RG n. 23639/2007 Sent. 23693/2009 Rep. N. 10155/09 (si ringrazia l’associazione AIDAA per aver messo a disposizione il testo)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI MILANO SEZIONE XIII CIVILE
In persona del giudice monocratico, Il giudice dott.ssa Sabrina Bocconcello ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa RG n. 23639/2007 promossa
DA
L.P. (C.F. …) e S.H. (C.F. …), rappresentati e difesi dall’Avv. Giovanni Paganuzzi, presso lo studio della quale in Milano, Viale Papiniano 44 eleggono domicilio, giusta procura a margine dell’atto di citazione
– attori –
CONTRO
Condominio di via MarNero 13 – Milano, in persona del suo amministratore pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Enrico Moscoloni, presso lo studio della quale in Milano, Via Larga 51, elegge domicilio come da procura in calce all’atto di citazione
– convenuto –
CONTRO
SuperCondominio di via MarNero / Nicolajevka – Milano, in persona del suo amministratore pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Enrico Moscoloni, presso lo studio della quale in Milano, Via Larga 51, elegge domicilio come da procura in calce all’atto di citazione
– convenuto –
CONTRO
F.C. e N.R., rappresentati e difesi dall’Avv. Antonio Leva, presso lo studio della quale in Milano, Via Foppa 51, elegge domicilio come da procura a margine della comparsa di risposta
– convenuto –
E con l’intervento di
AIDAA Associazione Italiana Difesa Animali e Ambiente, rappresentati e difesi dall’Avv. Antonio Leva, presso lo studio della quale in Milano, Via Foppa 51, elegge domicilio come da procura a margine della comparsa di intervento
CONCLUSIONI così come precisate all’udienza del 4.5.2009
– terza intervenuta –
Fatto e svolgimento del processo
Con atto di citazione regolarmente notificato i sig.ri P. e H. convenivano in giudizio si sig.ri C. e R. nonché il condominio MarNero 13 Milano e il SuperCondominio MarNero/Nikolajevka ove gli stessi attori sono condomini, lamentando l’illegittima condotta dei sig.ri C. e R. per aver occupato senza autorizzazione alcuna con manufatti (rifugi per gatti) le parti comuni e altresì la condotta omissiva dell’amministrazione dei Condominii convenuti per non aver vigilato sull’uso e la destinazione degli spazi comuni, provvedendo ad eliminare le costruzioni abusive, così come richiesto dagli attori.
Gli attori chiedevano quindi la condanna del SuperCondominio e del condominio alla rimissione in pristino della proprietà comune, la condanna del SuperCondominio e del Condominio in solido con i sig.ri C. e R. al rimborso della somma di € 180,00 sostenuta dagli attori per lo sgombero tentato in data 7.12.2006, nonché la condanna del SuperCondominio e del Condominio in solido con i sig.ri C. e R. al risarcimento del danno non patrimoniale patito e patendo indicato nella misura di € 10.000,00.
Il condominio ed il Supercondominio convenuti si costituivano in giudizio depositando la propria comparsa di costituzione e chiedendo il rigetto della domanda di parte attrice.
Si costituivano altresì i sig.ri C. e R. contestando le deduzioni di parte attrice e chiedendo il rigetto delle loro domande nonché la condanna ex art. 96 cpc per lite temeraria degli attori.
I convenuti C./R. chiedevano altresì in via riconvenzionale la condanna degli attore al risarcimento dei danni morali subiti dalla sig.ra R. a seguito della lotta psicologica ed intimidatoria perpetrata, secondo l’assunto di parte convenuta, dagli attori nei suoi confronti.
Con comparsa di intervento volontario depositata in cancelleria in data 26.62007 si costituiva la AIDAA aderendo alle domande formulate dai convenuti C./R.
Concessi i termini ex art. 183 VI comma cpc, il Giudice, a scioglimento della riserva del 11.12.2007, ammetteva alcuni capitoli di prova dedotti dalle parti, per interpello e testi. Esperita la fase istruttoria con l’interpello delle parti e l’escussione dei testi ammessi, ritenuta la causa matura per la decisione, veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni.
All’udienza del 4.5.2009, le parti precisavano le conclusioni ed il Giudice tratteneva la causa in decisione, assegnando i termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle relative repliche.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Quanto all’intervento dell’AIDAA.
Parte attrice lamenta la inammissibilità dell’intervento dell’AIDAA (per carenza di interesse) nonché la sua domanda riconvenzionale (per tardiva costituzione).
Va rilevato che il diritto che, ai sensi dell’art. 105, comma 1, c.p.c., il terzo può far valere in un giudizio pendente tra altre parti, deve essere relativo all’oggetto sostanziale dell’originaria controversia, da individuarsi con riferimento al “petitum” ed alla “causa petendi”, ovvero dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo a fondamento della domanda giudiziale originaria, restando irrilevante la mera identità di alcune questioni di diritto, la quale, configurando una connessine impropria, non consente l’intervento del terzo nel processo.
