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Padre scomparso: possono esserci conseguenze negative?

la mia domanda è molto semplice.
Nel 1987 mio padre ha abbandonato il tetto coniugale lasciando mia madre con debiti (al tempo lei era casalinga) ma soprattutto ha abbandonato me che avevo 11 anni e mia sorella che ne aveva 1.
In tutti questi anni non abbiamo avuto contatti e lui non ha mai dato nè una lira nè un euro a noi figlie..
Sappiamo da Facebook che abita a Bologna.
I carabinieri allora consigliarono a mia madre di lasciarlo stare che noi saremmo state molto meglio senza di lui.
Vorrei sapere se per legge nel caso lui avesse problemi economici,legali o di salute potrebbero venire a cercare noi figlie.
Cosa possiamo fare per tutelarci?

La semplicità di una domanda, o la sua apparente semplicità, ha ben poca rilevanza, spesso la risposta può essere complessa, quindi diciamo che conta poco.

Nel tuo caso, i principali possibili problemi direi che siano due: potresti essere chiamata ad una eredità piena di debiti, nel momento in cui tuo padre dovesse venir meno, e potresti invece, quando lo stesso fosse ancora in vita, essere chiamata per la prestazione degli alimenti.

Per quanto riguarda l’eredità, se dovesse verificarsi questa ipotesi si potrà valutare di fare la rinuncia all’eredità. La rinuncia non si può fare, invece, finché una persona è in vita, la cosa è esclusa dal noto divieto dei patti successori. Pertanto, su questo al momento non puoi fare niente, ma puoi già stare tranquilla che, quando sarà, potrai tutelarti appunto con una rinuncia.

Per ciò che concerne, invece gli alimenti previsti, per antica tradizione, dall’art. 433 cod. civ. e seguenti, non c’è niente che tu possa fare per tutelarti, nel senso che non esistono modi per recidere, nonostante la situazione e il vissuto di abbandono, il rapporto di parentela tra voi, che è dalla legge posto alla base dell’applicazione della normativa relativa.

C’è da dire che oggi una applicazione, almeno una applicazione pura e semplice, dell’istituto degli alimenti è piuttosto rara, per via dell’esistenza di molteplici provvidenze da parte dello Stato e degli enti pubblici per coloro che si trovano in stato di bisogno, cui tuo padre attingerebbe prima di venire a rivolgersi eventualmente a te.

Inoltre, la regolamentazione degli alimenti è comunque ben dosata e calibrata, considerando anche la situazione economia della persona tenuta all’obbligo.

In una situazione come la tua, onestamente io al momento non farei niente. Se proprio vuoi, si può approfondire il secondo aspetto, quello relativo agli altrimenti, per capire se e come potrebbe essere applicato in una situazione come la vostra.

Se vuoi procedere con questo approfondimento, o vuoi comunque consulenza o assistenza professionale da parte mia, chiama il numero dello studio 059 761926 e prenota il tuo appuntamento.

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Legame di affinità: cessa con la morte?

devo chiedere la residenza presso la mia matrigna vedova, all’anagrafe mi hanno detto che devo scrivere Non sussistono rapporti di coniugio, parentela, affinità, adozione, tutela o vincoli affettivi con i componenti della famiglia già residente in quanto mio padre è deceduto. Ho fatto delle ricerche in rete che dicono che c’è affinità, è giusto ? Lo chiedo perché se fosse vero quello mi hanno detto all’anagrafe si creerebbero due nuclei distinti e in tale caso io potrei chiedere l’esenzione del ticket per reddito

L’affinità è la relazione che lega un coniuge ai parenti dell’altro coniuge.

Un legame non di sangue, dunque, ma mediato da un matrimonio con effetti civili.

Secondo il codice civile, «L’affinità non cessa per la morte, anche senza prole, del coniuge da cui deriva, salvo che per alcuni effetti specialmente determinati. Cessa se il matrimonio è dichiarato nullo, salvi gli effetti di cui all’articolo 87 n. 4» (art 78, comma 3°).

Se ho ben capito, questa donna, che definisci la tua «matrigna», aveva sposato tuo padre, determinando la nascita di un rapporto di affinità tra di voi.

Dal momento che dici che ora è vedova, immagino che tuo padre sia nel frattempo purtroppo deceduto, ma il rapporto di affinità, a mente del codice civile, permane tra di voi.

Per quanto riguarda le disposizioni di stato civile, si tratta di aspetti che andrebbero approfonditi: ti consiglio di parlarne con i funzionari dell’ufficio di stato civile e, solo se del caso, di acquistare una consulenza da un avvocato per un adeguato approfondimento.

