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quando si esce da una divisione solo con una casa «sgarruppata»

mio padre (deceduto nel 1998) era proprietario di una porzione di fabbricato di scarsissimo valore (attualmente circa 80 mila euro) per averlo acquistato prima del matrimonio. Mia madre, ex insegnante ancora vivente ed ormai incapace di intendere e volere, era invece proprietaria di un fabbricato di ingente valore (attualmente circa 1 milione e mezzo di euro), per averlo realizzato nell’anno 1981 su di un terreno da lei acquistato, con i proventi della vendita di terreni agricoli di proprietà di mio padre, nell’anno 1967, prima della riforma di famiglia.  Tale ultimo immobile, veniva realizzato con licenza edilizia intestata a mio padre, benchè non proprietario del terreno. Alla luce di ciò sembra che entrambi gli immobili erano da considerare rispettivamente beni personali il primo di mio padre ed il secondo di mia madre che sono sempre stati in regime di comunione di beni. Nell’anno 1996, sono stata tartassata da promesse future, mai mantenute, da parte di mia madre, al fine di dividere la proprietà tra me ed il mio unico fratello che poi negli anni si è pure impossessato di tutto il patrimonio in danaro di mia madre con la quale conviveva, prosciugando tutti i conti che aveva con lei cointestati. La divisione stata così realizzata: mia madre ha donato metà della sua proprietà a mio fratello, ¼ l’ha donata a me ed ¼ l’ha donata a mio padre. Il tutto in nuda proprietà. Mio padre, contestualmente, avendo a questo punto a disposizione ¼ della menzionata proprietà già intestata a mia madre e di quella già sua, donava quest’ultima a me e quella ricevuta da mia madre a mio fratello. Nell’atto a queste due ultime porzioni veniva attribuito un valore rispettivamente di 32 milioni quella a me donata e 35 milioni all’altra. Sempre nel medesimo atto io ho ceduto a mio fratello l’ultimo ¼ della proprietà di mia madre per l’esigua somma di 35 milioni e con quelle promesse mai mantenute. In più, benchè la vecchia proprietà a me ceduta era piena, mi hanno convinta a tenerla a disposizione della nonna che l’ha utilizzata sino al 2008, quando all’età di 94 anni è deceduta con mio grande dispiacere, per l’amore che versavo nei suoi confronti. Ora mi ritrovo senza aver ottenuto nemmeno un soldo e con una casa sgarrupata priva di valore. Forse la mia bontà lo merita, ma chiedo se l’atto sopra descritto possa essere rimesso in discussione e se presenta vizi tali per cui io possa impugnarlo e come. 

Bisognerebbe innanzitutto vedere l’atto, o i vari atti, con cui è stata realizzata la «divisione». In ogni caso, poi, occorrerebbe incaricare un tecnico, cioè un geometra, architetto o ingegnere civile, di fare una valutazione del valore degli immobili, anche, nei casi in cui ciò è rilevante, del valore della semplice nuda proprietà, applicando i coefficienti di abbattimento previsti.

Una volta ottenuti gli esiti di tali accertamenti, si può valutare se l’atto presenta vizi tali da renderlo impugnabile o meno. La nostra legge non è insensibile a quelle ipotesi in cui un contratto viene concluso con un forte squilibrio tra quello che viene dato a una parte e quello che viene dato all’altra, il riferimento è ad esempio alle disposizioni in materia di rescissione previste per i contratti e a quelle sulla successione necessaria, applicabili come noto anche alle donazioni, per quanto riguarda appunto le eredità. Ma prima di vedere se queste norme sono applicabili al tuo caso occorre vedere il valore di tutto quello che è stato assegnato.

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Di Tiziano Solignani

L'uomo che sussurrava ai cavilli... Cassazionista, iscritto all'ordine di Modena dal 1997. Mediatore familiare. Counselor. Autore, tra l'altro, di «Guida alla separazione e al divorzio», «Come dirsi addio», «9 storie mai raccontate», «Io non avrò mai paura di te». Se volete migliorare le vostre vite, seguitelo su facebook, twitter e nei suoi gruppi. Se volete acquistare un'ora (o più) della sua attenzione sui vostri problemi, potete farlo da qui.

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