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Violenza di genere dall’impotenza appresa alla condanna della vittima

Dal significato dato alla violenza psicologica derivano valutazioni di contenuto giuridico, in relazione ai reati per violenza di genere; in primo luogo per determinare la particolare vulnerabilità del soggetto e anche per determinare il valore della testimonianza della vittima; due elementi che formano la base della tutela prevista nei reati di genere.

Anche se è difficile crederci, la violenza psicologica ha un aspetto ancestrale profondo:

-il maltrattatore/carnefice e la vittima sono due facce della stessa medaglia: la psicologia ci dice che entrambi, da piccoli, hanno sofferto, ma il modo di manifestare questa sofferenza è diverso;  

per il carnefice prevale la volontà di esercitare il potere sull’altro, il potere che non ha potuto esercitare sull’altro, e detto potere lo esercita per evitare ancora di soffrire; non vuole più sentirsi debole; lo fa con chi ama e chi è più debole di lui;

per la vittima prevale la volontà di compiacere l’altro per sentirsi accetta e ricevere il bene e non il male. Cerca di fare tutto alla perfezione e se non fa così, ritiene giusto “essere rimproverata”.

La vittima è irrisolta, non ha appreso mai la difesa di sé; ha imparato a soffrire in silenzio, a nascondersi, ad avere vergogna.

La vittima ha appreso l’impotenza:

la vittima pur potendo respingere la violenza, chieder aiuto, agire, fuggire, non lo fa.

Si ritiene che una complessa trama nervosa ci paralizzi, quando percepiamo un pericolo; per cui non è possibile né lotta, né fuga, oppure, sono possibili, ma non si prospettano come opzioni migliori.  

Andando nello specifico nei reati con violenza sessuale: “quando il sesso è consensuale e c’è immobilizzazione, il cervello rilascia ossitocina, che evita traumi; quando il sesso è forzato, la persona si paralizza e congela, e questo viene visto dal violentatore o da osservatori esterni, come un CONSENSO.

La persona abusata per paradosso rimane traumatizzata dalla vergogna, mentre chi abusa non prova alcun rimorso.

A livello culturale a mio avviso questo paradosso ha effetti degni di nota:

-la proliferazione dei luoghi comuni che mirano ad incolpare la vittima a partire dalla grande madre che è la seguente affermazione: “te la sei cercata”;

-non c’è solidarietà di genere: sono le donne stesse a dire “ma io al tuo posto…” “a me non potrebbe succedere”: tutte erronee valutazioni per illudersi di avere il controllo della situazione; non è così; la cronaca ci da mille esempi di come la violenza di genere sia figlia di un comune e trasversale malessere. Dette valutazioni purtroppo snaturano il rapporto solidarietà fraterna(?) che invece dovrebbe aiutare la vittima, facendole comprendere che non è sola e che non è giudicata, che si può fare qualcosa.

-In alcuni casi si alimenta la solidarietà dell’altro genere e comunque la solidarietà con il carnefice: è lecito mettersi dalla parte degli accusati, ma quando le prove sono chiare e la scienza ci ha spiegato bene, no. Si è notato che questa tendenza è frequente quando si condivide qualcosa con il carnefice.

 -Le campagne di informazione e prevenzione inoltre puntano solo a sollecitare la donna a fare qualcosa.

 Io condivido chi sostiene che si dovrebbe puntare con più frequenza anche ad altri obiettivi, anche ai potenziali aggressori o alla società nel suo insieme con lo scopo di non contribuire in maniera indiretta alla colpevolizzazione della vittima.

Recentemente ho letto questo scritto e ve lo propongo, qui di seguito; e vi invito a rifletterci:

Se una persona è sbronza, non la stuprare; quando vedi una persona che cammina per i fatti suoi lasciala stare  (….)La cultura dello stupro insegna alle donne a controllare costantemente come si vestono, che cosa bevono, come si comportano e la loro sessualità; dipinge gli uomini come se fossero incapaci di controllare i loro impulsi sessuali; la cultura dello stupro è umiliante per tutti e tutti dovrebbero combatterla.

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Maltrattamenti: annotazioni metodologiche.

Approccio delle forze dell’ordine nei maltrattamenti

 

Vi sono  due importanti metodologie di approccio, determinate da protocolli delle forze dell’ordine nei casi di maltrattamento per violenza domestica e /o di genere:

1) intervento della volante presso le strutture di pronto soccorso

2)la vittima si reca in un ufficio di PG per la denuncia

1)al PRONTO SOCCORSO: si ascoltano i sanitari che hanno accolto la persona maltrattata, con richiesta di indicazioni sullo stato della persona esaminata; si accerta se vi sono lesioni, genitali, extra genitali e, in caso affermativo, si esige dal personale sanitario accurata cura anche nella documentazione.

Occorre poi preservare tutte le prove rintracciabili quali ad es. indumenti, tracce di DNA, ecc. ed acquisire tutti gli elementi utili per lo sviluppo dell’indagine giudiziaria.

Si prendono contatti con il Pubblico Ministero incaricato, per verificare l’opportunità di procedere alla raccolta immediata delle dichiarazioni.

2) In ufficio dalla Polizia Giudiziaria; come premesso la PG deve già formare per questi reati ad essere pronti a qualsiasi ora e con metodologia particolare;

la denuncia viene redatta con acquisizione del maggior numero di elementi informativi e di possibili fonti di prova. Ha particolare rilevanza l’interazione fra modalità di acquisizione della denuncia ed aspetti psicologici della vittima; pertanto ha rilevanza particolare l’analisi delle dichiarazioni assunte in denuncia per una immediata valutazione delle potenzialità offensive e della possibile RECIDIVA dei comportamenti vessatori da parte del presunto autore del reato. Si possono prendere contatti con i centri antiviolenza; l’importanza maggiore viene data alla valutazione sull’opportunità di procedere alla misura di prevenzione personale, dell’ammonimento del Questore.

