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[guest post] D.M. 145/2011: ancora errori di gioventù, ma non è tutto qui…

Pubblichiamo un eccellente contributo del collega Andrea Buti, mediatore professionale e convinto sostenitore dell’istituto, sulle novità del recente regolamento in materia di mediazione (ts).

E’ stato da poco pubblicato il D.M. 145/2011 che modifica alcune disposizioni del D.M. 180/2010. In estrema sintesi questi i principali versanti su cui ha lavorato il Ministero:

  1. nuovo “tirocinio assistito” per il mediatore

  2. incontro tra mediatore e parte istante anche nella “contumacia” delle altre parti

  3. criteri per nomina di un mediatore competente sull’oggetto della mediazione

  4. indennità fissa e fortemente ridotta (40 o 50 euro) per le mediazioni “in contumacia”

  5. indennità ribassate per la mediazione obbligatoria

  6. nuova (confusa) disciplina sulla determinazione del valore dell’oggetto della mediazione

  7. nuova disciplina sulle modalità di versamento dell’indennità

  8. derogabilità espressa dei minimi tabellari previsti per le indennità nella mediazione obbligatoria

Forse le modifiche, quantunque necessarie, sono state fatte – contravvenendo al saggio detto di Napoleone (“Siccome ho molta fretta, vado piano…”) – in maniera non del tutto convincente.

L’urgenza è stata probabilmente dettata dalla volontà di anticipare o stoppare in qualche modo eventuali provvedimenti del Giudici della Consulta. E questa sorta di ansia si è dimostrata una pessima consigliera: si è così passati da un eccesso all’altro aggiungendo qualcosa di troppo e tralasciando aspetti importanti.

Proviamo a vedere cosa c’è di buono e cosa di cattivo.

Buono o cattivo per chi, però?

Sono mediatore ed appassionato di mediazione da diversi anni e dunque potrei apparire pro-mediazione, ergo, non neutrale. Doppio problema: mi appresto a commentare un provvedimento “legislativo” e pur essendo mediatore, confesso la mia parzialità?

Problema non mio?! Potrei pensare: “Tiziano mi ospita e, forse, proprio il mio punto di vista vorrebbe..” Ma il lettore del blog di Tiziano? O meglio i lettori…?

Non sono un giornalista, d’altronde, la mia sarà solo un’opinione personale. Ok, va bene, ma non mi va proprio di fare la figura di chi parla pro domo sua: il che non implica che riuscirò ad essere del tutto neutrale (alcuni processi interni non sono del tutto coscienti…), ma almeno ci provo.

Pur ben sapendo che assai spesso le generalizzazioni e semplificazioni pregiudicano la soluzione del problema allontanando ancor più i diversi punti di osservazione, per praticità – almeno in questa sede – occorre individuare un metro di riferimento per valutare cosa c’è di positivo e di negativo in questo D.M.: mi propongo, quindi, di riflettere brevemente sull’efficacia delle norme in esso contenute nell’interesse del sistema giustizia: se le norme riusciranno cioè ad a creare una mediazione più funzionale ed almeno accettabile.

Insomma quei vizi di gioventù spesso evidenziati dalla categoria forense, sono stati risolti?

Inizierei.. con le “brutte notizie” (relative, dunque, a norme che, purtroppo, non affrontano nel migliore dei modi il problema che miravano a risolvere)

Costo eccessivo (eccessivamente alto prima, eccessivamente basso ora..) delle mediazioni “contumaciali”.

Se effettivamente, in molti casi, poteva essere molto quello che la parte istante doveva versare all’organismo per ottenere solo un verbale negativo, ora si tratta di dividersi appena 40 o 50 euro tra organismo, mediatore e fisco!

Certamente così facendo si è smontato qualsiasi business (pure esistente e studiato..) basato sulle produzione di soli verbali negativi, ma con un sistema assolutamente anti-economico sotto diversi punti di vista.

