Categorie
diritto

Separazione e divorzio online alla tivù.

Dopo l’intervista al Resto del Carlino che ti ho proposto ieri, ecco il mio intervento alla tivù sempre su separazione e divorzio online, un argomento che interessa molte persone per la capacità di risolvere diverse situazioni.

Ringrazio Luca Bello di TVB Studio per l’occasione concessami di parlare di questo «pacchetto» o servizio.

Categorie
diritto

Assegno divorzile: mi spetta dopo separazione consensuale?

sono separata con due figli, una maggiorenne uno minorenne da 11 giugno 2019, in separazione dei beni. allo scadere dei 6 mesi mio ex marito ha chiesto il divorzio perchè aveva già un altra relazione con una donna che nel frattempo si è separata anche lei , anche lei in separazione dei beni e con due figlie maggiorenni. con la separazione consensuale fatta, la casa, di proprietà di entrambi l’abbiamo intestata ai nostri figli ed io ne ho l’usufrutto. su questa casa avevamo un mutuo che pagavamo insieme, con un conto cointestato, e con la separazione lui la estinto tutto da solo, perchè tre anni prima della separazione, era diventato ricchissimo con un bonifico che il padre gli aveva intestato, ma mi ha costretto a pagare il mutuo con lui fino al momento della separazione. il divorzio ,chiesto da lui , è in fase iniziale, ma intanto ha comprato una villa stratosferica . io ho stipendio di 1.500 e 3000 sul c/c e alimenti 700. ho diritto a chiedere un assegno divorzile?

Naturalmente, non c’è mai una sicurezza assoluta su temi come questo, si possono solo fare delle valutazioni che vanno poi combinate con quelle strategiche di gestione della situazione.

In presenza di un certo squilibrio patrimoniale, i presupposti per richiedere un assegno divorzile potrebbero esserci, però vanno fatte delle ulteriori valutazioni.

In primo luogo, se capisco bene, in sede di separazione consensuale non è stato previsto alcun assegno di mantenimento da un coniuge all’altro, immagino con formule solite quali quelle per cui ognuno dei due rinuncia all’assegno dichiarandosi autosufficiente.

Questa prima circostanza richiederebbe che la disparità patrimoniale si fosse verificata dopo la separazione, quando invece, da quello che riferisci, lui «tre anni prima della separazione, era diventato ricchissimo».

Un giudice, quindi, potrebbe chiederti: se non hai chiesto l’assegno al tempo della separazione, quando lui era già ricco, anzi ricchissimo, perché lo chiedi adesso?

Oltre a questa circostanza, va considerato che la richiesta di un assegno di mantenimento porta con sé il rischio della perdita della consensualizzazione, nel senso che, avendo voi fatto una separazione consensuale, ora probabilmente potreste essere in grado di fare un divorzio congiunto. Se, invece, inoltri una richiesta di assegno divorzile, probabilmente fai venire meno la disponibilità di tuo marito ad un divorzio congiunto, con la necessità, poi, di affrontare un divorzio giudiziale, cosa che potrebbe farti spendere molti più soldi, tempo e «fegato», per non arrivare poi magari a nulla di diverso da quello che avresti ottenuto con un divorzio congiunto.

Tutto sommato la vedo un po’ grigia, per questi motivi, naturalmente si potrebbe approfondire ulteriormente, anche se a naso mi pare che difficilmente ne potrebbe valere la pena. Se volessi comunque fare questo lavoro di approfondimento, valuta di acquistare una consulenza.

Iscriviti al blog per ricevere il post del giorno, con informazioni utili che non trovi da nessun’altra parte.

Categorie
diritto

Le condizioni di divorzio congiunto possono essere poi modificate?

il mio compagno ha appena avuto il divorzio consensuale dall’ex moglie. La figlia di 14 anni vive con noi. Con affido congiunto. L’ex moglie ha voluto solo la macchina. Dopo la sentenza di divorzio, l’ex moglie, può fare ricorso per avere la figlia con mantenimento?

