Il «divieto di giudicare» non comporta affatto divieto di dire quando una cosa, o una condotta, è giusta o sbagliata.
Si può dire che una persona ha fatto una cosa sbagliata senza giudicarla affatto, perché non si esprime una valutazione
sull’identità della persona, ma solo sulla cosa.
A tutti, infatti, capita di fare degli errori, delle cose sbagliate, senza per questo diventare ad esempio dei falliti.
Se io dico «questa cosa che hai fatto è sbagliata», non ti sto giudicando. Se ti senti giudicato, è il tuo stesso giudizio che senti, non il mio.
Se invece dico «sei un coglione, non ne fai mai una giusta» allora sì che ti sto giudicando.
Nel primo caso però no. La differenza è nell’oggetto della
valutazione, se sui fatti oggettivi o sulla persona.
Nessuno, in realtà, può mai sapere i veri motivi per cui qualcun altro fa quello che fa, ma i fatti si possono sempre valutare in termini di giusto o sbagliato: questo è un diritto fondamentale di ogni persona, scegliere cosa considerare bene e cosa male, che non può essere compresso e limitato in alcun modo.
Se vedo un’auto posteggiata in divieto, posso dire che è sbagliato, non so se il proprietario lo ha fatto per pigrizia o perché sta andando, ad esempio, per un’emergenza sanitaria e quindi ha fatto bene a posteggiare così.