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Proprietà difficili: può valer la pena difenderle ugualmente.

Sono convinta che non sempre gli immobili abbandonati ed impervi sono inutili e che la difesa del diritto di proprietà non serva a nulla, salvo rare eccezioni.

Devo dire che la valutazione dell’utilità o meno di una costruzione o di un fondo- e conseguentemente il loro valore economico- è soggettiva, determinata solo dal proprietario, ad onta di quanto tecnici assennati (CTU) e conseguenti sentenze sostengono.

Immobili che in un primo momento sono ritenuti inutili ed addirittura un peso per il proprietario, spesso si rivelano fonte di guadagno inaspettata, con maggiore attenzione e tenacia nel crederci.

Trovo sempre un po’ strano leggere le denigranti difese di controparte che giustificano la violazione delle distanze fra fondi limitrofi con il fatto che il fondo confinante è costituto da rovi, scosceso, ripido e metà franato a valle, causa recente alluvione.

In realtà questo genere di difese non dicono molto, soprattutto non confutano il fatto che il diritto di proprietà è violato.

Quasi sempre il terreno limitrofo necessita come tanti fondi nelle valli che si affacciano sul lago in cui vivo, di adeguata manutenzione- una manutenzione ordinaria e straordinaria che cento anni fa veniva effettuata con cura- ma questo non giustifica la violazione delle distanze.

Oggi, inoltre mi trovo spesso- e finalmente- a vedere fondi ben tenuti e coltivati a vite o ad olivo, in zone scoscese, esposte al sole, e spesso, ma non troppo, ospitano abitazioni ed immobili rustici, adibiti ad agriturismo, avendo una vista impeccabile e una tranquillità naturale.

 

A proposito di questi fondi, innanzitutto vi è il problema di accertare l’effettiva corrispondenza fra proprietario e possessore; fortunatamente l’istituto dell’usucapione- vantare erga omnes il possesso indisturbato ultraventennale dona il diritto di proprietà, ex art.1158 e segg. del codice civile-, consente di dare chiarezza a centinaia di errori che in un passato, non tanto prossimo, negli uffici venivano commessi per incuria. Mentre contadini mantenevano in buono stato il terreno, venivano trascurati i passaggi di proprietà inter vivos (es. compravendita) e mortis causa (ad es successione legittima) nei pubblici registri (Catasto e Conservatoria), causando una discrepanza fra chi possedeva da oltre vent’anni, e chi era trascritto in questi registri come proprietario; oggi può ancora capitare di trovare trascritta la proprietà di un fondo in capo a chi è defunto da molto tempo.

 

La proprietà non è solo planimetrica ma anche altimetrica, si estende nel sottosuolo, il codice civile dispone precise distanze fra le costruzioni le piantagioni, i terreni, ma consente deroga ai regolamenti locali.

Fatto sta che spesso queste distanze non si rispettano e iniziano i dissidi.

Occorre iniziare una causa legale per far arretrare la costruzione che spesso deturpa anche il luogo; ad esempio un muraglione di due metri di altezza e di quattro in larghezza, posto sul confine, a un metro di distanza di una abitazione, a un metro dal muro portante dell’abitazione stessa che ha uno splendido porticato che si affacciato a 180 gradi sulla riserva del lago, porta di fatto ad una diminuzione notevole del diritto di proprietà; creando non solo un cono d’ombra ma impedendo il diritto di vedere direttamente il paesaggio dalle finestre, di affacciarsi al porticato e godere della vista: di fronte, a destra ed a sinistra; nel caso specifico  si tratta  di affacciarsi su un lago che anche durante la stagione più fredda presenta un impagabile paesaggio, canneti che si riflettono in un lago dorato dai raggi di sole a mezzogiorno,  mente cigni, anatre, germani costeggiano le rive.

 

La soluzione che il codice e la giurisprudenza prospettano è la demolizione del muraglione, la restitutio in integrum, cioè riportare tutto allo stato preesistente e risarcire il danno creato, dal momento della costruzione sino alla demolizione.

La soluzione giuridica è identica ma si prospetta spesso più ostica da ottenere, quando le distanze non sono rispettate nel sottosuolo, causa una conduttura immessa nel terreno sottostante, a pochi centimetri dal muro portante di una abitazione confinante; certamente la vista non è compromessa, tuttavia il proprietario dell’abitazione deve sentirsi libero di usare e quindi scavare nel proprio terreno senza alcun pericolo ed alcun intralcio.

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L’amministrazione di sostegno: aspetti tecnico pratici.