Se consideriamo infatti che l’incontro tra parte istante e mediatore deve comunque aver luogo (art. 3 d.m. 145/2011), la situazione rasenta davvero il paradosso: forse sarebbe stata preferibile la gratuità, almeno non sarebbe stato necessario tutto il lavoro di conteggio, comunicazioni, versamenti etc.. che invece è necessario (ops.. scusate la provocazione..).

Come spesso accade, è il meta-messaggio ad apparire negativo: una prestazione professionale, un approccio serio.. per 50 euro?

C’è qualcosa che non va.. O questa mediazione è una cosa seria – ed allora va pagata, non dico profumatamente, ma in maniera adeguata – oppure non lo è.

Da una parte si obbliga la parte ed il mediatore ad incontrarsi (perchè?) e dall’altra quest’incontro è retribuito con una cifra che non consente molto più che i convenevoli. Vogliamo evitare una fabbrica di verbali negativi (cosa poco seria)? Bene, abbassiamo il costo, ma l’incontro diventa una perdita di tempo anche per la parte o per il suo legale..

Determinazione del valore. Niente affatto chiara – e dunque sol per questo da inserire tra gli aspetti negativi.. – la norma sulla determinazione del valore. Anche il d.m. 180/2010 prevedeva la decisione “officiosa” nell’ipotesi di valore contrastante o di difficile determinazione. Ora a questo si aggiunge che “l’organismo decide il valore di riferimento, sino al limite di euro 250.000, e lo comunica alle parti. In ogni caso, se all’esito del procedimento di mediazione il valore risulta diverso, l’importo dell’indennità è dovuto secondo il corrispondente scaglione di riferimento”.

Il primo periodo non lo capisco: se una parte dice che la controversia vale 1.000.000 e l’altro dice che vale 500.000, l’organismo che dovrebbe fare?

Nulla perché la questione supera i 250.000: prima interpretazione possibile dell’inciso “sino al limiti di euro 250.000”.

Oppure la riduce a 250.000? E’ un’altra interpretazione possibile: il legislatore ha voluto mettere un tetto al valore delle questioni indeterminabili… per contenere i costi.. Boh.. a questo punto alle parti converrebbe contestare ogni valore superiore, tanto per provare ad ottenere una specie di riduzione officiosa ..

Il secondo periodo non è da meno: una valutazione postuma? E con quale effetto? Se si scopre che il valore era effettivamente 500.000 o 1.000.000 (ma anche 10.000) bisogna pagare in più o restituire qualcosa? Che complicazione! In giudizio, se l’attore dichiara un valore quello è… e su quello paga: non è che se la sentenza gli riconosce di meno o di più deve farsi luogo alle restituzioni o integrazioni del contributo unificato..

Forse le ferie mi hanno fatto perdere un po’ di lucidità, ma questo “a caldo” mi viene in mente (oddio anch’io sto dimenticando il detto di Napoleone..).

Passiamo alle buone (sufficienti…) nuove.

Competenza e preparazione del mediatore. Da tempo e da più parti si era denunciata la necessità che il mediatore fosse un po’ competente sulla questione oggetto di mediazione: giuristi per le questioni giuridiche, tecnici per le questioni tecniche etc…

Il decreto, pur senza affrontare il problema in maniera organica, obbliga l’organismo ad introdurre nel proprio regolamento dei “criteri inderogabili per l’assegnazione degli affari di mediazione predeterminati e rispettosi  della specifica competenza professionale del mediatore designato, desunta anche dalla tipologia di laurea universitaria posseduta”.

Non un obbligo legale, dunque, ma un obbligo (interpretabile, peraltro..)  a carico dell’organismo (sotto pena – probabilmente, perché il provvedimento tace sul punto.. – di sospensione/cancellazione dell’organismo dal registro ai sensi del D.M. 180/2010 immodificato al riguardo) un primo passo, ma non molto saldo. Ogni organismo, infatti, potrà elaborare i propri criteri senza dover rispettare alcun principio “legale”; quello della laurea pare per così dire “opzionale” considerato l’uso dell’ “anche”  presente nel testo.

