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Matrimonio celebrato all’estero e regime patrimoniale: è comunione.

io sono del Marocco sono sposata nel Marocco e mio marito marocchino,io ho doppia cittadinanza, la mia domanda io voglio fare la separazione,vorrei acquistare una casa solo con il mio nome vorrei sapere prima se dopo come funzione la divisione comune del bene o separazione del bene? Il fatta che abbiamo fatto il matrimonio in Marocco come funziona la separazione in italia a rischio di perde la casa che devo acquistare il fatto che non ancora siamo separati

Se ti sei sposata in Marocco, il regime patrimoniale della tua famiglia, a seguito della trascrizione in Italia del matrimonio marocchino, è quello della comunione dei beni, che è il regime di «default» in Italia.

Se uno vuole sposarsi all’estero, infatti, e avere il regime della separazione dei beni devi fare, prima di andare a celebrare il matrimonio, una convenzione matrimoniale presso un notaio in Italia, prescrivendo che appunto, in caso di celebrazione del matrimonio, il regime patrimoniale dei coniugi sia quello della separazione anziché quello, previsto un automatico, della comunione.

Ad ogni modo, se acquisti una casa adesso diventa di proprietà anche di tuo marito.

Per evitare ciò, ci sono due possibilità.

La prima è fare la separazione personale dei coniugi, che determina lo scioglimento della comunione.

La seconda è passare dal regime patrimoniale di comunione a quello di separazione dei beni. Per questa seconda eventualità, occorre andare da un notaio ed occorre ulteriormente che tuo marito venga a firmare.

A mio giudizio, non vale assolutamente la pena fare l’operazione dal notaio. Se non vai più d’accordo con tuo marito e vuoi la separazione, meglio fare direttamente la separazione, che può essere anche consensuale, formalizzata tramite un accordo in house, senza bisogno di andare in tribunale.

Se vuoi approfondire ulteriormente la questione, ed eventualmente procedere, chiama ora lo studio al numero 059 761926 e prenota il tuo primo appuntamento, concordando giorno ed ora con la mia assistente; puoi anche acquistare direttamente da qui: in questo caso, sarà poi lei a chiamarti per concordare giorno ed ora della nostra prima riunione sul tuo caso; a questo link, puoi anche visualizzare il costo.

Naturalmente, se vivi e lavori lontano dalla sede dello studio – che è qui, a Vignola, provincia di Modena, in Emilia – questo primo appuntamento potrà tranquillamente avvenire tramite uno dei sistemi di videoconferenza disponibili, o anche tramite telefono, se lo preferisci. Ormai più della metà dei miei appuntamenti quotidiani sono videocall.

Guarda questo video per sapere meglio come funzionerebbe il lavoro con me.

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Comprare casa: come evitare finisca intestata anche al coniuge?

Note dell’episodio.

Nel contenuto di oggi, rispondo alla seguente domanda di una nostra ascoltatrice:

«io sono del Marocco sono sposata nel Marocco e mio marito marocchino,io ho doppia cittadinanza, la mia domanda io voglio fare la separazione,vorrei acquistare una casa solo con il mio nome vorrei sapere prima se dopo come funzione la divisione comune del bene o separazione del bene? Il fatta che abbiamo fatto il matrimonio in Marocco come funziona la separazione in italia a rischio di perde la casa che devo acquistare il fatto che non ancora siamo separati»

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Tutela legale e successioni: sono coperte?

esiste una polizza che possa coprire, anche pagando un sovrapprezzo per fare una specifica appendice, tutte le cause di natura civile comprese la comproprietà di immobile e il diritto di successione.

Non sono così preparato, ti conviene chiedere in primo luogo agli agenti assicurativi, iniziando dalle principali compagnie specializzate in tutela giudiziaria, che, come saprai, sono UCA, Das, Arag.

Per quanto a mia conoscenza, tramite l’esperienza operativa con questo tipo di polizze, la materia successoria è sempre esclusa. Non credo quindi che tu possa trovare un prodotto che la contempli, anche se non si può escludere in assoluto quindi puoi fare qualche ricerca a riguardo, appunto sentendo qualche agente di assicurazione.

