La tentazione di trovare un colpevole, che in realtà non esiste quasi mai, quando si disgrega una coppia c’è sempre.
Essa tuttavia va evitata a tutti i costi, essendo innanzitutto in contrasto con la realtà, ma soprattutto perché, se ci sono dei figli, coltivarla significa andare a denigrarne l’altro genitore.
Questa é una cosa da non fare mai, se vuoi bene ai tuoi figli, perché nessuno vuol essere figlio di una persona non di valore, nessun figlio può sentire parlare male di uno dei genitori senza dolore.
L’intervista del pupone non è nemmeno da uomo: un uomo non si lamenta mai e non fornisce mai spiegazioni.
Un uomo conduce la sua battaglia e lo fa, come diceva Chesterton (che Totti non sa nemmeno chi è), per amore di quelli che sta proteggendo dietro di sé e non per odio di quelli che combatte.
Io spero che questa intervista almeno gliel’abbiano pagata cara quelli del Corriere, perché con essa Totti: – ha danneggiato sensibilmente la sua difesa legale; – si è procurato molto probabilmente una denuncia; – ha fatto soffrire i suoi figli; – ha mancato di rispetto a colei che é ancora sua moglie: mi dispiace, ma i panni sporchi si lavano sempre e comunque in famiglia; – ha dimostrato a tutti che come uomo vale fino a un certo punto e non oltre.
Tutta la mia comprensione umana, però se fossi stato il suo avvocato dopo questa intervista gli avrei fatto un cazziatone gigante e, se non lo avesse accettato, avrei rinunciato all’incarico.
Mi meraviglio anche molto del suo avvocato attuale, a essere sincero.
Questa vicenda contiene insegnamenti utili per tutti coloro che si trovano ad affrontare un’esperienza di separazione.
sono mamma di un bambino di quasi due anni. Convivo col mio compagno (padre del bambino) e la situazione in casa è sempre più tesa. Credo che il bambino stia risentendo di questa ostilità da parte del mio compagno nei miei confronti. Ostilità fatta di urla ogni giorno e frasi svalutanti ogni minuto. Il rapporto è sempre stato parecchio burrascoso ma se un tempo ero in grado di tollerare, ora ho raggiunto il limite. Sono in uno stato di ansia perdurante visti anche episodi violenti accaduti all’inizio della relazione. Posso andarmene col bambino senza temere qualcosa?
Se ti devo rispondere col cuore, ti devo dire di no, che non puoi assolutamente.
Quello che non si può non temere, in questi casi, è quello di sfasciare una famiglia, quella del tuo bambino, ancora molto piccolo, privarlo del bene per lui assolutamente più importante al mondo, più importante del cibo, dei beni materiali, delle case – tutte cose che oggi generalmente abbondano – e cioè una famiglia unita con una mamma e un papà che si vogliono bene e collaborano davvero per lui.
Privarlo, inoltre, della nonostante tutto assolutamente essenziale figura del padre, che ha senso solo se vive con il bambino, nonostante, di nuovo, una sterminata letteratura modernista tenti disperatamente di dimostrare il contrario, cioè che si può fare il padre anche part-time o a distanza, tramite Skype – molto petaloso!
Un padre, infatti, che ha come compito quello di proteggere i suoi figli e la loro madre sino al sacrificio, anche con la sua autorità e la sua forza – che non sono tossiche come vorrebbe il cattivo femminismo, che non sarà mai abbastanza maledetto, ma benedette e indispensabili – non può farlo al telefono o magari da duecento chilometri di distanza, dove si è magari trasferito nel vano tentativo di rifarsi una vita, quando invece la vita è una sola e quello che hai fatto da quando sei nato non lo puoi impacchettare e chiudere in un cassetto per aprirne un altro, perché poi quel cassetto continua a riaprirsi.
Un altro rischio è quella della tua trasformazione da donna in donnoide, che ho visto accadere davvero tantissime volte. O, se vuoi, da donna e mamma felice, sia pure coi suoi dolori, a donna solare che indossa sempre un sorriso, cioè una nevrotica irrisolta.