Riduzione indennità. Anche la riduzione delle indennità per la mediazione obbligatoria è un intervento positivo: di certo per i litiganti che si trovano a pagare una cifra ridotta di 1/3 o addirittura della metà rispetto a quanto previsto nel d.m. 180/2010.

Ma forse anche per gli organismi, almeno quelli dotati di una vista non miope, che sanno che la loro mission potrà essere raggiunta sul medio (se non lungo..) periodo e non certo sul breve. L’accusa di aver voluto creare un business solo per organismi e mediatori trovava fertile terreno proprio argomentando sull’entità delle indennità, spesso decisamente superiori al contributo unificato dovuto per l’accesso alla procedura giudiziale in tribunale.

Anzi al riguardo il Ministero non sembra voler optare per altre “politiche dei prezzi” magari svincolate dal sistema tariffario a scaglioni che, in ogni caso, comunica una connotazione un po’ affarista o “di favore”. Il problema è troppo generale e complesso, pertanto, in questa sede può essere solo accennato ed in poche parole: il valore di una controversia non è sempre indice della sua complessità.

Tutt’altro.  Una questione di rilevante valore economico può avere una minima difficoltà tecnico-giuridica, mentre una di scarso valore può nascondere mille insidie e difficoltà.

Figurarsi un conflitto: provate a mediare una questione di pochi soldi o di vicinato per qualche metro di terra, per credere!

Probabilmente si tratta di una questione che richiederebbe una riflessione più accurata e meditata: in ogni caso uno strumento che mira realisticamente ad incidere positivamente sul contenzioso non può prescindere da un criterio di determinazione delle indennità assai più moderno, in grado di fare davvero “concorrenza” al processo giudiziario, a cominciare proprio dai costi e dalle modalità di determinazione.

Poi ci sono due norme non molto decisive.

Derogabilità minimi. Da un lato la derogabilità oggi espressa (art. 5 d.m. 145/2011) dei minimi sembrava abbastanza chiara (nessuna norma prevedeva l’inderogabilità) ed era stata superata dalla maturità o senso della realtà di alcuni organismi che con il loro operato dovevano correggere alcune distorsioni al fine di favorire l’accesso alla mediazione: non molte persone erano ben disposte a pagare cifre anche importanti per ottenere solo un verbale negativo o a dover aspettare la restituzione (italica farraginosità..) di quanto già versato.

Pagamento “postumo” indennità. Dall’altro la previsione – nella mediazione obbligatoria – di non operatività dell’eccezione di inadempimento in caso di mancato versamento dell’indennità: “Il regolamento di procedura  dell’organismo può prevedere che le indennità’ debbano essere corrisposte per intero prima del rilascio del verbale di accordo di cui all’articolo 11 del decreto legislativo. In ogni caso, nelle ipotesi di cui all’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo, l’organismo e il mediatore non possono rifiutarsi di svolgere la mediazione”

Nella vigenza del d.m. 180/2010, infatti, l’organismo poteva rifiutarsi di effettuare la mediazione (obbligatoria) se le parti non versavano almeno la metà dell’indennità dovuta, mentre oggi, non potrà più farlo. Anche in questo caso la prassi si stava “adattando”: soprattutto in questi primi incontri tra parti curiose o un po’ disorientate, avvocati ostili o dubbiosi ed organismi desiderosi di lavorare, la mediazione iniziava proprio con una contrattazione sulla tariffa e sul suo pagamento…

Nel limbo metterei infine la norma contenuta nell’art. 2 del d.m. 145/2011

Tirocinio assistito. All’estero qualcosa di simile è definito shadowing: assistere all’ombra di un mediatore esperto. In effetti buttare il corsista appena finite le 50 ore nell’agone della mediazione sembra(va) operazione rischiosa, poco produttiva e con il solito meta-messaggio negativo: scarsa serietà/professionalità.

Ma potranno 20 tirocini assistiti essere sufficienti? L’approccio è ancora troppo di basso profilo:  ho sentito diversi corsisti chiedermi: “Ma adesso io cosa faccio..con questo titolo? Sarò in grado? Non credo che 50 ore siano sufficienti!”.