Circa, invece, le vertenze relative alle situazioni di comunione, queste sono di solito coperte, ma non si può dare una risposta generale, perché dipende dal tipo di vertenza: una situazione del genere può ingenerare conflitti di natura anche diversissima tra loro, pensa solo ad esempio alla nomina e revoca di amministratore in un condominio, alla determinazione delle spese, all’impugnazione di una delibera, oppure alla gestione e manutenzione di un bene in comune non costituito in ente condominiale.

Resta il fatto che, secondo me, vale sempre la pena avere una polizza di tutela legale per quel minimo che è comunque in ogni caso coperto.

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Mio marito pretende l’uguaglianza: ha ragione?

Sono sposata in regime di separazione dei beni, abbiamo 3 figli. Io lavoro come impiegata in un’azienda e guadagno 1200 euro al mese. Mio marito invece ha un’azienda sua e guadagna cinque volte più di me, ma mette in casa, per le spese della famiglia, solo 1200€ al mese, corrispondenti a quello che porto a casa io, perché dice che ognuno deve contribuire uguale all’altro. Solo che così facendo viviamo, e facciamo vivere i nostri figli, con un tenore molto più basso di quello che, in realtà, ci potremmo permettere. È giusta una cosa del genere?

L’art. 143, comma 3°, cod. civ., posto in apertura di una parte del codice intitolata «Dei diritti e dei doveri che nascono dal matrimonio», prevede che «entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia».

Si tratta di una disposizione di riguardo, la cui lettura è obbligatoria anche in Chiesa, durante la celebrazione del matrimonio concordatario, insieme ai successivi articoli 144 e 147, proprio perché ritenuta particolarmente importante sul tema delle conseguenze derivanti dal matrimonio.

L’articolo in esame è molto chiaro: il contributo che deve essere prestato da ciascun coniuge non è mai parametrato a quello che fa o può fare l’altro, non vige un principio, analogo ad esempio a quello valevole per i conferimenti delle società commerciali, per cui la «quota» da versarsi ad opera di ciascun coniuge, o socio, è identica.

Vale, in realtà, il principio opposto: ogni coniuge deve dare il massimo, in base alle proprie sostanze, e quindi al suo patrimonio, e alla sua capacità lavorativa, per le esigenze della famiglia.

Come avvocato, mi sono imbattuto di applicazioni di questa disposizione soprattutto in caso di famiglie oramai, purtroppo, disgregate e quindi in occasione di separazione e divorzio.

Così ad esempio nel caso in cui i figli stiano uguale tempo con un genitore e con l’altro non è detto che non sia prevedibile un assegno dall’uno all’altro genitore. Quando, infatti, lo squilibrio tra i redditi reciproci è forte, nonostante la parità di tempi di permanenza, i giudici prevedono ugualmente un assegno, che consente ai figli di godere, anche quando stanno con il genitore economicamente più debole, di un tenore di vita non così diverso e deteriore.

Anche il concetto di «capacità lavorativa» è applicato molto spesso e largamente dai giudici. A volte si presentano genitori che, sostenendo di non lavorare oppure di lavorare in un’attività che «malauguratamente» è in rosso da anni, credono di scamparsela, mentre invece i giudici li condannano comunque a versare un mantenimento per i figli, considerando non la situazione attuale, ma la loro capacità lavorativa potenziale.

La legge vigente, insomma, non è a favore di tuo marito.

Su un piano più generale, va ricordato che la famiglia, come cennato prima, non è una società commerciale, che è un contratto, e non si basa mai su un rapporto di tipo sinallagmatico, cioè su un equilibrio tra prestazione e controprestazione, cosa che è invece tipica dei contratti.

Se io, ad esempio, ti vendo un computer dietro pagamento di un prezzo, quando tu poi questo prezzo non me lo paghi, io sono legittimato a non consegnarti il computer, c’è anche un antico brocardo latino che esprime questo inadimplenti non est adimplendum. Perché è un rapporto sinallagmatico in cui devono esserci entrambe le prestazioni, se una viene meno può essere sospesa anche l’altra.