Certo.

Le condizioni di separazione e divorzio, specialmente quelle riguardanti i figli, come spiego meglio nel mio libro Guida alla separazione e al divorzio, si possono sempre cambiare, dal momento che il giudice deve avere il potere di adeguarle alle eventualmente mutate esigenze dei figli.

Ovviamente, occorre qualche presupposto di fatto per poter praticare la richiesta di cambiamento delle condizioni, ma questa è una valutazione da fare caso per caso.

Di solito, il mutamento di condizioni è almeno tendenzialmente più difficile nel caso di situazioni regolate da titoli consensuali, cioè frutto di un accordo tra i coniugi, in quei casi nella maggior parte delle ipotesi occorre un cambiamento ancor più significativo per poter richiedere la modifica delle condizioni, perché chi la richiede sotto certi profili è un po’ come quello che «sconfessa» se stesso.

Categorie
diritto

Come posso essere sicuro che il mio divorzio diventerà congiunto?

sono combattutissimo per quanto riguarda la mia causa di Divorzio. L’impressione che ho è che la mia avvocato non stia sfruttando i tempi per evitare la giudiziale.Mi dice che l’avvocato di controparte è molto impegnato, oltre che incinta, e quindi dobbiamo aspettare.Nel farla breve purtroppo io dovrei divorziare con la giudiziale ma a tiro della prima udienza per fortuna pare essersi trovato un accordo quindi al giudice è stato spiegato e ha fissato la prossima ad ottobre.Dal due mesi il mio avvocato non mi ha fatto sapere niente, e io ho sollecitato diverse volte perché da quell’accordo dipende la mia opportunità di prendere un appartamento in affitto dove potrò stare con i miei figli per le mie giornate!Senza esser di peso a mia madre.Come da 4 anni a questa parte.Ho paura che se non si sentono gli avvocati la cosa non faccia in temp o a perfezionarsi e tutto vada in fumo.Immaginerete che non posso accordarmi io x forti dissidi con la mia ex moglie…cosa ne pensate?

Onestamente, e non per difendere una categoria il cui senso di appartenenza alla quale è in me sempre minore ogni giorno che passa, non credo che sia colpa del tuo legale, ma dell’oggettiva incertezza che si accompagna sempre alle situazioni giudiziarie.

Se ho capito bene il tuo caso – ma tu per primo non ti spieghi bene! – avevi iniziato il divorzio in via giudiziale, dopodiché si è trovato l’accordo per una trasformazione in sede consensuale, cosa per fare la quale è stata fissata una nuova udienza ad ottobre.

Se così stanno le cose, non puoi fare altro che aspettare questa udienza, e devo purtroppo sconsigliarti di fare qualsiasi programma che faccia affidamento sull’esito positivo della stessa, perché per mandare all’aria un accordo di questo genere è sufficiente anche solo che una delle parti ci ripensi.

In ogni caso, se l’udienza per la consensualizzazione è già stata fissata, gli avvocati il loro lavoro l’hanno già fatto e non c’è bisogno che si sentano più, occorre solo che tutte le parti coinvolte facciano quel che hanno promesso di fare.

Categorie
diritto

Come posso capire se il mio compagno è sincero sul fatto di aver chiesto il divorzio?

vorrei chiedere il parere sincero e spassionato di un professionista riguardo ad un dubbio che mi cruccia oramai da diversi mesi. Il mio compagno sostiene di aver presentato con la sua “ex “moglie (che risiede in un’altra regione) richiesta di divorzio congiunto già l’anno scorso, nel mese di aprile. Ad oggi tuttavia – sempre secondo quando da lui affermato- non è ancora stata loro indicata la data dell’udienza. Mi risulta invece che una volta depositato il ricorso la data di tale udienza venga resa nota con una certa celerità e fissata di regola entro 3/6 mesi. Il mio timore è quindi che la domanda non sia assolutamente stata presentata…. Lei cosa ne pensa?