Se vi è necessità di sopralluogo, occorre verificare personalmente lo stato di tutti i locali, annotando le condizioni in cui si presentano come ad es. la presenza di oggetti danneggiati chiaramente fuori posto, di pareti imbrattate, di tracce ematiche ecc.ecc.

Se vi è necessità, si eseguono fotografie sulle lesioni presenti sul corpo della vittima, con il suo consenso, ove sia possibile.

Si assumono testimonianze: vengono sentite le persone presenti e facilmente reperibili redigendo verbale di Sommarie Informazioni, se le indicazioni sono rilevanti; solo se indispensabili, si sentono i minori di età, fra 14 e 16 anni.

Si sottolinea che: le indagini devono essere preordinate anche alla tutela della vittima che in tutti i casi presenta un elevato disturbo post traumatico da stress e profondi sensi di colpa.

occorre instaurare un rapporto empatico, finalizzato alla responsabilizzazione della vittima per creare una proficua collaborazione con gli operatori di polizia.

Nel maltrattamento: ambivalente, la vittima ha sperimentato la spirale della violenza e questo rende più complessa l’attività investigativa che si deve confrontare con il rischio di recidiva; solo il 7% delle vittime denuncia il fatto. Nello stalking la vittima ha una forte determinazione ad uscire dalla relazione ed è determinata a denunciare; questa determinazione potrebbe paradossalmente essere pericolosa per la sua incolumità.

 

Per meglio comprendere l’attività degli operatori di diritto e di coloro che svolgono le indagini, segnalo una raccolta di definizioni di violenza e maltrattamento.

L’OMG definisce la violenza sessuale “un atto sessuale non corrisposto il tentativo di consumare un atto sessuale, commenti o insinuazioni a sfondo sessuale indesiderato o azioni volte a commercializzare o usare la sessualità di una persona tramite coercizione indipendentemente dalla reazione con la suddetta persona ed in qualsiasi contesto, inclusi l’ambiente domestico e quello lavorativo”. il denominatore comune è la MANCANZA DI VOLONTA’ della vittima a pestarsi alla situazione.

Le principali forme di violenza sessuale:

LA MOLESTIA: forma di violenza psicologica in cui una persona esercita pressione intimidazione coercizione o si avvale del ricatto nei confronti di un’altra con l’obiettivo di ottenere un rapporto sessuale.

ABUSO SESSUALE: corrisponde ad una qualsiasi situazione in cui una persona si trova obbligata a condotte sessuali contro la sua volontà; la forma di violenza più pericolosa

AGGRESSIONE SESSUALE include qualsiasi forma di contatto con il corpo di una persona che non ha acconsentito all’invito sessuale; verbali, includono allusioni al corpo di un’altra persona o espressioni intente ad invaderne in maniera simbolica la sessualità.

Conseguenze:

–        Disturbo da stress post traumatico: si tratta di una situazione in cui la vittima soffre di ansia e rivive spesso i ricordi di quanto è accaduto insieme a sintomi di angoscia e depressione. La rabbia è latente e manifesta.

–        Vergogna e senso di colpa: si sentono responsabili dell’accaduto; “se l’è cercata”;

–        Depressione

–        Abuso di sostanze

Da ultimo: la persona vittima di violenza sessuale è bloccata dalla paura non riesce a reagire neppure dopo l’accaduto; è una forma di reazione: la scarica di adrenalina durante l’accaduto è tanto intensa, da rendere impotenti le aree del cervello associate al ragionamento ed alla presa di decisioni.

Chi è vittima ha seria necessità di sostegno psicologico professionale.

alla violenza sessuale si aggiungono anche  VIOLENZA FISICA: comprende l’uso di qualsiasi atto volto a far male o a spaventare la vittima; in senso generale per maltrattamento fisico intendo un danno provocato non accidentalmente e con mezzi differenti; rientrano in questa categoria contusioni morsi colpi di testa violenti scossoni bruciature fratture.VIOLENZA ECONOMICA: essa è finalizzata a introdurre una situazione di assoluta dipendenza nella vittima onde poter esercitare sulla stessa un controllo indiretto tra questi atteggiamenti rientrano ad esempio l’impedire la ricerca di un lavoro la privazione o il controllo dello stipendio il controllo della gestione della vita quotidiana la determinazione a privare il partners della benché minima disponibilità economica.VIOLENZA PSICOLOGICA: consiste in una serie di atteggiamenti minacciosi vessatori e denigratori nei confronti della vittima, nonché in tattiche di isolamento, in certi caso il maltrattamento psicologico è così pesante da trasformarsi in un vero e proprio “lavaggio del cervello”; esposte ad abusi, le vittime perdono l’autostima sviluppano gravi danni sul piano psicologico; l’aspetto psicologico spesso in ombra sia nelle indagini che nelle aule di tribunale che nelle carte giudiziarie, merita a mio avviso una trattazione specifica, in un prossimo futuro post.

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Perchè punire la violenza domestica?

Perché punire la violenza domestica? Perché il trattamento di favore?

Alcuni dati raccolti dalla Questura di Milano sono illuminanti circa la necessità di tutela di chi subisce violenza domestica: per le donne nello specifico risulta statisticamente che la violenza domestica è la prima causa di morte ed invalidità: più del cancro, degli incidenti stradali e degli omicidi.

Questi i dati statistici che non contemplano il così detto “sommerso” o il così detto “numero oscuro”: in Milano solo il 7% denuncia l’aggressione. In Milano nel 2014: 71 denunce al Questore per stalking; 8 per volenza domestica.