La famiglia non funziona così, la famiglia è un contesto in cui tu consegni il computer anche quando chi lo prende non ne paga il prezzo. Non so ad esempio quante volte ti è capitato di comprarne uno per i tuoi figli… Ma vale anche nei rapporti tra i coniugi.

Insomma, in famiglia la regola non può assolutamente mai essere quella per cui le «prestazioni» dei due coniugi devono stare in corrispondenza tra loro, ma quella per cui ognuno deve fare il massimo che può per l’altro coniuge e per i figli.

Questo prima di tutto a livello concettuale, ma poi anche a livello pratico.

Come si calcolerebbe con precisione il contributo di ciascun coniuge, infatti? Se la moglie sta a casa, accudisce i figli, gestisce la casa stessa, prepara i pasti, cura le pulizie e così via, secondo lo schema classico e tradizionale di molte famiglie, e il marito può così, solo grazie al lavoro casalingo della moglie, lavorare «fuori» e guadagnare molto, quei molti guadagni che nominalmente sono solo del marito, non sono anche in realtà metà della moglie, grazie alla quale si sono potuti maturare e senza il cui lavoro non si sarebbero mai potuti avere?

Questa era ed è la logica alla base dell’istituto della comunione dei beni come regime patrimoniale tra i coniugi, logica che permane anche nelle coppie come la tua dove hai la separazione dei beni perché è una realtà fattuale anche prima che giuridica.

Per me, tuo marito su questo sbaglia. Per lavorare su questo «nodo», consiglio, considerato che siete ancora sposati, alcune sedute di mediazione familiare da un bravo professionista.

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Di chi é la casa se passo alla comunione dei beni?

SONO SPOSATO DAL 1999 IN SEPARAZIONE DEI BENI. NEL 2014 ABBIAMO VENDUTO LA PRIMA CASA (DI MIA PROPRIETA’) E ACQUISTATA, IN UN ALTRO COMUNE, QUELLA DOVE VIVIAMO ATTUALMENTE. ANCHE QUESTA CASA (SU CONSIGLIO DEL NOTAIO) E’ STATA INTESTATA A ME PER NON PERDERE IL CREDITO D’IMPOSTA. MIA MOGLIE, (CASALINGA) NON AVENDO NIENTE INTESTATO, VORREBBE PASSARE ALLA COMUNIONE DEI BENI. PER ME NON CI SONO PROBLEMI MA, VI DOMANDO, COSA CAMBIEREBBE? AVREBBE QUALCHE TUTELA IN PIU’?
[la risposta è nel podcast]

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Nullità del matrimonio e compravendita di immobili: che succede?

l’ annullamento del matrimonio, quali effetti produce su un contratto di acquisto di una casa, stipulato successivamente al matrimonio in regime di comunione dei beni? E’ comunque valido o l’annullamento del matrimonio annulla anche il successivo contratto di compravendita?

Per l’ennesima volta in due decenni, ricordo che le domande astratte nella pratica giuridica hanno molto poco senso. Bisogna parlare dei fatti e delle situazioni in cui si radica il problema, lasciando che sia il giurista interpellato a fare i più opportuni inquadramenti. Sarebbe stato molto meglio descrivere appunto la situazione concreta e il problema relativo che c’è da risolvere.

In linea generale, ad ogni modo, si può dire che sicuramente un contratto di compravendita rimane valido anche a seguito di nullità del matrimonio a che, al momento della stipulazione, vincolava uno o entrambi i contraenti.

Può essere più difficile capire quale sia la situazione proprietaria del bene, nel senso che va stabilito quale sia la sorte del regime patrimoniale tra i coniugi in dipendenza dell’annullamento e, se si suppone una sua caducazione, quali conseguenze ne derivino.

Peraltro, le conseguenze comunque sono destinate a cambiare a seconda di come è stata redatta la compravendita e di chi vi ha partecipato.

Ad esempio, se supponessimo che i coniugi erano in regime di comunione, come erano, che cosa accade nel caso di nullità, se, sempre ad esempio, all’atto ha partecipato solo uno dei due coniugi mentre l’altro lo aveva acquistato solo in forza dell’applicazione del ridetto regime di comunione?

