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le garanzie per la vendita del ristorante

Gentile avvocato, le scrivo per avere un altro parere; allora ecco i fatti: abbiamo ceduto un’attività di ristorante per la cifra di 25.000€ all’Isola d’Elba, prezzo MOLTO basso, visto che il fatturato non era alto e le attrezzature erano vetuste (15 anni), pur se ancora funzionanti (noi ci abbiamo fatto la stagione). Nel contratto garantivamo che tali attrezzature erano funzionanti e ci impegnavamo comunque alle “ordinarie riparazioni” eventualmente necessarie (la quota macchinari era di 8.000€). Premetto che gli acquirenti avevano visionato il locale comodamente prima del preliminare, senza accendere o controllare alcunchè (nonostante fosse stato loro RIPETUTAMENTE fatta notare l’età dei macchinari). Dopo il preliminare, dovendo recarmi al locale a prendere degli effetti personali, ho chiesto loro se volevano venire con me, ma si sono rifiutati. Dopo l’atto li ho accompagnati sul posto e ho acceso tutte le attrezzature, poi ci siamo salutati. Ebbene, dopo 11 giorni mi arriva una raccomandata con un elenco di contestazioni sul funzionamento delle attrezzature e contestualmente viene bloccato il pagamento di un assegno di 3900€, chiedendo la riparazione o la sostituzione dei macchinari; inoltre vengono allegati preventivi per 30-40.000€, oltretutto gonfiati e fuori mercato. Volevo sapere se era plausibile chiedere 30-40.000€ contro un valore pagato di 8.000€ che poi diventano 4.000€ (dato che gli ultimi soldi non sono arrivati)? Sì, abbiamo garantito che erano funzionanti ma non per quanto dice l’ art. 1150 e la sostituzione mi pare eccessiva come riparazione ordinaria…sarebbe come comprare una 500 vecchia e scassata che si guasta e poi pretendere una Mercedes nuova! Che ne pensa? Cordiali saluti, Antonio, mail.
Anzitutto, è opportuno dirle che, per poterle rispondere in maniera corretta, occorrerebbe conoscere con precisione il contenuto del contratto di vendita che ha stipulato con gli acquirenti. Tuttavia, ritengo che, se la controparte era a conoscenza del fatto che le attrezzature erano un po’ vecchiotte, probabilmente la garanzia che lei ha prestato nel contratto (relativamente allo stato di conservazione e al funzionamento delle stesse) non potesse impegnarla più di quanto tali condizioni non le consentissero; intendo dire che se sia lei che l’acquirente eravate consapevoli del fatto che le attrezzature non erano nuovissime, lei non avrà acconsentito a garantirne il corretto funzionamento a tempo indeterminato, dal momento che (suppongo) l’acqurente era stato reso edotto del fatto che la notevole vantaggiosità del prezzo era in parte dovuta anche a ciò.
Detto questo, il nostro Codice Civile espressamente prevede l’obbligo per il venditore di garantire all’acquirente che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all’uso; infatti, l’art. 1512 riguarda la garanzia di buon funzionamento in caso di vendita di cose mobili. In base a tale disposizione, il compratore ha l’onere di dimostrare l’esistenza del patto contrattuale relativo alla garanzia di buon funzionamento. Il venditore si rende ad essa inadempiente per il solo fatto del cattivo o mancato funzionamento della cosa, che si sia verificato nel termine contrattualmente stabilito. Pertanto il compratore è agevolato sotto il profilo probatorio giacché, per far valere la garanzia, deve soltanto provare il cattivo o il mancato funzionamento della cosa – nonché il fatto che esso si sia verificato nel termine di durata della garanzia – e non anche la colpa del venditore, né, in generale, la causa specifica da cui esso sia stato determinato, mentre è a carico del venditore l’onere di fornire la prova contraria, liberandosi dalla responsabilità solo dimostrando che la mancanza di buon funzionamento sia dipesa da una causa insorta successivamente alla conclusione del contratto ed alla consegna della cosa, o addirittura da fatto proprio del compratore. Ne consegue che il venditore sarà tenuto a riportare la cosa nello stato di efficienza che avrebbe avuto un’altra cosa dello stesso tipo e perfettamente funzionante, ovvero a sostituire la cosa non funzionante con altra dello stesso tipo e nelle identiche condizioni di quella originariamente acquistata. In ogni caso, dato che tale responsabilità trova il suo fondamento in un patto stipulato dalle parti, la garanzia non ha effetto se manca la determinazione della sua durata.
Infine, le posso dire che è legittima la richiesta del risarcimento dei danni, subìti dall’acquirente, in termini di cd. “lucro cessante”, cioè dei danni che sono in relazione con il periodo di tempo in cui la cosa non abbia dato utilità.
La cosa migliore da fare, in questi casi (quando, cioè, può esserci divergenza sulle qualità e condizioni della cosa), è procedere ad una consulenza tecnica preventiva, prevista dall’art. 696-bis c.p.c., in base al quale le parti possono rivolgersi ad un tecnico specializzato il quale, al fine di favorire la composizione della lite ed evitare, quindi, che si giunga ad un contenzioso, accerti la determinazione dei crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di una obbligazione contrattuale ed eventualmente tenti la conciliazione delle parti. In caso di mancata conciliazione tra le parti, la perizia che sia stata rilasciata dal tecnico verrà a sostanziarsi in un mezzo istruttorio preventivamente acquisito nel successivo giudizio di merito.
Il consiglio che posso darle è, quindi, di tentare di trovare un accordo, prima di giungere a dover sostenere un processo che potrebbe essere molto più costoso.
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