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Pozzetto in bifamiliare: posso sistemarlo da solo?

Abito in una bifamigliare in comproprietà al 50% (50% io, 25% mia sorella e 25% mio cognato). Fino a due anni fa andavamo d’accordo ed i lavori di manutenzione si facevano assieme. Ora si è intasato il pozzetto di ispezione scarichi acque bianche con conseguente fuoriuscita di acqua dal coperchio del tombino. Considerato che il precedente lavoro di pulizia l’ho eseguito io ho comunicato che stavolta era compito loro ricevendo una secca risposta negativa. Cosa posso fare? Posso chiamare una ditta di spurghi con addebito al 50% in bolletta dell’acqua sia mia che loro?

Siete in una situazione di condominio minimo, cioè di condominio composto da sole due unità immobiliari.

A questo tipo di condominio, nonostante la sua particolarità, si applicano, secondo gli interpreti le norme previste in generale per la comunione e il condominio, tra cui segnatamente quella che consente, in caso di impasse nell’amministrazione quando è necessario adottare provvedimenti, di ricorrere all’autorità giudiziaria e quindi al tribunale.

Ovviamente non puoi farti giustizia né amministrare il condominio da solo.

Tieni anche presente che questo è un singolo caso che ti rivela tuttavia che se non trovate una soluzione per ristabilire buoni rapporti, cosa che potrebbe avvenire ad esempio tramite una fase di mediazione civile, oppure non provvedete a nominare un amministratore, siete destinati ad incontrare altri problemi qualsiasi altra cosa ci sia poi da fare.

Ti consiglio quindi di affrontare seriamente il problema, andando anche al di là del singolo problema del momento.

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Retratto successorio: rimane su parti ancora comuni dopo la divisione?

Due fratelli ricevono in eredità alcuni immobili. Si contituisce quindi una comunione ereditaria, entrambi diventano comproprietari degli immobili. Successivamente i due fratelli procedono ad un atto di divisione ereditaria in accordo tra loro, si recano ad un notaio ed effettuano la divisione. L’atto di divisione (anno 2009) prevede però, per un solo immobile, che rimanga la comproprietà al 50%. Sull’atto di divisione si scrive: ““Precisano le parti che il m.n. 107 sub. 8 (tettoia) rimane in comproprietà tra loro in quota di ½ (un mezzo) per ciascuno.”.
Volendo adesso, uno dei due fratelli alienare la sua quota, si deve prevedere la possibilità che l’altro fratello eserciti il diritto di prelazione? Si può considerare una vendita di una quota di comproprietà come se non derivasse da eredità in quanto è stata fatta la divisione ereditaria?

Il retratto successorio è un istituto di antica tradizione valevole per le situazioni di comunione ereditaria, in base al quale quello dei coeredi che intende disfarsi della propria quota, uscendo dalla comunione, vendendola, ha l’onere di offrirla, alle stesse condizioni, agli altri coeredi.

Esso non si applica in caso di donazione né, ovviamente, per vendite ad altri coeredi.

Si tratta di un vero e proprio diritto di prelazione, che ha la evidente funzione di consentire, qualora vi sia l’interesse e la disponibilità dei familiari, di conservare un bene all’interno della stessa famiglia.

Il retratto è previsto è disciplinato, attualmente, dall’art. 732 cod. civ..

In un caso come questo, la risposta deve essere ricavata in via interpretativa, non potendoci essere chiare indicazioni di legge per un aspetto così di dettaglio.

Sotto questo profilo, a mio giudizio non credo si possa avere retratto per un cespite di questo genere e in una situazione come questa.

Chiaramente, occorrerebbe, per avere maggiori elementi, esaminare con cura il rogito divisionale intervenuto tra i fratelli e le ragioni, in particolare, che hanno condotto alla conservazione della comproprietà sulla tettoia, nonché, ulteriormente la conformazione dell’immobile e della tettoia in seno ad essa: abbiamo, ad esempio, un condominio minimo, di cui la tettoia costituisce parte comune per destinazione? Quest’ultimo, solo, aspetto potrebbe essere tranchant.

Insomma, il caso andrebbe approfondito molto di più, a naso direi che comunque in una situazione del genere, anche per come la si intuisce, difficilmente si possa parlare di applicabilità del retratto.

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Bifamiliare: si può mettere un cancello se uno dei due non vuole?

Mio marito è titolare di una porzione di bifamiliare. Nell’altra parte ancora non abita nessuno.
Dato che il viale d’ingresso è comunque comune possiamo obbligare i proprietari dell’altra parte a mettere un cancello d’ingresso, o per lo meno a corrispondere la metà dell’eventuale spesa, al fine di proteggere la nostra proprietà da eventuali intrusioni, evitare che gli animali domestici possno uscire (abbiamo un cane) e soprattutto essere più sicuri di poter lasciare nostra figlia a giocare in giardino?

La «bifamiliare» concreta una situazione di «condominio minimo», cioè un caso in cui, anche se le unità immobiliari sono solo due, si hanno comunque tutte le caratteristiche dell’istituto del condominio o della comunione, essendo evidente che ci sono parti comuni riferibili ad entrambi i proprietari.

Da ciò discende che per qualsiasi atto di amministrazione, intervento, miglioria e simili occorre una decisione approvata con le maggioranze previste dalla legge, cosa che nel vostro caso credo richieda, in definitiva, il consenso di entrambi i proprietari.

Quindi non li potete affatto obbligare, ma li dovete invitare a valutare insieme il problema.

Solo in alcuni casi, nell’ipotesi in cui non si riesca tra proprietari privati a deliberare, si può richiedere l’intervento dell’autorità giudiziaria, ma va valutato attentamente se le motivazioni che hai indicato, relative ad una eventuale maggior sicurezza, sono tali da rientrare in queste ipotesi.