REGGIO CALABRIA – Condannati a 12 anni e sei mesi per il tentato omicidio di un ispettore di polizia, sono già liberi perché il giudice ha impiegato troppo a depositare le motivazioni della sentenza. Da martedì sera Denis Alfarano e Damiano Leotta, due killer “intercettati” dalle forze dell’ordine mentre andavano a compiere un agguato mafioso, sono di nuovo in circolazione.
Condannati in primo grado il 5 novembre 2006 dal Gup di Reggio Calabria, Concettina Garreffa, hanno riconquistato la libertà in virtù del fatto che lo stesso magistrato ha depositato gli atti conseguenti solo nel maggio scorso. Ossia fuori dai tempi utili per avviare l’eventuale processo d’Appello. Così nelle scorse settimane i legali dei due, Antonio Russo e Giorgio Dacqua, hanno potuto presentare istanza di scarcerazione allo stesso giudice, che non ha potuto fare altro che accogliere la richiesta.
I fatti contestati ai due risalgono al 26 novembre del 2004. Quando il gruppo di fuoco su un’auto si stava spostando per assassinare una persona a Monasterace, in provincia di Reggio Calabria. Per compiere l’agguato i killer usarono un’auto sulla quale la Polizia aveva istallato delle microspie che dovevano servire per un’altra inchiesta. Gli uomini a bordo dell’auto si misero a parlare dei loro propositi omicidi. Ciò fece scattare l’allarme e la conseguente operazione che doveva servire a sventare l’agguato.
Di fatto il commando perse tempo perché la vittima designata era in compagnia di una donna. Circostanza che disorientò e divise gli assassini sul da farsi. Tanto che si misero a litigare in auto, ascoltati in diretta dagli uomini del commissariato. Minuti preziosi che consentirono l’intervento dei poliziotti. Fu così che la Lancia Delta fu intercettata a Riace da una pattuglia in borghese. Tra la polizia e i componenti della seconda autovettura si scatenò un conflitto a fuoco nel quale ebbe la peggio l’ispettore di Polizia Massimo Trimboli, ferito al braccio e alla mano da un colpo di fucile caricato a pallettoni. Alfarano e Leotta invece riuscirono a dileguarsi a piedi dopo avere abbandonato la vettura.
Una fuga tutto sommato breve. Infatti i due furono arrestati alcuni mesi dopo a Como, dove si erano nascosti per eludere le ricerche. Il poliziotto se la cavò, così come l’obiettivo della missione omicida, che non fu neppure individuato con esattezza. Dopo l’arresto, nell’estate del 2006 iniziò il processo, con rito abbreviato, che si concluse a novembre, con la condanna a 12 anni e sei mesi di reclusione per i due condannati, che però sono già in circolazione a causa della lentezza con la quale sono state depositate le motivazioni della sentenza. (7 agosto 2008, Giuseppe Baldessarro, la Repubblica)