È difficile ipotizzare che vi possa essere una comunione tra coniugi che si trasforma in comunione ordinaria, anche perché la comunione tra coniugi è, secondo una nota espressione della corte costituzionale, una «comunione senza quote».

Ed infatti la Cassazione, con la sentenza n. 11467/2003 ha precisato che in caso di annullamento del matrimonio, la comunione legale si scioglie, ma il regime patrimoniale legale, pur dopo l’avvenuto scioglimento della comunione, non si trasforma, di per sé, in comunione ordinaria e non soggiace alla relativa disciplina.

La situazione andrebbe approfondita molto di più. Se credi, valuta di acquistare una consulenza. Ti raccomando, con l’occasione, di iscriverti alla newsletter del blog, o, se non ti piace la mail, al gruppo Telegram, in modo da non perderti importanti e utili aggiornamenti quotidiani.

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Cointestare immobili a un coniuge: come si fa?

io e mia moglie ci siamo sposati in uno stato di separazione dei beni. Successivamente io ho comprato alcuni immobili ed ora però vorrei che lei fosse proprietaria al 50% di tutto come se avessimo comprato in comunione di beni. Come mi conviene fare? …posso fare una donazione di tutto quello che ho nella quota dal 50 % e contestualmente passare in regime di comunione per le cose future? Considerato che abbiamo tre figli.

Puoi donare o trasferire ad altro titolo – e magari questo può essere oggetto di approfondimento, al fine di realizzare legittime situazioni di risparmio fiscale – i cespiti immobiliari che hai già acquisito.

A parte, poi, sempre dal notaio, devi stipulare una convenzione matrimoniale per passare dal regime di separazione dei beni a quello di comunione.

Ovviamente, questa convenzione non è necessaria se il tuo scopo è solo quello di intestare i futuri immobili anche a tua moglie: sarebbe anzi sufficiente, e per certi versi anche più chiaro, far partecipare tua moglie, anche se in regime di separazione dei beni, ai singoli atti di acquisto degli immobili stessi.

Anzi, il regime di comunione dei beni ha delle implicazioni che vanno oltre la mera contestazione degli immobili e che ti consiglierei di approfondire come si deve con un avvocato di fiducia per capire se effettivamente, per la vostra famiglia, conviene il passaggio ad un diverso regime patrimoniale o meno.

Se vuoi un preventivo per questa cosa, puoi chiederlo compilando il modulo apposito nel menu principale del blog.

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Casa acquistata prima del matrimonio: di chi è?

Ho 23 anni di matrimonio, sono sposata nella comunione dei beni, vorrei sapere se ho diritto al 50% della casa? Lui ha comprato la casa solo a suo nome un anno prima del matrimonio.

Gli anni di durata del matrimonio, dal punto di vista della situazione proprietaria (o dominicale) degli immobili di pertinenza della coppia o di uno dei due, non hanno alcuna rilevanza – possono averla, al contrario, su eventuali assegni di mantenimento erogabili in caso di separazione.

L’unica cosa che ha rilevanza, in questi casi, è il regime patrimoniale della famiglia, che può essere di comunione dei beni, separazione dei beni oppure un regime speciale risultate da apposite negoziazioni dei coniugi, soluzione quest’ultima che nella pratica ha avuto poca fortuna e diffusione.

La casa, che immagino essere quella familiare, è stata acquistata un anno prima della celebrazione del matrimonio da tuo marito ed è quindi entrata solo nel suo patrimonio personale.

Quando vi siete sposati avete scelto come regime patrimoniale quello della comunione dei beni. In realtà, non si tratta di una vera e propria «scelta», ma del regime «di default» che si applica a chi si sposa senza effettuare particolari scelte a riguardo.

Ad ogni modo, la celebrazione del matrimonio con conseguente ingresso nel regime patrimoniale della comunione dei beni non ha effetti retroattivi, non determina cioè il cambiamento della situazione proprietaria dei beni di cui i coniugi erano proprietari prima del matrimonio, che restano dei rispettivi proprietari originari, ma vale solo per gli acquisti futuri, cioè successivi alla celebrazione del matrimonio.