Abusi su minori: 80% familiari o persone vicine al bambino

Violenza su strada 6%

Stalking ambito familiare 67,4%

Maltrattamenti in famiglia 80%

Sempre dai dati statistici:

la ricerca criminologica negli USA ha verificato che la maggior parte degli uxoricidi (67%-80%) ha come precursore un maltrattamento e che è di fondamentale importanza la valutazione del rischio di recidiva.

Vi sono precisi contegni che portano alla violenza fisica, sia del carnefice che della vittima; non sono chiari all’opinione pubblica, se non sotto forma di stereotipi, si arriva a dare questi giudizi: “lei è pazza”, “lui è pazzo”; invece la violenza domestica è connotata dalla normalità: nessuno è pazzo o malato o altro; è invece come tutti noi, come ognuno di noi;

contegni che in altri contesti sono innocui, nella vita domestica fra i partners sono letali; offrire il pranzo ad es.

sempre dalla Questura di Milano la definizione della “spirale della violenza”:

  • fase dell’intimidazione: coercizione, controllo economico, minacce, terrore di subire aggressioni fisiche, ricatto (sul cibo? si)
  • Isolamento: tentativo di limitare i contatti con i familiari o la possibilità di lavorare o coltivare i propri hobby o interessi (rimando al mio articolo sulla testimonianza di una donna maltrattata, alla visione anche solo di alcuni spezzoni del film il “colore viola” per avere alcuni esempi praticissimi)
  • Svalorizzazione privazione dell’autostima della vittima (l’argomento verrà affrontato con un post a parte)
  • Ribellione
  • Violenza fisica o sessuale ricatto sui figli
  • Falso pentimento riappacificazione

Usare il termine uxoricidio o femminicidio implica fare riferimento ad un trattamento specifico e questo ancora ripugna all’opinione pubblica; tuttavia questo trattamento “di favore” è codificato, perché necessario, salva la vita; segue precisi protocolli, studiati su misura; e inoltre ritengo che le donne non sono mai ascoltate, nel bene e nel male, come devono, e a mio avviso per tal motivo sono da tanto tempo “la più grande minoranza mai esistita” (cit.).

Di seguito un esempio di trattamento di favore: il protocollo usato dalla forze dell’ordine stilato dalla Questura di Milano, fonte dott.ssa A. Simone: intervento della volante presso abitazione per lite in famiglia:

  • Prima di giungere sul posto o appena giunti ove è possibile raccogliere il maggior numero di informazioni precedenti penali, possesso di armi, precedenti interventi delle FFOO;
  • sul posto: procedere alla messa in sicurezza delle persone presenti in casa, se ci sono minori collocarli in uno spazio protetto, concordato con la madre e valutare la sussistenza dei presupposti per procedere all’arresto in flagranza;
  • in flagranza sentire tassativamente prima la vittima dell’aggressore, facendosi dare tutti gli elementi di possibile riscontro (documentazione medica di precedenti lesioni, o elementi per accertare accessi al pronto soccorso, testimonianze di persone a conoscenza dei fatti precedenti e se possibile fotografare la vittima) raccogliere tutti i numeri di telefono utili per la prosecuzione delle indagini (vittima aggressore, testimoni);
  • non flagranza: redigere annotazioni di servizio indicando quanto raccontato dalla vittima sentendola separatamente dall’aggressore e descrivendo il tipo di lesioni rilevate (utilizzare se in dotazione un apparecchio fotografico) raccogliere tutti i numeri di telefono utili per la prosecuzione delle indagini (vittima aggressore persone coinvolte)

 

 

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Violenza di genere: riflessioni sulle tutele.

In genere tutte le misure previste per i reati di violenza di genere, come anche lo stalking, trovano la loro applicazione con alcune difficoltà, processuali e sostanziali; sono state sollevate tante eccezioni in merito alle norme che tutelano in via straordinaria la vittima e sottopongono il reo ad un trattamento diverso. Fra tutte si rilevano:

–l’eccezione di incostituzionalità dell’art.612 bis c.p. (atti persecutori stalking) in relazione all’art 25 Cost., per presunta indeterminatezza della condotta, respinta con sentenza della Corte Costituzionale num.172 /2014;

-la difficoltà più volte sollevata dell’interpretazione dell’espressione “violenza alle persone”; che attualmente viene intesa per giurisprudenza quasi costante come comprensiva non solo delle aggressioni fisiche ma anche morali o psicologiche.

Sottolineo infine la particolare considerazione data al materiale probatorio, che solo qualche anno fa era impensabile: “ la testimonianza della persona offesa del reato può costituire da sola prova sufficiente per pervenire ad un giudizio di colpevolezza, anche in assenza di riscontri esterni, purché il Giudice sottoponga tale prova dichiarativa ad un vaglio scrupoloso in quanto la persona offesa è, al pari dell’imputato, portatrice di un interesse nel processo; per tale valutazione per tutti, Giudice, PG, avvocati, va superato lo stereotipo di inattendibilità sulla base di un racconto diversificato che non sia sovrapponibile, di assenza di denuncia per molti anni, di sentimenti di ambivalenza verso l’imputato.”

L’interpretazione di fatti è di cruciale importanza per determinare il capo di imputazione, per individuare il reato da parte della PG e dell’autorità giudicante e degli avvocati. Detta interpretazione fa scattare o no il diritto alle particolari forme di protezione a favore delle vittime di violenza di genere e a mio avviso oggigiorno genera una sorta di condanna alla gogna che è sin troppo generalizzata, ma purtroppo stigmatizzata dall’opinione pubblica, a scapito sia della vittima, che del carnefice; lo stalker come l’untore manzoniano e la vittima come la donzelletta leopardiana.

L’interpretazione di fatti fa scattare il diritto a protezione ma non è detto che detto diritto venga applicato ed anche questo è di cruciale importanza per difesa ed accusa; trascuratezze/eccessi si leggono nelle righe degli atti giudiziari.

Insomma, buon senso e buona volontà impongono particolare scrupolo per tutti gli operatori del diritto.