Adesso sei una mamma, una compagna, una persona con una situazione, una missione, uno scopo, un senso, sia pure con tanta sofferenza e un certo disagio.
Molte donne, molti uomini che si separano per la situazione di disagio che vivevano nella coppia poi si ritrovano, con loro sommo stupore, che anche dopo dieci, venti anni sono daccapo: non riescono a stabilire una relazione che sia significativa e appagante. Broken flowers: si guardano indietro e vedono una teoria ben nutrita di partner uno più improbabile dell’altro. L’unica sicurezza che hanno è che col coniuge non erano felici e quindi non tornerebbero più indietro… E forse hanno anche ragione, il punto era non mollare illo tempore ma continuare a lavorarci, su quella coppia.
A una minima parte di loro viene in mente che forse il problema riguarda loro stessi e andrebbe affrontato con un loro scatto evolutivo, un lavoro di crescita personale, perché le tue inquietudini, le tue disfunzionalità, ti seguono in ogni luogo in cui tu possa andare, con ogni partner che tu possa avere.
Questo è quello che mi sento di dirti con tutto il cuore, mia buona amica.
So che per te la situazione non è facile.
Non so perché Dio abbia affidato alla donna il compito di fare, dapprima, e, poi, tenere insieme la famiglia, non so neanche se sia giusto o meno, però siete voi donne che avete questo compito e questa possibilità.
È un discorso molto sessista, ma la realtà è che la verità è sessista, la biologia, la creazione e, infine, Dio sono tutti sessisti (nella Genesi c’è scritto chiaro: «maschio e femmina» ci creò; se ci avesse voluto uguali, non ci avrebbe creato diversi, è molto semplice, ma il mondo attuale vuole contestare pure questo).
Comunque, se voi donne rinunciate a questo, le famiglie si sfasciano.
Noi uomini, noi maschi, le famiglie possiamo solo proteggerle, ma siete voi che le fate e che le tenete insieme.
Considera che nessuna donna è ancora sposata o accompagnata col padre dei suoi figli perché costui è perfetto.
Quelli perfetti sono solo i nuovi compagni delle donne che si sono divorziate e che devono giustificare il macello che hanno fatto pubblicandone l’elogio sui social, a comprova che hanno fatto bene a sfasciare la famiglia dei loro figli perché poi hanno trovato un vero mago, un uomo perfetto, il «nuovo compagno» cui dare in pasto i figli fatti con un precedente uomo che nel frattempo dorme altrove perché indegno ma che è l’unico uomo che sarebbe davvero pronto a sacrificarsi per l’uomo, mentre il nuovo compagno è ovviamente e oggettivamente lì per altro.
A tutte queste cazzate, se ci vuoi credere tu, va bene anche a me.
Non ti giudico, per me il giudizio è tossico, io voglio solo darti un punto di vista, poi decidi tu e amici come prima.
Ho parlato con tante donne che dovevano decidere se tenere il loro bambino o abortirlo, loro mi hanno ascoltato e poi hanno fatto come hanno creduto, ma il nostro rapporto è rimasto non scalfito in ogni caso. Per me infatti l’importante è solo questo, che quando una donna deve prendere una decisione importante le sia servita su un piatto anche la verità da ascoltare, non ci sia solo il coro del mondo fatto di cazzate, di alcune delle quali ti ho fatto esempio.
Per me la realtà, dunque, è molto diversa. Ognuno di noi, me e te compreso, presenta delle disfunzionalità.
Chi resta ancora in coppia ha semplicemente imparato a relazionarcisi e a volte persino a sopportare, nonostante che il dolore e la sofferenza oggi siano decisamente fuori moda.
Sul tema è uscito peraltro da poco l’ultimo libro di un’autrice che stimo molto, che guarda caso si intitola «Niente di ciò che soffri andrà perduto»: guarda che diversità di prospettiva rispetto al mondo di oggi, dove ognuno si sbraccia a dimostrare quanto sta bene o, appena ha una puntina di mal di testa, corre a prendere un Aulin. Se vuoi dare un’occhiata, clicca qui.
