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Offese al datore in gruppo whatsapp: cosa si rischia?

> Ho detto al mio datore di lavoro che fa schifo; lo ho detto in una chat privata con 15 contatti ma ho parlato in terza persona e non ho fatto nomi, il motivo del mio sfogo e’ che paga gli stipendi il 20 del mese successivo, cosa rischio?

1. Se non hai fatto nomi, non rischi in teoria di essere processato per diffamazione, salvo che il destinatario non sia ugualmente identificabile con certezza. ll reato di diffamazione in Italia non è stato depenalizzato, a differenza dell’ingiuria, che oggi rappresenta soltanto un illecito civile. La diffamazione consiste nel ledere l’onore e la dignità di un’altra persona in senso oggettivo, ovvero screditandola agli occhi della società, con l’intenzione di manifestare disprezzo nei suoi confronti.

2. In ogni caso, è importante considerare che anche se non hai fatto nomi, il tuo datore di lavoro potrebbe intuire che sei stato tu a parlare male di lui e questo potrebbe causare una rottura del rapporto lavorativo.

3. Se il tuo datore di lavoro decide di licenziarti, puoi tentare di presenta un ricorso per assenza di presupposti relativi.

4. È importante che tu sappia che non puoi essere licenziato solo perché hai espresso un’opinione contraria al tuo datore di lavoro, anche se la volontà di manifestare disprezzo può essere rilevante.

5. Se il tuo datore di lavoro decide di prendere provvedimenti disciplinari nei tuoi confronti, ha il dovere di spiegare i motivi e di spiegare quale sarebbe stato il comportamento corretto da seguire.

6. Inoltre, se decidi di presentare un ricorso, è importante che tu abbia delle prove documentate per dimostrare la tua posizione.

7. In ogni caso, è importante che tu sappia che il ritardo nei pagamenti degli stipendi non è un comportamento legale e puoi sempre rivolgerti ad un avvocato, cosa che è sempre preferibile rispetto al fare dichiarazioni in un gruppo whatsapp.

Per vedere se il tuo datore di lavoro ti ha denunciato, puoi fare un’istanza del 335.

Se vuoi approfondire ulteriormente la questione, o incaricarmi di fare l’istanza, chiama ora lo studio al numero **059 761926** e prenota il tuo primo appuntamento, concordando giorno ed ora con la mia assistente; puoi anche acquistare direttamente da [qui](https://blog.solignani.it/assistenza-legale/consulenza/): in questo caso, sarà poi lei a chiamarti per concordare giorno ed ora della nostra prima riunione sul tuo caso; a questo link, puoi anche visualizzare il costo.

Naturalmente, se vivi e lavori lontano dalla sede dello studio – che è [qui](https://goo.gl/maps/sS4isyhSuYDnP3Nz5), a Vignola, provincia di Modena, in Emilia – questo primo appuntamento potrà tranquillamente avvenire tramite uno dei sistemi di videoconferenza disponibili, o anche tramite telefono, se lo preferisci. Ormai più della metà dei miei appuntamenti quotidiani sono videocall.

Guarda questo (https://youtu.be/ksoPba2DM1A) per sapere meglio come funzionerebbe il lavoro con me.

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Termini per impugnare scaduti: cosa si può fare?

Note dell’episodio.

In questa puntata, sempre a partire da un messaggio vocale lasciatoci da un ascoltatore, parliamo – affrontando il caso di una persona licenziata per superamento del periodo di comporto – di cosa si può fare quando vengono commessi in primo grado degli errori di conteggio e soprattutto cosa si può fare quando sono scaduti i termini per impugnare.

Riferimenti.

Di seguito, alcuni precedenti post del blog, o puntate del podcast, menzionati durante l’episodio o comunque aventi ad oggetto tematiche collegate a quelle trattate in questa puntata, che ti consiglio di consultare.


[la risposta è nel podcast]

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Sei mesi per licenziamento: quale il regime fiscale?

licenziata dopo 30 anni con una mail. Ho fatto causa. Primo grado perso e vinto. La ditta condannata a reintegrarmi entro 3 giorni oppure a risarcire con 6 mesi di stipendio. Ovviamente non mi hanno ripresa e ho dovuto pignorarli per avere i 6 mesi. Hanno effettuato in Aprile 2018 un bonifico di circa 14.000€ con indicato: pagamento per sentenza X. Non ho ricevuto nessun dettaglio cartaceo. Ho chiesto al mio avvocato cosa fare di queste somme? se e come dichiararle? preciso che sono sempre disoccupata e senza reddito, e il licenziamento risale a 3 anni fa. Nel 2019 come mi devo comportare? faccio denuncia dei redditi? devo pagarci delle tasse? se si a quanto ammontano? come faccio il calcolo? La ditta non avrebbe dovuto inviarmi i conteggi? o versare una Ritenuta Acconto? vi prego aiutatemi… il mio avvocato diceva che i soldi erano netti non da dichiarare, ma mi sono documentata e temo non sia cosi.