Dipende molto dal tribunale di cui stiamo parlando, i tempi variano moltissimo da sede a sede. Può essere benissimo che la data di udienza non sia stata ancora fissata, anche in caso di domanda congiunta che come tale è più veloce.

Categorie
diritto

Come dirsi addio nel modo migliore. Guida legale alla separazione e al divorzio (utile anche alle coppie di fatto)

Come dirsi addio

 

Dopo tre anni dall’uscita, la mia «Guida alla separazione e al divorzio» è stata «riconfezionata» e posta in vendita, mantenendo gli stessi identici contenuti, con un nuovo titolo, copertina e soprattutto un nuovo, più favorevole, prezzo.

Il prezzo attuale, per la versione in cartaceo, è di 9,90€ (e si trova anche scontato), mentre l’ebook costa ancora meno, solo 6,99€.

Essendo i contenuti del tutto identici, va da sè che il consiglio, per tutti coloro che sono interessati alla guida, è di acquistare questa versione, a meno che non si preferisca la copertina rigida (che offre prestazioni migliori quando si deve dare la caccia alle zanzare), nel qual caso meglio preferire la vecchia versione.

La guida è ancora attuale, aggiornata? Al 90% sì. Ci sono state riforme importanti, come quella sullo stato dei figli di genitori non coniugati, ma, esattamente come avevamo progettato di fare quando uscì la prima versione, ne abbiamo sempre dato conto sul blog, che, come ugualmente avevamo detto sin dall’inizio, rappresenta il naturale complemento della guida, da leggere insieme ad essa, per approfondimento e, soprattutto, aggiornamenti. Inoltre, il testo è basato sull’illustrazione dei concetti fondamentali contenuti nelle leggi in materia familiare, di cui le riforme intervenute non rappresentano che la natura evoluzione.

Rimane una parziale incongruenza anche del nuovo titolo, che solo chi legge il libro può scoprire: la guida non serve solo per «dirsi addio», ma anche nelle situazioni completamente opposte, quelle in cui si deve costituire una coppia e si deve scegliere che forma darle (se matrimonio, e che tipo di matrimonio, convivenza, ecc.), quale regime patrimoniale scegliere e così via. Il testo, insomma, non è concentrato solo sull’aspetto patologico della vita familiare, ma anche sui profili costruttivi, anche in chiave preventiva. Troppo spesso noi professionisti interveniamo solo dopo che è scoppiato il problema, in futuro dovrà essere molto più spazio per la prevenzione, che altro non significa che cercare di impostare sin dall’inizio le cose in modo da rendere il più difficile ed improbabile possibile che si verifichino problemi.

Per ulteriori informazioni, potete consultare questa pagina e le FAQ sul libro.

Categorie
diritto

Quando passa in giudicato la sentenza di divorzio congiunto?

Sono separato da quasi 3 anni (a settembre scadono i 3 anni necessari dall’omologa per poter chiedere il divorzio). Il mio legale che è anche legale della mia ex moglie (la separazione è stata consensuale anche se non facile) ha accennato che ci vorranno circa 18 mesi dal momento in cui firmiamo il divorzio congiunto davanti al giudice per poter avere nuovamente lo stato civile libero. Di cui 1 anno e 45 giorni per poter impugnare la sentenza e/o fare il ricorso e il tempo restante per le varie trascrizioni nei comuni di residenza, nascita e matrimonio. Facendo un pò le ricerche su Internet ho trovato che ci sono due soluzioni per poter abbreviare questi tempi, di cui una è firmare l’atto di acquiescenza totale (la cosa che la mia ex moglie sicuramente non farà, in quanto ha cercato sempre di ostacolare la separazione, causa la mia compagna, solo per il gusto di farlo, visto che ha anche lei un uomo), la seconda soluzione invece è notifica della sentenza. E qui non ho capito tanto. C’è chi dice che l’avvocato notifica la sentenza a se stesso, chi dice no, si notifica alle parti e quando scade il termine breve di impugnazione di 30 gg ci vuole solo il tempo per la trascrizione di stato libero. Mi potrebbe chiarire gentilmente questo punto, è cioè se è vero che la notifica della sentenza effettivamente abbrevia i tempi e in che modo avviene nel caso del patrocinio dello stesso avvocato tra gli ex coniugi. Se Lei mi da la conferma di questa possibilità mi chiedo perchè il nostro avvocato non ha detto niente di tutto ciò.

