Il governo dei migliori (sottinteso: malati mentali) con il varo del decreto legge 1/2022, che puoi scaricare e leggere sul blog noinonvaccinati.com, ha previsto, secondo l’interpretazione datane dal ministro della giustizia, che gli avvocati ultracinquantenni non possano più entrare in tribunale, sia per fare le udienze, che, semplicemente, per accedere agli uffici, in mancanza di green pass “rafforzato”, ottenibile solo con vaccinazione o guarigione.
Avendo 52 anni, non essendo né vaccinato né vaccinaturo, soprattutto vedendo i macelli che le persone mi portano in studio quasi tutti i giorni, rientro tra gli avvocati esclusi dalla possibilità di accedere al tribunale e agli altri organi giudiziari.
Mi sembrava giusto dirlo alla generalità del pubblico, anche se in realtà è una cosa di scarsa, se non nulla rilevanza.
Qui di seguito, se vuoi, puoi scaricare la circolare del ministero già cennata.
Già prima di questa novità, andavo, come sanno i miei colleghi e i miei assistiti, pochissimo in tribunale, preferendo dedicarmi alle attività di studio, ricevimento persone, redazione atti e così via.
Come può un avvocato lavorare bene senza andare quasi mai in tribunale?
In realtà, é vero piuttosto il contrario: se vai a perdere tempo in tribunale, spendendo ad esempio una mattinata intera per un’udienza irrilevante di cinque minuti, come puoi fare bene il tuo lavoro?
Ormai da anni la professione forense si fa andando il meno possibile in tribunale, grazie ai processi telematici, che nel nostro ordinamento sono sette (civile, penale, amministrativo, ecc.), fanno sempre bestemmiare, però funzionano e sono utili alla fine, grazie, poi, alle sostituzioni, alle agenzie per le commissioni e così via.
Certo, si perde il contatto coi colleghi, che poi però vedi ugualmente quando ci sono da fare incontri, colloqui e altro, che comunque puoi fare benissimo in studio e che spesso, ultimamente, per ragioni di comodità, avvengono sempre più spesso tramite zoom o altri sistemi video.
É molto raro che sia richiesta la presenza personale di un avvocato e, per contro, ogni avvocato tende ad essere più bravo in una o più fasi dello svolgimento della professione. Ci sono ad esempio legali cui viene meglio parlare coi clienti, altri che si trovano bene nella redazione degli atti e altri ancora cui piace partecipare alle udienze.
Ognuno segue le sue propensioni, a me andare in udienza non è mai particolarmente piaciuto per cui quasi sempre negli ultimi anni mi sono fatto sostituire da colleghi di studio, e a volte anche esterni, che hanno finito per essere molto più bravi di quello che sarei stato io se fossi andato personalmente, conoscendo le abitudini degli uffici e dei magistrati meglio di me, frequentandoli quotidianamente.
Alcune udienze che faccio volentieri, e che posso continuare a fare non essendo richiesto l’accesso agli uffici giudiziari, sono quelle da remoto, che ultimamente, a causa dell’aumento dei contagi, i magistrati hanno ricominciato a disporre. Non è escluso che possa, anzi, anche presentare apposite istanze in questo senso, di svolgimento dell’udienza da remoto stante il mio stato vaccinale con conseguente impossibilità di accedere agli uffici, anche se in molti casi probabilmente non ne varrà la pena.
In conclusione, per me non cambia niente, però mi sembrava corretto parlarne per quelle persone che vogliono lo stesso avvocato anche in udienza, una cosa che comunque quasi mai si riesce a realizzare perché spesso le udienze si sovrappongono e un avvocato non può essere presente a tutte.
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Ho appena finito di parlarti di avvocati in difficoltà, dignità della professione forense, lamentele inutili in questo post che ha già avuto molto successo e che ti invito di nuovo a leggere attentamente, che compare questa «lettera», sul Corriere della Sera del 17 maggio 2018 scorso.
Vale la pena di commentarla, perché è un eccellente esempio di un altro avvocato che, a mio giudizio, non ha, almeno in questo caso, capito bene le vere cause dei suoi problemi e di atteggiamento sbagliato per tentare di risolverli.