Orbene nel caso in esame AIDAA ha dimostrato con il proprio intervento di aver aderito alle difese di parte convenuta C./R. manifestando l’interesse – insito nell’oggetto sociale dell’associazione stessa – a che non vengano rimossi i rifugi dei gatti. Ne consegue l’ammissibilità dell’intervento.
Quanto alla domanda riconvenzionale svolta dall’AIDAA deve qualificarsi l’intervento dell’associazione come intervento adesivo, con lì che – come precisato anche nella memoria 21.7.2009 dell’intervenuta – nessuna domanda riconvenzionale stata da AIDAA formulata se non in adesione a quelle già ritualmente formulate dai convenuti C./R. L’eccezione quindi deve essere respinta.
Quanto al merito.
I Sig.ri P. e H., proprietari di un appartamento posto nel condominio di Via MarNero 13 a Milano lamentano la lesine del diritto a godere del proprio bene immobile in modo pieno ed esclusivo ed a godere degli spazi comuni di proprietà comune indivisa secondo la destinazione egli stessi e nel rispetto degli altri partecipanti alla comunione.
Assumono gli attori che i Sig.ri C./R. hanno occupato illegittimamente porzioni di giardino condominiale (a ridosso anche dell’edificio) con due rifugi per gatti costruiti con scatoloni, teloni di plastica ed assi di legno nonché uno sgabuzzino condominiale che si trova nelle cantine del civico 13 (lo stesso condominio ove abitano gli attori) per permettere il rifugio della colonia di gatti presente nel complesso condominiale durante le ore notturne ed i periodi invernali.
I convenuti tutti non contestano la presenza della colonia di felini all’interno delle aree comuni, ma assumo l’illegittimità della richiesta di ripristino e di risarcimento del danno deducendo una legittima destinazione della parte comune.
Va preliminarmente rilevato che da un attento esame degli atti, parte attrice circoscrive nelle sue conclusioni la domanda di ripristini delle parti comuni solo in quelle aree occupate dai manufatti illegittimamente costruiti, chiedendo l’eliminazione dei rifugi dei gatti descritti in atti, senza nulla chiedere in merito allo sgabuzzino.
Dette conclusioni sono state reiterate in sede di udienza di precisazione delle conclusioni, ne consegue che nessuna statuizione può essere resa in ordine allo sgabuzzino condominiale, di cui si rileva non vi è domanda esplicita sul punto.
Quanto al merito della causa che ci occupa, gli attori assumono la violazione della destinazione d’uso del cortile condominiale da parte dei convenuti per avere questi ultimi adibito una porzione del cortile stesso a rifugio di gatti randagi, che assumono costituiscano pericolo alla salute e alla salubrità dei luoghi.
I convenuti contestano il dedotto illegittimo uso della porzione di cortile comune, assumo invece di esercitare il loro diritto di cui all’art. 1102 cc, ma contestano anche la insalubrità degli animali randagi, peraltro tutelati dalla legge nazionale come “colonia felina”.
La Legge 281/91 sancisce la territorialità delle colonie feline quale caratteristica etologica del gatto, riconoscendo loro la necessità (anch’essa tutelata) di avere un riferimento territoriale o habitat dove svolgere le funzioni vitali (cibo, rapporti sociali, cure, riposo ecc.).
Il legislatore ha ritenuto che i gatti, animali sociali che si muovono liberamente su un determinato territorio (radunandosi spesso in gruppi denominati “colonie feline”), pur vivendo in libertà, sono stanziali e frequentano abitualmente lo stesso luogo pubblico o privato, creandosi così un loro “habitat” ovvero quel territorio o porzione di esso, pubblico o privato, urbano e non, edificato e non, nel quale vivono stabilmente.
Nessuna norma di legge, né statale né regionale, proibisce di alimentare gatti randagi nel loro habitat cioè nei luoghi pubblici e privati in cui trovano rifugio.
Secondo detta normativa i gatti che stazionano e/o vengono alimentati nelle zone condominiali non possono essere allontanati o catturati per nessun motivo, a meno che non si tratti di interventi sanitari o di soccorso motivati (Legge 261/91).
Pertanto, soltanto in caso di gravi motivazioni sanitarie o per la tutela dei tatti stessi, l’ASL competente può valutare di spostare la colonia, previa verifica e controllo di un luogo alternativo.
Posto che dall’istruttoria espletata è emerso che i gatti non sono stati allontanati dalla ASL chiamata a vigilare sulla colonia poiché non costituenti pericolo per la salute, deve valutarsi, nel caso in esame, se è legittimo l’uso del cortile da parte di un condomino per adibirlo a rifugio dei gatti e se tale uso violi il diritto degli altri condomini.