È una questione interessante e ancora controversia sia in teoria che in pratica. Dalla stessa, naturalmente dipende il riacquisto dello stato libero e la possibilità di celebrare un nuovo matrimonio.

Fortunatamente, da novembre 2014 si può divorziare tramite un accordo in house, cosa che consente di superare nella pratica questi problemi, dal momento che per la trascrizione dell’accordo è prevista una procedura precisa.

I termini del problema sono descritti come meglio non si potrebbe probabilmente fare in questo brano dell’articolo di Francesco P. Luiso, Questioni varie in tema di impugnazione dei provvedimenti di separazione e divorzio, in www.judicium.it. Il testo è tecnico e sicuramente non comprensibile interamente per gli utenti, intanto proviamo a leggerlo insieme, al termine qualche nota illustrativa con linguaggio più divulgativo.

L’altro problema che intendo affrontare riguarda la legittimazione ad impugnare le sentenze pronunciate nel procedimento di divorzio, con speciale riguardo a quelle pronunciate su domanda congiunta (art. 4, comma 16, della L. 898/1970).

Per chiarire bene i termini della questione, è opportuno premettere che, secondo opinione concorde, la sentenza di divorzio è efficace dal momento in cui passa in giudicato, e che tale efficacia non è retroattiva: sicché il momento in cui avviene il passaggio in giudicato assume un significato particolare, in quanto ogni ostacolo alla pronuncia di divorzio, che si dovesse verificare fra la pronuncia della sentenza ed il passaggio in giudicato della stessa, ne impedisce la produzione degli effetti. Così, se la morte di uno dei coniugi ha luogo dopo la pubblicazione della sentenza, ma prima del passaggio in giudicato, la sentenza di divorzio non produrrà mai i suoi effetti; il contrario accade, se uno dei coniugi decede dopo che la sentenza di divorzio è passata in giudicato. Con la conseguenza che, ad esempio, nel primo caso il coniuge sopravvissuto acquista la qualità di erede, mentre nel secondo caso no.

Ora, si può certamente convenire sulla soluzione; ma sembra riduttivo, per verificare se la sentenza è o meno passata in giudicato, far riferimento esclusivamente al decorso dei termini, come è accaduto allorché la fattispecie appena ipotizzata è stata portata all’attenzione della Corte di cassazione, e questa si è limitata a verificare se la morte di uno dei coniugi era sopravvenuta o meno durante la decorrenza del termine per impugnare[13].

Come ognun sa, infatti, il giudicato formale dipende dalla impossibilità di proporre le impugnazioni c.d. ordinarie (art. 324 c.p.c.[14]) e dunque dalla perdita del potere di impugnare non solo per decorso dei termini, ma anche per acquiescenza: ma, ancor prima, per perdere il potere di impugnare è necessario che esso sia sorto, e dunque sia l’acquiescenza sia la mancata proposizione dell’impugnazione ordinaria nei termini assegnati debbono riguardare un soggetto, rispetto al quale quel potere è venuto ad esistenza[15]. Dunque, la corretta impostazione è la seguente: individuare se ed in capo a chi è sorto il potere di impugnare; verificare se tale potere è stato perso (per acquiescenza o per l’inutile decorso dei termini prescritti) prima o dopo che sia verificato l’evento ostativo alla produzione degli effetti da parte della pronuncia di divorzio[16].

