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Rimozione dal CAI: si può fare il ricorso ex art. 700?

La disciplina dell’assegno bancario, così come novellata dal D. Lgs. n. 507/1999.

 

Occorre preliminarmente rilevare che con l’entrata in vigore del D. Lgs. n. 507/1999 (il quale ha introdotto radicali modifiche al testo della L. n. 386/1990, novellandolo), la disciplina dell’assegno bancario, ed in particolare quella concernente le sanzioni conseguenti agli illeciti precedentemente rilevanti penalmente, ha subìto una importante e radicale riforma.

 

La normativa di cui si è detto da una parte ha depenalizzato le fattispecie costituite dall’emissione di assegni senza autorizzazione e senza provvista (v. artt. 1 e 2 della L. n. 386/1990), introducendo, in sostituzione di quelle penali, sanzioni amministrative che debbono essere applicate dal Prefetto territorialmente competente; dall’altra ha introdotto un meccanismo di “prevenzione”, e nel contempo di “autotutela”, del sistema bancario imperniato sulla “revoca” del traente, colpevole di uno degli illeciti di cui si è detto, dal potere di emettere assegni su qualsiasi banca o ufficio postale.

 

Il predetto sistema, e segnatamente la “revoca” generale dell’autorizzazione ad emettere assegni, è incentrato sul funzionamento di un apposito archivio informatico centralizzato (meglio noto come C.A.I.), gestito e controllato dalla Banca d’Italia, nel quale vengono iscritti i nominativi di coloro che si sono resi responsabili dell’emissione di assegni senza autorizzazione della banca trattaria o senza provvista. Con l’iscrizione del nominativo nell’archivio di cui si è detto, da eseguirsi a cura della banca trattaria interessata, si determina automaticamente la revoca del traente, benché a tempo determinato (sei mesi), da tutte le autorizzazioni ad emettere assegni presso qualunque banca o ufficio postale (si veda l’art. 9, commi 3 e 4 della L. n. 386/1990, così come modificato dall’art. 34 del D. Lgs. n. 507/1999). La revoca, pertanto, non è limitata – così come avveniva in passato, sulla base della pregressa normativa – alla sola azienda presso cui era stato tratto l’assegno, ma è generale e riguarda l’intero mercato bancario nazionale.

 

I presupposti della legge per l’iscrizione nell’archivio C.A.I. istituito presso la Banca d’Italia.

 

I presupposti dettati dalla legge per l’iscrizione nell’archivio della Banca d’Italia (C.A.I.), tuttavia, sono diversi a seconda che si tratti di emissione di assegni senza autorizzazione della banca trattaria ovvero di emissione di assegni senza provvista o con provvista insufficiente.

 

Ed infatti, mentre nel primo caso (mancanza di autorizzazione del trattario; v. art. 1 L. n. 386/90) – ritenuto dal legislatore più grave, e per tale ragione sanzionato più gravemente (si veda l’art. 5 della stessa legge, così come novellata dal D. Lgs. n. 507/99) – il traente non può evitare l’iscrizione del suo nominativo nell’archivio informatico più volte citato, e tale iscrizione deve essere eseguita entro il decimo giorno dalla presentazione del titolo al pagamento, nell’ipotesi di mancanza o insufficienza della provvista (v. art. 2 L. n. 386/90) il traente è ammesso a sanare l’illecito mediante il pagamento dell’assegno, oltre gli interessi, la penale, etc., anche nelle mani del portatore, entro sessanta giorni dalla data di scadenza del termine di presentazione del titolo (v. art. 8 della L. n. 386/90, così come modificato dall’art. 33 del D. Lgs. n. 507/99) e in questo modo a evitare sia l’applicazione delle sanzioni amministrative sia l’iscrizione del suo nominativo nell’archivio informatico di cui all’art. 10 bis della L. n. 386/90 (così come novellato nel ’99).