A mio avviso, al di là di tutte le difficoltà che emergono sempre, nel caso specifico per i reati di violenza di genere va tenuto conto dei seguenti aspetti che hanno generato la tutela della vittima / la condanna del reo:

1)l’agente violento normalmente non è ritenuto soggetto malato sul piano clinico-giudiziario: ex art 85 c.p. ha piena capacità di intendere e di volere, pienamente consapevole; i provvedimenti cautelari adottati contro di lui però vengono trasmessi all’autorità di P.S., alla Parte Offesa, ed ai servizi al territorio. L’agente violento può intraprendere un percorso di “ravvedimento”.

2) la parte offesa ha un ruolo rafforzato, ex art. 90 c.p.p. ecc.: se vi è incertezza sulla minore età è disposta perizia; se anche dopo la perizia permangono dubbi vi è presunzione di minore età; qualora la PO è deceduta permangono le facoltà ed i diritti previsti dalla legge in capo ai prossimi congiunti della Po o dalla persona legata da relazione affettiva e con la stessa stabilmente convivente. Viene introdotto il diritto alla conoscenza alla informazione consapevole; inoltre la P.O. può essere dichiarata soggetto particolarmente vulnerabile.

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Come difendersi da un, o una, stalker?

Il reato di atti persecutori è compreso nelle misure previste per i reati di violenza di genere, come violenza sessuale e maltrattamenti. Il reato è a querela di parte, salvo i casi espressamente indicati o quando vi è concorso con altri reati.

Il protocollo utilizzato per le indagini della polizia giudiziaria (PG) di fronte ad un reato di stalking in modo sommario prevede:

-audizione della persona offesa

-acquisizione della documentazione medica

-escussione testi informati sui fatti per riscontri

-acquisizione di relazioni di servizio relative agli interventi della P.G.

-accertamenti su condizioni personali lavorative, psichiche della persona sottoposta ad indagine.

Accertato il fatto secondo il protocollo sopra descritto, occorre precedere per la tutela della vittima, (in particolare per i difensori della parte lesa, e coloro che stanno accanto alla persona offesa inizia una fase decisamente molto delicata).

Nello stato di flagranza: se necessarie, si applicano specifiche misure cautelari e precautelari:

  • cautelari: prima di ogni cosa vi è lallontanamento del carnefice dalla casa familiare anche in caso di coabitazione non attuale (282 bis cpp): la persona che agisce violenza psicologica mediante atti persecutori deve immediatamente lasciare la casa coniugale e non farvi ritorno non vi accedere senza autorizzazione del giudice. PER MAGGIORE TUTELA DELLA PERSONA OFFESA il giudice dispone inoltre il divieto di avvicinamento in luoghi determinati, abitualmente frequentati dalla persona offesa, in particolare luogo di lavoro, e tutti quei luoghi frequentati dalla vittima, specificati dalla stessa. Vi è divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima e divieto assoluto di comunicazione con la stessa (zero contatti); art 282 ter cpp nello stato di flagranza è prevista la possibilità di custodia cautelare in carcere del carnefice nei limiti edittali di anni 5.
  • precautelari: 380 cpp. comma 2 lettera 1 ter, gli ufficiali o gli agenti di PG procedono all’arresto di chiunque è colto in flagranza di tale delitto consumato o tentato; quando si tratta di delitto a querela di parte l’arresto in flagranza viene eseguito qualora venga proposta anche in forma orale all’ufficiale o all’agente di polizia giudiziaria presenti nel luogo; se l’avente diritto rimette la querela l’arrestato è posto immediatamente in libertà.

Redatta la querela, in tutti casi previsti, entro il termine di sei mesi, iniziate le indagini preliminari  e adottate le misure precautelari e cautelari del caso, nel processo vi è particolare attenzione all’istituto giuridico (al fine di sentire nell’ imminenza dei fatti la persona offesa senza aspettare i tempi del processo) dell’incidente probatorio che è stato modificato e calibrato sui reati di violenza di genere, quindi anche per lo stalking: 392 comma1 bis cpp; il pubblico ministero anche su richiesta della parte offesa, o la persona sottoposta alle indagini possono chiedere che si proceda con incidente probatorio cioè assunzione della testimonianza della persona minorenne ovvero della persona offesa maggiorenne anche al di fuori delle ipotesi previste dal comma 1( i casa correnti).con detta richiesta il PM deposita tutti gli atti di indagine compiuti.

In ogni caso quando la persona versa in condizione di particolare vulnerabilità il pubblico ministero anche su richiesta della stessa o dalla persona sottoposta alle indagini, possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all’assunzione della sua testimonianza. La particolare vulnerabilità è desumibile da condizioni soggettive: età, stato di infermità o di deficienza psichica, se la persona offesa è affettivamente, psicologicamente o economicamente dipendente dall’autore del reato; da condizioni oggettive: tipo di reato, modalità e circostanze del fatto per il quale si procede: violenza alla persona, odio razziale, riconducibilità a settori di criminalità organizzata, terrorismo, tratta. La persona vulnerabile ha una tutela processuale particolare di cui si potrà parlare in seguito.

Si segnala che: il reato di stalking ha un trattamento preferenziale quale reato di violenza di genere:

-nella formazione dei ruoli di udienza e trattazione dei processi si assicura per detti reati la priorità assoluta art.132 bis dis. att. c.p.p..

nelle informazioni alla persona offesa ex art.90 cp bis e ter: viene introdotto un diritto alla conoscenza: in una lingua comprensibile alla vittima (diritto alla informazione consapevole) sin dal primo contatto con l’autorità procedente (polizia giudiziaria o autorità procedente); diritto alle informazioni:

-sulle modalità di presentazione delle denunce o querele e del ruolo che la parte offesa assume nelle varie fasi,

-sullo stato del procedimento,

-sulla richiesta di archiviazione,

-sulla assistenza legale anche gratuita,

-sulla traduzione degli atti del procedimento se non si consce la lingua,

-sulle misure a sua tutela,

-sulla modalità del risarcimento del danno,

-sulla rimessione della querela,

-sulla facoltà per i processi sospesi per messa in prova o richiesta di non punibilità per irrilevanza del fatto.