Non so te, io rimango sempre davvero molto perplesso davanti a lettere e atteggiamenti come questi, specialmente perché provengono da persone che, disponendo di titoli, abilitazioni e percorsi scolastici di successo, dovrebbero avere in teoria qualcosa di particolarmente ben funzionante tra le orecchie…
Vediamo però di nuovo cosa c’è che tocca in ragionamenti del genere, richiamando alcuni concetti di base, anche al limite della brutalità, per chiarire certi aspetti il meglio possibile una volta per tutte.
Il lavoro è un prodotto.
Il lavoro, innanzitutto, è un prodotto, esattamente come tutte le altre cose che fanno parte del mondo dell’economia.
Questo vuol dire che tu puoi avere fatto studi brillantissimi, avere superato ogni cosa col massimo dei voti, avere tre master, sei, persino dodici, quattro lauree, ma se non sei utile alle persone o alle aziende nessuno è disposto a compensare quello che fai.
Pensi di essere sottopagato? Comunque ti stanno pagando una somma che è la misura dell’utilità del tuo lavoro per loro che ti pagano, in relazione alla possibilità di averlo da altri tuoi «concorrenti» nel caso in cui tu non sia più disposto a darlo.
È ingiusto?
Io lo trovo giustissimo, anzi uno dei tanti segni della logica che c’è nel disegno di Dio.
Sei utile agli altri? Ti pago. Non servi a un cazzo? Mi dispiace, non ti pago.
Il problema del nostro Paese, tutto all’opposto, è proprio che a volte si pratica il contrario, si erogano stipendi, retribuzioni, prebende, privilegi a gente che non è produttiva sotto alcun profilo.
Voglio che ti ficchi bene questo concetto nella zucca.
L’Università non serve per il lavoro.
L’Università non serve a rendere il tuo lavoro produttivo. Può essere tutt’al più un misero punto di partenza, soprattutto quando costituisce un titolo che ha valore legale, ma dopo ci devi costruire sopra molto di più e – no, mi dispiace – non certo prendendoti seconde o terze lauree e nemmeno dei master.
Dopo, se vuoi acquisire competenze e professionalità utili alle persone e alle aziende, devi imparare delle cose che – guarda un po’ – non si studiano a scuola, perché l’alta formazione, quella vera, e necessaria, alla scuola pubblica e all’università italiane non le trovi.
L’università ti serve per la tua cultura personale, per la tua formazione come persona, come uomo, come donna.
Se hai creduto che ti facesse diventare una persona il cui lavoro sarebbe stato per ciò stesso richiesto sul mercato, allora non hai capito un cazzo né della formazione né del mondo del lavoro.
Tutto questo – sia chiaro – vale sia a Roma, che a Milano, che al Sud che in qualsiasi altra parte di questo universo; magari non vale in altri universi paralleli, ma in questo funziona così.
L’Italia non deve niente a nessuno.
«Per quale motivo l’Italia rinnega i propri giovani?»
Ma l’Italia non ti deve davvero un cazzo.
Stiamo parlando di lavoro.
È tua responsabilità investire su te stesso, sulla tua formazione, sul modo in cui organizzi la tua azienda o il tuo studio in modo da renderli utili e funzionali per la gente.
Ma me lo spiegate perché, quando uno sta parlando dei compensi che vorrebbe ricavare dallo svolgimento del proprio lavoro, si lamenta dell’Italia e non pensa invece a rendersi utile agli altri, che è il primo indispensabile passo per potersi collocare sul mercato e ottenere dei ricavi?
Non vorrei parlarmi addosso, ma io ad esempio anni fa, faccio un esempio solo, tra i mille che potrei fare, mi sono messo a pensare come avrei potuto dare chiarezza sui costi dei servizi legali alla gente – cosa che rappresentava un problema molo sentito del settore – e mi sono inventato i contratti flat, con cui una persona o una azienda finalmente, quantomeno su base annuale, possono avere certezza sui costi legali.
E da lì ho guadagnato bene. Ma prima di guadagnare ho dato qualcosa.
