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vendita di beni ecclesiastici

Avrei questo caso da sottoporvi. Tizio acquista un bene ecclesiastico (una canonica) dalla curia. Viene fatto il rogito con regolare pagamento ma senza richiedere l’autorizzazione prevista dalla legge (1089/1939 e DLgs 42/2004) alla Soprintendenza. In particolare tale autorizzazione ha *a mio parere* due scopi, il primo (dichiarato) il fatto che gli enti territoriali, in particolare i comuni, possono esercitare la prelazione, il secondo (forse non cosi’ esplicito) per verificare eventuale interesse storico artistico e di conseguenza per decretare la tutela del bene prima della vendita. Nel caso di vendita senza l’autorizzazione l’art. 164 del DLgs 42/2004 prevede la nullita’ dell’alienazione: “Le alienazioni, le convenzioni e gli atti giuridici in genere, compiuti contro i divieti stabiliti dalle disposizioni del Titolo I della Parte seconda, o senza l’osservanza delle condizioni e modalità da esse prescritte, sono nulli.” Nel mio caso la nullita’ e’ stata confermata dalla Soprintendenza mediante raccomandata: “In riferimento alla richiesta del …, …omissis…, si conferma che agli atti dell’Amministrazione dei beni culturali non risulta alcun provvedimento di autorizzazione relativo al citato atto, con conseguente nullita’ dello stesso ai sensi dell’art. 164 del D.Lgs 42/2004“. A seguito di questo e’ stata avviata anche una procedura di verifica di interesse storico artistico del bene e ora il bene e’ tutelato. Ora iniziano i miei dubbi: 1. Se un atto di compravendita di un bene ecclesiastico viene dichiarato nullo dalla Soprintendenza a causa della mancata autorizzazione e’ immediatamente esecutivo o e’ necessario qualche altro provvedimento? Posso gia’ entrare in canonica, mettere fuori dalla porta i mobili (o meglio telefonare a Tizio che se li venga a prendere) e iniziare ad usufruire del bene o serve altro atto? Mi hanno detto che la nullita’ della Soprintendenza e’ una nullita’ amministrativa e serve fare altre cose anche a livello giuridico. Terminate tutte le procedure al punto 1, Tizio non e’ piu’ proprietario del bene. La curia e’ proprietaria del bene. 2. Tizio che risarcimenti puo’ chiedere alla curia? Immagino possa chiedere i soldi che ha pagato (piu’ qualche interesse?) ma forse anche altri soldi ad esempio correlati a eventuali migliorie che ha apportato (esempio ha fatto l’impianto elettrico o cambiato gli infissi o cose del genere). 3. Se Tizio invece ha fatto degli interventi non utili e dannosi la curia puo’ richiedere il ripristino o un risarcimento? Alcune riflessioni mie: – se il bene fosse stato tutelato la legge 42/2004 prevede la reclusione; – il fatto che non sia stata richiesta l’autorizzazione all’alienazione ha impedito che la Soprintendenza potesse applicare la tutela sul bene; – gli interventi fatti da Tizio sono stati fatti senza l’autorizzazione della Soprintendenza non necessaria solo perche’ la Soprintendenza non era stata informata dell’alienazione. Piccola complicazione ulteriore, (anzi due ma una esclude l’altra): supponiamo che nel corso degli anni Tizio abbia venduto a Caio (ad una cifra molto piu’ alta rispetto alla prima vendita) e successivamente sia stata dichiarata la nullita’ dell’alienazione (della prima alienazione, quella che vedeva coinvolta la curia). Cosa puo’ fare Caio? Supponiamo che Tizio abbia venduto a Caio dopo che la Soprintendenza aveva dichiarato l’atto nullo (quindi Tizio ha venduto una cosa che non era piu’ sua) senza pero’ che Tizio lo sapesse (la Soprintendenza si e’ dimenticata di avvertire Tizio della nullita’). Cosa puo’ fare Caio? Nel caso in cui Tizio invece fosse stato avvertito dalla Soprintendenza che l’atto era nullo e abbia ugualmente venduto cosa succede? (Alessandro, via mail)
Ci sono tantissimi profili dentro a questo caso, alcuni forse solo ipotetici e sollevati giusto per curiosità o completezza. Cercherò di rispondere a tutti, anche se preliminarmente devo dire che non sono particolarmente esperto in materia di vincoli su beni considerati di interesse storico o artistico e posso solo dire, prescidendo da una ricerca specifica che andrebbe oltre gli scopi di questo blog, che cosa accade solitamente in diritto civile, che dovrebbe poi essere il diritto “comune” valevole quando non sono applicabili norme speciali.