Riprendo il discorso sull’amministrazione di sostegno introdotto nel blog di Tiziano Solignani con gli esaurienti dati tecnici previsti dalla L 6 – 2004, ai quali rimando per la chiarezza espositiva;

vorrei soffermarmi su ulteriori risvolti che derivano dalla funzione di amministratore di sostegno e, prima del 2004, dalla funzione di tutore e curatore:

innanzitutto, si tratta di una funzione gratuita, e prevede un lavoro in relazione ai bisogni della persona, e non in relazione al suo patrimonio.

Spesso questo ruolo è svolto da parenti della persona ma può accadere che serva una specifica competenza, contabile o giuridica ad es., oppure può accadere che nessuno dei parenti sia idoneo alla funzione nel “qui ed ora” della persona;

così l’amministratore di sostegno- e, prima, il tutore- viene scelto dal Giudice Tutelare fra una rosa di professionisti, anche fra avvocati.

Spesso le questioni legali da seguire come amministratore di sostegno sono le più variegate: ad esempio spaziano dal sovraindebitamento alla gestione strettamente giuridica di ingenti patrimoni; situazioni delle quali però la persona non ha piena consapevolezza.

La principale funzione di amministratore di sostegno è gestire gli interessi -anche patrimoniali- della persona e prevedere il supporto alla persona nel potenziare la consapevolezza della sua situazione;

spesso capita che la persona non sia più in grado di gestire con sufficiente stabilità la corrispondenza fra ciò che vuole e ciò che dice di volere, in tutti gli ambiti della sua vita; detta corrispondenza è alla base del negozio giuridico come concepito dal nostro codice civile: corrispondenza fra volontà e dichiarazione.

In questa situazione ha un ruolo delicato l’amministratore di sostegno che deve impegnarsi a comprendere nel modo migliore possibile quale scelta dichiarativa sia la più idonea a conformarsi alla volontà della persona ed alla sua tutela.

 

Capita di affiancarsi a persone che sono nella fase finale della loro vita e che faticano molto a sostenere il passo con i tempi; anche per quanto concerne i propri interessi; allora che fare della casa costruita con grossi sacrifici che ora deve essere ristrutturata? Per la persona in parole povere: “perché devo proprio ora che voglio stare un po’ in pace, e sono in pensione, cambiare o revisionare i miei termosifoni che mi riscaldano come sempre la casa anche se non sono più a norma?”

non sempre è facile spiegare e scegliere;

in questo caso, il criterio da seguire è quello di tutelare la persona e non l’immobile: la casa avrà si bisogno di ristrutturazione, ma è da sempre il luogo in cui vive la persona, il luogo dei suoi affetti: giunta alla fine della sua vita, la persona vorrebbe restarvi, in serena pace. L’amministratore è allora chiamato a valutare anche questi aspetti e decidere il da farsi con la persona.

Interpreto il codice civile, nelle norme sulla tutela e sul sostegno della persona, nel senso di mettere al centro dell’attenzione di un gruppo di persone -fra le quali i familiari, il giudice tutelare l’amministratore di sostegno ecc. ecc.- , la persona così come è; il fine della normativa è aiutare la persona a continuare dignitosamente la sua esistenza; tollerando e comprendendo in lei  la discrepanza fra dichiarazione e volontà; la persona viene accettata, si convive con le sue contraddizioni, facendo del proprio meglio  per comprendere ciò che meglio desidera, senza che ciò diventi troppo oneroso e pesi sul suo patrimonio e sulla qualità della sua vita, senza che sia sola.

Mi piace pensare che la funzione di amministratore di sostegno non si riduca ad una mera funzione di rendicontazione numerica ma dia resoconto annuale della vita della persona, delle sue scelte anche nella semplice routine quotidiana; nel decreto di nomina di amministratore di sostegno del giudice tutelare, viene indicato spesso il tetto massimo di spesa libera della persona, le così dette “spese bagatellari”; mi permetto di sottolineare che per la persona sono le spese bagatellari che  segnano i confini della propria dignitosa libertà; l’andamento dei titoli investiti in borsa, non sempre interessa come al momento dell’investimento; la persona intende godere di un po’ di tranquilla vita, fondata anche sulle quattro chiacchiere scambiate con il panettiere o con l’ amministratore di sostegno o con le persone che vivono a lei accanto e, appunto, si prendono cura di lei, disinteressatamente; questo l’ho appreso con molta serietà come amministratore di sostegno stando accanto a  persone come Silvia, Loretta, Nicola, Davide ( soccorritori 118, o.s.s.- operatorisociosanitari- assistenti sociali-  psicologi, medici ) che assistono, magari sottopagati, le persone, insieme ai familiari. A loro ed ai familiari, va tutta la mia stima, anche professionale, per ricoprire un ruolo e svolgere un lavoro poco remunerativo a livello economico o di possibilità di carriera, magari in luoghi sperduti, fra montagne o valli, difficili da raggiungere anche logisticamente, ma talmente belli per gli ultimi attimi che restano della propria vita.