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Sorella in coma: quanto pago di alimenti?

mia sorella 2013 ha avuto un emorragia cerebrale ed e`finita in coma nel quale sta ancora oggi. Lei dal 2013 sta in un centro di cura. Fino adesso le spese del centro di cura sono state pagate dal nostro papa, che tra breve non potrà più pagare queste spese. e toccherà a me a pagarle, visto che sarò l`unico parente rimasto. Come fratello sarò obbligato a pagare “nella misura dello stretto necessario” – c`e`un massimo che mi possono prendere mensilmente, si sa circa con quale cifre dovrò calcolare?

Come potrei indicare una cifra se non mi dici nemmeno quale è la retta del centro di cura?

Ad ogni modo, le disposizioni del codice civile contengono solo principi di massima, che poi devono essere «attualizzati» nel caso concreto appunto a seconda della situazione esistente.

Il compito di tradurre in indicazioni operative concrete, e quindi nella determinazione di un ammontare mensile, spetta agli operatori giuridici e quindi, in assenza di un organo amministrativo, all’eventuale giudice che si dovesse occupare della questione.

Il giudice naturalmente valuterà nel caso tutta la situazione e quindi anche il tuo reddito, per tradurre l’indicazione del codice civile in una statuizione concreta ed applicabile.

Ti suggerirei però, prima di arrivare a questo, di interpellare gli enti di assistenza preposti per il territorio, perché per malati di questo genere solitamente esistono interventi pubblici in grado di coprire buona parte della retta, se non tutta.

Anche perché il problema è – parlo anche per esperienza di una causa di cui ho avuto occasione di occuparmi al riguardo – che l’unica legittimata a chiedere gli alimenti è la tua stessa sorella che, essendo in coma, potrebbe farlo solo tramite un amministratore di sostegno che le venisse nominato.

Mentre invece la struttura in cui si trova non è legittimata ad alcunché, inoltre è discutibile che possa, anche qualora non venisse corrisposta la retta, dimetterla sic et simpliciter.

Per questi motivi, ti consiglierei di cercare di coinvolgere gli enti interessati, cominciando, in caso tu non sappia bene quali possano essere per il tuo territorio, a sentire dai servizi sociali.

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Secondo matrimonio: i figli del nuovo coniuge ereditano dall’altro?

sono divorziata (10 anni fa il mio ex marito è deceduto) e ho una figlia dal primo matrimonio. Vorrei risposarmi con un uomo che ha ottenuto l’annullamento alla Sacra Rota e con un figlio. Entrambi possediamo dei beni. I beni di cui siamo in possesso oggi possono rimanere ai nostri rispettivi figli in caso di decesso di uno di noi due?

È un problema classico e ricorrente per il quale non esiste una soluzione magica: si vorrebbe che, pur dopo il secondo matrimonio, il nuovo coniuge fosse escluso dall’asse ereditario a favore dei figli di «primo letto».

Sennonché, purtroppo, il coniuge è un erede necessario.

Per cui questo problema e questa situazione non si possono affatto aggirare, ad esempio, con un testamento che, qualora pretermettesse (o, ancora peggio, fosse reciproco) il coniuge, potrebbe da costui essere impugnato.

Quindi in caso di, ad esempio, tuo decesso, i tuo beni andrebbero divisi tra i tuoi figli di «primo letto» e il tuo attuale marito; quando poi il tuo attuale marito venisse a mancare, una porzione dei tuoi beni andrebbero ai suoi figli di primo letto, che con te non sono legati da rapporti di parentela, ma solo di affinità e rispetto ai quali tu vorresti che fossero preferiti i tuoi stessi figli.

Per superare questo problema si devono valutare soluzioni diverse, che però hanno sempre degli svantaggi, come ad esempio intestare direttamente i propri beni ai propri figli, eventualmente con riserva…

In ogni caso, è un aspetto che, riguardando cose fondamentali per la tua vita personale e familiare, è bene approfondire con la dovuta accuratezza.

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Gradi di parentela: come si calcolano.

albero genealogico

 

«Lei discende dai Borboni? Allora siamo parenti: da piccolo in casa tenevo un barboncino.» (Totò, Il monaco di Monza)

La rilevanza della parentela.

Molto spesso, per determinate pratiche, sono rilevanti ai sensi di legge i gradi di parentela.

Il primo e più emblematico esempio sono le successioni, che vengono devolute ai parenti sino al sesto grado, mentre, se mancano parenti entro questa cerchia, l’eredità viene data allo Stato. Un altro caso molto importante nella pratica è quello del ricorso per amministratore di sostegno, che, sempre per legge, deve essere notificato a tutti i parenti entro il quarto grado. Generalmente, la parentela non rileva oltre il sesto grado, ma ci sono eccezioni in casi particolari (art. 77 cod. civ.): tecnicamente, dunque, un legame oltre al sesto grado non è parentela e le persone dalla legge sono considerate, almeno ai fini legali, estranee tra di loro.