Infine, un nuovo istituto protettivo per le vittime di violenza di genere è stato introdotto: l’ammonimento del prefetto pe lo stolker:

se non si procede per querela è possibile fare istanza a mezzo della autorità della pubblica sicurezza di ammonimento nei confronti dell’autore della condotta: il Questore, assunte se necessarie informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate sui fatti, ove ritenga fondata l’istanza, ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti è stato chiesto il provvedimento invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e redigendo processo verbale; copia del processo verbale è rilasciata al richiedente dell’ammonimento ed al soggetto ammonito. Il questore valuta l’eventuale adozione di provvedimenti in materia di armi e munizioni.

La pena per lo stalking è aumentata se il fatto è commesso da soggetto già ammonito ai sensi dell’art.8 L. 38/09 modificato dalla L.119/13.

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La violenza di genere: la violenza assistita.

La violenza di genere ha un risvolto particolare che tocca le basi ancestrali della nostra cultura: i minori; spesso assistono alla violenza e per questo sono violati e oggetto di violenza, chiamata nel gergo giuridico “violenza assistita”.

Va detto subito che i bambini non possono nulla, anche se sentono, vedo, percepiscono e subiscono le conseguenze della violenza in ambito familiare.

Queste violenze continuano a non essere considerate nella loro completa accezione; frequentemente, se emergono, vengono minimizzate e questo, a mio modesto avviso, è perché i minori non hanno una vera completa tutela e non mi so veramente spiegare il motivo di questa mancanza.

Se è vero che ogni persona viene al mondo “con il suo fagottino” ed è capace di badare a sé o di imparare a farlo; nulla giustifica l’abuso su minori.

Ecco alcune definizioni di abuso su minori:

OMS 2002 PER ABUSO “DEBBONO INTENDERSI TUTTE LE FORME DI MALTRATTTAMENTO FISICO E /O EMOZIONALE, ABUSO SESSUALE, TRRASCURATEZZA O NEGLIGENZA O SFRUTTAMENTO COMMERCIALE CHE COMPORTINO UN PREGIUDIZIO reale o potenziale per la salute del bambino per la sua sopravvivenza per il suo sviluppo o per la sua dignità nell’ambito di una relazione caratterizzata da responsabilità, fiducia, potere”.

CISMAI (Coordinamento Italiano del Servizi contro il Maltrattamento ed l’Abuso all’Infanzia) : “per violenza assistita da minori in ambito familiare si intende il fare esperienza da parte del bambino/a di qualsiasi forma di maltrattamento compiuto attraverso: –violenza fisica (percosse con mani od oggetti, impedire di mangiare, bere dormire, segregare in casa o chiudere fuori, impedire l’assistenza e le cure in caso di malattia) violenza verbale e psicologica (svalutare insultare, isolare dalle relazioni parentali ed amicali, minacciare di picchiare, di abbandonare, di uccidere…) –violenza sessuale (stuprare ed abusare sessualmente)  –violenza economica( impedire di lavorare, sfruttare economicamente, impedire l’accesso alle risorse economiche, far indebitare);VIOLENZA COMPIUTA DA FIGURE DI RIFERIMENTO O SU ALTRE FIGURE SIGNIFICATIVE, ADULTE O MINORI.

WITNESSING VIOLENCE: “si indicano tutti quegli atti di violenza compiute su figure affettive di riferimento di cui il bambino più fare esperienza e di cui può patire successivamente gli effetti”

Consideriamo che subire e vedere impotenti, percepire la distruzione (anche fisica) delle figure di cui il bambino si fida ed alle quali affida la propria vita, da cui -da 0 a 3 anni- riceve accudimento essenziale per la sua sopravvivenza; non è un piccolo battito d’ali di farfalla, ma un enorme solco che viene tracciato nel cuore di un bambino (inerme) da un gigantesco aratro: l’aratro  trascina il vomere  creando il solco in uno spazio spesso molto largo ed in un tempo spesso molto lungo; più la terra è fresca, più il solco si fa profondo.

Il bambino crescerà e si adatterà, ma ciò non significa che non vi sarà una compromissione di elementi essenziali che riguardano la sua crescita.

Un minore che ha vissuto l’esperienza della violenza ed anche quella assistita, sarà un adulto con delle difficoltà: non è mio compito individuarle, ma il mio compito è sottolineare fermamente il nesso di causalità fra violenza assistita e compromissione di elementi essenziali per la crescita del minore: un danno da far emergere nelle aule di tribunale.

Aggiungo un aspetto che necessita di sottolineatura: un minore è solo, non ha potere, non sa di avere tutela, al di là delle mura di casa; ha il grave problema di aver consapevolezza della violenza proveniente da una persona da cui dipende totalmente e di manifestarla anche se non sa farlo da adulto ed è atroce pretendere che lo faccia o impari a farlo da solo, invece di imparare tutti i gusti del gelato.

Desidero infine che questo mio post sia una piccola, ma ferma, luce che illumina sopra tutto i minori che sono senza mamma perché il papà l’ha uccisa.

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La violenza di genere: lo stalking

La parola stalking è molto usata e ha preso una connotazione generica; questo a mio avviso genera confusione mentre va subito detto che con la parola stalking si individua una precisa fattispecie giuridica: Il codice penale definisce lo stalking nel reato di atti persecutori: art.612 bis. Detto reato è stato introdotto dalla legge n.38 del 2009 ed ha come tutela il bene della libertà della persona. Si tratta di un reato abituale a forma parzialmente libera: “chiunque con condotte reiterate minaccia o molestia taluno in modo da cagionar un perdurante e grave stato di ansia e di paura o generare un fondato timore per l’incolumità propria e di un proprio congiunto perpetrata su una persone legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni (..)”

