzione sul lavoro, o mobbing, è un giudizio che spetta, in ultima analisi, all giudice davanti al quale porti il tuo caso, pur ovviamente dopo aver fatto una valutazione preliminare tramite il tuo avvocato, che è destinata ad essere solo di massima e può in seguito trovare conferma o meno.

Per contro, non è certo richiesta con rigore una unità minima di tempo, dal momento che potrebbe esserci mobbing anche dopo un periodo relativamente breve, a condizione che le condotte, ad esempio, siano per converso gravi e presentanti tutti i requisiti di quelle persecutorie.

Non so onestamente che cosa ti convenga fare in una situazione come quella che hai descritto e, soprattutto, quale sia il tuo interesse al rinnovo del contratto o meno.

Al momento, l’unica iniziativa legale ipotizzabile è quella di una diffida di contestazione di tutte queste condotte illegittime, per valutare poi in seguito se e come utilizzarla in una vertenza magari più ampia.

Va da sé che devi valutare con molta prudenza questa ipotesi, data la situazione.

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Violenza di genere: riflessioni sulle tutele.

In genere tutte le misure previste per i reati di violenza di genere, come anche lo stalking, trovano la loro applicazione con alcune difficoltà, processuali e sostanziali; sono state sollevate tante eccezioni in merito alle norme che tutelano in via straordinaria la vittima e sottopongono il reo ad un trattamento diverso. Fra tutte si rilevano:

–l’eccezione di incostituzionalità dell’art.612 bis c.p. (atti persecutori stalking) in relazione all’art 25 Cost., per presunta indeterminatezza della condotta, respinta con sentenza della Corte Costituzionale num.172 /2014;

-la difficoltà più volte sollevata dell’interpretazione dell’espressione “violenza alle persone”; che attualmente viene intesa per giurisprudenza quasi costante come comprensiva non solo delle aggressioni fisiche ma anche morali o psicologiche.

Sottolineo infine la particolare considerazione data al materiale probatorio, che solo qualche anno fa era impensabile: “ la testimonianza della persona offesa del reato può costituire da sola prova sufficiente per pervenire ad un giudizio di colpevolezza, anche in assenza di riscontri esterni, purché il Giudice sottoponga tale prova dichiarativa ad un vaglio scrupoloso in quanto la persona offesa è, al pari dell’imputato, portatrice di un interesse nel processo; per tale valutazione per tutti, Giudice, PG, avvocati, va superato lo stereotipo di inattendibilità sulla base di un racconto diversificato che non sia sovrapponibile, di assenza di denuncia per molti anni, di sentimenti di ambivalenza verso l’imputato.”

L’interpretazione di fatti è di cruciale importanza per determinare il capo di imputazione, per individuare il reato da parte della PG e dell’autorità giudicante e degli avvocati. Detta interpretazione fa scattare o no il diritto alle particolari forme di protezione a favore delle vittime di violenza di genere e a mio avviso oggigiorno genera una sorta di condanna alla gogna che è sin troppo generalizzata, ma purtroppo stigmatizzata dall’opinione pubblica, a scapito sia della vittima, che del carnefice; lo stalker come l’untore manzoniano e la vittima come la donzelletta leopardiana.

L’interpretazione di fatti fa scattare il diritto a protezione ma non è detto che detto diritto venga applicato ed anche questo è di cruciale importanza per difesa ed accusa; trascuratezze/eccessi si leggono nelle righe degli atti giudiziari.

Insomma, buon senso e buona volontà impongono particolare scrupolo per tutti gli operatori del diritto.

A mio avviso, al di là di tutte le difficoltà che emergono sempre, nel caso specifico per i reati di violenza di genere va tenuto conto dei seguenti aspetti che hanno generato la tutela della vittima / la condanna del reo:

1)l’agente violento normalmente non è ritenuto soggetto malato sul piano clinico-giudiziario: ex art 85 c.p. ha piena capacità di intendere e di volere, pienamente consapevole; i provvedimenti cautelari adottati contro di lui però vengono trasmessi all’autorità di P.S., alla Parte Offesa, ed ai servizi al territorio. L’agente violento può intraprendere un percorso di “ravvedimento”.

2) la parte offesa ha un ruolo rafforzato, ex art. 90 c.p.p. ecc.: se vi è incertezza sulla minore età è disposta perizia; se anche dopo la perizia permangono dubbi vi è presunzione di minore età; qualora la PO è deceduta permangono le facoltà ed i diritti previsti dalla legge in capo ai prossimi congiunti della Po o dalla persona legata da relazione affettiva e con la stessa stabilmente convivente. Viene introdotto il diritto alla conoscenza alla informazione consapevole; inoltre la P.O. può essere dichiarata soggetto particolarmente vulnerabile.