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riflessioni

Una giornata nella vita e nella testa di un avvocato.

Premessa

Era da tempo che volevo scriverti un post come questo, per farti vedere di quante e quali cose mi può capitare di occuparmi in un solo giorno preso del tutto casualmente.

agenda chiusa

Ho preso appunto come esempio una giornata a caso di quelle che, da venticinque anni, affronto dal lunedì al venerdì, senza barare, senza modifiche, limitandomi a riportare solo quanto effettivamente svolto, proprio per dare l’idea di come le cose si presentano nella realtà.

Questo mi servirà anche per fare alcune considerazioni più generali su questa professione e sulla trattazione dei problemi legali.

Ho aspettato che trascorresse un po’ di tempo anche per rendere «ancor più impossibile» identificare i protagonisti delle singole situazioni, in ossequio sia al segreto professionale sia ad una esigenza di garbo e delicatezza.

Una mia giornata.

Ecco le cose che mi è capitato di fare nella giornata di cui ho scelto di riportare il lavoro, rigorosamente in ordine di svolgimento.

  1. Nella prima ora, ho fatto una separazione con figli, con il sistema degli accordi in house. Con questo sistema, se i coniugi sono già d’accordo sulle condizioni, in un’ora si scrive direttamente l’accordo, si sottoscrive e lo si può passare per il deposito in Procura, previsto dalla legge.
  2. In seguito, consulenza via zoom per valutare un ricorso cautelare per interruzione di fornitura di energia elettrica in un box auto in un condominio a Celle Ligure, con copertura di tutela legale e necessario coordinamento con la compagnia relativa. 
  3. Appuntamento in studio per un procedimento penale per guida in stato di ebrezza e causazione di un incidente stradale con impossibilità, per tale motivo, di accedere ai lavori socialmente utili. Purtroppo, quando si cagiona un incidente non si possono fare i LSU e si deve necessariamente pensare ad altre strategie per la gestione della situazione.
  4. Appuntamento in studio per una situazione in cui valutare la composizione crisi da sovraindebitamento. Per questo tipo di pratiche, negli Stati Uniti ad esempio esiste una categoria di avvocati specializzata, si chiamano bankruptcy lawyers. Questi avvocati fanno solo pratiche di sovraindebitamento. Hai visto il film «The civil action», quello con John Travolta? Lui alla fine finisce davanti a un tribunale del sovraindebitamento. 
  5. Consulenza telefonico in merita al pagamento di una quota associativa per i membri di un club che non hanno potuto partecipare e frequentare lo stesso a causa delle restrizioni per i non vaccinati.
  6. Incontro presso i servizi sociali di Vignola per trattare la situazione  di una bambina rimasta senza genitori per conto degli altri parenti della stessa, in presenza di un provvedimento del giudice tutelare. 
  7. Consulenza in studio relativamente alla successione testamentaria che ha nominato erede un minorenne con nomina di curatore speciale. 
  8. Consulenza in studio sul diritto di visita e frequentazione dei nonni di un nipote
  9. Consulenza via zoom per un procedimento penale di diffamazione su instagram, dove la persona offesa è un noto virologo…

Specializzazione, tecnicizzazione, mentalizzazione.

Ingranaggi

Quando si cerca un professionista, si tende a focalizzarsi sulla, vera o presunta, «specializzazione».

Anche le nostre istituzioni forensi sono da anni, con davvero poca fortuna, alla ricerca di percorsi che consentano di definire delle specializzazioni, tendenzialmente un po’ come quelle dei medici, in modo che il «consumatore» o «cliente» possa ad esempio rivolgersi ad un familista, un giuslavorista, un penalista, un amministrativista e così via.

La «mania» della specializzazioni è frutto e corollario della tecnicizzazione della professione forense, cioè del passaggio da una situazione in cui l’avvocato era per lo più un umanista, con doti oratorie, di convincimento, di diplomazia, di trattativa, a quella in cui l’avvocato è o si vorrebbe che fosse più un tecnico: non importa la capacità di negoziare e di trovare soluzioni, magari anche innovative, per una determinata situazione, ma per ogni caso si presuppone che ci sia una norma e tutto quello che deve fare l’avvocato è … saperla o, nei casi meno fortunati, essere in grado di andarla a recuperare, per poi proporla ed applicarla.