In diritto civile, la nullità può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, quindi nel nostro caso da entrambe le parti, curia e acquirente, e anche da un terzo, tipicamente la sovrintendenza come pubblica amministrazione dotata di competenze e funzioni nel caso specifico oppure il comune nel cui territorio si trova il bene per l’esercizio della prelazione prevista dalla legge. Però non può mai essere pronunciata tramite un atto amministrativo, ma deve essere dichiarata da un giudice civile. Quindi l’atto con cui la sovrintendenza ha “pronunciato la nullità” in realtà ha solo dato conto dell’esistenza dei presupposti per pronunciarla, ma non ha prodotto alcun effetto giuridico sulla proprietà del bene, che rimane di Tizio, seguendo il nostro esempio, fino a che un tribunale civile, su ricorso della stessa sovrintendenza o di altri non pronunci la nullità ai sensi delle disposizioni che hai richiamato. E’ importante capire gli scopi della disposizione, che espressamente come dici tu sono quelli di consentire agli enti comunali di valutare se acquisire al patrimonio pubblico un bene che potrebbe essere opportuno inserirvi, per consentire ampie modalità di fruizione da parte di tutti o meno. Se questa è la ratio della disposizione, il comune rimane sempre in grado di decidere se esercitare la prelazione e lo farà instaurando una causa di nullità e, parallelamente, di esercizio del diritto. Se il comune non ritiene che sia opportuno esercitare la prelazione, che utilità avrebbe far tornare il bene nella sfera patrimoniale della curia? Mi pare che l’applicazione, dunque, dei principi civilistici generali sia in linea anche con la ratio della legislazione speciale vincolistica.
Veniamo adesso agli “altri dubbi”.
A mio giudizio non si verifica il ritorno del bene alla curia se non a seguito di azione di nullità da parte di un soggetto legittimato. In questi casi, l’acquirente Tizio non può chiedere alcun risarcimento del danno alla curia, perchè la nullità non è stata colpa della curia ma di entrambe le parti, le quali avevano l’onere di conoscere la legge e di osservarla. Il risarcimento del danno può essere chiesto solo se la nullità è stata determinata dalla condotta, commissiva o omissiva, di una delle parti, il chè non mi sembra verificarsi in questo caso.
Per ciò che concerne gli interventi effettuati sul bene durante il periodo in cui questo è rimasto presso Tizio, si applicano in questo caso le disposizioni di cui agli artt. 1148 cod. civ., contenute in una sezione significativamente intitolata “dei diritti e degli obblighi del possessore nella restituzione della cosa”. Ti segnalo in particolare l’art. 1150 che risponde a quello che chiedevi tu e il 1152 che addirittura prevederebbe un diritto di ritenzione fino al pagamento dei crediti del possessore, nel nostro caso Tizio, che mal si concilia, almeno a prima vista, con le disposizioni della legislazione vincolistica sui beni culturali.
Per quanto riguarda, poi, gli interventi effettuati sul bene in difformità dalle prescrizioni urbanistiche o vincolistiche, Tizio ne sarà responsabile non potendo addurre a propria scusante l’ignoranza della legge per il fatto che la curia dante causa non aveva richiesto l’autorizzazione alla sovrintendenza. Intanto è onere anche suo sapere che questa autorizzazione avrebbe dovuto essere richiesta e comunque il fatto che non lo sia stato non lo esonera dal sapere che esistono leggi che prevedono particolari vincoli per particolari categorie di beni. Quindi se ve ne sono i presupposti a carico di Tizio si aprirà il procedimento penale per i reati previsti dalla legge, nè credo che Tizio potrebbe in quel contesto invocare l’ignoranza sulla legge extrapenale che si traduce in un errore sul fatto – istituto previsto dall’art. 47, comma 3°; cod. pen. – vista la notorietà delle leggi urbanistico-vincolistiche nel nostro paese.
Riguardo, infine, all’ipotesi di alienazioni successive dello stesso bene, si applica la regola per cui la nullità, a differenza dell’annullabilità prevista dagli artt. 1425 ss. cod. civ., produce effetto anche rispetto ai terzi, quindi la pronuncia di nullità del primo contratto di alienazione travolge anche il secondo. Naturalmente, se il Comune intenderà ottenere la nullità del contratto di primo trasferimento dovrà citare in giudizio anche il secondo acquirente, in quanto “litisconsorte necessario” ai sensi dell’art. 103 cod. proc. civ.. Caio, in questo giudizio, potrà esercitare nei confronti di Tizio, suo dante causa, la domanda di risarcimento del danno in via, come si dice, trasversale, però anche la praticabilità di questa domanda va valutata alla luce dell’onere di conoscere le leggi, che vale anche per Caio che, in sede di compravendita, siccome vengono sempre richiamati i titoli di acquisto, sarà comunque stato avvertito che il bene proveniva dalla curia.
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Di Tiziano Solignani

