In un mio precedente post descrivevo la violenza domestica con alcuni cenni su come il nostro paese, a seguito della Convenzione di Istanbul, si è attivato per evitare questo fenomeno che porta addirittura alla morte della vittima- più spesso di quanto l’opinione pubblica riesce a capire-.
Vorrei continuare ad indicare altri mezzi utili di protezione contro la violenza domestica, al fine di sensibilizzare tutti sul problema e consentire, nel mio piccolo, la liberazione dagli stereotipi di genere che vedono la femmina succube del maschio, una situazione veramente inconcepibile.
Non tutti sanno che quando si è allo stremo delle forze cercare aiuto diventa una impresa ciclopica: ci si sente isolati dal mondo. Innanzitutto, mi riporto al mio precedente post e invito a chiamare il n. 112 AREU oppure rivolgersi del consultorio familiare più vicino i cui recapiti sono facilmente reperibili, oppure è possibile contattare un centro antiviolenza.
A seguito della convenzione di Istanbul una serie di accordi, protocolli, fra stato e regioni italiane, fra il 2014 ed il 2017, hanno permesso di dare maggiore sostegno ai centri antiviolenza e alle case rifugio. Per la regione Lombardia cito “il piano quadriennale regionale per le politiche di parità e di prevenzione di contrasto alla violenza di genere 2015/2018”.
Esiste in Lombardia, come mi auspico anche nelle altre regioni italiane, una rete territoriale che aiuta le vittime di violenza a difendersi, il mio invito è di rivolgersi anche a queste strutture.
Spendo due parole sul centro antiviolenza per come lo conosco e ne approfitto per ringraziare coloro che gentilmente mi hanno aiutato dandomi i dati e le conoscenze che riporterò di seguito.
Antiviolenza è una parola a mio avviso terribile perché significa ammettere a sé stessi di subire violenza, tuttavia è positiva perché quando si riesce ad uscire dalla paralisi della paura, si viene a sapere che vi sono persone che aiutano contro la violenza.
Dette strutture hanno una loro precisa diffusione territoriale e sono sostenute principalmente da volontari, formati al compito di aiuto e difesa.
Quando ci si rivolge seriamente a detta struttura si “viene presi in carico” da una equipe; consapevoli in modo sufficiente che ci si impegna in gruppo ad uscire dalla situazione di violenza.
Si ha sostegno psicologico e legale; in alcuni casi si ha sostegno economico, accoglienza ed ospitalità. Giova ripetere cosa sia la violenza: comportamenti che consistono in maltrattamenti psicologici, fisici, sessuali, economici, da una persona legata da relazione intima verso l’altra, al fine di ottenere potere, controllo, ed autorità. Ha come conseguenze: isolamento sociale, familiare, perdita delle relazioni significative, perdita del lavoro, perdita della casa, e del tenore di vita precedente la violenza.
L’aspetto più sconcertante a mio avviso è la perdita del valore di sé, che ad esempio si manifesta in comportamenti autolesionisti (uso di alcool o di droga) la perdita dei meccanismi di autoprotezione.
Il centro antiviolenza in primo luogo dà un sostegno psicologico che implica un graduale riavvicinamento a sé come ad un valore inestimabile, attraverso l’elaborazione fino alla fine della violenza subita, con il racconto completo; attraverso il recupero delle risorse della persona, il recupero delle proprie competenze genitoriali -se necessario viene attivata una consulenza psicopedagogica nel ricostruire la relazione genitore figlio-; non ultimo, vengono presi in carico minori vittime di violenza assistita.
Dal punto di vista legale occorre individuare il tipo di difesa più utile da approntare nell’immediato sia in ambito penale che in ambito civile.
Si assiste alla stesura di denunce /querele e le persone vengono accompagnate dalle autorità competenti.
Valutati i rapporti costi benefici dei procedimenti giuridici da intraprendere nell’esclusivo interesse della vittima e dei minori, vengono inoltre calcolati i tempi e le modalità più appropriate caso per caso. Viene applicato l’istituto del gratuito patrocinio.
Viene comunque per prima cosa valutato il rischio della vittima; se è alto, vi è allontanamento della casa e la denuncia.
Diversamente si agisce tentando di dirimere i dissidi che causano la violenza cercando soluzioni alternative alla convivenza o al rapporto tossico.
In caso di dipendenza economica si crea il reinserimento della vittima nel mondo del lavoro e si ricerca di una nuova casa, se possibile, per la ricostruzione delle basi della normale vita dignitosa.
Da queste basi si cerca di riallacciare i rapporti con la famiglia e quelli sociali.
Tutto questo viene fatto non senza grande sofferenza della vittima.