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per gestire un progetto open source è meglio un ente commerciale o no-profit?

Nei giorni scorsi ho lanciato un progetto per creare un motore di ricerca open source, basato su p2p e sulla potenza di calcolo dei
computer degli utenti. Attualmente molte persone “scalpitano” per iniziare a programmare, ma non è ancora chiaro che tipo di “entità” è possibile creare per gestire la cosa. Io stavo pensando ad una non-profit ma non essendo esperto, ti chiedo di poter illustrare brevemente le caratteristiche, i costi di attivazione” e di “gestione”, limitatamente alle tue competenze. Se poi sei a conoscenza di qualcuno che può integrare la tua risposta, ti chiedo gentilmente di contattarlo. (Simone, via mail)

E’ un tema molto vasto, da affrontare anche con l’ausilio di un valido commercialista – potremmo, al riguardo, provare ad interessare altri blog avente ad oggetto la specifica materia fiscale – perchè, al di là delle conseguenze e degli aspetti civilistici, ci sono aspetti tributari di fondamentale importanza nella scelta, principale, tra società commerciale e onlus e poi, ulteriormente, nei vari tipi disponibili all’interno di queste grandi categorie.

In questa sede mi limito a iniziare il discorso facendo qualche breve osservazione di fondo, più che altro per “lanciare” il presente post quale sede di discussione del tema, tramite i commenti in calce.

La scelta dell’impostazione commerciale o no-profit dipende naturalmente da quello che si vuole fare, in senso più generale rispetto a quello che è l’oggetto concreto dell’iniziativa. Se ho capito bene, l’idea sarebbe quella di applicare i principi del calcolo distribuito alla realizzazione di un nuovo motore di ricerca, scritto con codice aperto, libero e gratuito per l’utente finale e così via. Questo però non è del tutto rilevante. Fare questo o sviluppare, ad esempio, un browser come fa la mozilla foundation non è decisivo ai fini della scelta del tipo di organizzazione. Quello che conta è valutare come deve essere gestito il progetto nella sua quotidianità e quali sono i suoi scopi a lungo termine. Sotto questo profilo, la struttura commerciale delle società offre dei vantaggi evidenti in tema di amministrazione. Nelle società si sa chi è il “capo”, chi ha la proprietà intellettuale del progetto, che è fondamentale anche nel caso dell’open source, perchè si deve sempre sapere chi può agire in caso di violazioni della GPL, chi decide come si lavora, come viene coordinata la cosa e così via. Nelle associazioni, il discorso è molto più sfilacciato e ci sono anche molte meno regole giuridiche sviluppate per le stesse. Nelle associazioni, ogni membro conta come ogni altro e non c’è un proprietario o titolare di quote. Gli statuti devono essere democratici, per cui solitamente viene eletto un consiglio di amministrazione o collettivo che poi esprime un portavoce o un presidente. Chi fa il presidente un anno, può non farlo l’anno dopo perchè un gruppo di associati si accorda sul nome di una persona diversa che esprima un diverso modo di vedere la realtà aziendale. Quanto alla scarsità di regole giuridiche, pensa ad esempio cosa potrebbe succedere in caso di uscita di una larga fetta di associati, magari in occasione di un fork del progetto: il nome del progetto, il logo, la proprietà intellettuale a chi rimarrebbero? A quelli che sono rimasti o a quelli che sono usciti in larga parte e che sostengono essere la maggioranza? Una questione del genere ha interessato la vecchia Democrazia cristiana, con una causa che si aperta ai tempi di tangentopoli, e durata oltre un decennio e si è conclusa solo nel settembre 2006, stabilendo che il simbolo e il nome fossero utilizzabili solo da quelli che erano rimasti – peccato tuttavia nei nel frattempo siano stati usati, con buon profitto, da almeno altri tre partiti frattanto comparsi sulla scena politica.

La scelta del tipo associativo, se nell’immediato consente di godere di alcuni vantaggi soprattutto fiscali, alla lunga poi potrebbe rivelarsi un impedimento qualora l’ente dovesse vendere, ad esempio, gadget o altro per finanziarsi o comunque erogare consulenze alle aziende, magari proponendo una installazione del motore di ricerca a livello di intranet.

Il mio favore, per tutti i motivi di cui sopra e per altri meno importanti per cui qui non c’è spazio, è generalmente sempre a favore della costituzione di una vera e propria società, molto più facile da gestire, molto più diffusa e conosciuta, anche dai commercialisti, sotto gli aspetti fiscali e che, soprattutto, consente di tenere insieme il progetto in modo valido, considerando anche che uno dei difetti principali delle iniziative open source è la dispersione credo che si tratti di un aspetto non secondario.

Queste sono appunto considerazioni generalissime, che, anche se sono frutto della mia decennale esperienza in materia, rappresentano solo orientamenti di massima, poi la cosa dovrà essere vagliata molto più in concreto, con il parellelo ausilio di un fiscalista esperto in associazioni no profit (tutti i fiscalisti conoscono bene le società, solo pochi le onlus).

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Di Tiziano Solignani

L'uomo che sussurrava ai cavilli... Cassazionista, iscritto all'ordine di Modena dal 1997. Mediatore familiare. Counselor. Autore, tra l'altro, di «Guida alla separazione e al divorzio», «Come dirsi addio», «9 storie mai raccontate», «Io non avrò mai paura di te». Se volete migliorare le vostre vite, seguitelo su facebook, twitter e nei suoi gruppi. Se volete acquistare un'ora (o più) della sua attenzione sui vostri problemi, potete farlo da qui.

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