In questa puntata di radio Solignani, rispondo al seguente quesito, inviato al blog da un lettore:
Ho avuto una grave ingiustizia dal tribunale di bergamo.
Riferimenti.
Di seguito, alcuni precedenti post del blog, o puntate del podcast, menzionati durante l’episodio o comunque aventi ad oggetto tematiche collegate a quelle trattate in questa puntata, che ti consiglio di consultare.
In questa puntata del podcast, parlo per l’ennesima volta della tutela legale.
Come sai, sono un fan assoluto delle polizze di tutela legale, che sono l’unico sistema per poter affrontare serenamente un contenzioso.
Finalmente posso parlare e dire con la mia viva voce tutto il bene che penso di queste forme di assicurazione e le cose principali relative al loro funzionamento.
Se non hai una polizza di tutela legale, non perdere altro tempo: corri a fartene una e cerca di mantenerla nel tempo.
Vedrai che prima o poi questo consiglio si rivelerà oro puro.
È una delle convinzioni più diffuse. Sono 22 anni che me la sento ripetere e chissà quante altre volte ancora mi capiterà, probabilmente per sempre.
Vera o falsa?
Parliamone. Può essere utile per capire meglio la realtà che ci circonda, una circostanza, a sua volta, sempre utile per vivere meglio.
Per aversi una casta, è indispensabile che ci sia almeno un privilegio, cioè una posizione di favore di cui una certa categoria, per il solo fatto di essere tale, gode.
Si può leggere infatti nella definizione del termine della Treccani quanto segue:
casta s. f. [dallo spagn. e port. casta, propr. «(razza) casta, pura», che è dall’agg. lat. castus «casto»]. – 1. Gruppo sociale chiuso e per lo più endogamo, i cui membri sono uniti da comunanza di razza, di nascita, di religione o di mestiere; in partic., ciascuno degli strati in cui, fin dall’antichità, era divisa la società indiana. 2. Per estens., spec. con senso spreg., classe sociale, ordine di persone che si considera, per nascita o per condizione, separato dagli altri, e gode o si attribuisce speciali diritti o privilegi: la c. degli aristocratici, la c. sacerdotale, la c. militare; ritenersi appartenente a una c. privilegiata.
A questo punto, per rispondere alla nostra domanda, bisogna vedere quali sono i privilegi di cui una persona godrebbe per il solo fatto di appartenere alla categoria degli avvocati, categoria per entrare nella quale non bisogna avere diritti di nascita, ma si deve seguire un percorso di studio ed un esame di abilitazioni ai quali sono ammessi tutti, che sono aperti a tutti (non c’è nemmeno il numero chiuso).
Orbene, io non saprei dire quale potrebbe essere questo privilegio.
Va bene, magari io sono in conflitto di interessi e forse non vedo i vantaggi di cui godo. Proprio per questo, ho sempre chiesto a coloro che sostenevano, in privato o sui social, che gli avvocati fossero una casta, quale o quali sarebbero i privilegi di cui godremmo.
Nessuno è mai stato in grado di indicarmene nemmeno uno. Una volta, una simpatica amica dei social, che poi è diventata anche cliente dello studio, mi ha detto che in effetti, sì, non ce n’era nessuno, ma noi eravamo una casta lo stesso.
La realtà è che non c’è nessun privilegio.
Noi avvocati paghiamo le tasse come e nella stessa misura di qualsiasi altro imprenditore o libero professionista. Può darsi che ci sia qualcuno che fa del nero, sicuramente, ma ciò avviene in tutti i settori economici, a partire dalla Apple corporation, che tutti amate, fino all’ultimo ciabattino di provincia. Non c’è affatto una disposizione di legge che dice che l’avvocato, ad esempio, paga il 5% in meno di tasse, o che può tenersi in tasca la sua IVA. Anzi, noi paghiamo anche la nostra cassa, per un ulteriore 10% di «tassazione» sul nostro reddito, esattamente come qualsiasi altro lavoratore.