D’altronde c’è chi, invece, siccome “ha il titolo” si butta.. Ora, anche questo “ardito” dovrà fare 20 tirocini; bene, ma così non farà altro che vedere un mediatore (magari formato presso un ente diverso da quello in cui lui si è procurato il titolo) utilizzare alcune tecniche, fare qualcosa in un certo modo..

Mi domando: sono tecniche, cose, modi che conosce? O, invece, non riesce ad apprezzarli, solo perché nessuno  glieli ha mai illustrati, spiegati o fatti provare?

Questo compito di “pratica sul campo” non potrebbe/dovrebbe più proficuamente essere svolto dall’ente formatore, magari attraverso convenzioni con organismi in cui operano i mediatori formati in un certo modo (come avviene spesso all’estero, dove però il tutto passa spesso per istituzioni o professori universitari)? Obbligare genericamente gli organismi a consentire i tirocini assistiti, rischia di essere solo una questione formale: un 50+20, dallo scarso impatto.

Quello delle competenze e delle capacità del mediatore è un problema rilevante lasciato alla cura del responsabile scientifico del singolo ente: quante ore relative alla studio ed alla pratica della comunicazione? E la teoria della negoziane? La gestione del conflitto? Lo studio delle emozioni? Neuroscienze, psicologia, antropologia, sociologia e/o cos’altro? La lista è lunga…ed i corsi possono essere anche abbastanza diversi pur essendo tutti di 50 ore.

Insomma, idea forse buona, ma realizzata in maniera non ideale. Problemi tipici di un sistema di mediazione del tutto istituzionalizzato, con effetti legali fissi e struttura rigida, ma con standard non molto elevati (in Argentina – scusate se parlo a favore della categoria forense – solo gli avvocati con almeno 3 anni di esperienza posso fare mediazioni civili).

Occasione sprecata? Forse, ma da studioso del conflitto debbono riconoscere che le questioni complesse non posso avere soluzioni semplici: si tratta proprio di maturazione. In letteratura si parla a riguardo di ripeness (non nel senso di maturità, ma appunto di maturazione) che può essere tradotto anche con “stagionatura”. Ci vuole del tempo: la frutta non matura è acerba e quella troppo fatta è altrettanto immangiabile.

La mediazione (le relative disposizioni normative, l’atteggiamento mentale, l’approccio, la  cultura) è il nostro frutto, ancora acerbo.

Nel nostro paese quasi nessuno si è accorto del d. lgs. 5/2003 sulla conciliazione societaria, mentretutti si sono dovuti improvvisamente confrontare con il d. lgs. 28/2010 e il D.M. 180/2010: troppe cose tutte insieme e tutte calate dall’alto ossia – per rimaner ancora una volta nell’ambito dei meta-messaggi che lancia il legislatore (forse inconsapevolmente…) – “imposte”. Penso spesso che la differenza tra diritto positivo inteso come ius postum o come invece diritto appunto “imposto”, sia un debole diaframma che può essere facilmente distrutto quando non ci sono valori o scelte condivise: si può davvero fare una rivoluzione dall’alto (con le leggi) invece che dal basso (con la cultura e la formazione)?

Sono fiducioso: sbagliando si impara. Sbagliare è umano. Solo che qualche volta ce ne dimentichiamo… o pretendiamo soluzioni buone per tutti, veloci e poco costose.

E’ davvero possibile? Siamo in una società in cui c’è poco “collante”, una società liquida come ricorda Alberoni; molta diversità e poca comprensione reciproca, scarsa tolleranza; ognuno si sente in diritto di ottenere qualcosa.

Ma tutti insieme?

Sarà una strada lunga, da cui non credo si possa tornare indietro: anche se non ne siamo del tutto consapevoli, abbiamo troppo bisogno di recuperare la dimensione umana del conflitto.

