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Lo psicologo giuridico nella crisi familiare.

Riporto un contributo della dott.ssa Anna Perez, che inizia una collaborazione con lo studio come psicologo giuridico, una figura che, come spiega il post, può essere molto utile nella gestione delle crisi familiari, specialmente quando ci sono figli (Tiziano Solignani).

«Quando le separazioni e i divorzi diventano conflittuali o giudiziali, può essere utile l’intervento di uno psicologo giuridico per tutelare i minori coinvolti.

Anna Perez


Le separazioni e i divorzi sono degli eventi di vita stressanti, paragonabili a dei veri e propri lutti: la persona con la quale eravamo coinvolti affettivamente ed emotivamente viene a mancare nella nostra quotidianità, costringendoci a rimodulare il nostro tempo, i nostri spazi e le nostre azioni. Avviene ciò che Brodbeck definisce una vera e propria revisione della propria routine quotidiana e delle proprie prospettive future (et.al., 2017). La risoluzione di questa condizione richiede tempo, e se per alcuni è un processo molto doloroso, per altri può esserlo meno.


Alcuni soggetti riescono comunque ad affrontare questo evento e a riprendere in mano la loro vita vivendola anche come una sorta di ripartenza; altri, invece, sprofondano in un baratro senza apparente via d’uscita, ripercuotendo le loro frustrazioni e i loro malesseri nelle situazioni e nelle persone che li circondano.
Ecco perché è importante che, nel caso in cui vi siano dei minori coinvolti, questi ricevano comunque le cure e il sostentamento di cui hanno bisogno dalle proprie figure genitoriali.


Ma allora che ruolo svolge, in tutto questo, la figura dello psicologo giuridico?


Quello di supportare i genitori, attraverso strumenti standardizzati come i test per l’individuazione dei punti di forza e di debolezza delle figure genitoriali nelle varie situazioni di accudimento dei figli.


Come stabilito dal protocollo di Milano (2012), le competenze di base richieste da ciascuna parte sono basate da fattori plurimi, che non riguardano solo le cure volte al soddisfacimento dei bisogni primari – quali l’alimentazione e i bisogni igienico-sanitari – ma anche alla comprensione dello stato d’animo e dell’emotività del minore, rispettandone l’andamento evolutivo, l’età e le esigenze personologiche.
Il ruolo dello psicologo giuridico, in questo senso, può supportare l’accesso e la mediazione volta alla salvaguardia della genitorialità e potrebbe altresì valutare la proposta di un percorso volto al principio della bigenitorialità, ovvero nel diritto imprescindibile di un figlio ad avere rapporti stabili con entrambi i genitori ed accesso ad entrambe le famiglie di origine ad eccezione di situazioni pregiudizievoli (legge n.54 del 9 febbraio 2006).


Attraverso strumenti come il Parent Awareness Skills Survey (PASS), messo a punto dal prof. Barry Bricklin, il genitore viene posto di fronte a 18 problemi tipici dell’accudimento dei figli e pertanto è possibile far luce su quelli che rappresentano i punti di forza e di debolezza in alcune tipiche situazioni. Lo scopo non consiste nel testare l’ampiezza o la portata delle abilità, ma nel raggiungere una maggiore consapevolezza del genitore rispetto alle sue abilità in alcune aree, analizzandone i punti critici e rimodulandole con il supporto dello psicologo.


Il test Assessment of Parenting Skills: Infant and Preschooler (APSIP), permette di valutare le abilità parentali di ciascun genitore quando i figli hanno un’età inferiore ai cinque anni, ed è un altro possibile strumento che lo psicologo giuridico può scegliere di applicare.

Ancora, il test “Parent Perception of Child Profile” (PPCP), permette di raccogliere diverse informazioni relative a più aspetti di vita del bambino (routine quotidiana, medica, scolastica, ecc.) e permette al consulente di determinare che percezione ha un genitore del proprio figlio in relazione ad una varietà di situazioni, fornendo una cornice utile per valutarne l’accuratezza. Inoltre, questo test risulta utile nei casi in cui si dichiari che la babysitter o il nuovo compagno dell’ex coniuge, con cui il bambino è a contatto, non si prenda cura del minore in modo adeguato. Questo test permette infatti di confermare o confutare le accuse, o di individuare le aree di debolezza da potenziare nella cura del figlio, in modo da ottenere un livello soddisfacente di serenità per il genitore che ha presentato la domanda di accusa.


Il professionista può porre l’attenzione su elementi di rischio quali una possibile adultizzazione del minore coinvolto, un linguaggio inadatto rispetto all’età, una campagna denigratoria di un genitore verso l’altro, al fine di prevenire il senso di colpa del bambino e anche la paura dell’abbandono e della perdita dell’altro genitore.

Pertanto, lo scopo dello psicologo giuridico è quello di promuovere – soprattutto in casi di separazione conflittuale – una collaborazione tra ex partner, nello svolgimento di una corretta funzione genitoriale, nella tutela e nella salvaguardia del minore.»

Dott.ssa Anna Perez

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Alienazione genitoriale o PAS: ma esiste davvero?

L’avvocato che mi sta seguendo la causa per la separazione giudiziale, che dura ormai da anni, purtroppo, mi ha proposto di agire nei confronti della mia ex moglie perché dice che potremmo chiedere un risarcimento, addirittura, per via del fatto che i miei bambini rifiutano di incontrarmi, molte volte. Davvero ciò sarebbe possibile? (Marco, Roma)

Caro Marco, il tema che mi dai l’occasione, attraverso la Tua domanda, di affrontare (peraltro senza pretesa alcuna di esaustività) è senz’altro delicato e, decisamente, molto denso di sfumature e, peraltro, personalmente, per me madre separata, carico anche di significato personale.