L’azione consiste in

minaccia: si prospetta un male ingiusto il cui verificarsi dipende dalla volontà dell’agente.

molestie: a detto sostantivo il legislatore ha voluto dare un significato non tipizzato ma tale da comprendere tutte le fantasiose ed imprevedibili condotte insidiose realizzate dal reo, al fine di minare la libertà della persona; una vasta fenomenologia di condotte che dal 2009 si è manifestata ad es. IN COMUNICAZIONI INTRUSIVE, REITERATE E ASSILLANTI COME TELEFONATE, LA POSTA SOTTO CASA E ALL’USCITA DAL LAVORO, (questi gli esempi più classici ma v’è da dire che non vi è limite alla fantasia umana) INVIO DI DONI E DI FIORI REITERATO, far trovare animali vivi o morti, violazione di domicilio, annullare o richiedere beni o servizi per conto della vittima inserzioni ed annunci pubblici con l’indicazione di dati personali della vittima, mettere in rete immagini della vittima con connotazioni sessuali, invio di email pornografiche, furto di identità della vittima, delegittimazione della vittima( attraverso false accuse di fatti infamanti) nel contesto relazionale e sociale di riferimento. Attivazione di azioni legali strumentali; dette condotte devono essere sottoposte all’interpretazione del magistrato; devono essere reiterate nel tempo; connotate dall’assillo.

Le conseguenze del delitto sono tipizzate: tutte queste condotte per essere oggetto di esame del magistrato ed indagate devono avere come conseguenza:

-soggettivamente, uno stato d’ansia grave o di paura della vittima per l’incolumità propria, di un proprio o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva;

-oggettivamente: deve essere tale da costringere la vittima a modificare le proprie abitudini: esempi classici: cambio del numero di telefono, cambio della sede di lavoro, cambio della targa automobilistica, cambio della residenza o del domicilio.

Per tutte queste azione il carnefice, ovvero il reo deve sentirsi soddisfatto quando ha raggiunto la sua meta: controllare la vittima a proprio piacimento, costringere la vittima a tollerare molestie, minacce, modificare la sua vita e stare in uno perdurante stato d’ansia e di paura.

La pena viene aggravata -se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è nota o che è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa; -o se il fatto è commesso con strumenti informatici o telematici (il cyberstalking: furto di identità propagazione di dati anagrafici e sensibili false inserzioni commerciali)

Questo è sommariamente l’ossatura del reato di stalking nella legislazione italiana: il contegno del carnefice deve essere ben individuato e compreso soprattutto per le donne, che inizialmente scambiano l’assillo e le attenzioni reiterate per gentilezza e corteggiamento.

Spesso l’assillo ossessivo si placa se la vittima cede, ritira la querela e ritorna alle abitudini tossiche; di solito tale decisione viene preceduta da un “chiarimento” con il carnefice attraverso il quale il medesimo si dice pentito e pronto a rimediare.

È stato notato invece che appena il carnefice è certo della riappacificazione, non ci mette molto a rimettere in atto più sicuro di sè e con maggiore violenza, la condotta vessatoria sulla vittima;

questo circolo vizioso viene chiamato tecnicamente “spirale della violenza”.

Tutto ricomincia in modo più grave per la vittima, segue ribellione, segue pentimento, segue riappacificazione, seguono nuove più pesanti aggressioni;

imboccata questa spirale non è difficile immaginare che al fondo vi è la morte della vittima: femminicidio.

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Separazione: su cosa discutono le coppie.

La separazione ed il divorzio aspetti pratici

Risolvere bonariamente le diatribe fra coniugi, con separazioni e divorzi consensuali è attività molto complicata; insieme alla moglie ed al marito occorre letteralmente creare accordi specifici e su misura per le loro esigenze; detti accordi si trasformano in atti,  diventano sentenze e decreti di omologa.

Introduco ai coniugi la questione dicendo che offro il mio tempo e il mio spazio, il mio studio, per aiutarli a trovare una intesa per lasciarsi- visto che, e questo lo penso senza dirlo, non vi è più alcuna speranza di ricucire nulla: la vela si è strappata e la barca va aiutata a ritornare in porto perché tutti sono in preda al panico-.

Il tempo e lo spazio offerti devono essere usati per trovare un accordo che si raggiunge dopo aver vuotato il sacco: tutto, compresa la spazzatura, in fondo, in fondo, nascosta; diversamente si perde veramente tanto tempo. Dall’ufficio non esce nulla se non quello concordato fra moglie e marito: di solito su cento cose dette, una sola viene espressa negli atti, spesso con la frase: “i coniugi si sono decisi a chiedere la separazione per incompatibilità di carattere”.

Delle 99 cose rimaste nel mio studio molte sono sempre le stesse: alcune in particolare, a mio avviso, necessitano di maggiore attenzione.