È vero che, se ci capita un problema legale, possiamo assisterci da soli, almeno nel civile. Ma questo non è affatto un privilegio, è la stessa condizione in cui si trova un meccanico quando gli si guasta l’auto, un idraulico quando deve fare la pulizia della caldaia. È un vantaggio che deriva dal fare un mestiere piuttosto che un altro. Chiunque oggigiorno può diventare avvocato se ci tiene tanto ad assistere se stesso in alcune cause… Quando poi dovrà fare la pulizia annuale della caldaia però dovrà rivolgersi ad un tecnico autorizzato, esattamente come faccio io tutti gli anni.
Non è nemmeno vero che l’assistenza legale obbligatoria sia un regalo fatto alla nostra categoria e, di conseguenza, un privilegio. Le persone sfornite di un minimo di preparazione giuridica ed esperienza sul campo giudiziario non hanno la minima idea, la benché minima e più lontana idea di come si gestisce un processo anche molto semplice, sia in diritto sia, ciò che è più grave, a livello strategico. Farebbero molti meno danni a mettersi a riparare in proprio un’automobile o una caldaia, e dico questo con la consapevolezza dei danni che si potrebbero produrre con interventi sbagliati in questi ultimi due ambiti. La realtà è che il sistema giudiziario richiede, per accostarvisi, l’assistenza di un tecnico, che è indispensabile di fatto prima che di diritto. La legge la richiede non a protezione degli avvocati, ma degli utenti del sistema giustizia e del sistema giustizia stesso. Uno può dire quello che vuole ma è così. Ne parlo più diffusamente in questo precedente post, alla cui lettura rimando.
Un’altra stronzata gigantesca, connessa a quella di cui stiamo parlando, è quella per cui «il Parlamento è pieno di avvocati, per forza che si fanno le leggi a loro favore!!1!», che contiene in realtà due inesattezze.
Innanzitutto, come abbiamo visto, non esiste una legge a favore degli avvocati: invito espressamente tutti i lettori del post a lasciare, nei commenti, l’indicazione degli estremi di una legge che costituisca un privilegio a favore di chi appartiene alla categoria degli avvocati per il solo fatto di appartenervi. Anche perché finalmente potrei magari approfittarne…
Ma soprattutto in Parlamento non c’è neanche un avvocato vero! Quelli sono politici, quella è gente che non ha mai messo piede in un tribunale un giorno in vita sua.
Gli avvocati veri sono gente che si alza tutte le mattine per andare al lavoro, vede clienti, cerca di risolvere problemi, qualche volta ci riesce, non fa vita di partito, non abbassa la testa tanto da farsi eleggere in un Parlamento di nominati come quello che abbiamo oggigiorno in Italia. Io vi dico che in Parlamento non c’è un avvocato che sia uno, contrariamente a quanto pensa la testa fresca di tanta gente. Scusate bene, ma l’avvocato Agnelli secondo voi nel corso della sua vita ha lavorato per la categoria degli avvocati, di cui faceva parte solo nominalmente, o per la FIAT? Gli avvocati veri sono altri, sono Fulvio Croce ad esempio, una figura che infatti non conosce nessuno – andatevi a leggere la sua storia su wikipedia. C’è un po’ di differenza.
Ecco il mio punto di vista sul tema.
Ora lascio alla generalità del pubblico di raccogliere la mia sfida e di dimostrare che ho torto, indicandomi le leggi o i vantaggi di cui godiamo noi avvocati…
Grazie. E non dimenticatevi di iscrivervi al blog.
Ormai sapete che l’unico che, quando c’è una novità legale, ne dice, con estrema chiarezza (e magari qualche parolaccia), la verità in Italia, tra giornali (e questo è anche comprensibile), blog (e questo è molto meno comprensibile), ma anche altre fonti di informazione giuridica, è Solignani.
Per cui, ogni volta che arriva qualcosa di nuovo, presentato come un grande sconvolgimento, mi tocca prendere il computer e scrivere, anche per rispondere a tutti quelli che mi scrivono in privato e vogliono sapere cosa c’è di vero e non si fidano di altri che di me.