 

Durante la decorrenza del predetto termine – sessanta giorni dalla data di scadenza del termine di presentazione del titolo (si veda il secondo comma, lett. b, dell’art. 9 della L. n. 386/90, così come modificato dall’art. 34 del D. Lgs. n. 507/99) – e, comunque, non prima del termine di cui al terzo comma dell’art. 9 bis della stessa legge, la banca trattaria non può effettuare l’iscrizione in oggetto.

 

Qualora il traente provveda entro i predetti termini al pagamento tardivo di cui si è detto e ne fornisca la prova alla banca trattaria, quest’ultima non potrà iscrivere nel C.A.I. il nominativo del traente e nei confronti di quest’ultimo non verranno applicate le sanzioni amministrative stabilite agli artt. 4 e segg. della L. n. 386/90.

 

Conseguenze della illegittima iscrizione da parte della banca nell’archivio C.A.I..

 

Qualora la banca trattaria non dovesse rispettare il suddetto termine di 60 giorni per l’iscrizione all’archivio C.A.I., la medesima iscrizione risulterebbe illegittima e contraria alle norme di legge, con conseguenze dannose per il soggetto coinvolto.

 

Nel caso il soggetto iscritto fosse un professionista i danni potrebbero essere di entità considerevole.

 

Infatti, si è già messo in evidenza che l’iscrizione nell’archivio informatico centrale istituito presso la Banca d’Italia, ai sensi dell’art. 36 del D. Lgs. n. 507/99, determina la revoca generale nei confronti del traente segnalato da ogni autorizzazione ad emettere assegni presso qualunque banca o ufficio postale.

 

Si intuisce, pertanto, che una conseguenza di questo genere, provocando la fuoriuscita del soggetto “iscritto” dall’intero circuito bancario nazionale, costituisce una misura altamente penalizzante e squalificante, specie per quei soggetti appartenenti alla categoria di lavoratori autonomi che utilizzano come mezzo normale di pagamento l’assegno.

 

In una ipotesi del genere, poiché la banca ha recato un danno ingiusto nei confronti dell’iscritto, quest’ultimo potrebbe proporre un’azione di merito contro il medesimo istituto di credito intesa ad accertare l’illegittimità dell’iscrizione del suo nominativo nel C.A.I. e la condanna dello stesso istituto al risarcimento di tutti i danni subiti e subendi a causa del ritardo nella cancellazione laddove esso si rifiutasse di provvedervi spontaneamente.

 

Occorre rilevare che poiché il tempo necessario per la definizione dell’eventuale instauranda causa di merito – posto che la durata media di un giudizio dinanzi al Tribunale non può essere preventivata in un tempo inferiore ai 4-5 anni – rischia di vanificare irreparabilmente le ragioni del danneggiato, questi si trova costretto ad agire in via d’urgenza ex art. 700 c.p.c., al fine di ottenere immediatamente la cancellazione del suo nominativo dall’archivio informatico centralizzato della Banca d’Italia, la cui permanenza rischia di compromettere irreparabilmente la posizione bancaria e professionale dello stesso.

 

Poiché chi ha proceduto alla iscrizione di cui si chiede la cancellazione è la banca trattaria, ed essendo che solo essa ha il potere e l’onere di provvedere alla predetta cancellazione, la stessa deve intendersi unico ed esclusivo soggetto legittimato passivamente nell’istaurando procedimento.

 

Ammissibilità del ricorso ex art. 700 c.p.c. per la cancellazione del nominativo dall’archivio C.A.I..