Secondo i principi generali, il potere di impugnare sorge a favore della parte soccombente: chi, invece,  ha avuto dalla sentenza quello che aveva richiesto, non è legittimato ad impugnare. Tant’è vero che l’impugnazione da lui eventualmente proposta è inammissibile e comunque inidonea ad impedire il passaggio in giudicato della sentenza, se manca la tempestiva impugnazione di una parte legittimata, oppure quest’ultima fa acquiescenza[17].

Si deve dunque concludere che, a favore del coniuge che aveva chiesto la pronuncia di divorzio, non sorge il potere di impugnare, sicché l’eventuale acquiescenza, prestata dalla controparte prima che uno dei coniugi deceda, non impedisce al divorzio di operare. E soprattutto si deve concludere che, se il divorzio è chiesto da ambedue i coniugi, il potere di impugnare non sorge a favore di alcuno e dunque la sentenza di divorzio nasce già passata in giudicato formale[18].

Questa conclusione, in linea con i principi generali delle impugnazioni, è invece disattesa dalla giurisprudenza sopra indicata[19], la quale è giunta a ritenere inefficace il divorzio a causa  della morte di uno dei coniugi, verificatasi in pendenza del termine per impugnare, anche in presenza di domanda congiunta[20], oppure in un caso, nel quale il coniuge convenuto aveva concluso per l’accoglimento della domanda di divorzio[21]. Anche la dottrina maggioritaria giunge alla stessa conclusione. Ma francamente la soluzione non convince.

In primo luogo, l’espressione utilizzata dall’art. 5, comma 5, della L. 898/1970 (secondo la quale “la sentenza è impugnabile da ciascuna delle parti”) non è sufficiente ad espellere dal sistema un requisito fondamentale[22] e – a quanto risulta – immune da eccezioni, quale quello della soccombenza[23]: requisito che, oltretutto, realizza il principio di buona fede e correttezza processuale[24]. Sarebbe contrario ad ogni canone di lealtà e probità consentire ad una parte, che ha ottenuto quello che aveva richiesto[25], di venire contra factum proprium[26], e proporre impugnazione “pentendosi” di quanto aveva voluto.

In secondo luogo, la eventuale natura indisponibile del diritto, oggetto del processo, è irrilevante in questa direzione[27], poiché le conclusioni prese da una parte – e sulle quali si misura la soccombenza – non costituiscono un atto di disposizione del diritto. Altrimenti il giudice dovrebbe pronunciare anche quando, in materia di diritti indisponibili, l’attore rinuncia agli atti del processo o l’impugnante rinuncia all’impugnazione: ciò che non è mai stato sostenuto da alcuno.

Ancora: è vero che “il passaggio in giudicato della sentenza civile dipende necessariamente dall’estinzione del potere di impugnarla con i mezzi ordinari” e che non è configurabile  “un’estinzione del potere di impugnazione anteriore a quello della nascita della sentenza”[28]: però è anche vero che il potere di impugnazione, oltre che estinguersi, può anche non nascere, e che a tal fine è rilevante proprio “il concreto contenuto delle domande e delle difese proposte nel corso di un determinato giudizio”[29], poiché a favore della parte non soccombente il potere di impugnare non nasce proprio, e dunque rispetto alla parte vittoriosa acquiescenza e decorso del termine sono istituti senza significato, in quanto la sua acquiescenza non rileva, e la sua impugnazione non ha alcun effetto.