Ciò non è dovuto al fatto che io sia un genio, niente affatto, ma semplicemente al fatto che gli altri mezzi di informazione o non sanno quello che dicono o vi raccontano bugie.
Si potrebbe dire vabbè, che sarà mai, in fondo in Italia la verità non la dice mai nessuno, si sa…
In realtà, io vi dico che, sulla base di questa informazione marcia e putrida fornita da tutti – nessuno escluso – al riguardo, ci saranno persone che butteranno soldi, che magari non hanno, per fare ricorsi che saranno con alta probabilità rigettati, con, altrettanto probabilmente, condanna alle spese legali. È la famosa «seconda inculata» di cui parlo spesso nel blog: gente che lo ha già preso nel culo, che fa di tutto per prenderlo di nuovo, senza che nessuno l’avverta dei rischi.
Tutta questa lunga premessa non per incensarmi. Io sono solo un avvocato di provincia, sto sul campo tutti i giorni a parlare alla gente e aprire loro gli occhi con i fatti, per evitare loro le fregature che in campo legale sono sempre ben diffuse e disponibili. Non ho niente di speciale, mi limito solo a dare notizie e fare considerazioni vere, anche quando vanno contro il mio interesse economico, perché la mia professione, da tutti considerata composta da disonesti, in realtà ha senso solo se può essere davvero utile a qualcuno e svolta, tutto al contrario, in modo onesto.
Non sono peraltro affatto un santo: i miei clienti sanno che se non mi pagano, e lo fanno in anticipo, io non prendo neanche in mano la penna. Ma sanno anche che, sia prima che dopo che sono diventati miei clienti paganti, io non dirò loro altro che la verità, anche contro il mio interesse. Se facessi il raduno della gente che ho dissuaso a fare cause non convenienti, rinunciando ai relativi compensi, penso che ci potrei ormai riempire uno stadio.
Voglio comunque che focalizziate bene il fatto che su questa merdata mediatica costruita sulla sentenza 11504 in tutta Italia, anzi in tutto il mondo, c’è rimasto solo un avvocato a dirvi la verità, perché solo questa che segue è appunto la verità.
Tutti gli altri vi stanno mentendo. Non so perché lo facciano, per me non sono tanto gli interessi economici, propendo più per l’idiozia e la mancanza di preparazione, che è il vero problema dell’Italia, molto più grosso della mafia stessa.
Bene, adesso che ci siamo leggermente preparati a sgombrarci la mente dal diluvio di cazzate piovuto in questi giorni sulla 11504, è ora di dirvi la mia.
Mettetevi comodi e prendete i pop corn.
Ma prima prendiamo un mass merda a caso e vediamo come ha presentato la sentenza:
Corriere, 11/5/17:
Divorzio, è rivoluzione: per l’assegno non conta più il tenore di vita matrimoniale ma l’autosufficienza. Sentenza della Cassazione che stravolge una regola in vigore da 30 anni: da oggi il «parametro di spettanza» sarà basato sulla valutazione dell’indipendenza o dell’autosufficienza economica dell’ex coniuge che lo richiede. la causa riguardava il divorzio di Vittorio Grilli, ministro dell’economia nel governo Monti
Cambio radicale sull’assegno di divorzio che fino a oggi, con 30 anni di indirizzo costante, era collegato nella sua entità al parametro del «tenore di vita matrimoniale», una pietra miliare che da oggi va in soffitta e lascia il posto a un «parametro di spettanza» basato sulla valutazione dell’indipendenza o dell’autosufficienza economica dell’ex coniuge che lo richiede…
Stigrancazzi, davvero. Difficile trovare una congerie con ammassate più boiate di questo scampolo di articolo.
Vi anticipo un po’ di cose, poi vi spiego tutto meglio:
non c’è e non ci sarà nessuna «rivoluzione»;
non c’è una regola in vigore da 30 anni che è stata «stravolta»;
non c’è nulla che vada in soffitta, tantomeno «da oggi»
soprattutto non è affatto vero che, tantomeno «da oggi», il «parametro di spettanza» (non esiste nemmeno una cosa del genere!) sarà basato sull’autosufficienza ecc. ecc.