A) La lamentela secondo la quale il marito/la moglie non si occupa di cucinare e di badare alla casa e di badare ai figli. In tutta sincerità sono stufa di sentirla e poi mi sono resa conto che non corrisponde sempre al vero, tranne in alcuni casi rari. È assodato che il potere in cucina (il luogo principe dell’accudimento) è spesso di uno dei due, nella coppia- per tradizione direi che è la moglie ma non sempre e molto più spesso di quanto si creda-; in ogni caso, a mio avviso, non c’è nulla da dire sul punto: chi ha fortemente voluto questo potere, se lo tenga; mi sento di dire che questo potere è una disgrazia per chi lo subisce. Non ho il potere in cucina, però cucino anche io, e bado alla casa e faccio tutto questo bene; soprattutto cucino i dolci e la mia cucina è aperta a tutti; e me lo ha insegnato mia nonna, una nata nel 1902, per chiarire. Detesto la saccenza delle “casalinghe”: loro sono il non plus ultra delle lasagne, dell’aspirapolvere ecc. ecc. Noi siamo niente al loro confronto. Per noi intendo coloro che non detengono il loro sapere/potere, e ci sono anche io fra “le casalinghe mancate”; “gli aiuto cuochi” (modo carino per non dire sguattere a comando del capo); per fortuna mi sembra che anche Solignani abbia scritto un vero vademecum del buon vivere, dando atto che è possibile prendersi la libertà di mangiare con il fine di prendersi cura di sé.  Ogni volta delicatamente spiego ai coniugi che si deve mollare il potere in cucina e condividerlo; perfino con un uomo che non sarà più marito, e ciò nell’interesse di entrambi e soprattutto dei loro figli.

Tutto questo, a mio modesto avviso, è il primo passo per lascare la “vecchia” casa coniugale, e le abitudini che portava con sé, che è quasi sempre la cosa più dura da accettare per i coniugi.

B) Questione identica è l’accudimento dei figli (“cura, educazione ed istruzione, nell’esclusivo interesse dei figli”); spesso sono le mamme a fare tutto, ma proprio tutto; e, se non loro, le “tate”, su loro direttiva specifica; e invece non è proprio così e lo colgo nei colloqui con i papà, i quali, lentamente, nelle more dei giudizi, si allontanano dalle loro abitudini di accudimento dei loro figli e soffrono; sono smarriti forse più dei loro figli.

Così quelle matite colorate che con amore temperavo ogni lunedì, scompaiono, non ci sono più, e che dire di quel bel sorriso di quando accomodavo mia figlia sull’auto appena uscita da scuola?   Scomparso. Ed il gatto, la tartaruga, il cane che fine faranno? Beh, mi sento di dire che di solito sopravvivono, così come si ricreano le abitudini -avendo a cuore tutti l’interesse esclusivo dei minori-: stesso temperino, stesse matite, stessi sorrisi e stessi abbracci, ma in tempi e luoghi un pochino diversi, ma che, piano piano, tutti ci auguriamo diventino “familiari”.

Con questo post non voglio assolutamente mettere in dubbio il valore del lavoro casalingo, né la funzione genitoriale delle madri e dei padri. Desidero solo esporre una parte della mia esperienza soprattutto ai coniugi che si accingono a separarsi, nella speranza di aiutarli a non tormentarsi, almeno più del dovuto, e con il sincero augurio di prendere le decisioni migliori per i loro figli e per sé.

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Violenza di genere: parla una donna maltrattata.

Violenza di genere” è un insieme di parole con un significato preciso e soprattutto concreto; un significato letto dai tecnici nei codici, nelle sentenze, negli atti, discusso ai congressi; colto in mezzo a tante altre parole, diventa un reato; per la vittima è il risultato di una narrazione completa e difficile, composta da fatti concreti. Condivido una raccolta di pensieri di una donna maltrattata, che, con lucida determinazione, ha risposto ad alcune domande sulla sua vita affettiva, intima, sul sentimento dell’amore. Ne è nata una delicata ricostruzione del suo mondo, dei suoi valori e del suo dolore. La lucidità della narrazione, l’uso del verbo al passato, tradiscono la dolorosa consapevolezza della violenza subita. Con il tempo la consapevolezza si potenzia e diventa pietà e compassione- verso sé e verso gli altri-; la pietà rivela e dona a questa donna la vera cifra del suo valore e le dà la forza di ricostruire quello che secondo lei era stato distrutto, perduto. Lascio al lettore la libertà di fare le sue valutazioni, ma anche la mia professionale conferma che dalla violenza di genere ci si può difendere.

  1. Cosa ti ha fatto innamorare? Mi ha fatto innamorare la sincerità con cui mi parlò subito di suoi sentimenti verso i membri della sua famiglia, e l’intraprendenza: era divorziato, un uomo pieno di dolore, e tuttavia non si dava per vinto: sembrava accettarsi e spingersi verso di me con intraprendenza. Nel porsi e nel muoversi aveva qualcosa che piaceva; le strinsi le mani: erano grassottelle, con le fossette; le dissi che mi piacevano e sorrise. Con il tempo perse quel sorriso, quel corpo intraprendente non c’era più e con lui i modi gentili (…)
  2. Cosa aveva in comune con te? Non si sentiva amato, nella coppia- come era successo a me- si sentiva una cosa da usare, da esporre agli altri: il bravo marito. Tutti questo aveva poco a che fare con l’intimità della vita coniugale o di coppia.
  3. Come mai ti sei messa in secondo piano, come mai ti sei annullata per lui? Il suo dolore esplodeva in occasione dei problemi che la vita le poneva dinanzi, e che doveva affrontare. Lui si concentrò solo su sé stesso anche se i suoi problemi travolgevano me; divenni per lui perfino un peso: se chiedevo spiegazioni, mi venivano negate; piano piano, mi costrinsi a stare in silenzio. Io ero presente nella sua vita per sua scelta; lui ha iniziato ad impormi le sue scelte; se non le accettavo, mi metteva in competizione con le altre donne, tutte, qualunque; le sue attenzioni erano per loro e non per me; dovevo esserci e stare in silenzio, ma non sapevo più chi fossi. Io non ho più ritrovato me, ho perso tutti i contatti, la mia vita precedente era svanita nel nulla.
  4. Perché non ti ribellavi? Credevo di meritare tutto. Pensavo di aver causato dolore al mio compagno, pensavo di aver rovinato il rapporto; mi annullavo, volevo sparire, non mi difendevo, ritenevo che aveva ragione: io sola sbagliavo e dovevo pagare, essere punita. Al tempo stesso mi vergognavo, mi rendevo conto che la situazione non era così; perché subivo non so dirlo, ero persa; mi sentivo un’altra e altrove, in uno spazio ed in tempo della mia vita dove decisioni importanti non venivano prese da me; mi rifiutavo di cercare una via d’uscita, mi sembrava giusto pagare. Mi sentivo indegna di essere madre: pur desiderando un figlio, non avevo un compagno che lo volesse da me; avevo invece un compagno che mi derideva per i miei desideri.
  5. Che aspettative avevi? Volevo una famiglia.
  6. Lui ti ha fatto da specchio, Cosa non ti piaceva? Era un uomo tormentato e sbagliato. Trovavo in questo la conferma di essere io stessa sbagliata, la conferma che non ero degna di essere valorizzata come donna, capace di generare e di essere sostenuta.