E non dipenderà solo qualche provvedimento “legislativo”…

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Di Tiziano Solignani

L'uomo che sussurrava ai cavilli... Cassazionista, iscritto all'ordine di Modena dal 1997. Mediatore familiare. Counselor. Autore, tra l'altro, di «Guida alla separazione e al divorzio», «Come dirsi addio», «9 storie mai raccontate», «Io non avrò mai paura di te». Se volete migliorare le vostre vite, seguitelo su facebook, twitter e nei suoi gruppi. Se volete acquistare un'ora (o più) della sua attenzione sui vostri problemi, potete farlo da qui.

4 risposte su “[guest post] D.M. 145/2011: ancora errori di gioventù, ma non è tutto qui…”

condivido le note di Tiziano Solignani.

Ad una prima analisi, la maggior parte delle novita' va decisamente nel senso di un’ulteriore stretta burocratica di cui francamente non si sentiva bisogno ma che evidentemente è stata ritenuta opportuna in sede ministeriale sia (i) per meglio dare implementazione al decreto 28, sia (ii) per neutralizzare per quanto possibile il rischio di incostituzionalità che grava sulle previsioni di mediazione obbligatoria dopo il noto rinvio della questione da parte del TAR Lazio alla Corte costituzionale.

Le novità possono riassumersi in quattro punti.

1) E' stato aumentato l'onere di aggiornamento a carico dei mediatori, che ora non consiste solo nel fatto di partecipare alle già previste 18 ore di training nel corso di ciascun biennio (art. 18.2, g) d.m. 180), bensì anche a 20 mediazioni, in qualità di tirocinanti;

2) I criteri di designazione del mediatore da parte dell'organismo investito della controversia debbono ora essere inderogabilmente "predeterminati e rispettosi della specifica competenza professionale … desunta anche dalla tipologia di laurea universitaria posseduta" (nuovo art. 7.5, e) d.m. 180);

3) E' stato precisato il costo della mediazione per il caso in cui la parte chiamata non si presenti: 50 euro, che scendono a 40 per le liti sino ad euro 1 000 (nuovo art. 16.4, e) d.m. 180);

4) Sono stati largamente decurtati i costi dovuti dalle parti per l'esperimento delle mediazioni c.d. obbligatorie (di un terzo per le questioni sino a 250 000 euro, e della metà per le altre).

La previsione di cui al punto 1) difetta di logica e paiono frutto di abbaglio. Se è vero che il possesso del mero certificato abilitante certo non fa il buon mediatore, non si vede a cosa servano addirittura 20 assistenze gratuite ogni biennio. La buona prassi del settore prevede un periodo di assistentato di un paio di casi; poi è il centro ADR (in realtà in un mondo meno corporativo, sarebbe il mercato ….) che valuta se uno è adatto o meno.

Ed i mediatori esperti poi che faranno? Incroceranno mediazioni in cui agiscono loro da mediatori ad altre in cui fanno da assistenti? E ciò per tutta la loro carriera? Ma non scherziamo!

Quanto al punto 2), la logica perseguita invece è coerente, peccato sia perversa. Lo si vuol capire che esser avvocati o architetti poco impatta sulla capacità di esser efficaci mediatori, e se lo fa, lo fa (come nel primo caso) quasi sempre in maniera negativa?

Quanto all’inderogabilità dei criteri, evidentemente è passato il suggerimento formulato nel parere del Consiglio di Stato. Peccato che gli automatismi usati per selezionare i giudici (che evidentemente fanno da riferimento), assai discutibilmente possono applicarsi nella selezione dei mediatori. L’obiettivo infatti, in tale secondo caso, non è quello di privilegiare una rotazione alla cieca che assicuri imparzialità, bensì quello di offrire alle parti il supporto dei migliori professionisti a disposizione.

Purtroppo, nell’impostazione del decreto 28/10 tutti i mediatori sono uguali ed è indifferente chi viene assegnato alle parti. Ma perché non lasciare, al riguardo, discrezionalità agli organismi, ed anzi calcare ulteriormente la mano in senso restrittivo? Si dubita della capacità gestionale dei centri?