Bene, vediamo adesso un po’ di cose a riguardo, cominciamo a fare informazione vera.
Innanzitutto, bisogna capire come lavora davvero la Cassazione, giudice che in questi giorni è stato eretto al rango di vero e proprio «legislatore», dopo il cui pronunciamento tutti gli altri magistrati sarebbero tenuti ad adeguarvisi passivamente.
Intanto, non siamo in un sistema a precedente vincolante, come ad esempio c’è nel Regno Unito o negli Stati Uniti. Là una sentenza costituisce un precedente che si può invocare in altri processi con efficacia vincolante. In Italia no. Nel nostro Paese, come in molti altri del mondo, la Cassazione può decidere un determinato caso in un certo modo, poi il Giudice di Pace di Caniccattì può pensare «Per me quelli della Cassazione sono 5 stronzi seduti a Roma che non capiscono un cazzo, io decido a modo mio». A parte le ingiurie, che ovviamente il bravo magistrato di Canicattì terrà solo nel pensiero, è una cosa perfettamente legittima.
Nessun giudice è obbligato a conformarsi a quello che scrive la Cassazione, ogni giudice è libero di vedere la cosa come gli pare. In altri termini, non c’è alcun rapporto gerarchico tra giudici di altri ordini e la Cassazione. Questi altri giudici faranno come predica la Cassazione solo ed esclusivamente se lo condividono, altrimenti faranno come pare a loro.
La cosa bella, per capire, è che nemmeno la Cassazione stessa è obbligata a conformarsi ad una precedente sentenza della medesima Cassazione. Decidendo un caso analogo può formulare un principio di diritto diverso. Tant’è vero che questo accade regolarmente, fenomeno per arginare il quale esiste la possibilità di decisione a Sezioni Unite, solo che poi accade che anche le pronuncie a Sezioni Unite a volte si contraddicono tra loro perché la Cassazione a Sezioni Unite in un caso opina in un modo e in un altro caso del tutto analogo in un altro.
Quindi, cari lettori, andate pure a fare un ricorso per modifica condizioni di divorzio basandolo su questa «rivoluzionaria» sentenza al vostro amichevole tribunale di quartiere.
Se incontrete un magistrato che vi dirà «Per me la 11504 è come la corazzata Kotiomkin: una cagata pazzesca», lo prendetere dritto nel culo come un siluro, anzi due: ricorso rigettato e magari anche condanna a rimborsare le spese legali a favore della vostra ex (il sistema giudiziario italiano è sempre delizioso quando lo prendi in culo, ci aggiunge sempre del suo).
La cosa bella è che quel magistrato sta solo facendo il suo dovere. Non condivide la sentenza, applica la legge per come la vede lui. Vi sta facendo un danno che non è assolutamente risarcibile, anzi. Il danno è dovuto alla informazione marcia e balorda che vi hanno dato.
Chi vi dovrebbe avvertire di questo forte rischio? Il vostro avvocato. Alcuni, onesti, lo faranno. Altri, meno onesti, penseranno di più al loro compenso. C’est la vie.
Ma continuiamo pure.
A volte può anche capitare addirittura che la Cassazione decida in modo difforme lo stesso, identico caso. Ebbene sì, il giudice che dovrebbe insegnare agli altri come si interpreta il diritto (funzione di nomofilachia) quando giudica due volte, per errore, lo stesso caso, lo decide una volta in un modo e un’altra nel modo esattamente opposto. È accaduto davvero, ne parlo in questo post, che tanta fortuna ha avuto dalla sua pubblicazione ad oggi.
Onestamente, se fossi un magistrato, con una Cassazione che lavora così, cioè che enuncia principi di diritto man mano diversi nel tempo, anche quando giudica a Sezioni Unite, che addirittura decide lo stesso identico caso in modo opposto, se fossi un magistrato, dicevo, io non guarderei alla fine così tanto alla Cassazione come a un punto di riferimento.
