Come viene legalmente gestito l’affidamento di un figlio minore quando una coppia di fatto (non sposata ma convivente) decide di separarsi, con dichiarazione di responsabilità della separazione di una delle due parti. In particolare, anche a livello economico, che spese vanno affrontate e come vengono ripartite; c’è anche una regolamentazione di diritti e doveri del padre rapportata all’affidamento alla madre?
Per la parte generica del tuo quesito, ti rimando alla lettura del mio libro, che, se non vuoi acquistare, puoi anche prendere in prestito da una biblioteca, e a tutti i precedenti post del blog, ad oggi circa 2300, che trattano estensivamente la materia, sotto molti punti di vista, precisando che comunque sarebbe preferibile per te prendere un appuntamento con un legale per fare un po’ il punto della situazione, ad ogni modo valuta magari dopo che hai provato a raccogliere qualche informazione per conto tuo.
Rispondo, poi, nello specifico all’unica domanda particolare che fai e cioè se può essere rilevante l’assunzione esplicita di responsabilità nell’aver determinato la crisi della famiglia da parte di uno dei due partner, con riguardo alla gestione della prole.
Ebbene, al riguardo la risposta è negativa, per due motivi.
A) Innanzitutto, come diciamo sempre, la convivenza ha come caratteristica fondamentale, dal punto di vista legale (da quello etico e morale il discorso può essere anche molto diverso) quella di essere una «unione libera», che ogni parte può decidere di interrompere quando preferisce. I conviventi, per legge, non hanno ad esempio nessun obbligo di fedeltà reciproca, come hanno le persone che sono unite in matrimonio. Quindi, mentre nella separazione di coppie sposate si può avere l’addebito della separazione ad un coniuge, che si è reso responsabile della violazione di un dovere derivante dal matrimonio, come la già cennata fedeltà, ma anche l’assistenza reciproca, la coabitazione, più in generale la lealtà verso l’altro partner, nella convivenza, a livello legale, non ci sono assolutamente conseguenze rilevanti. Se la tua compagna, in altri termini, ti ha messo le corna e questo, come spesso succede, ha determinato la rottura della famiglia, per lei non ci sono conseguenze negative a livello legale, dal momento che essendo conviventi non aveva nessun obbligo giuridico – come dicevamo moralmente è un altro discorso – di fedeltà nei tuoi confronti.
B) Soprattutto, quand’anche ci fosse una responsabilità giuridica in capo ad uno dei due partner, come avviene in alcuni casi nelle separazioni di coppie sposate, questa non si riflette mai necessariamente sulla gestione della prole, che, come tale, non ha nessuna responsabilità negli errori che possono aver commesso i genitori. Riprendendo l’esempio di prima, se una moglie tradisce il marito, perchè il figlio dovrebbe essere privato per ciò stesso del suo diritto ad avere un rapporto con la madre che è una persona che, come tutte le persone, può sbagliare? Naturalmente, dipende sempre dal caso concreto, nel senso che possono, al contrario, esserci casi in cui le modalità di determinazione della crisi familiare da parte di uno dei due partner sono tali da indurre legittimi dubbi sulla sua capacità genitoriale, come ad esempio in ipotesi di disinteresse, maltrattamenti in famiglia e così via. Ma l’unico criterio di giudizio rimane sempre l’interesse della prole, non anche quello dell’altro genitore, per quanto scornacchiato possa essere rimasto. Nelle coppie sposate, ad esempio, se ad una moglie viene addebitata la separazione, ciò comporta la perdita per lei del diritto al mantenimento da parte del marito, ma certamente non lo perde anche il figlio.
Pertanto, in conclusione, la considerazione è quella per cui in ogni caso non ha rilevanza nelle situazioni di convivenza la responsabilità di fatto della crisi familiare, se anche avesse rilevanza la stessa sarebbe comunque limitata ai rapporti tra i genitori.