Le persone comuni, quelle che non hanno compiuto studi giuridici, al riguardo tendono naturalmente a fare una certa confusione, perché nel linguaggio corrente si parla di gradi di parentela, ad esempio quando si fa riferimento ai celebri «cugini di primo grado» oppure «cugini di secondo grado», in modo atecnico; ebbene, questi gradi non hanno niente a che vedere con quelli previsti dalla legge italiana, e nello specifico dal codice civile, che sono gli unici rilevanti per qualsiasi pratica legale uno debba portare avanti.

Vediamo quindi di capire come si determinano, a tutti gli effetti di legge, i gradi di parentela.

Chi sono i parenti per la legge italiana?

Ma prima ancora di questo va chiarito che, per la legge, la parentela è solo il rapporto (art. 74 cod. civ.) che lega persone che discendono da uno stesso capostipite (chiamato stipite dal codice civile). Anche qui c’è una differenza rilevante con il linguaggio e le nozioni comuni, dove poniamo un cognato, sempre ad esempio il fratello di una moglie, è considerato genericamente un parente, mentre per la legge non è affatto un parente ma un affine (art. 78 cod. civ.).

Chiarita la nozione di parentela, che in diritto è molto più ristretta di quella comune, va detto che essa, poi, comunque, può essere parentela in linea retta, come nel caso delle persone che discendono le une dalle altre, come nell’esempio tipico padre e figlio, oppure collaterale, nel caso appunto delle persone che, pur avendo uno stipite comune, non discendono l’una dall’altra, come ad esempio i cugini.

Come si computano i gradi di parentela?

I gradi di parentela si determinano in modo diverso per la linea retta e per quella collaterale.

  • In linea retta, si contano le singole generazioni e si sottrae lo stipite comune. Ad esempio, un figlio è dunque un parente di primo grado rispetto al padre, un parente di secondo grado rispetto al nonno, di terzo grado rispetto al bisnonno. Nel caso del figlio abbiamo infatti due generazioni, dalle quali sottraiamo lo stipite (2-1=1) e così via per nonno e bisnonno.
  • In linea collaterale, si prende la persona di riferimento, si sale allo stipite comune, si scende all’altra persona in relazione alla quale si vuole calcolare il grado di parentela e si sottrae sempre lo stipite comune. Facciamo l’esempio dei cugini, figli di fratelli. Partiamo da un cugino, saliamo al padre di costui, quindi al nonno, quindi scendiamo al padre dell’altro cugino e infine all’altro cugino stesso. Abbiamo 5 passaggi, cui dobbiamo sottrarre lo stipite comune, per un totale finale di 4: i cugini sono parenti di quarto grado. I figli di cugini (quelli che nel linguaggio comune sono conosciuti come cugini di secondo grado) sono parenti di sesto grado. I loro eventuali figli (nipoti di cugini) non sono più parenti tra loro, nel senso che per la legge italiana il legame di sangue è talmente lontano che non merita che allo stesso siano ricollegati effetti giuridici.

Quindi a titolo esemplificativo sarebbero:

  • Parenti di primo grado
    • Figli e genitori (linea retta)
  • Parenti di secondo grado
    • Fratelli e sorelle; linea collaterale: sorella, padre (che non si conta), sorella.
    • Nipoti e nonni; linea retta:  nipote, padre, nonno (che non si conta).
  • Parenti di terzo grado:
    • Nipote e zio; linea collaterale: nipote, padre, nonno (che non si conta – zio).
    • Bisnipote e bisnonno; linea retta: bisnipote,  padre, nonno, biche sonno (non si conta).
  • Parenti di quarto grado:
    • Cugini;  linea collaterale: cugino, zio, nonno (che non si conta), zio, cugino.

Per capire ancora un po’ meglio, e contestualizzare più in concreto, può essere utile consultare questo prospetto.

Fare l’albero genealogico.

Quando dobbiamo gestire una delle pratiche in cui è rilevante la parentela esistente all’interno di una determinata famiglia, come nel caso già citato dell’amministrazione di sostegno, dove il ricorso relativo deve essere notificato a tutti i parenti entro il quarto grado, chiediamo ai nostri clienti di compilare insieme a noi un albero genealogico della loro famiglia, tenendo presenti le persone tuttora viventi e, in qualche caso, anche quelle premorte che, in alcune pratiche, come tipicamente quelle di successione, in base all’istituto della rappresentazione, potrebbero continuare ad essere rilevanti in caso vi siano discendenti.