Leggerei qualche massima, qualche sentenza, per avere un’idea, ma poi valuterei con la mia testa cercando di applicare la legge, che rimane sempre il primo punto di riferimento. A quel che ho potuto vedere, il 90% dei magistrati lavora così. Ho sentito diverse volte anche rispondere ad alcuni avvocati che dicevano «Ma la Cassazione ritiene» con un bel «Faccia pure ricorso in Cassazione allora».
Procediamo.
Qualcuno ha notato che parte del processo deciso dalla 11504, e più precisamente il marito, cioè la parte favorita da questo innovativo principio di diritto, è un ex ministro della Repubblica, cioè un politico così rilevante da essere entrato nel governo, addirittura come ministro dell’economia (parliamo di una persona molto potente)? Io non voglio nè pensar male nè farvi pensar male, ma voi comunque chiedetevi, prima di presentare un ricorso per modifica condizioni: sono un ministro della Repubblica? Sono almeno un politico di importante rilievo a livello nazionale? Insomma, fatevi delle domande e datevi delle risposte. Non sto insinuando nulla, solo che il caso concreto anche se non dovrebbe è alla fine impossibile che non abbia dei riflessi sulla elaborazione del principio di diritto.
Ma non basta ancora.
C’è anche da dire, infatti, che il criterio proposto dalla 11504 in molti casi, se applicato, sarebbe profondamente ingiusto. Il criterio – che si suppone radicalmente diverso, mentre in realtà a mio giudizio non lo è affatto, almeno in questa misura, del mantenimento dello stesso tenore di vita – è nato con lo scopo di tutelare quei coniugi che, svolgendo per lo più lavoro casalingo, avevano dedicato la loro vita per decenni a favorire la carriera dell’altro coniuge, per ritrovarsi poi sulla strada a favore di una ventenne di bell’aspetto. Il caso tipico è quello della moglie casalinga ad esempio di un dirigente. Il dirigente, in questi casi, può andare al lavoro a guadagnare tanti soldini perché c’è una che resta a casa a mandare avanti tutta la baracca, quindi è giusto che la solidarietà si estenda anche al periodo successivo al divorzio, almeno per un po’. È ovvio che il caso effettivamente giudicato dalla 11504 è radicalmente diverso, un ex ministro della Repubblica che divorziava da una imprenditrice degli Stati Uniti.
Crediamo davvero che il divorzio tra un idraulico e una casalinga italiani possa essere regolato dagli stessi principi di diritto?
Per questo non c’è nessuna rivoluzione e la 11504 non consoliderà nemmeno con il passare del tempo. Certo, non scomparirà, ce ne sarà qualche sparuta applicazione, o più o meno stringente riferimento, che renderà il quadro del diritto vivente applicato ancora più incerto, con la sola conseguenza che sarà ancora più impossibile prevedere quale potrebbe essere l’importo dell’assegno prima di iniziare il giudizio di divorzio.
Qual è allora il messaggio da portare a casa?
I messaggi questa volta sono tre.
L’unica fonte di informazione che vi dice la verità sulle cose giuridiche è questo blog, almeno finchè ci sarò io a gestirlo. Può darsi che ci sia qualche altro collega sul territorio che, alle persone che incontra, dice le stesse cose. Di fatto, non c’è nessun altro che le scrive in modo che rimangano e possano essere disponibili per tutti. Iscrivetevi al blog, o via mail o tramite feed rss. Seguitemi sui social. Vi potrebbe risparmiare parecchie fregature.
Non fate nessun ricorso per modifica condizioni o per divorzio confidando solo sull’applicazione della 11504. Certo, ne potreste tenere conto, specialmente se ad esempio un ricorso per divorzio siete comunque costretti a presentarlo, e la potrete citare e far ben argomentare. Non dico che è una sentenza da buttar via, resta interessante, ma va assolutamente ridimensionata rispetto a tutte le boiate che ne sono state dette. Scegliete un bravo ed onesto avvocato che sia in grado di fare questo e non alimenti illusioni al riguardo. Se subite un ricorso per modifica condizioni, ugualmente non datevi per vinti, valutate, insieme sempre ad un bravo avvocato, che sia bravo e onesto davvero.