Mio padre si è sposato circa trentacinque anni fa con mia madre e dal loro matrimonio hanno avuto solo me come figlio. Venti anni fà, morta mia madre, mio padre si è risposato con un’altra donna dalla quale ha avuto due figli, uno purtroppo morto circa due anni fa. Oggi mio padre è proprietario esclusivo di un appartamento, che acquistò prima del matrimonio con mia madre, nel quale vive con la moglie ed il figlio, mentre io sono sposato e vivo separatamente con mia moglie e mio figlio. Poichè i nostri rapporti si sono rotti per diversi motivi, mio padre ha deciso di vendere l’immobile a terzi e di comprarne un’altro a mio fratello riservando, per se e per la moglie, l’usufrutto sullo stesso. Cosa posso fare per non escluso da una futura eredità? (Alessandro, via posta elettronica)
Gentile amico,
innanztutto occorre mettere in luce che nel nostro ordinamento è espressamente disciplinato il fenomeno successorio al fine di regolare le sorti dei rapporti giuridici patrimoniali facenti capo al soggetto che viene a mancare, dopo la sua morte.
Il nuovo diritto di famiglia ha modificato sensibilmente le norme che regolano la successione ereditaria. La comunione legale dei beni, in particolare, privilegia il coniuge superstite nei confronti degli stessi figli e degli altri eredi.
In caso di morte di uno dei coniugi, in regime di comunione dei beni, la successione ereditaria si applica solamente sul 50% del patrimonio della famiglia, in quanto il rimanente 50% appartiene di diritto al coniuge superstite.
Altre modifiche importanti introdotte sono rappresentate dal fatto che al coniuge compete non solo una quota di usufrutto sui beni, bensì una quota di proprietà degli stessi, e che non esiste più disparità di trattamento tra figli legittimi e figli naturali (la quota di eredità spettante ai figli viene divisa in parti uguali tra gli stessi).
Anche ove suo padre dovesse predisporre testamento, la legislazione appresta ad ogni modo tutele per i soggetti che intrattengon una stretta parentela col defunto.
Uno dei limiti inderogabilmente imposti dal legislatore alla libertà di testare è rappresentato da un complesso di norme (artt. 536 e segg. Codice Civile) volto a disciplinare la cd successione necessaria.
Con la successione necessaria il legislatore assicura ai parenti più stretti del de cuius, i legittimari (coniuge e figli e, in assenza dei figli, gli ascendenti), una quota minima del patrimonio ereditario (cd. quota di legittima), che peraltro tiene conto anche delle donazioni effettuate in vita, incomprimibile da parte di una diversa volontà del soggetto defunto.
In un caso come il suo, ove muoia un soggetto lasciando moglie e due figli, se non c’è il testamento, il patrimonio ereditario andrà diviso 1/3 al coniuge, mentre 2/3 saranno da ripartire tra i figli; qualora invece esista il testamento, andrà ¼ al coniuge, ½ ai figli e resta ¼ come quota disponibile con la quale il testatore può istituire erede chi desidera.
Occorre fare attenzione sul fatto che anche laddove il testatore disponesse in senso difforme o contrastante con quanto inderogabilmente previsto dalle norme sulla successione necessaria, così ledendo i diritti dei legittimari, la conseguenza non sarebbe comunque la nullità delle disposizioni lesive.
Tale nullità (più propriamente inefficacia) conseguirà solo a seguito dell’esperimento e accoglimento, ex artt. 553 e segg. Codice Civile, della cosiddetta azione di riduzione, da parte del legittimario leso, che, pertanto, dovrà necessariamente attivarsi giudizialmente per vedere accolta la propria richiesta.