Fermo quanto già detto, in merito alla normativa nazionale e regionale a tutela della specie felina che quindi legittimerebbe la presenza dei gatti nella porzione della casa comune, quanto alla lamentata violazione del diritto del pari uso e godimento si rileva quanto segue.
Come noto quando un cortile è comune e manca una disciplina contrattuale vincolante per comproprietari al riguardo (come nel caso in esame), il relativo uso è assoggettato alle norme sulla comunione in generale, e in particolare alla disciplina di cui all’art. 1102,comma 1, c.c., in base al quale ciascun partecipante alla comunione può servirsi della cosa comune, sempre che non ne alteri la destinazione e non ne impedisca il pari uso agli altri comunisti.
Contrariamente all’assunto di parte attrice, tale uso più intenso della cosa comune non deve necessariamente essere autorizzato dagli altri partecipanti alla comunione, poiché è insito nel concetto di parte comune l’uso che della cosa comune può fare il singolo, posto che prevede la partecipazione pro quota di ogni singolo condominio alla sua proprietà. Infatti, come statulto dalla Suprema Corte, in tema di condominio, è legittimo, ai sensi dell’art. 1102 c.c., sia l’utilizzazione della cosa comune da parte del singolo condomino con modalità particolari e diverse rispetto alla sua normale destinazione – purché nel rispetto delle concorrenti utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri condomini – sia l’uso più intenso della cosa, purché non sia alterato il rapporto di equilibrio tra tutti i comproprietari, dovendosi a tal fine avere riguardo all’uso potenziale in relazione ai diritti di ciascuno. (CASS. 5753/2007)
Il pari uso della cosa comune, non postula necessariamente il contemporaneo uso da parte di tutti i partecipanti alla comunione, restando affidata alla concreta regolamentazione per ragioni di coesistenza.
La nozione di pari uso del bene comune, pertanto, non è da intendersi nel senso di un utilizzo necessariamente identico e contemporaneo, fruito cioè da tutti condomini nella medesima unità di tempo e di spazio, perché se si richiedesse il concorso simultaneo di tali circostanze si avrebbe la conseguenza dell’impossibilità per ogni condomino di usare la cosa tutte le volte che questa fosse insufficiente a tal fine.
Al contrario, i rapporti condominiali devono essere informati al principio di solidarietà, il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione.
Ne consegue che, soltanto ove – anche in ragione della specifica destinazione di ogni proprietà individuale – sia prevedibile e ragionevole che tutti i partecipanti alla comunione abbiano interesse a fare un analogo utilizzo della cosa, la modifica apportata alla “res” comune dal condominio che impedisca tale utilizzo deve ritenersi illegittima. Infatti il limite al godimento di ciascun condomino p dato dagli interessi altri, i quali pertanto costituiscono impedimento della cosa comune solo se sia ragionevole prevedere che ciascun partecipante alla comunione possa, a propria volta, voler accrescere il pari uso a cui ha diritto.
Ciò posto, in considerazione dei limiti imposti dall’art. 1102 c.c. al condominio, l’alterazione o la modificazione della destinazione del bene comune si ricollega all’entità e alla qualità dell’incidenza del nuovo uso, giacché l’utilizzazione, anche particolare, della cosa da parte del condominio è consentita, quando la stessa non alteri l’equilibrio fra le concorrenti utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri comproprietari e non determini pregiudizievoli invadenze nell’ambito dei coesistenti diritti di costoro.
Nel caso in esame, il Tribunale ritiene che l’occupazione da parte di due condomini C./R. di uno spazio comune – mediante installazione di piccole costruzioni per gatti (rifugi) del tutto temporanei – non configura un abuso.
L’uso particolare che il comproprietario ha fatto del cortile comune, installando su una piccola porzione dello stesso manufatti amovibili, non può considerarsi estraneo alla destinazione normale dell’area, a condizione che si verifichi in concreto che, per le dimensioni del manufatto in rapporto a quello del cortile, o per altre eventuali ragioni di fatto, tale uso non alteri l’utilizzazione del cortile praticata dagli altri comproprietari, né escluda per gli stessi la possibilità di fare del cortile medesimo un analogo uso particolare(cfr.: cass. clv., sez. 2A, sent. 20 agosto 2002, n. 12262, cass. clv., sez 2A, sent. 17 maggio 197, n. 4394).
Nel caso in esame parte attrice non ha provato che l’utilizzazione della parte comune (il cortile) praticata dai convenuti abbia alterato l’uso stesso, né vi è prova in atti che tutti gli altri condomini non possano fare del cortile medesimo un analogo uso particolare. Deve quindi ritenersi che l’esistenza di tale condizione e della non alterazione della destinazione naturale dell’area legittimino l’installazione dei manufatti, tanto più che non risulta provato che il piano di calpestio del cortile sia variato.
