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Veri uomini, vere donne: torniamo a noi stessi.

Una delle cose meno comprensibili delle donne è la smaccata tendenza a obbedire alle regole, sentendosi in colpa ogni volta che non lo fanno, fossero anche banali convenzioni sociali, quando io, se una cosa non la condivido e non la ritengo sensata, non ho alcun problema a violarla senza un nemmeno remoto senso di colpa.

Una delle cose che limita a tutt’oggi ancora molto le donne è la dipendenza dal giudizio altrui, cosa che in noi maschi si presenta esattamente rovesciata, in forma di indipendenza da tale giudizio.

È per questo che il potere conduce ormai da decenni una guerra ai maschi, dal primo di essi, il Padre, a tutti gli altri, e persino al maschile, che può essere presente – o anche no – a prescindere dal sesso. Di «character assassination» ha parlato, a riguardo, persino Claudio Risé.

Volendo far confluire tutte le persone verso una identità sessuale neutra – che in fondo non rappresenta più una identità, ma, all’esatto contrario – di quella identità rappresenta la perdita, il potere vuole ottenere un popolo di persone docili e confuse, come tali bravi consumatori e fedeli elettori.

Ecco perché oggi c’è più che mai bisogno sia del maschile in generale che di noi maschi in particolare perché è con le nostre gambe che può viaggiare il maschile, per quanto una donna possa svilupparlo non potrà mai essere come quello di un maschio. Io stesso ho sviluppato molto il femminile per il mio lavoro di counselor, ma resto sempre un maschio (almeno dall’ultima volta che ho controllato ?).

Il maschilismo, come la femminilità, non sono mai tossici, l’unica cosa tossica, demenziale e criminale è il femminismo.

Il maschilismo in cui credo io è quello degli uomini che cercano di sviluppare quanto più possibile la loro forza fisica e spirituale, per poi metterla a disposizione e a servizio degli esseri più belli e preziosi: le donne.

Oggi il maschilismo è quanto di più necessario.

Viva le differenze con cui siamo stati creati e di cui siamo grati al Padre: sii un vero uomo, sii una vera donna.

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È nella sofferenza che Dio ci fa visita.

Il Signore mi mette continuamente in contatto con persone dal cuore indurito, piene di ferite, sopravvissute ai loro errori, ai loro peccati, in ultimo a loro stesse.

Cerco di capire il perché di questi incontri, dal momento che non ho soluzioni, non ne ho proprio…

Averne, addirittura, mi sembrerebbe irrispettoso di chi quelle ferite se le porta da tanti anni e ci convive come con altrettanti vecchi amici: per cui mi chiedo cosa potrei mai dire io a riguardo, la mia sarebbe solo presunzione, magari verrebbe persino scambiata per giudizio.

È da sfacciati tentare di risolvere problemi che le persone hanno faticato a gestire per anni, decenni; sarebbe persino, in qualche strana maniera, offensivo, perché molti problemi ormai fanno parte dell’identità dei loro portatori.

Non si può entrare che in punta di piedi, con delicatezza, nel dolore degli altri.

Quello che faccio è ascoltare.

Ecco il mio unico valore, quando mi parlano della loro sofferenza: non girarmi dall’altra parte, come probabilmente hanno fatto tutti gli altri (oggi la sofferenza è sconveniente e decisamente fuori moda), ma restare lì e metterci la mano dentro.

Ed ecco la mia scuola, il corso sul campo che mi ha fatto capire cosa c’è nel vero cuore dell’uomo, cosa desidera, cosa lo spaventa, cosa lo rende felice, cosa lo commuove e lo spinge a fare, a volte,
l’impossibile.

Che, di solito, è l’esatto contrario di quello di cui si è convinto con la mente.

È anche così che si diventa, si ritorna, si cresce ancor di più cristiani, perché è nella sofferenza, con la sofferenza, che Dio ci fa più spesso visita, che lo sentiamo ancora più vicino.

Allora forse tutti questi incontri, tutte queste storie nere che mi vengono versate nelle mani, nelle mie mani ferme ed immobili, intente solo ad ascoltare, sono l’esaudirsi della mia preghiera, di avere sempre di più Lui nel cuore, perché tutte le preghiere non sono altro che un desiderio e una richiesta di connessione, di stare più vicino. Anche da Dio, infatti, non vogliamo soluzioni, vogliamo più che altro sentircelo accanto.

E tutto questo, peraltro, deve esser vero, perché quanta compassione nasce, poi, per tutta questa umanità che sgomita per essere felice, che ci prova in tutti i modi, ma non ci riesce, quando forse basterebbe rinunciare al fare, per tornare semplicemente all’essere, e mettere via tutti i giudizi e le mentalizzazioni per accettarsi vulnerabili, limitati, imperfetti, persino dappoco, ma capaci, nonostante tutta questa imperfezione, di amare bene e davvero.

Le mie domande per te oggi sono queste:

  1. si vive meglio guardando il mondo e gli altri dalle mente, giudicandolo, o dal cuore, con compassione?
  2. si ama per essere amati indietro o solo perché è bello farlo, per poter vedere, o anche solo immaginare, un sorriso?
  3. quali sono le persone più importanti della tua vita, quelle più vicine a te?
  4. ti accorgi quando queste persone sono angustiate da qualcosa? Quando te ne accorgi, ti fermi ad ascoltarle?
  5. sei diventato un adulto o sei ancora, in tutto o in parte, un bambino?