Per ulteriori approfondimenti, e soprattutto per vedere cosa potresti fare per essere tutelata, valuta di acquistare una consulenza.

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Casa ereditata: cade in comunione dei beni?

Mia madre a seguito della chiusura della sua attività commerciale, si ritrova con un debito Equitalia di 24mila euro. Mia madre non è proprietaria di nulla. Mio padre invece è proprietario della casa in cui viviamo tutti e cinque da 33 anni. Loro hanno la comunione dei beni, ma la casa in questione era di proprietà dei miei nonni paterni e solo nel marzo 2014 è stata legalmente ereditata da mio padre.
In caso di morte di mia madre, cosa accadrebbe a coniuge e figli?
Dovremo pagare noi il debito Equitalia o basta rinunciare all’eredità?
Equitalia si può rivalere sulla casa nonostante sia stata ereditata e non acquistata da mio padre?

Nel momento in cui tua madre dovesse morire, la sua eredità sarebbe devoluta al suo coniuge, suo marito, e ai suoi figli; sareste quindi chiamati alla sua eredità.

In caso di accettazione, diventereste suoi successori a titolo universale, subentrando nel suo patrimonio, inteso come complesso di rapporti giuridici attivi, ma anche passivi, compreso, dunque, il debito con Equitalia, e i vostri patrimoni e quello della mamma si fonderebbero, con la conseguenza che Equitalia potrebbe pignorare anche i vostri beni.

Per evitare che accade questo, potrete valutare di fare la rinuncia all’eredità.

La casa che ha acquistato tuo padre in regime di comunione dei beni ma per effetto di successione ereditaria non è caduta in comunione, ma costituisce un bene personale di tuo padre. Per legge, infatti, i beni acquistati da un’eredità non fanno parte della comunione dei beni.

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Casa acquistata a rate prima del 1975: di chi è?

Mio nonno nel 1968 acquistò una casa stipulando un contratto di pagamento rateale con pagamento ultima rata 1990. La casa venne intestata a mio nonno ma nel 1975 entro in vigore la legge sul diritto di famiglia e quindi in comunione dei beni con mia nonna. Mia nonna è mancata nel 2012 e mio nonno non ha voluto aprire la successione nei confronti di mia mamma e mia zia perché dice che la casa è solo sua. (da dire che mio nonno ha immediatamente trovato una compagna molto più giovane di lui che ha un forte ascendente): Considerando che la casa è stata finita di pagare nel 1990 non rientra nella successione alle figlie la parte di casa pagata tra il 1975 al 1990? Io ho trovato una sentenza di cassazione che pare concordare la mia tesi.

Gli immobili acquistati prima del 1975 da uno solo dei coniugi non diventano di proprietà comune per effetto del solo passaggio al regime di comunione legale tra coniugi, che non ha effetto retroattivo, come spiego meglio in questo mio presente, vecchio, post, tuttora valido.

Quindi l’immobile dovrebbe essere oggetto di proprietà individuale di tuo nonno.

Uso il condizionale perché bisognerebbe a questo punto ulteriormente vedere il contratto di acquisto e il momento preciso in cui si è verificato il passaggio di proprietà dal venditore all’acquirente.

In tutti i casi cui mi è capitato di assistere, il momento traslativo è stato insieme alla stipula del contratto, cioè immediato, per cui mi sembrerebbe molto strano che questo momento, almeno in materia di immobili, fosse posticipato, ma questo potrebbe avvenire se le parti lo avessero stabilito.

È pur vero che, ad esempio, ai sensi dell’art. 1523 c.c., nella vendita a rate con riserva della proprietà, il compratore acquista la proprietà della cosa col pagamento dell’ultima rata di prezzo, ma assume i rischi dal momento della consegna. Tuttavia, non mi è mai capitato di vedere applicato questo schema contrattuale per la cessione di immobili.

In conclusione, ti consiglio di approfondire maggiormente il caso con l’assistenza e la consulenza di un bravo avvocato.