 

a scanso di equivoci, è il caso di rilevare che l’invocabilità del provvedimento d’urgenza di cui all’art. 700 c.p.c. è sicuramente ammissibile nel caso di specie. Tale ammissibilità, oltre a discendere dai principi generali e dalla mancanza di alcun rimedio cautelare esperibile in sua sostituzione, è data da una consolidata giurisprudenza di merito (orientamento quasi unanime dei tribunali) che ha deciso di garantire al cliente della banca, che sia stato da quest’ultima illegittimamente segnalato alla C.A.I. come “cattivo pagatore”, di ottenere un’immediata cancellazione e rettifica della segnalazione stessa. La tutela – e qui l’aspetto saliente – può essere richiesta non attraverso un’ordinaria causa (e, quindi, coi suoi tempi e i relativi costi), ma ricorrendo alla cosiddetta tutela d’urgenza. È quello che i tecnici chiamano “Ricorso all’articolo 700 del codice di procedura civile”.

 

A ribadire questo orientamento è stato, da ultimo, il Tribunale di Milano con una recente sentenza.

 

Gli indubbi vantaggi di questa interpretazione sono di aver riconosciuto al cittadino, ormai con orientamento condiviso da quasi tutti i tribunali, la sussistenza a monte di quei requisiti (gravità e urgenza) per il ricorso alla tutela d’urgenza nel caso in cui l’illegittima segnalazione effettuata dalla banca “macchi” la reputazione professionale del correntista e ne pregiudichi le relative attività professionali.

 

Competenza territoriale.

 

Passando al profilo della competenza territoriale, è, invece, appena il caso di rimarcare che a fronte del medesimo petitum, consistente nella domanda di cancellazione del nominativo dall’archivio C.A.I., possono profilarsi due distinte ipotesi di causa petendi:

  • illecito trattamento dei dati personali;
  • insussistenza dei presupposti richiesti dalla legge ai fini dell’iscrizione nell’archivio C.A.I..

A queste ipotesi corrisponde l’applicazione di diversi criteri di competenza territoriale, rispettivamente per la prima, il foro esclusivo e inderogabile di cui agli articoli 152 del D. Lgs. n. 196/2003 e 10 del D. Lgs. n. 150 /2011, per la seconda, invece, il foro generale o facoltativo individuato ai sensi e per gli effetti degli articoli 18, 19 e 20 c.p.c..

 

L’istanza cautelare “ante causam” – dovendo essere presentata ex art. 669 ter, comma 1, c.p.c. al giudice competente a conoscere del merito – in ipotesi di fori alternativi può essere proposta davanti ad uno dei giudici astrattamente competenti, tra i quali, ad esempio, quello vertente innanzitutto in materia di responsabilità extra-contrattuale (in quanto l’azione cautelare è in alcuni casi palesemente strumentale alla domanda risarcitoria ex art. 2043 c.c. fondata sulla sostenuta illegittimità della richiamata segnalazione al C.A.I.), non può non farsi rientrare il Tribunale del luogo in cui il ricorrente assume di essere stato danneggiato in ragione del criterio del “forum commissi delicti” di cui all’art. 20 c.p.c., giacché è in tale luogo che si sarebbero realizzate le ricadute negative della segnalazione e, segnatamente, le eventuali lesioni al diritto di immagine del medesimo soggetto prodotte dalla segnalazione medesima (cfr. Tribunale di Foggia, sez. I, 19.12.2003; Tribunale di Napoli, sez. distaccata di Frattamaggiore, 17.12.2007).

 

Senza dimenticare che l’eventuale illegittimità del comportamento assunto dalla banca può atteggiarsi pure come violazione dei canoni di diligenza, di correttezza e di buona fede richiesti nello svolgimento di ogni rapporto obbligatorio secondo le norme generali di cui agli art. 1176, 1715, 1374 e 1375 c.c., con la conseguente configurazione di un tipo di responsabilità anche contrattuale, che legittima il ricorso all’ulteriore parametro ex art. 20 c.p.c. del luogo in cui è sorta l’obbligazione.

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Di Domenico Rosati

Avvocato Civilista e Fallimentarista. Iscritto all'Ordine degli Avvocati di Foggia dal 2012. Curatore Fallimentare presso il Tribunale di Foggia dal 2014. Membro del Direttivo del Sindacato degli Avvocati del Tribunale di Foggia - ANF.

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