La verità e l’esperienza comune è che, spesso, i bambini si trovano “avvolti”, coinvolti ….direi, avvinghiati e, forse… la parola giusta è PRIGIONIERI tra i “paletti” della crisi della propria famiglia.

Tra una madre ed un padre che essi sperano di accontentare, di rendere felici, le cui tendenze cercano di assecondare e, a modo loro, di comprendere.

Quando si parla di “alienazione genitoriale” ci si vuole riferire proprio a quella teoria, in quest’ultimo anno –galeotte alcune decisioni della Suprema Corte sul tema, latamente inteso- molto trendy, per cui (per dirla semplicisticamente) uno dei due genitori (molto più spesso, la madre) in genere il genitore collocatario, quello con il quale vivono i bambini, per intenderci, INDOTTRINA i figli, FA LORO una sorta di LAVAGGIO DEL CERVELLO, al fine di fare odiare e RIFIUTARE l’altro genitore, ciò con pesanti conseguenze che influiscono sul corretto regime delle visite e, a lungo andare, com’è facilmente intuibile, sull’intera RELAZIONE FIGLIO-GENITORE e sull’ esistenza del bambino, anzi, del futuro adulto, poi quasi sempre  problematico.

Preliminarmente, va specificato che, almeno in Italia, non vi è FONDAMENTO SCIENTIFICO, ovvero una RICOSTRUZIONE NOSOGRAFICA di questa “malattia”: cioè non vi è un trattato, un manuale diagnostico ove essa (come sopra descritta) appare classificata e ove siano previsti per essa rimedi, cure, terapie.

Non sono un’esperta in psicologia, il mio è un altro settore, ma, volendo conoscere la questione più a fondo, ho notato qualcosa di abbastanza interessante, utile per comprendere meglio la questione: il “creatore” di questa teoria della cd. “P.A.S.” (Parental Alienation Syndrome = Sindrome da Alienazione Genitoriale) è riconosciuto nella persona di Robert Gardner e la nascita di questa idea è legata all’esigenza della difesa giudiziaria di padri che abusavano dei propri figli e che, di conseguenza, si rifiutavano di incontrare poi il genitore maltrattante, rifugiandosi nell’ambito del genitore che, d’altro canto, manifestava eccesso di protezione.

Da ciò, l’affermazione della volontà di ALIENAZIONE, allontanamento, estraniazione da parte del genitore iperprotettivo da quello “rifiutato”, appunto, alienato dal figlio.

Sicuramente, esiste e spesso si configura l’allontanamento dei figli rispetto al genitore non collocatario, cioè quel genitore col quale NON vivono, e mi viene da dire che, in un contesto di crisi familiare, un ruolo fondamentale è giocato proprio dal BUON SENSO delle parti in causa, nel cercare di comprendere che spesso per il bambino “la colpa è di chi NON c’è”… Non dimentichiamo mai che i bambini sono ESTREMISTI e CONSERVATORI quando si tratta della propria famiglia: sono più legati alla tradizione del “Mulino Bianco”! Insistere nell’intento di voler legare per forza un bambino al padre o alla madre non sempre è positivo. La regola della  “valutazione caso per caso” è assolutamente d’obbligo in questo settore.

D’altronde, I.M.H.O., la “lente” della P.A.S. non è poi così convincente, se si guarda alla sua origine, ai suoi sviluppi ed al fatto che ancora non ve n’è riconoscimento scientifico fondato, almeno nel nostro Paese; è di certo “comoda” è facilmente strumentalizzabile, sembrerebbe spiegare alcune anomalie nei rapporti di cogenitorialità che l’ormai normativamente imposto affido condiviso vuole funzionare, ma che spesso non funziona affatto.

Voler fondare sull’apparente sussistenza di una Sindrome simile persino una domanda volta al risarcimento del danno mi pare un pò una forzatura. Quantomeno, non credo sia la “strada giusta” se come obiettivo si ha quello del BENESSERE DEI PROPRI FIGLI.

Vero è che vi sono alcune pronunce, in tal senso, anche dalla Suprema Corte, questo per dire che A PRIORI nulla può essere escluso, ivi compresa la possibilità di risarcimento qualora venga effettivamente e compiutamente diagnosticato un caso di alienazione genitoriale.

In casi analoghi, però, si badi bene, è stata necessaria la dimostrazione PUNTUALE della CAMPAGNA DENIGRATORIA posta in essere da uno dei genitori contro l’altro, nei confronti del figlio; spesso, si rendono necessarie anche l’AUDIZIONE DEL MINORE, nonchè idonea Consulenza Tecnica d’Ufficio che vada a confermare simile diagnosi all’organo giudicante.

Il tema è di una tale vastità e delicatezza, da aver potuto qui, com’è ovvio, fornire solo alcuni spunti, passibili, in futuro, di opportuno approfondimento.

Personalmente, Marco, al posto tuo, spenderei le mie energie più per un’accurata psicoterapia e per la mediazione familiare, al fine di comprendere le reali cause della vostra situazione di disagio, tua e dei tuoi bambini, e cercare di porvi rimedio, con i giusti tempi e le migliori speranze per il futuro della vostra famiglia, auspicando la collaborazione della madre, che, per quanto, per ora, tua “controparte” è e resterà sempre la madre dei Tuoi figli.