Questa concezione della trattazione dei problemi legali, che è quella che oggigiorno va per la maggiore, sia presso i profani del diritto, cosa in fondo comprensibile, sia presso i professionisti del diritto, cosa invece meno comprensibile, ricorda la concezione illuminista secondo cui les Juges son la bouche de la loi.

Insomma, un avvocato sarebbe una specie di juke-box o catalogo in cui tu inserisci un problema legale e che relativamente al quale ti fornisce la «soluzione».

In realtà, le cose non stanno affatto così.

Per fortuna e grazie a Dio, il diritto non è quasi mai il modo in cui vengono definiti i conflitti tra gli individui e non mi riferisco solo ai casi conclusi con un accordo o transazione, ma anche a quelli definiti con sentenza – i provvedimenti dei giudici, infatti, sono sempre più creativi e reggono contro eventuali impugnazioni solo perché le parti, nonostante i buoni motivi per ricorrere, non hanno più voglia – e c’è ben da capirle – di essere ancora utenti del sistema giudiziario, dopo aver visto, a loro detrimento, come funziona.

Tagliare la quota di umanità.

Soprattutto, la tecnicizzazione, la pretesa che i problemi e le situazioni della vita siano risolvibili con un «prontuario» dove sarebbero elencate tutte le rispettive soluzioni, in realtà è un movimento, una pulsione o tendenza per rinunciare, scartare e tagliare definitivamente fuori la nostra quota di umanità.

parcheggio solo alieni

Perché disturbarsi ad ascoltare gli altri, magari proprio quegli «altri» con cui siamo meno in sintonia o addirittura in aspro conflitto, quando ci sono dei codici e delle leggi che dicono a tutti cosa bisogna fare e ci sono degli avvocati che si possono pagare per ottenerne l’applicazione?

La tecnicizzazione, e quel suo corollario che è la specializzazione, trascura che in ogni problema legale, prima di venire all’applicazione del diritto, che deve sempre essere lasciata come ultima risorsa utile, si può parlare, ci si può confrontare, si può negoziare, in modo garbato e diplomatico.

L’avvocato con le palle è solo un coglione.

Anzi, la capacità di trattare in modo educato, delicato ed estremamente diplomatico è la prima qualità che deve avere un avvocato, tutto al contrario di quello che sembra credere la generalità delle persone che quando ha bisogno di un legale, cerca il famoso «avvocato con le palle», che poi è un presuntuoso, arrogante, indisponente che si è reso antipatico a tutti da decenni e che non può ottenere nulla di buono perché la buona cooperazione altrui è sempre necessaria per risolvere i problemi, anche e forse soprattutto quando ti rivolgi a un giudice. 

Il grande, e a mio giudizio irrinunciabile, valore della mediazione è proprio questo, che prima di andare a combattere utilizzando strumenti comunque estremamente spuntati come il diritto e il processo civile italiani, si deve passare da una terra di ascolto reciproco, creatività nella definizione di soluzioni di compromesso, dove le tensioni finalmente hanno un’occasione per stemperarsi, dove si scopre che dietro alle posizioni del nostro antagonista ci sono motivazioni specifiche che meritano, se non condivisione, almeno comprensione, considerazione e appunto ascolto e dove, nei casi più fortunati, la questione viene definita con un buon accordo.

La tensione sia della società civile che degli avvocati stessi però non va in questo senso, non c’è una corsa ad aprire le finestre del dialogo, ma una specie di «corsa agli armamenti»: gli utenti vogliono l’avvocato «più bravo», il miglior fico del bigoncio, mentre gli avvocati studiano, studiano, studiano, prendono master, corsi di specializzazione, arrivano a spaccare il capello in quattro però alla fine il risultato è che diventano sempre più ignoranti.

«Più studiano e più diventano ignoranti».

È una cosa che si dice dalle mia parti, a Vignola.

Ignoranti in questo azzeccatissimo motto è usato non nel senso tecnico, relativo all’intelligenza logico razionale, ma fa riferimento a quella emotiva.