Dunque, tirando le fila: la sentenza di divorzio pronunciata su domanda congiunta, o a seguito di concordi conclusioni dei coniugi, nasce passata in giudicato perché non esiste alcun soggetto a cui favore sorga il potere di impugnare: non il P.M., come abbiamo visto; non i coniugi, perché nessuno dei due è soccombente. Né si può opporre che – quantomeno con riferimento alla sentenza di primo grado – resta esperibile il regolamento di competenza[30], e ciò per una duplice ragione: in primo luogo, perché il regolamento di competenza (ovviamente facoltativo) è esperibile solo se la sentenza di divorzio decide anche di una questione di competenza; e, dunque, se nessuna questione di competenza è decisa, la sentenza non è impugnabile con il regolamento. In secondo luogo perché, quando insieme al merito è decisa una questione di competenza, ciò significa che il tribunale  si è ritenuto competente (altrimenti non avrebbe pronunciato nel merito), e dunque – secondo i principi – la parte vittoriosa nel merito non ha mai il potere di impugnare in rito, per carenza di interesse.

La conferma a contrario della insostenibilità della tesi maggioritaria si può ricavare proprio dagli assurdi e barocchi escamotages pensati dai suoi sostenitori, per ottenere il passaggio in giudicato senza attendere lo spirare del termine lungo: si va dalla dichiarazione di acquiescenza che ambedue i coniugi effettuano dinanzi al cancelliere, all’autonotificazione della sentenza o alla notificazione della sentenza  a se stesso, nell’ipotesi in cui ambedue i coniugi siano difesi da un unico avvocato, alla proposizione di un appello inammissibile al solo fine di farlo dichiarare tale [31]. Bizantinismi che mostrano quanto sia errato il punto di partenza.

NOTE

[13] Cass. 19 giugno 1996 n. 5664, in Giust. civ. 1996, I, 2544; Foro it. 1996, I, 2729; Giur. it. 1997, I, 1, 634; Dir. famiglia 1997, 543; Cass. 18 agosto 1992 n. 9592, in Foro it. 1993, I, 1171; Dir. famiglia 1993, 102.

[14] La cui centralità, nell’argomento che ci interessa, è giustamente sottolineata da CIPRIANI, Il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio congiunto,in Riv. dir. civ. 1996, I, 612.

[15] CIPRIANI, Nuove norme sullo scioglimento del matrimonio, in Nuove leggi civili commentate 1987, 891, il quale fa esattamente notare che i termini per impugnare non sono concessi a chiunque, na al solo soccombente; ID., Il passaggio in giudicato, cit., 613 ss.

[16] Contra FINOCCHIARO, La domanda congiunta di divorzio, in Riv. dir. civ. 1987, I, 513-514, secondo il quale “nel nostro ordinamento costituisce principio generale quello per il quale, ove sia previsto un certo termine per proporre impugnazione avverso un provvedimento, quest’ultimo non acquista efficacia se non dal momento in cui il termine è decorso”. Si noti che l’A. afferma che non vi sono soccombenti a fronte di una sentenza pronunciata a seguito di domanda congiunta, sicché non sono possibili né l’acquiescenza né la notificazione della sentenza per rendere operante il termine breve. E dunque, sempre secondo l’A., la sentenza di divorzio pronunciata su domanda congiunta passa in giudicato solo dopo che sia decorso il termine annuale: essa dunque rimane inefficace in attesa di un evento (l’acquiescenza o l’impugnazione) che lo stesso FINOCCHIARO afferma non potersi verificare! Sorge spontanea la domanda: ma allora che si attende a fare? Considerazioni analoghe in CIPRIANI, Il passaggio in giudicato, cit., 614.

[17] CIPRIANI, in Nuove leggi civili, cit., 892.

[18] Così PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, 5^, Napoli 2006, 761: “La sentenza pronunciata a termine del processo svoltosi nelle forme abbreviate del rito camerale è appellabile, con la sola ovvia [corsivo nostro] limitazione derivante dal difetto di soccombenza ove la domanda congiunta sia stata accolta senza che sia sopravvenuto, nel corso del processo, alcun disaccordo delle parti”. Nello stesso senso GRAZIOSI, La sentenza di divorzio, Milano 1997, 255, il quale correttamente afferma che la sentenza “non < > in giudicato, ma < > in giudicato”. Conf. CARPI – GRAZIOSI, Procedimenti in tema di famiglia, in Dig. Disc. Priv., XIV, Torino 1996, 545; BARBIERA, Il divorzio dopo la seconda riforma, Bologna 1988, 88; e, si vis, LUISO, Diritto processuale civile, 3^, IV, Milano 2000, 257 ss.