Di contro è emerso dalla documentazione (anche fotografica) in atti che lo spazio occupato è marginale rispetto alla notevole estensione complessiva dell’area di proprietà comune.
Va poi evidenziato come non vi è in atti la prova che la presenza dei rifugi dei gatti nel cortile abbia creato situazioni insalubri ed immissioni intollerabili, posto che invece l’istruttoria espletata (testi Canavesi e Mariani), dalla quale è emersa anche la conferma della documentazione in atti della ASL, ha evidenziato il buono stato manutentivo dei rifugi e dei gatti nonché che “tutto era a norma secondo le normative igienico sanitarie”. Ne consegue che lo spazio comune risulta legittimamente utilizzato dai Sig.ri C. nei limiti e nel rispetto sia della normativa posta a tutela della comunione sia a tutela del diritto costituzionale garantito ala salute.
Pertanto la domanda di parte attrice volta alla rimozione da parte del SuperCondomio e del Condominio dei rifugi per gatti non risulta fondata e non può trovare accoglimento. Per le medesime argomentazioni deve ritenersi altresì infondata la domanda di risarcimento del danno formulata per omessa vigilanza da parte dei Condominii comuni sulla destinazione della cosa comune, posto che la detta destinazione non risulta contrastare con le norme sulla comunione.
Né può imputarsi ai Condomii contenuti il ritardo nell’esecuzione degli sgomberi disposti dalla ASL, posto che appare ragionevole il lasso di tempo (4 mesi) necessario allo sgombero dal giorno del sopralluogo all’esecuzione specifica sia in termini organizzativi che in termini di avviso ai condomini.
Né risulta provata la sussistenza dei lamentati miasmi tali da ritenere che non sussistano né i lamentati patimenti né i pregiudizio consistenti in disagi, disappunti e ansie.
Anche tale domanda attorea va quindi respinta.
Quanto alla domanda di restituzione della somma di € 180,00 si rileva quanto segue. Parte attrice lamenta che per procedere alla rimozione dei rifugi dei gatti ha tentato uno sgombero in data 7.12.2006 risultato poi vanamente esperito, chiede quindi che i convenuti tutti vengano condannati al rimborso della spesa.
La domanda non può trovare accoglimento posto che non risulta provato che vi fosse un ordine di sgombero (bensì solo una disposizione di sostituzione di un vetro ed alla chiusura della cantina, operazioni che risultano poi state eseguite); l’operazione di sgombero è stata decisa autonomamente dagli attori senza alcuna autorizzazione condominiale.
Tale spesa quindi, non necessaria né autorizzata, rimane a carico degli attori.
Va respinta infine la domanda di risarcimento del danno subito dalla Sig.ra R. per i lamentati risvolti psicologici della vicenda, posto che non vi è prova in atti della sussistenza del danno non patrimoniale subito, dal momento che il solo certificato in atti non attesta l’esistenza del lamentato danno.
Quanto infine alla domanda di condanna svolta dai convenuti in danno agli attori ex art. 96 cpc si rileva quanto segue.
L’affermazione di responsabilità processuale aggravata dal soccombente, secondo la previsione dell’art. 96, comma 1, c.p.c., postula, oltre al carattere totale e non parziale di tale soccombenza, che l’avversario deduca e dimostri, in primo luogo, la ricorrenza del dolo o della colpa grave eventualmente sottesi al comportamento processuale della controparte, cioè della consapevolezza oppure dell’ignoranza derivante dal mancato uso di un minimo di diligenza dell’infondatezza delle proprie tesi, ovvero del carattere irrituale o fraudolento dei mezzi adoperati per agire o resistere in giudizio nonché la concreta ed effettiva esistenza di un danno quale conseguenza del comportamento processuale della parte medesima.
Sicché non può liquidarsi il danno, neppure equitativamente, lamentato dai contenuti posto che dagli atti non risultano elementi atti ad identificarne concretamente l’esistenza. La domanda quindi non può trovare accoglimento.
Data la materia trattata, l’attività svolta e l’esito del giudizio che ha visto soccombenti tutte le parti si ritiene vi siano giustificati motivi per compensare le spese di lite tra le parti.
Sentenza esecutiva ex lege.
P.C.M.
Il Tribunale di Milano in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nella causa tra le parti in cui in epigrafe, ogni altra istanza ed eccezione disattesa:
- rigetta tulle le domande di parte attrice
- rigetta tutte le domande di tutte le parti convenute
- compensa tra le parti le spese di lite
- sentenza esecutiva
così deciso in Milano, il 30 settembre 2009
Tribunale di Milano Pubblicato oggi 20 Ottobre 2009
Il Giudice