Non ho lanciato maledizioni al mio Paese, che non c’entra niente: ma insomma voi quando andate a lavorare tutte le mattine ci andate per cercare di fare qualcosa di utile o ci andate per lamentarvi che voi sareste bravissimi e utilissimi però l’Italia non funziona e allora niente?
Di cosa stiamo parlando?
È arrivata la bella figa 🙂
«Eppure ho capacità, presenza e i titoli che mi permetterebbero un lavoro ben pagato».
Titoli: abbiamo già visto che non servono a un cazzo. Il lavoro è un prodotto, se è utile vale e viceversa.
Presenza: ma chi sei, una bella figa? Cioè io ti dovrei pagare e affidarti i problemi legali della mia azienda perché poi arrivi te e Gabriel Garko famme na pippa? Ma di cosa stiamo parlando?
Capacità. È l’unica parola che possa avere un senso. Di nuovo però il lavoro è un prodotto e, come tutti i prodotti, ha bisogno di lead generation. Quindi le capacità innanzitutto ci vogliono, poi ci vogliono sistemi o canali di lead generation. Altrimenti stiamo parlando di nuovo del nulla.
«È normale che un giovane come me abbia questi problemi nel chiedere (e aspettarsi) una retribuzione dignitosa e ragionevole?»
Per i motivi che ti ho già spiegato, è così che funziona il mondo, compreso quello del lavoro, ed io lo trovo persino giusto, anzi giustissimo.
Perché si dovrebbero dar soldi alle persone solo perché hanno delle lauree ma non sono utili agli altri?
Quello che, a dire la verità, non trovo normale io è che una persona che ha goduto di borse di studio, superato brillantemente gli studi e l’esame di abilitazione alla fine dei conti non arrivi a voler capire ed accettare queste cose che persino chi ha studiato alla famosa università della vita capisce molto bene.
L’importante è dare la colpa a qualcosa?
«Vorrei che questa storia venisse raccontata per dare voce a tutti quei ragazzi che, come me, non sono figli di professionisti, non appartengono a famiglie facoltose, sono privi di conoscenze importanti e vengono da un Sud che esclude e non dà opportunità: non tutti hanno almeno la fortuna d nascere e crescere in città come Roma e Milano».
Con questa conclusione, abbiamo di fronte a quanto pare l’ennesima persona che non solo comprova di non capire, almeno in questa occasione, quali sono le reali cause dei suoi problemi – e questo, da chi aspirerebbe ad essere un professionista, cioè una figura che sta sul mercato per dare consigli a privati e aziende, è particolarmente significativo – ma si occupa della sua situazione solo, in fondo, per lamentarsene.
Esattamente come ho descritto nel mio post già richiamato, dove ho parlato proprio di chi adduce come scusanti per il proprio mancato successo i clienti che non pagano, le tasse, la cassa, e preferisce trascorrere il suo tempo a lamentarsene anziché svegliarsi, capire quali sono le reali problematiche e iniziare a lavorarci davvero sopra.
Io sono figlio di due impiegati, non vengo affatto da una famiglia facoltosa o con conoscenze importanti, ma la gente mi cerca e mi paga per il semplice fatto che sono in grado di dare solo un servizio utile e che, per questo servizio, svolgo tutti i giorni attività di lead generation.
Tutto il resto sono cazzate.
Cosa vuoi fare?
E tu?
Vuoi stare a lamentarti con Tony o vuoi stare con me ad investire su te stesso e cercare di prendere in mano efficacemente la tua vita?
Se vuoi stare con Tony, mandagli una mail al suo smaltante indirizzo at hotmail.it. Fondate un’associazione e magari chiedete all’Italia un reddito di cittadinanza speciale per avvocati di bella presenza delusi dal kattivoh mercato.
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E… se tu sei Tony, l’invito vale anche e soprattutto per te.
Sono certo che sei una persona con delle vere capacità, semplicemente non hai mai incontrato nessuno che ti abbia proposto certe riflessioni che invece sono quelle che ti potrebbero a mio modo di vedere servire.