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Violenza domestica contro le donne: che fare in concreto?

In questo periodo della violenza alle donne si legge spesso. Dall’analisi dei dati statistici sembra che una donna su tre nella sua vita sperimenta la violenza di genere.
Nel 2013, la legislazione internazionale con la Convenzione di Istanbul, ratificata nel 2014 dall’Italia, definisce la violenza di genere domestica come
“…. tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano nell’interno della famiglia o tra attuali o precedenti coniugi e/o partner, indipendentemente che l’autore condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima”.

La legislazione tutela il diritto di tutti gli individui e segnatamente delle donne, di vivere liberi dalla violenza sia nella vita pubblica che privata; garantisce anche a livello internazionale adeguati meccanismi di cooperazione efficaci tra tutti gli organismi statali competenti: -le autorità giudiziarie, -i pubblici ministeri, -le forze dell’ordine, -le agenzie regionali e locali.
Si intende far fronte ad un problema che investe non solo la sfera giuridica del singolo, ma, prima ancora, la società, che vive tuttora imprigionata negli stereotipi di genere: la donna sottomessa, obbediente, dipendente dall’uomo.
Questi ruoli, a mio modesto avviso, sono obsoleti; educazione, cultura, sensibilità insegnano che le persone sono libere di essere sé stesse, interdipendenti le une verso le altre; non è dato sapersi però se questa mia convinzione sia concreta o realizzabile o utopistica.
Si distinguono due generi di violenza: a rischio elevato e a rischio non elevato:
in entrambi i casi- anche con la Convenzione di Istanbul, ratificata con la legge 77 /2013 in Italia-, si pone l’attenzione sulla violenza psicologica come fattore di rischio che può portare alla morte della vittima.
Viene minato il benessere della persona spezzando lo sviluppo delle sue potenzialità umane; la persona viene relegata ad un ruolo di assoluto subordine. Le modalità sono varie, tante quante sono le persone. Si raggruppano sotto definizioni giuridiche tipizzate ad esempio: minaccia, ingiuria, maltrattamento; azioni od omissioni reiterate nell’arco di un tempo, veramente in molti casi lunghissimo, inflitte al fine di rendere completamente succube la vittima.
La vittima soffre di depressione, ha paura, ha bassa autostima, si sente impotente, è isolata e soprattutto ha vergogna.
Si è detto che un terzo della popolazione femminile subisce violenza: se le conseguenze sono quelle pocanzi illustrate, è plausibile sostenere che una larga fetta di popolazione è in stato di sofferenza e assolutamente bloccata, non libera di utilizzare le proprie potenzialità per lo sviluppo; si direbbe un grave danno.

Questo disegno criminoso ha un movente così misero rispetto al danno che causa, eppure il colpevole si avvale della complicità di una società che impone alla donna ancora di obbidire all’uomo.

Quando la violenza è a rischio elevato, significa che vi è rischio che la vittima venga uccisa: la Convenzione di Istanbul prevede il divieto di metodi alternativi di risoluzione del conflitto fra cui mediazione e conciliazione; prevede l’immediato allontanamento della vittima.
Nel caso di rischio non elevato si inserisce la persona nella rete di accoglienza psicosociale al fine di pianificare un ritorno alla vita senza violenza e costrizioni.
In entrambe i casi la donna deve superare
– la vergogna ed il timore del giudizio degli altri
-il senso di colpa che la porta ad auto attribuirsi la responsabilità della violenza,
-il rischio di non essere creduta.

Per favorire la difesa concreta dalla violenza mi permetto di accennare a due dei tanti mezzi utilizzabili per la tutela di sé stesse contro la violenza domestica:
1) rivolgersi al consultorio familiare più vicino, il quale prevede il seguente protocollo di accoglienza: colloquio in un luogo protetto ed inserimento nella rete di protezione; l’ascolto nel colloquio è privo di giudizio e mirato ad individuare la situazione di rischio della vittima. A seguito di tale colloquio, il consultorio forma un’equipe per assistere la vittima, in relazione anche a rischio valutato che essa corre. Se vi è violenza, vi è obbligo di denuncia;
2) scaricare applicazione del cellulare: 112 ARE U per chiamare il numero europeo di emergenza anche in chiamata silenziosa.