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i ritardi nel pagare i risarcimenti ex lege Pinto sanzionati da Strasburgo

La legge Pinto che indennizza le vittime di processi troppo lunghi, non solo non porta ad accelerare la durata dei procedimenti ma è ormai causa di sempre nuove condanne all’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Questo a causa dei ritardi nella liquidazione degli indennizzi dovuti dallo Stato proprio a chi subisce la lentezza del funzionamento della giustizia. In soli due giorni, il 22 e il 29 luglio, sono arrivate da Strasburgo ben 24 sentenze di condanna all’Italia per violazione dell’articolo 6 della Convenzione, che impone agli Stati di garantire una durata ragionevole dei processi. E la legge Pinto (la 89 del 2001) è proprio alla base della nuova valanga di pronunce negative. In pratica, alle somme già liquidate in ritardo dai tribunali nazionali, vanno aggiunti nuovi indennizzi per le lungaggini nell’effettiva esecuzione delle pronunce fondate sulla legge Pinto.

Proprio per questo, l’Italia dovrà versare,in totale, in base alle 15 sentenze del 22 luglio, 92.550 euro alle vittime: 79.200 euro per il ritardo nell’effettiva liquidazione delle cifre di risarcimento assegnate secondo la legge Pinto, più 13.350 euro per le spese processuali sostenute dinanzi ai tribunali interni. Una cifra alla quale si aggiungono 37.441 euro già corrisposti dalla Corte d’appello peri danni materiali e morali subiti dalle vittime delle lungaggini. A causa poi delle sentenze di ieri, Roma deve versare altri 46100 euro (40.100 per il ritardo della liquidazione degli indennizzi e 6mila euro per le spese processuali), oltre ai 40.260 decisi dai tribunali italiani. In pratica, in due giorni l’Italia ha accumulato 138.650 euro di indennizzi da corrispondere ai ricorrenti, a causa della durata eccessiva dei processi.

Le pronunce depositate da Strasburgo il 22 e il 29 luglio avevano come protagonisti/vittime alcuni individui che, a diverso titolo, si erano rivolti ai tribunali nazionali a causa di alcune controversie in materia di assicurazione, pensioni di invalidità, rapporti di lavoro. I processi, in quasi tutte le vicende, erano durati, solo in primo grado, tra gli 8 e ii5 anni. I ricorrenti avevano quindi avviato la procedura per ottenere un indennizzo che era stato sì concesso dai giudici nazionali, ma liquidato dopo circa tre anni.

E’ evidente il cattivo funzionamento del sistema perché – come ha osservato la Corte europea – si aggiunge violazione a violazione: non solo il processo principale ha causato ai ricorrenti una lesione del diritto alla durata ragionevole del processo, ma anche il rimedio messo in campo dall’Italia secondo la legge Pinto conduce a una nuova violazione del principio della ragionevolezza dei tempi processuali.

I ritardi nella liquidazione fanno mantenere ai ricorrenti lo status di vittime della violazione e anzi causano una frustrazione supplementare per l’attesa subita, che deve essere riparata. Questo vuoi dire che il periodo da prendere in considerazione per il ritardo nel pagamento della somma dovuta in base alla legge Pinto si estende sino alla data in cui l’importo passa nell’effettiva disponibilità del ricorrente.

I tribunali interni continuano poi, in alcuni casi, a distaccarsi dai parametri della Corte europea per calcolare l’entità dell’indennizzo da liquidare. Nella sentenza Sanzari e Salvatore contro Italia (ricorso 4279/03), per esempio, Strasburgo ha accertato che la Corte d’appello di Roma aveva stabilito una riparazione per la vittima del processo lungo di soli 2.500 euro, mentre il ricorrente avrebbe dovuto ottenere, per gli standard internazionali, 22 mila euro. La liquidazione di un importo pari solo all’11% della somma che andava corrisposta «conduce a un risultato manifestamene irragionevole». Inoltre i 2.500 euro sono arrivati alla vittima solo dopo 38 mesi dalla pronuncia della Corte d’appello. Di qui la concessione, da parte della Corte europea, di un bonus supplementare di 3.200 euro, da sommare alla riparazione di 7.400 euro. (30/7/2008, Marina Castellaneta, il Sole 24 Ore)

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Di Tiziano Solignani

L'uomo che sussurrava ai cavilli... Cassazionista, iscritto all'ordine di Modena dal 1997. Mediatore familiare. Counselor. Autore, tra l'altro, di «Guida alla separazione e al divorzio», «Come dirsi addio», «9 storie mai raccontate», «Io non avrò mai paura di te». Se volete migliorare le vostre vite, seguitelo su facebook, twitter e nei suoi gruppi. Se volete acquistare un'ora (o più) della sua attenzione sui vostri problemi, potete farlo da qui.

5 risposte su “i ritardi nel pagare i risarcimenti ex lege Pinto sanzionati da Strasburgo”

Ciao Alberto, penso di chiedere il rimborso per una causa che sta durando da 25 anni iniziata da mio padre. Quindi non bisogna pagare per registrare l'atto corretto? POsso sapere di più della tua esperienza, sconsigli di fare questo tentativo? Grazie
federica

ho vinto la causa per un risarcimento di 13 mila euro,secondo la legge ponto,
mi hanno fatto pgare tasse e registrazione 1 anno fa
ma a questo momento non ho avuto 1 soldo

Aggiornamento, dovuto, della situazione riguardante il rimborso della registrazione della sentenza "a debito", cioè non dovuto.
Dopo quattro anni e mezzo dal pagamento e dopo tutte le vicende in proposito già narrate, è arrivato finalmente il rimborso: quasi due Euro in meno rispetto alla somma pagata.
Una prece.

A mia madre, ultraottantenne, la Corte di appello di L'Aquila ha riconosciuto un equo indennizzo ex Legge Pinto dopo aver dovuto riformulare il decreto in seguito a ricorso in Cassazione a causa di non riconoscimento dello stesso.
Sono riuscito a far dare esecuzione al decreto solo dopo estenuanti tentativi, quattro anni dopo la sua emissione.
Quello che voglio qui segnalare è l'odissea della registrazione dell'atto. Quattro anni fa ho pagato la registrazione seguendo le indicazioni dell'avvocato.
Subito dopo, frequentando gli ambienti giudiziari, ho saputo che la registrazione non era dovuta. Ho chiesto il rimborso e, poiché questo tardava, ho chiesto spiegazioni e due anni fa dall'Agenzia delle entrate è giunta la conferma del diritto al rimborso che sarebbe arrivato non appena fossero stati "accreditati i fondi".
Verso la fine dell'anno scorso è arrivata la richiesta dalla Corte di appello del pagamento della somma pagata e di cui si aspettava il rimborso. Ho ignorato l'"invito", anzi, ho fatto denunciare la cosa trasmettendo la documentazione alla Procura della Repubblica. Archiviazione non perché non vi era reato bensì perché la denuncia sarebbe stata nei confronti di ignoti.
Il mese scorso è giunta la richiesta della scelta delle modalità di accredito del rimborso. Poco dopo è arrivato un nuovo "invito al pagamento" dell'importo corrispndente alla metà della somma già versata, riconosciuta da rimborsare e ancora richiesta.
Anche dall'Agenzia delle entrate di Roma è arrivata la richiesta di registrazione della sentenza di Cassazione, respinta al mittente con relativa richiesta di motivazione giuridica. Dopo più di due anni, silenzio (colpevole?).
La registrazione, secondo la Legge, è a debito, cioè non è soggetta a pagamento.
Oremus.

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