[19] Ma v., nel senso del testo, App. Roma 15 aprile 1991, in Foro it. 1992, I, 474; Trib. Bari 9 luglio 1987, in Foro it. 1987, I, 2494.

[20] Cass. 19 giugno 1996 n. 5664, cit.

[21] Cass. 30 ottobre 1984 n. 5538, in Giust. civ. 1985, I, 345. Nella controversia decisa da Cass. 18 agosto 1992 n. 9592, cit., invece, uno dei coniugi era rimasto contumace, pur avendo dichiarato, in sede di udienza presidenziale, di non opporsi dalla domanda dell’altro.

[22] Sul quale v. ora le limpide parole di VACCARELLA, Lezioni sul processo civile di cognizione, Bologna 2006, 241 ss.

[23] Conf. BASILICO, Qualche osservazione, cit., 257 ss.; NICOTINA, Problemi processuali della nuova disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio,in Giust. civ. 1989, II, 15 (il quale, peraltro, dopo aver sostenuto che la principale caratteristica del divorzio su domanda congiunta “è costituita dalla sottrazione, pressoché totale, della sentenza all’impugnazione delle parti perché essa deve essere esclusa quando manca la soccombenza”, afferma poi (op. cit., 16) che, “con l’intento di determinare un sollecito passaggio in giudicato della decisione”, un coniuge può notificare all’altro la sentenza. Contra SALVANESCHI, L’interesse ad impugnare, Milano 1990, 237 ss.; MONTESANO, Le impugnazioni dei coniugi contro la sentenza di divorzio su domanda congiunta, in Riv. dir. proc. 1999, 15-16, il quale ritiene che la possibilità di impugnare, anche in mancanza di una soccombenza, si fonda “sull’interesse a conseguire col gravame un margine di vantaggio giuridicamente qualificabile in riguardo a beni che la legge garantisce ai soggetti e che si identificano qui con quelli che l’uno e l’altro coniuge perderebbero col venir meno dei diritti indisponibili nascenti dal matrimonio”.

[24] CIPRIANI, in Nuove leggi civili, cit., 892.

[25] E che magari ha anche notificato la sentenza alla controparte, come è accaduto nella fattispecie decisa da Cass. 19 giugno 1996 n. 5664 (CIPRIANI, Il passaggio in giudicato, cit., 603).

[26] Nel significato che questa espressione assume in materia processuale, come espressione di uno stringente dovere di coerenza: v. sul punto FESTI, Il divieto di “venire contro il fatto proprio”, Milano 2007, 228 ss.

[27] Così, invece, Cass. 30 ottobre 1984 n. 5538, cit.; MANDRIOLI, Diritto processuale civile, III, 19^, Torino 2007, 128 e, con riferimento alla domanda congiunta, 133; SALVANESCHI, L’interesse ad impugnare, cit., 254.

[28] Così TOMMASEO, Lo scioglimento del matrimonio, cit., 680.

[29] Le quali, secondo TOMMASEO, op. loc. cit., non avrebbero rilievo per determinare il passaggio in giudicato della sentenza.

[30] TOMMASEO, Lo scioglimento del matrimonio, cit., 681.

[31] V. in arg. TOMMASEO, Lo scioglimento del matrimonio, cit., 959-950; CIPRIANI, in Foro it. 1996, I, 2731; NICOTINA, Problemi processuali, cit., 16; FINOCCHIARO, La domanda congiunta, cit., 514.