Mi dispiace per la tua vicenda.

Come dico sempre, la materia fiscale e previdenziale non è quella che gli avvocati conoscono meglio, per giuste ragioni su cui non mette conto dilungarsi in questa occasione.

Su aspetti del genere, meglio sentire un commercialista o un consulente del lavoro.

In generale, credo che la somma che ti è stata liquidata non corrisponda e non possa essere considerata retribuzione, ma un risarcimento del danno che ti è stato cagionato con il licenziamento.

Se così fosse, ed è una cosa da verificare anche leggendo bene la sentenza, il regime fiscale e previdenziale sarebbe completamente diverso da quello cui sono assoggettate le somme corrispondenti a retribuzione.

Se credi, lo possiamo approfondire, tramite un’apposita consulenza, ma io ti consiglierei di investire prima i tuoi soldi nel parere di un bravo consulente del lavoro, che potrebbe magari sentirsi a riguardo con il legale che ti ha seguito per la causa di lavoro.

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Durante la malattia si può lavorare nell’impresa di famiglia?

Sono dipendente in una azienda, sono in un periodo di malattia a causa di una patologia depressiva (documentata dal medico). Pur essendo a tutti gli effetti in malattia posso svolgere attività lavorativa presso l’impresa di famiglia? Incapperei in un giusto licenziamento da parte del mio datore di lavoro?

Probabilmente hai sentito parlare al telegiornale delle cause di esenzione dall’obbligo di reperibilità relative alla visita del medico fiscale, introdotte dal Ministro Brunetta, con decreto del 18 dicembre 2009.

L’articolo 2 del suddetto decreto prevede i casi di esclusione dai controlli di reperibilità; si introduce infatti il principio dell’esclusione dall’obbligo di reperibilità nei casi in cui l’assenza per malattia sia dovuta a patologie gravi che richiedono terapie salvavita; infortuni sul lavoro; patologie per riconosciuta causa di servizio; stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità riconosciuta.

Ci sono, infatti, patologie per cui è sconsigliato stare a casa, ed è lo stesso medico che consiglia l’uscita.

Il nodo della questione sta nello svolgimento di lavoro costante, cioè non di natura prettamente episodica, presso un’impresa familiare pur godendo di indennità di malattia.

La Cassazione, con la sentenza n. 589/2016 conferma la teoria di una azienda, la quale optava per licenziamento immediato. La condotta del lavoratore, nel caso analizzato dalla Corte, che pur godendo del periodo di malattia, prestava attività lavorativa per conto di terzi, è stata ritenuta di natura tanto grave dai giudici, da rendere assolutamente condivisibile la scelta del licenziamento.

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La sentenza di patteggiamento vale come condanna?

per esperienza personale consiglierei a tutti i militari di stare attenti con il patteggiamento,perche’ l’ambito militare e le gerarchie lo considerano come un’ammissione implicita di colpevolezza e nel mio caso gli effetti sono stati “DEVASTANTI”.Infatti all’epoca il mio avvocato che non cito per opportuni motivi mi fece patteggiare una pena per peculato poi trasformatosi in uso,essendo un militare hanno pensato che non dovessi sbagliare e comunque mi hanno fatto un procedimento disciplinare con “Perdita del Grado per Rimozione”..in sostanza mi hanno addirittura congedato e per aver commesso solo tre (3),telefonate all’166…dove poi le intercettazioni non erano corrette!!
il mio caro avvocato mi aveva detto non ti preoccupare e’ la migliore soluzione non succede nulla al massimo ti danno qualche giorno di rigore che poi fai cancellare ,e meno male e se succedeva qualcosa che facevano?..mi decapitavano???
un militare…coinvolto,ma semplice ed umile..ed anche Onesto

Grazie innanzitutto di avermi scritto, ho letto davvero con piacere la tua mail perché mi piace che, almeno ogni tanto, il blog non venga usato solo per chiedere, ma anche per dare un contributo, condividere un’esperienza, mettendola a disposizione di tutti.

