La differenza fondamentale di questo modello rispetto al precedente, visto appunto nel precedente post della «serie», ci viene indicata già dalla denominazione di globale.
Mentre, come abbiamo visto, nel modello integrato il focus dell’attenzione è dedicato alla genitorialità, lasciando gli aspetti economici e legali alla cura dei professionisti del diritto per lo più, l’aspetto peculiare del modello globale è che il mediatore tratta tutti i conflitti che interessano i protagonisti della mediazione, sia quelli connessi alla gestione dei figli, sia tutti gli altri che quasi immancabilmente si presentano ogni volta che si è in presenza di una crisi familiare.
C’è una considerazione di buon senso collegata a questo approccio e cioè che la comunicazione deve essere fluidificata riguardo a tutti gli aspetti del conflitto, perché il disagio e il malessere che i suo protagonisti provano nella vicenda è globale ed unitario e solo artificiosamente può essere ripartito in comparti diversi, affidati a professionisti altrettanto diversi. Inoltre c’è l’opportunità di sfruttare sino in fondo, a 360 gradi, tutte quelle finestre di dialogo che, a volte miracolosamente, si riescono ad aprire, e sinchè sono aperte, senza delegare, ma soprattutto rimandare, a successivi incontri presso peraltro altre figure in occasione dei quali le parti possono benissimo essersi «richiuse» in loro stesse.
C’è anche da dire che, come abbiamo già accennato sopra parlando del modello integrato, gli accordi che si prendono in sede di mediazione sono legati da un equilibrio molto stretto tra loro, per cui non è affatto detto che vengano mantenuti tutti nel caso in cui parte di loro per qualche motivo naufraghi, anzi tutto al contrario è solitamente un dato di esperienza che, in presenza di un ostacolo relativo ad un singolo aspetto o considerazione, quasi sempre le parti si trovino a voler rimettere in discussione tutti gli accordi, specialmente quando quell’aspetto non è propriamente un dettaglio, ma un dato importante rispetto al tutto.
Vale di nuovo la considerazione per cui le persone, gli utenti, sono titolari di un problema e si rivolgono al mediatore affinchè li aiuti a risolverlo, senza potersi interessare di ripartizione di competenze, questioni di opportunità, aspetti legali che, in questi momenti, anzi particolarmente in questi momenti, sono sentiti – più che in molti altri casi – come inutili complicazioni burocratiche.
Al netto della necessità di rispettare comunque la legge, forgiando accordi che si possano sussumere tranquillamente nel suo alveo – se non altro per esigenze concrete, quali quelle di consentire il passaggio al vaglio della magistratura – va ricordato che la percezione dei problemi di famiglia da parte dei suoi protagonisti è unitaria dal punto di vista emotivo e qualsiasi frammentazione può rendere precari quei già debolissimi equilibri che il mediatore riesce faticosamente a creare e sui quali si trova a dover camminare, con la massima cautela e leggerezza possibili, per tutto il suo percorso.
L’approccio del mediatore, comunque, resta quello classico di incoraggiare entrambe le parti, con equidistanza, a farsi reciproche concessioni, nell’ottica del compromesso che resta l’unica soluzione per affrontare qualsiasi conflitto e che è in fondo una cosa nobile, tutto al contrario di quanto si pensa comunemente, perché consente la pace sociale, familiare, individuale con la rinuncia a proprie pretese, spesso anche legittime, ma che vengono messe in secondo piano per il bene superiore del raggiungimento di un assetto stabile, utile sia per gli adulti protagonisti della crisi sia per i minori stessi.
In tale approccio, si cerca di definire all’inizio del percorso alcuni criteri di equità. In realtà, questa operazione può essere interessante, perché da un lato può agevolare il raggiungimento di un compromesso facilitando dal lato emotivo la rinuncia a proprie pretese ad opera delle parti, ma porta in sé anche il rischio di cadere nel problema tipico delle norme giuridiche, quelle di essere impiegati per risolvere problemi che sono nati dopo che le stesse sono state forgiate, per non dire del fatto che formulare norme di diritto, o prescrittive, e farle adeguatamente comprendere dai loro destinatari non è affatto un’operazione semplice. Quand’anche si riuscissero a individuare criteri generali dotati di qualche validità in astratto, parti del conflitto già esasperate e con comunicazione bloccate facilmente, senza nemmeno farlo apposta, tenderanno a fraintenderle e ad usarle come «clave» l’una nei confronti dell’altra.
La mano del mediatore al riguardo deve essere delicata e molto cauta, indicando più che norme strette e rigorose, alcune considerazioni generali, sulle quali le parti non possono non essere d’accordo – come tipicamente la necessità di tutelare tutte le volte e in tutti gli aspetti in cui è possibile i figli – da richiamare durante la negoziazione e il confronto, più come un campanello emotivo che un vero e proprio «regolo» per la discussione stessa.
Nel modello globale, il mediatore ovviamente si fa garante infatti anche degli interessi dei minori e la loro presenza è talvolta anche prevista nella stanza della mediazione, prima della redazione degli accordi, in modo da rendere il metodo il più inclusivo possibile.
Nel prossimo post della serie proseguiremo l’analisi dei modelli di mediazione familiare.