Tramite questo albero, si riesce ad avere, alla fine, l’elenco delle persone di cui si deve tener conto nella conduzione della pratica, spesso ai fini delle notifiche che, come diciamo sempre, sono un momento assolutamente essenziale nella gestione di qualsiasi pratica legale su cui un bravo avvocato non può mai agire in modo approssimativo, perché una notifica sbagliata può rovinare un intero processo, magari dopo che si è protratto per anni.

La ricostruzione dell’albero genealogico è quindi un momento importante, da condurre con cura e attenzione, insieme al proprio legale di fiducia, necessario proprio per lo scollamento esistente tra le nozioni comuni di parentela e quelle legali, piuttosto diverse tra loro.

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Sposare un uomo con figli può dare problemi ai miei familiari?

Il mio fidanzato è separato legalmente da anni da una donna con cui ha avuto un figlio ora quarantenne che attualmente ha perso il lavoro.
Da una seconda compagna ha avuto due ragazze ora quasi venticinquenni, una lavora l’altra deve specializzarsi dopo la laurea breve. Ha intenzione finalmente di divorziare e sposarmi.
Lui non ha beni o proprietà tranne la pensione.
La mia domanda è questa: un domani che ci sposassimo le due famiglie possono in qualche modo legalmente rivalersi su di me nel caso lui (il più tardi possibile ovviamente) mancasse?
La mia famiglia ha alcune proprietà frutto di sacrifici e le mie sorelle temono di rimetterci economicamente se loro possono avere dei diritti per farlo.

Con il divorzio, il rapporto di coniugio che ancora sussiste, sia pur affievolito dalla separazione, anche se sono trascorsi molti anni, verrebbe a cessare.

Rimarrebbero, ovviamente, sempre i rapporti di filiazione con il primo figlio e le ulteriori due figlie avute dalla seconda relazione.

In caso di suo decesso dopo il vostro matrimonio, l’eredità del tuo attuale fidanzato e futuro marito verrebbe suddivisa in ragione di 1/3 a te quale moglie e 2/3 ai tre figli – salvo ovviamente che non abbiate ulteriori figli anche voi. A te rimarrebbe, inoltre, il diritto di abitazione sulla casa familiare, sempre che ovviamente ne sussistano le condizioni di legge, tra cui principalmente la proprietà della stessa, aspetto che ho trattato in un precedente post che ti invito a leggere.

Il rapporto che ci sarebbe tra i tuoi parenti come ad esempio le tue sorelle e il tuo futuro marito e i suoi figli sarebbe di affinità. Gli affini in alcuni casi, come quello dei suoceri, sono tenuti agli alimenti (art. 433 cod. civ.), ma non anche in quello dei fratelli del coniuge.

Per cui non vedrei possibili problemi da quel punto di vista, salvo approfondire maggiormente la situazione in concreto in tutti i suoi dettagli, cosa che può dare una sicurezza maggiore.

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Quali sono i diritti successori tra figli di primo e secondo letto?

caso di matrimonio di secondo letto.Lui ha 3 figli dalla prima moglie,poi vedovo.si sposano in comunione di beni.Lei ha una figlia con lui.In tutto hanno 4 figli: 3 figli sono del marito con la prima moglie deceduta ed 1
figlia con la seconda moglie.Lei non lavora e riceve una eredità dopo il matrimonio ed intesta tutto alla figlia.Lascia testamento.Il conto bancario e la casa sono intestati tutti ala figlia.Lei riceve la pensione di reversibilità del marito ed i figli dopo la morte del padre non hanno mai avuto niente perché lei dice che non ha mai avuto niente.Possono i figli anche in presenza di testamento della madre che lascia tutto alla figlia biologica,rivalersi su una qualche eredità in caso di morte della madre,o no?

Il caso non è descritto con la chiarezza che sarebbe stata necessaria.

Purtroppo, le situazioni familiari e successorie sono molto complicate, proprio per questo è spesso indispensabile parlarne di persona con un avvocato, o quantomeno approfondire adeguatamente tramite telefono, incontri nel corso dei quali il professionista può fare le domande e chiedere i chiarimenti necessari per capire il fatto nei suoi termini essenziali.

In generale, si può dire solo che i figli di primo letto del «padre» sono suoi eredi, quindi avrebbero dovuto ereditare da lui quanto presente nell’asse al momento dell’apertura della successione e cioè della morte.

Non sono invece chiamati alla successione della seconda moglie del padre, rispetto alla quale hanno solo un rapporto di affinità e non anche di parentela.