Il problema è di fondo e deriva cioè dall'aver il legislatore concepito nel decreto 28/10 la mediazione (anche) come una sorta di attività consulenziale da parte di un giudice sprovvisto d'imperium. Se si vuole sperimentare in Italia tale sorta di ADR (che secondo molti, incluso ovviamente lo scrivente, evidenzia tali e tanti aspetti negativi da non meritare neanche di esser ricompresa nell'area della mediazione), almeno si lasci libero chi non crede affatto in tale approccio autoritario, a muoversi secondo i canoni più avanzati della mediazione facilitativa (e trasformativa, in particolare) liberando la relativa pratica da tutti gli inutili orpelli fissati dal d.m. 180/10 ed oggi appesantiti dal d.m. 145/11.

Punto 3).

Giusto, di principio aver fissato un costo pressoché simbolico per ottenere un mero verbale negativo. Ma perché deve intervenire un mediatore, sostanzialmente pro bono? Perché non può provvedere direttamente l’organismo (come tra l’altro aveva cominciato spontaneamente molti a fare)?

Ovvio, per poter dar modo di fare la proposta, e addirittura con parti assenti!

Valga quanto detto al punto 2).

Punto 4). Dover fissare costi "politici" è sempre difficile. Da un lato, nel nostro caso, si tratta di stabilire balzelli che per la loro entità non si possa dire impediscono irragionevolmente l'esercizio dell'azione giudiziale, dall'altro di assicurare un minimo di tornaconto a centri e mediatori. Difficile dire se dopo il taglio operato con il d.m. 145 alle già basse tariffe del d.m. 180, l’obiettivo è stato raggiunto.

Certamente, ora, mediare nelle ipotesi “obbligatorie” richiederà maggiore dedizione alla causa, visto che per prendere 1 500 euro – cioè il minimo che un mediatore mediamente esperto può costare per singolo caso – occorrerà gestire causa di valore superiore ai 250 000 euro ….

Svolgere mediazioni obbligatorie potrebbe peraltro esser considerato uno scotto accettabile, se il loro numero trainerà, come pare dalle prime statistiche pubblicate, anche un largo numero di mediazioni non obbligatorie.

Il problema però è soprattutto un altro, esula dal decreto 145, investe più in generale l'architettura della mediazione ex decreto 28/10 e consiste nell'errata visione di un compenso necessariamente basato sul valore della lite. Già è arduo stabilire tale valore e, come si saranno accorti in molti, il valore dichiarato di regola non corrisponde a quello delle reali questioni in gioco.

Soprattutto non ha un gran senso l'adozione di un sistema di scaglioni improntato allo schema giudiziario. Lo si vuol capire che un giudice rende un servizio diverso dal mediatore? Il primo infatti si pronuncia su questioni il cui valore viene sostanzialmente determinato dalle parti (anche autolimitandosi proprio al fine di contenere i costi) e palesato in modo formale (il c.d. petitum). Il secondo invece aiuta le parti a gestire un conflitto indipendentemente dalla sua quantificazione monetaria, spesso senza che questa sia manifestata. E' per tale ragione che in genere il lavoro del mediatore viene remunerato a tempo, con degli aggiustamenti a seconda dei valori in gioco, certo, ma sostanzialmente sulla scorta dello sforzo impiegato dal mediatore.

Nel sistema italiano invece, si sono invertiti i termini: il compenso è fissato secondo valore e vi sono degli aggiustamenti sulla base di alcune variabili. Il problema è aggravato dal fatto che pure queste variabili sono ingenuamente concepite (complessità, “successo”, proposta).

"In giudizio, se l’attore dichiara un valore quello è… e su quello paga: non è che se la sentenza gli riconosce di meno o di più deve farsi luogo alle restituzioni o integrazioni del contributo unificato.." Mi permetta di dissentire per esperienza personale: https://www.facebook.com/topic.php?uid=1185925538… Il mio Avv. aveva correttamente indicato il valore ciononostante mi hanno perseguitato con richieste d'integrazione del CU fino a farmi arrivare una cartella esattoriale!

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