Ho smesso di essere quella donna: mentre io continuavo a sostenerlo, accettando tutto, mi sono accorta che dovevo invece chiedere a lui di sostenere me: ero io, che dovevo essere sostenuta, protetta, amata, perché non avevo nessuna colpa. Così chiesi aiuto. 

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Violenza di genere: il centro antiviolenza.

In un mio precedente post descrivevo la violenza domestica con alcuni cenni su come il nostro paese, a seguito della Convenzione di Istanbul, si è attivato per evitare questo fenomeno che porta addirittura alla morte della vittima- più spesso di quanto l’opinione pubblica riesce a capire-.

Vorrei continuare ad indicare altri mezzi utili di protezione contro la violenza domestica, al fine di sensibilizzare tutti sul problema e consentire, nel mio piccolo, la liberazione dagli stereotipi di genere che vedono la femmina succube del maschio, una situazione veramente inconcepibile.

Non tutti sanno che quando si è allo stremo delle forze cercare aiuto diventa una impresa ciclopica: ci si sente isolati dal mondo. Innanzitutto, mi riporto al mio precedente post e invito a chiamare il n. 112 AREU oppure rivolgersi del consultorio familiare più vicino i cui recapiti sono facilmente reperibili, oppure è possibile contattare un centro antiviolenza.

A seguito della convenzione di Istanbul una serie di accordi, protocolli, fra stato e regioni italiane, fra il 2014 ed il 2017, hanno permesso di dare maggiore sostegno ai centri antiviolenza e alle case rifugio. Per la regione Lombardia cito “il piano quadriennale regionale per le politiche di parità e di prevenzione di contrasto alla violenza di genere 2015/2018”.

Esiste in Lombardia, come mi auspico anche nelle altre regioni italiane, una rete territoriale che aiuta le vittime di violenza a difendersi, il mio invito è di rivolgersi anche a queste strutture.

Spendo due parole sul centro antiviolenza per come lo conosco e ne approfitto per ringraziare coloro che gentilmente mi hanno aiutato dandomi i dati e le conoscenze che riporterò di seguito.

Antiviolenza è una parola a mio avviso terribile perché significa ammettere a sé stessi di subire violenza, tuttavia è positiva perché quando si riesce ad uscire dalla paralisi della paura, si viene a sapere che vi sono persone che aiutano contro la violenza.

Dette strutture hanno una loro precisa diffusione territoriale e sono sostenute principalmente da volontari, formati al compito di aiuto e difesa.

Quando ci si rivolge seriamente a detta struttura si “viene presi in carico” da una equipe; consapevoli in modo sufficiente che ci si impegna in gruppo ad uscire dalla situazione di violenza.

Si ha sostegno psicologico e legale; in alcuni casi si ha sostegno economico, accoglienza ed ospitalità. Giova ripetere cosa sia la violenza: comportamenti che consistono in maltrattamenti psicologici, fisici, sessuali, economici, da una persona legata da relazione intima verso l’altra, al fine di ottenere potere, controllo, ed autorità. Ha come conseguenze: isolamento sociale, familiare, perdita delle relazioni significative, perdita del lavoro, perdita della casa, e del tenore di vita precedente la violenza.

L’aspetto più sconcertante a mio avviso è la perdita del valore di sé, che ad esempio si manifesta in comportamenti autolesionisti (uso di alcool o di droga) la perdita dei meccanismi di autoprotezione.

Il centro antiviolenza in primo luogo dà un sostegno psicologico che implica un graduale riavvicinamento a sé come ad un valore inestimabile, attraverso l’elaborazione fino alla fine della violenza subita, con il racconto completo; attraverso il recupero delle risorse della persona, il recupero delle proprie competenze genitoriali -se necessario viene attivata una consulenza psicopedagogica nel ricostruire la relazione genitore figlio-; non ultimo, vengono presi in carico minori vittime di violenza assistita.

Dal punto di vista legale occorre individuare il tipo di difesa più utile da approntare nell’immediato sia in ambito penale che in ambito civile.

Si assiste alla stesura di denunce /querele e le persone vengono accompagnate dalle autorità competenti.

Valutati i rapporti costi benefici dei procedimenti giuridici da intraprendere nell’esclusivo interesse della vittima e dei minori, vengono inoltre calcolati i tempi e le modalità più appropriate caso per caso. Viene applicato l’istituto del gratuito patrocinio.

Viene comunque per prima cosa valutato il rischio della vittima; se è alto, vi è allontanamento della casa e la denuncia.

Diversamente si agisce tentando di dirimere i dissidi che causano la violenza cercando soluzioni alternative alla convivenza o al rapporto tossico.

In caso di dipendenza economica si crea il reinserimento della vittima nel mondo del lavoro e si ricerca di una nuova casa, se possibile, per la ricostruzione delle basi della normale vita dignitosa.

Da queste basi si cerca di riallacciare i rapporti con la famiglia e quelli sociali.

Tutto questo viene fatto non senza grande sofferenza della vittima.