L'uomo che sussurrava ai cavilli... Cassazionista, iscritto all'ordine di Modena dal 1997. Mediatore familiare. Counselor. Autore, tra l'altro, di «Guida alla separazione e al divorzio», «Come dirsi addio», «9 storie mai raccontate», «Io non avrò mai paura di te». Se volete migliorare le vostre vite, seguitelo su facebook, twitter e nei suoi gruppi. Se volete acquistare un'ora (o più) della sua attenzione sui vostri problemi, potete farlo da qui.

4 risposte su “vendita di beni ecclesiastici”

L'azione popolare è prevista dal Decreto Legislativo 267/2000 che, ridisegnando l'ordinamento delle autonomie locali, ha abrogato la vecchia e celebre 142/1990.

Secondo questa legge, all'art. 9, "1. Ciascun elettore può far valere in giudizio le azioni e i ricorsi che spettano al comune e alla provincia. 2. Il giudice ordina l'integrazione del contraddittorio nei confronti del comune ovvero della provincia. In caso di soccombenza, le spese sono a carico di chi ha promosso l'azione o il ricorso, salvo che l'ente costituendosi abbia aderito alle azioni e ai ricorsi promossi dall'elettore. "

Quindi se il parroco è elettore del comune che sarebbe legittimato a chiedere la nullità del trasferimento, cioè del comune in cui si trova il bene alienato, può esercitare questa azione popolare, sempre che se la senta visto l'atteggiamento del vescovo 😀

Desidero innanzitutto ringraziarti nuovamente per le risposte.

Avrei ancora una domanda rispetto al punto 1.

Chi e' che puo' procedere (rivolgendosi all'avvocato)?
A quanto ho capito la soprintendenza ha terminato il suo dovere per cui gli interessati rimangono la parrocchia e gli aventi diritto alla prelazione (tendenzialmente il comune). Se questi decidono di non procedere e' possibile qualche altra iniziativa (ad esempio la citata 'iniziativa popolare')?

Il caso pratico vuole che il comune non desideri procedere mentre il parroco vorrebbe procedere ma per procedere gli serve l'autorizzazione del vescovo che glie la nega.

Di nuovo grazie per le risposte!

1) Sì, naturalmente occorre rivolgersi ad un avvocato se si tratta di un terzo indistinto, mentre per quanto riguarda la sovrintendenza potrebbero applicarsi quelle leggi che consentono la rappresentanza in giudizio ad un funzionario dell'amministrazione o comunque che consentono all'amministrazione stessa di servirsi dell'avvocatura dello stato.

2) Questa sarebbe una cosa da valutare, sotto il profilo penalistico potrebbe esserci il reato di danneggiamento, di cui bisogna però verificare la procedibilità se d'ufficio o a querela di parte, mentre sotto quello pubblico o amministrativo so solo che esiste un istituto, che è l'azione di iniziativa popolare, che è l'unica cosa che mi viene in mente relativamente al tuo quesito ma che sinceramente non so se pertinente o meno, te lo passo come spunto magari da approfondire.

3) Caio ha diritto di farsi restituire il corrispettivo da Tizio nel momento in cui il suo contratto viene travolto dalla nullità della prima alienazione. E naturalmente la curia dovrà restituire il corrispettivo incassato a Tizio, quindi ci sarà la retrocessione di tutte le prestazioni nel frattempo eseguite. Non so se ho risposto alla tua domanda in questo modo, al massimo chiedimi pure ulteriori chiarimenti.

Innanzitutto grazie per la risposta davvero precisa!

Mi sono rimasti tre dubbi.

Rispetto a quanto dicevi riguardo al primo punto, quello riguardante l'annullamento,
il tribunale civile puo' non annullare l'atto?
Per portare a termine la pratica serve rivolgersi ad un avvocato dico bene (o sono solo carte)?

L'altro dubbio e', visto che Tizio ha modificato la canonica (dal punto di vista storico ha danneggiato la canonica) nel caso in cui la curia e gli enti territoriali decidano di non rivalersi i cittadini possono fare una denuncia o intraprendere altri azioni simili?

Il terzo dubbio e' giusto una conferma…
Nell'ultimo caso in cui Tizio (avvertito dalla Soprintendenza dell'annullamento) ha venduto a Caio incassando i soldi quello che ci rimette e' solo Caio dico bene?

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