Uomo ignora donna

Una «ignorantata» a Modena non è una cosa che non si è saputa per mancanza di conoscenza, ma uno sgarbo, un comportamento inopportuno, che è considerato molto peggio, perché l’ignoranza nel senso proprio del termine, come mancanza di conoscenza, è scusabilissima, mentre il comportarsi da presuntuosi, l’essere maleducati, gratuitamente sgarbati, inopportuni è meno scusabile perché a capire come ci si deve comportare – «come si sta al mondo», sempre a Vignola – ci possono e ci debbono arrivare tutti in teoria, compresi quelli che non hanno potuto o voluto studiare.

Questa tradizionale considerazione è molto vera, perché a forza di studiare l’essere umano sale letteralmente dal cuore alla testa, si mentalizza e perde sempre più di vista la sua quota di umanità, con detrimento suo – la mentalizzazione è alla base della maggior parte dei problemi spirituali delle persone oggigiorno – e di tutti coloro che gli stanno intorno.

La Matrix è tutta intorno a te.

Insomma, è sempre la solita tendenza a far assomigliare sempre più l’uomo ad un robot, che poi è la profezia di molti romanzi di fantascienza da decenni a questa parte che, in qualche modo, si realizza.

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Molte opere distopiche prevedevano un futuro a tinte fosche in cui gli uomini sarebbero stati dominati dalle macchine. È il classico tema, ad esempio, di Matrix, film meraviglioso che tutti conosciamo.

Questo si sta realizzando, con la sola differenza che non ci sono macchine fuori dall’uomo che stanno prendendo il dominio sullo stesso, ma che è l’uomo medesimo a trasformarsi sempre più in macchina, da un lato, o che si tende a dare il potere agli uomini più mentalizzati e più simili a robot o macchine, dall’altro, come ad esempio quando anziché cercare un avvocato che non abbia testa e cuore pieni di segatura, come si dovrebbe fare, se ne cerca uno che sia «specializzato» cosa che non vuol dire nulla.

Meglio un coglione specializzato di uno che non lo è?

Quando uno è un coglione, che sia specializzato non fa altro che ridurre l’ambito dei problemi in cui può dire o fare una cazzata. Può frequentare mille corsi di aggiornamento, prendere cento master, dozzine di laurea, leggere mille libri, tutti intorno al suo argomento di elezione (e che due maroni, peraltro!), ma non uscirà mai da questo, perché un coglione specializzato resta sempre un coglione.

Per non dire poi del fatto che gli utenti della giustizia non sanno capire qual è la specializzazione che in teoria a loro servirebbe – ad esempio cercano un amministrativista per il processo penale scaturito a seguito di un abuso edilizio – e che un problema legale:

  • a) spesso è multifattoriale (esempio tipico gli abusi edilizi appena citati, che spesso vanno affrontati dal punto di vista civilistico dei rapporti coi vicini, penalistico dei reati commessi e amministrativo urbanistico per eventuale sanatoria o comunque ricostruzione del relativo regime giuridico);
  • b) può nascere come pertinente ad un determinato ramo del diritto e finire per sconfinare in un altro (esempio separazione tra coniugi – richiederebbe un familiarista – che come asset hanno una società che detiene beni immateriali – richiederebbe un consulente in proprietà intellettuale).

Ripartire da San Paolo.

«Se è necessario vantarsi, mi vanterò della mia debolezza» (Paolo di Tarso, 2 Cor 11,16-33)

San Paolo ci ha lasciato una tradizione di concetti, considerazioni, costruzioni che sono fondamentali anche per l’uomo di oggi e tali resteranno per qualsiasi uomo, persino del futuro, perché cambiano le epoche, e l’uomo può venire sempre più alienato, ma le esigenze del suo cuore restano sempre le stesse.

mani e fiori

Questa sua frase, contenuta nella seconda lettera ai Corinzi, è ciò da cui dovremmo ripartire tutti, come individui e come professionisti, in una società dove ci si vanta di continuo, dove sistematicamente si cerca, tramite i social ma non solo, di costruire un’immagine di sé diversa dalla realtà, con risultati rovinosi, dove la cifra del relazionarsi con gli altri è quella della presunzione e del giudizio, che è un vero e proprio veleno per chi lo pratica.