Dal mio lato, posso dire che è verissimo quanto riportato dal nostro lettore, tanto più che dal 2003 la sentenza di patteggiamento è per legge equiparata ad una sentenza di condanna. Lo prevede l’art. 445, comma 1bis, del codice di procedura penale, introdotto dalla legge 12 giugno 2003, n. 134.

Si tratta, quindi, di una circostanza da valutare attentamente quando si deve valutare se patteggiare o meno. Non sei nemmeno il primo che mi racconta una storia del genere, so anche di altre persone che sono state licenziate da settori civili della pubblica amministrazione per avere patteggiato una sentenza di condanna.

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Che cosa fare quando il tuo capo vuole licenziarti e riassumerti tramite una cooperativa?

Sono un’infermiera di 48 anni assunta con contratto a tempo indeterminato (studi professionali) presso uno studio associato di medici di base della regione Veneto. Ho un’anzianità di servizio di 5 anni. I miei tre datori di lavoro mi hanno comunicato che intendono interrompere il rapporto di lavoro diretto con me e la mia collega per “passare” a una Cooperativa Sociale, la quale ci riassumerà. Noi continueremo a lavorare “come prima” nello studio ma alle dipendenze della cooperativa con il contratto delle cooperative sociali. Mi risulta che questo in base all’art. 126 del CCNL Studi Professionali sia un caso di “licenziamento simulato”. Ci hanno anticipato che dovranno chiederci di dare le dimissioni in questo modo potremo essere riassunte dalla cooperativa mantenendo lo stesso trattamento economico, ma è tutto molto fumoso. Come mi devo comportare? Rifiutare le dimissioni? Farmi licenziare e poi riassumere? Lo studio è piccolo e fino ad ora i rapporti sono stati buoni.

L’art. 126 del contratto collettivo nazionale per i dipendenti degli studi professionali prevede quanto segue: «Il licenziamento del lavoratore seguito da nuova assunzione presso la stessa sede di lavoro deve considerarsi improduttivo di effetti giuridici quando sia rivolto alla violazione dei diritti del lavoratore e sempre che sia provata la simulazione. Il licenziamento si presume comunque simulato – salvo prova del contrario – se la nuova assunzione viene effettuata entro un mese dal licenziamento».
Quindi un minimo di tutela per i casi come il tuo è prevista, anche se l’onere di dare comunque la prova della simulazione suscita un po’ di perplessità, anche a fronte dell’eventualità che il nuovo contratto venga redatto, come non mi stupirei se avvenisse, in modo da creare una parvenza di verosimiglianza, ad esempio indicando come sede di lavoro, almeno sulla carta, una diversa unità produttiva.
Bisogna, d’altro canto, guardare in faccia la realtà: con questa operazione i tuoi datori non ti danno assolutamente qualcosa in più, né ti mantengono nella stessa posizione di prima: se passi, da dipendente quale sei ora, a lavorare per loro come socia di una cooperativa sociale può anche darsi che tu mantenga lo stesso stipendio a fine mese, ma perdi molti diritti, ad esempio sei molto meno tutelata da ipotesi di licenziamento «effettivo», e probabilmente anche ulteriori e diversi trattamenti economici ne saranno intaccati, come quello pensionistico, visto che la contribuzione non è certamente corrispondente (ma di questo, ovviamente, ti accorgerai solo in futuro).
Detto questo, non mi sento nemmeno di gettare completamente la croce addosso ai tuoi datori di lavoro che stanno facendo quello che purtroppo fanno molti altri datori in questo periodo, dando luogo al più vasto fenomeno di precariato che si sia mai avuto in Italia dal secondo dopoguerra. Alcuni di questi datori vi sono veramente costretti, nel senso che se non riuscissero a trovare forme di inquadramento alternativo dovrebbero sopprimere il posto di lavoro, altri semplicemente se ne approfittano.
Alla fine di tutto, io ti consiglierei di parlare apertamente e con chiarezza con i tuoi datori di lavoro. Nelle piccole realtà economiche come sono generalmente gli studi professionali si è un po’ tutti, in una certa misura, sulla stessa barca. Ovviamente, poi, dovrai fare anche valutazioni di stretta convenienza, perché se è vero che con questa operazione ti stanno togliendo alcuni diritti, è anche vero che non ci sono molte alternative in un periodo come questo, anche se la professionalità dell’infermiere è abbastanza richiesta.