Nel 1986 è morta mia madre, ormai anziana e malata, senza fare testamento. Tutti i suoi beni (in realtà pochi, ormai, ma ora le spiego meglio), non essendoci più mio padre, sono stati divisi tra me, i miei due fratelli, e le due figlie di mia sorella, già deceduta anche lei. Tuttavia, le cose, secondo me, non sono mai state molto “eque”. Infatti, tanti pezzi di antiquariato (mobili, vasellame, tappeti, argenteria…), di grosso valore, che appartenevano alla mia famiglia da generazioni, erano state donate da mia madre nel corso della sua vita a uno dei miei fratelli, dimostrando, in questo modo, la sua particolare predilezione per lui. Nessuno però ha mai voluto recriminare per questo fatto, fino a quando, lo scorso anno, sono successi alcuni fatti che hanno irreparabilmente deteriorato i rapporti con il “figlio prediletto”. Ora io vorrei fare qualcosa per far sì che tutti quei beni che mio fratello ha ricevuto, secondo me ingiustamente, e che comunque detiene indegnamente, possano essere ridistribuiti secondo modalità che non trascurino nessuno degli eredi. Cosa posso fare? (Carla, lettera)
Casi come questi non sono rari. Purtroppo, però, temo di doverle dare una risposta che non la conforterà, dal momento che è trascorso ormai troppo tempo da quando avrebbe potuto (meglio, dovuto) adoperarsi per far valere i suoi diritti. La legge, infatti, tutela gli interessi dei legittimari, i soggetti, cioè, che hanno diritto alla cd. “quota di legittima” su un asse ereditario, e in questo caso specifico prevede, all’art. 555 c.c., la possibilità di esperire un’azione, detta di “riduzione”, mediante la quale, appunto, i legittimari che sono stati pregiudicati nei loro diritti di successione possono agire contro i donatari, per ri-ottenere la titolarità dei beni di cui il de cuius ha disposto con atti di liberalità nel corso della sua vita.
Tuttavia, per evitare che il riconoscimento di tale forma di tutela possa generare situazioni di incertezza in relazione alla titolarità dei beni, e in particolare nei rapporti contrattuali, tale diritto non può essere riconosciuto “in eterno”, dovendo necessariamente essere limitata nel tempo la facoltà del suo esercizio. Quaesta è la ragione delle prescrizioni, e per questo diritto il nostro ordinamento prevede, purtroppo, un termine molto breve, di un anno, scaduto il quale la situzione si cristallizza definitivamente. Dico purtroppo, perchè a volte, come è accaduto nel suo caso, la mancata conoscenza della legge determina effetti sfavorevoli per le parti che, paradossalmente, necessiterebbero di una tutela più efficace.