Un abbraccio.

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Il vero non giudizio richiede uno stato di c …

Il vero non giudizio richiede uno stato di consapevolezza e di evoluzione che non ha quasi nessuno.

Per questo, molti che pur sanno che giudicare è sbagliato finiscono per farlo.

Molti altri, poi, si sentono comunque giudicati anche quando si imbattono in una rara persona che per davvero non giudica.

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«Il bias cognitivo (pron. ‘bai?s) è un patter …

«Il bias cognitivo (pron. ‘bai?s) è un pattern sistematico di deviazione dalla norma o dalla razionalità nel giudizio[1]. In psicologia indica una tendenza a creare la propria realtà soggettiva, non necessariamente corrispondente all’evidenza, sviluppata sulla base dell’interpretazione delle informazioni in possesso, anche se non logicamente o semanticamente connesse tra loro, che porta dunque a un errore di valutazione o a mancanza di oggettività di giudizio.

Un bias cognitivo è uno schema di deviazione del giudizio che si verifica in presenza di certi presupposti. I bias cognitivi sono forme di comportamento mentale evoluto.»

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Le genti hanno fame di numeri, di statistiche …

Le genti hanno fame di numeri, di statistiche, perché vogliono «capire», più vogliono «capire» e più se ne ingozzano, è come se uno dovessero affrontare un viaggio in auto e per guidare bene si scolasse una cassa di birra.

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Quanto c’è di autentico in te e quanto è inve …

Quanto c’è di autentico in te e quanto è invece una maschera che ti sei messo solo perché terrorizzato dal giudizio altrui?

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In tempi di mascherine, ricordati che uno dei …

In tempi di mascherine, ricordati che uno dei problemi principali per la tua felicità è la maschera: quella che ti sei messo per evitare un virus per te molto più terribile, il giudizio degli altri.

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Maschera: la metti per paura del giudizio altrui.

Perché si indossa una maschera?

È sempre per un motivo molto preciso: la paura del giudizio degli altri.

È per questo che una maschera, chi più chi meno, ce l’abbiamo tutti.

La maschera, però, ci impedisce di essere autentici e quindi unitari, centrati, sereni e felici.

Impedisce le relazioni autentiche, perché la maschera è uno degli ostacoli principali all’ascolto, che è lo strumento fondamentale per stabilire una connessione empatica non giudicante, e quindi
genuinamente umana e, come tale, spiritualmente «nutriente» tra esseri umani.

Già è difficile incontrare una persona che sia davvero in grado di e disposta ad ascoltarti, senza interromperti, senza fornire
«soluzioni», senza giudicare, dandoti la sua completa attenzione…

Se però tu, quando anche hai la fortuna di incontrare una persona così, o, il ché è lo stesso, di aver trovato un bravo counselor, fai parlare, anziché te stesso, la tua maschera, come può esserci vero ascolto, se chi parla non è la persona autentica, ma una incrostazione che hai costruito sulla tua personalità perché avevi paura della sofferenza che avresti provato se il tuo autentico sé fosse stato giudicato?

Ecco perché, nelle prime fasi di una relazione di amicizia o di affetto, anche intimo, e di una relazione di aiuto come il counseling, una delle cose più funzionali che si può fare è quello di calare, lentamente, la maschera, fino ad arrivare al punto in cui ne è rimasta meno possibile – un po’ rimarrà sempre, nessuno riesce ad essere mai al 100% autentico, fa parte della complessità umana.

Alla domanda «ti chiedo di essere sincero» si potrebbe rispondere in due modi entrambi curiosi, entrambi estremamente sinceri:
– «a quale delle mie personalità lo stai chiedendo?»
– «lo stai chiedendo al mio vero sé o alla mia maschera?»

Valuta un percorso di counseling.

Evviva noi.

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Quando giudichi, ti dimentichi una cosa fonda …

Quando giudichi, ti dimentichi una cosa fondamentale: nessuno sa davvero niente della vita degli altri. Nessuno, in realtà, sa nemmeno della propria vita quel che crede di sapere…

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Perdona infinite volte come è stato fatto a te.

Ogni volta che parlo di perdono le persone si irrigidiscono, dicono che il perdono «bisogna meritarlo», «è difficile» e «bisogna poi vedere» o addirittura «io non perdono».

Ma i primi che siamo stati perdonati, i primi che ne abbiamo avuto bisogno, che ne avranno sempre comunque bisogno, siamo noi, tutti noi.

Guarda col cuore ai tuoi limiti, alla tua finitezza, ai tuoi peccati – è ora di tornare a spenderla questa parola, perché non è una parola che giudica, ma, all’esatto contrario, un verbo che salva.

Se guardi te stesso e gli altri col cuore, con il punto di vista della compassione, senza avvelenarti con un giudizio, senti subito che sei stato perdonato infinite volte e infinite volte ancora lo sarai.

Per cui puoi perdonare infinite volte tutti gli altri.

Prenditi cura tutti i giorni della tua anima.