Si può ripartire dalla debolezza se non altro perché la debolezza è la realtà vera della condizione umana: siamo così deboli nel corpo e nello spirito che basta un niente – spesso un pensiero, un ricordo, un momento di stanchezza – per gettarci nello sconforto e nel malessere sia dell’anima che del corpo.

La medicina, e soprattutto la scienza, cui oggi molti guardano con ebete fiducia, se non addirittura con fede (del tutto malriposta: la fede può essere solo in Dio, non certo un metodo dell’uomo), non è riuscita a cambiare questo, non è riuscita a cambiare la nostra debolezza: a parte i milioni di persone che tutti i giorni muoiono, è sufficiente pensare alla qualità della vita di chi appunto resta in vita, soggetta a stress, difficoltà, angustie, problemi che lo abbattono.

Se partiamo dalla nostra debolezza, e riconosciamo che è una realtà, diventa tutto più facile: sia le relazioni fisiologiche, sia i problemi legali, che nella pressoché totalità dei casi sono solamente relazioni andate a male, per motivi che ormai dovrebbero esserti chiari.

Ecco come faccio a trattare con soddisfazione e successo problemi di natura così eterogenea come hai visto che mi capitano anche solo in una singola giornata, senza considerare tutte le altre.

Innanzitutto, rinuncio a sapere tutto, poi – prima di andare ad utilizzare la tecnica, e cioè, per un avvocato, il diritto – apro tutte le volte in cui è possibile una fase di dialogo, di ascolto, di confronto, che è tanto più feconda quanto più sono in grado di curarla e attenzionarla e che spesso mi conduce alla soluzione del problema senza bisogno di andare oltre.

San Paolo aveva molte più palle dell’avvocato con le palle.

La prossima volta che cerchi un avvocato cercane uno che sappia e condivida queste cose, non un luminare con quattro lauree con cui poi non riesci a parlare e che non ti ascolta.

Conclusioni.

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Asterisco e schwa: perché deturpare una bellissima lingua?

Se uno commette errori grammaticali é perché ha studiato troppo poco.

Se uno, invece, usa lo schwa, sostituisce le vocali al termine delle parole con l’asterisc* oppure usa parole quali «assessora», «presidenta» e simili é perché ha studiato troppo e, soprattutto, male.

Sono tutte e due forme di ignoranza, anche se di due sottotipi diversi: la prima dovuta ad incuria, la seconda invece frutto di un impegno preciso e protratto non di rado per diversi anni.

Ma sono sicuramente entrambe forme di ignoranza.

Quella più difficile da sconfiggere é sempre la seconda, perché mentre
la prima forma di ignoranza é accompagnata dalla consapevolezza di sé, con conseguente apertura a possibili miglioramenti, la seconda forma é
accompagnata dalla consapevolezza del contrario di sé.

Chi ne é portatore, infatti, non solo non si sente affatto ignorante, ma, esattamente all’opposto, si sente più evoluto e preparato di tutti gli altri.

L’evoluzione della conoscenza pubblica degli ultimi decenni in realtà ha consistito semplicemente nel passare dalla prima forma di ignoranza
alla seconda, il ché per molti aspetti é un netto peggioramento.

Quello che si è ottenuto é infatti che la persone esprimono i propri pensieri senza errori grammaticali veri e propri ma con queste molestie e abbruttimenti, che non va dimenticato sono completamente gratuiti, del linguaggio.

É come se si fosse passato da errori incolpevoli a veri e propri atti di vandalismo dolosi: sul nostro linguaggio poteva un tempo insomma capitare che qualcuno facesse cadere qualche goccia di caffè o di olio, mentre oggi molti vi tirano a bella posta pomodori marci sentendosi, nel farlo, di essere estremamente intelligenti, evoluti e, soprattutto, etici, quando in realtà nello stuprare una bellissima lingua usando
ridicole cacofonie come «assessora» non c’è davvero nulla di etico o di cui essere minimamente orgogliosi, anzi.

Se possibile, rivorrei gli ignoranti di una volta che almeno avevano il pregio di non considerarsi dotti, intelligenti, etici, evoluti: commettevano semplicemente degli errori, ma erano così molto più
autentici.

Evviva noi.

Conclusioni

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