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Separazione: su cosa discutono le coppie.

La separazione ed il divorzio aspetti pratici

Risolvere bonariamente le diatribe fra coniugi, con separazioni e divorzi consensuali è attività molto complicata; insieme alla moglie ed al marito occorre letteralmente creare accordi specifici e su misura per le loro esigenze; detti accordi si trasformano in atti,  diventano sentenze e decreti di omologa.

Introduco ai coniugi la questione dicendo che offro il mio tempo e il mio spazio, il mio studio, per aiutarli a trovare una intesa per lasciarsi- visto che, e questo lo penso senza dirlo, non vi è più alcuna speranza di ricucire nulla: la vela si è strappata e la barca va aiutata a ritornare in porto perché tutti sono in preda al panico-.

Il tempo e lo spazio offerti devono essere usati per trovare un accordo che si raggiunge dopo aver vuotato il sacco: tutto, compresa la spazzatura, in fondo, in fondo, nascosta; diversamente si perde veramente tanto tempo. Dall’ufficio non esce nulla se non quello concordato fra moglie e marito: di solito su cento cose dette, una sola viene espressa negli atti, spesso con la frase: “i coniugi si sono decisi a chiedere la separazione per incompatibilità di carattere”.

Delle 99 cose rimaste nel mio studio molte sono sempre le stesse: alcune in particolare, a mio avviso, necessitano di maggiore attenzione.

A) La lamentela secondo la quale il marito/la moglie non si occupa di cucinare e di badare alla casa e di badare ai figli. In tutta sincerità sono stufa di sentirla e poi mi sono resa conto che non corrisponde sempre al vero, tranne in alcuni casi rari. È assodato che il potere in cucina (il luogo principe dell’accudimento) è spesso di uno dei due, nella coppia- per tradizione direi che è la moglie ma non sempre e molto più spesso di quanto si creda-; in ogni caso, a mio avviso, non c’è nulla da dire sul punto: chi ha fortemente voluto questo potere, se lo tenga; mi sento di dire che questo potere è una disgrazia per chi lo subisce. Non ho il potere in cucina, però cucino anche io, e bado alla casa e faccio tutto questo bene; soprattutto cucino i dolci e la mia cucina è aperta a tutti; e me lo ha insegnato mia nonna, una nata nel 1902, per chiarire. Detesto la saccenza delle “casalinghe”: loro sono il non plus ultra delle lasagne, dell’aspirapolvere ecc. ecc. Noi siamo niente al loro confronto. Per noi intendo coloro che non detengono il loro sapere/potere, e ci sono anche io fra “le casalinghe mancate”; “gli aiuto cuochi” (modo carino per non dire sguattere a comando del capo); per fortuna mi sembra che anche Solignani abbia scritto un vero vademecum del buon vivere, dando atto che è possibile prendersi la libertà di mangiare con il fine di prendersi cura di sé.  Ogni volta delicatamente spiego ai coniugi che si deve mollare il potere in cucina e condividerlo; perfino con un uomo che non sarà più marito, e ciò nell’interesse di entrambi e soprattutto dei loro figli.

Tutto questo, a mio modesto avviso, è il primo passo per lascare la “vecchia” casa coniugale, e le abitudini che portava con sé, che è quasi sempre la cosa più dura da accettare per i coniugi.

B) Questione identica è l’accudimento dei figli (“cura, educazione ed istruzione, nell’esclusivo interesse dei figli”); spesso sono le mamme a fare tutto, ma proprio tutto; e, se non loro, le “tate”, su loro direttiva specifica; e invece non è proprio così e lo colgo nei colloqui con i papà, i quali, lentamente, nelle more dei giudizi, si allontanano dalle loro abitudini di accudimento dei loro figli e soffrono; sono smarriti forse più dei loro figli.

Così quelle matite colorate che con amore temperavo ogni lunedì, scompaiono, non ci sono più, e che dire di quel bel sorriso di quando accomodavo mia figlia sull’auto appena uscita da scuola?   Scomparso. Ed il gatto, la tartaruga, il cane che fine faranno? Beh, mi sento di dire che di solito sopravvivono, così come si ricreano le abitudini -avendo a cuore tutti l’interesse esclusivo dei minori-: stesso temperino, stesse matite, stessi sorrisi e stessi abbracci, ma in tempi e luoghi un pochino diversi, ma che, piano piano, tutti ci auguriamo diventino “familiari”.

Con questo post non voglio assolutamente mettere in dubbio il valore del lavoro casalingo, né la funzione genitoriale delle madri e dei padri. Desidero solo esporre una parte della mia esperienza soprattutto ai coniugi che si accingono a separarsi, nella speranza di aiutarli a non tormentarsi, almeno più del dovuto, e con il sincero augurio di prendere le decisioni migliori per i loro figli e per sé.

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