In sostanza, secondo questo giurista, la sentenza di divorzio congiunto passa in giudicato direttamente, senza che si possa parlare nemmeno di decorrenza dei termini, dal momento che affinchè nasca il potere di impugnare è necessario che una parte vi abbia interesse perchè una sua richiesta non è stata accolta: se il ricorso è stato congiunto, tutte le richieste delle parti sono state accolte e quindi non c’è interesse ad impugnare. Quindi la sentenza resa al termine di un procedimento di divorzio congiunto diventerebbe definitiva automaticamente ed immediatamente. Sempre secondo questo autore, le soluzioni come quella da te vagheggiata dell’autonotifica e simili sarebbero «assurdi e barocchi escamotages» ed in effetti è difficile, sul punto, dargli torto dal momento che un difensore che notifica una copia autentica di una sentenza a sè stesso è un non-sense. La notifica alla parte personalmente, poi, a mio giudizio non sarebbe idonea a far decorrere il termine breve per impugnare, dal momento che la legge prescrive espressamente che sia valida a tale scopo solo ed esclusivamente la notifica fatta al procuratore, che conosce il diritto e sa che cosa comporta la notifica, cosa che invece non si può dire per la parte.

Non so se poter concordare con questo autore, probabilmente la sua tesi è corretta nella quasi totalità dei casi ma può anche darsi che ci siano delle ipotesi in cui c’è un interesse ad impugnare delle parti. In materia familiare il giudice ha poteri d’ufficio che prescindono dalle richieste delle parti, specialmente se ci sono figli il cui affidamento e la cui gestione possono essere da regolamentare. Può darsi che il Tribunale, preso atto della volontà dei coniugi di divorziarsi e quindi di acquistare nuovamente lo stato libero, accolga solo in parte le condizioni di divorzio proposte dai coniugi stessi, modificandole, anche solo in piccola parte, magari per quanto riguarda i figli, non ritenendole coerenti con gli interessi dei minori, in luogo di diverse disposizioni. L’ipotesi è sicuramente più di scuola che di pratica, ma nulla esclude che possa verificarsi. In questi casi, la parte potrebbe aver interesse ad impugnare, per dimostrare, ad esempio, che le condizioni di affido che aveva proposto erano, al contrario di quanto ha ritenuto il giudice di primo grado, effettivamente più favorevoli all’interesse dei figli.

Quindi non so se si possa dire che questo genere di sentenze passa sempre e comunque in giudicato.

Il problema, dal lato pratico, è che l’avvenuto passaggio in giudicato, e la conseguente definitività o meno, della sentenza deve essere valutato da operatori cui comunque non spetta il potere e la competenza per andare a valutare se vi può essere soccombenza o meno, come i funzionari dell’ufficio anagrafe, i quali avrebbero bisogno semplicemente di un documento attestante l’irrevocabilità della sentenza. Per questo, nella pratica, si «scade» nel ricorso a quegli escamotages di cui sopra, la auto-notifica o la dichiarazione di acquiescenza, per poter formare qualcosa che sia in grado di convincere un funzionario che bene o male non può andare a valutare nel merito la sentenza. Nel tuo caso, quindi, tutto può far brodo per convincere l’ufficiale di stato civile del riacquisto da parte tua dello stato libero, conviene tuttavia prima parlarne direttamente con lui stesso e poi mettere in pratica il sistema che consiglia.

Noi, in studio, da anni facciamo mettere alle parti la rinuncia all’impugnazione nel testo del ricorso congiunto, per quel che può valere, e il Tribunale di Modena in questi casi subito dopo l’emissione della sentenza la rilascia con la dichiarazione di irrevocabilità. In questo modo i nostri assistiti non hanno mai avuto problemi particolari, anche se in un caso un ufficio anagrafe ha voluto anche una dichiarazione di acquiescenza per scrittura privata, probabilmente un episodio di mera burocrazia privo di particolare significato.