La sofferenza va evitata a tutti i costi o è qualcosa di funzionale, di cui essere persino grati?
Pensa al disagio che stai vivendo attualmente nella tua coppia. Possibile che sia addirittura qualcosa di positivo?
La risposta è che dipende sempre da noi cosa vogliamo fare del nostro dolore, delle nostre sofferenze, dei nostri disagi.
È proprio in questo che si vede, ancora oggi, in un modo di persone che esibiscono un benessere che spesso in realtà non hanno nemmeno, finendo per il confondersi ancora di più, la differenza tra una persona e l’altra: il modo in cui affronta le difficoltà della vita, difficoltà che, quando sei genitore, riguardano anche il tuo essere padre o madre.
Perché non iniziare un percorso di counseling con il tuo compagno per vedere se possibile lavorare sulle disfunzionalità che vi impediscono di essere felici?
Ti assicuro che ci sono alcune consapevolezze importanti, a volte basta poco, addirittura pochissimo, basta acquisirle e si inizia a vedere tutti in un modo nuovo.
Il mio consiglio sarebbe di valutare prima e provare questa eventualità. Può anche darsi che sia praticabile una separazione «temporanea», terapeutica per la coppia, in cui per te sia possibile uscire dal disagio del momento e ricominciare a vedere tutto con una prospettiva diversa.
Se vuoi prenotare, intanto per te, un’ora di counseling, contattami dalla pagina apposita o chiama lo studio al numero 059 761926.
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Il Signore mi mette continuamente in contatto con persone dal cuore indurito, piene di ferite, sopravvissute ai loro errori, ai loro peccati, in ultimo a loro stesse.
Cerco di capire il perché di questi incontri, dal momento che non ho soluzioni, non ne ho proprio…
Averne, addirittura, mi sembrerebbe irrispettoso di chi quelle ferite se le porta da tanti anni e ci convive come con altrettanti vecchi amici: per cui mi chiedo cosa potrei mai dire io a riguardo, la mia sarebbe solo presunzione, magari verrebbe persino scambiata per giudizio.
È da sfacciati tentare di risolvere problemi che le persone hanno faticato a gestire per anni, decenni; sarebbe persino, in qualche strana maniera, offensivo, perché molti problemi ormai fanno parte dell’identità dei loro portatori.
Non si può entrare che in punta di piedi, con delicatezza, nel dolore degli altri.
Quello che faccio è ascoltare.
Ecco il mio unico valore, quando mi parlano della loro sofferenza: non girarmi dall’altra parte, come probabilmente hanno fatto tutti gli altri (oggi la sofferenza è sconveniente e decisamente fuori moda), ma restare lì e metterci la mano dentro.
Ed ecco la mia scuola, il corso sul campo che mi ha fatto capire cosa c’è nel vero cuore dell’uomo, cosa desidera, cosa lo spaventa, cosa lo rende felice, cosa lo commuove e lo spinge a fare, a volte, l’impossibile.
Che, di solito, è l’esatto contrario di quello di cui si è convinto con la mente.
È anche così che si diventa, si ritorna, si cresce ancor di più cristiani, perché è nella sofferenza, con la sofferenza, che Dio ci fa più spesso visita, che lo sentiamo ancora più vicino.
Allora forse tutti questi incontri, tutte queste storie nere che mi vengono versate nelle mani, nelle mie mani ferme ed immobili, intente solo ad ascoltare, sono l’esaudirsi della mia preghiera, di avere sempre di più Lui nel cuore, perché tutte le preghiere non sono altro che un desiderio e una richiesta di connessione, di stare più vicino. Anche da Dio, infatti, non vogliamo soluzioni, vogliamo più che altro sentircelo accanto.
E tutto questo, peraltro, deve esser vero, perché quanta compassione nasce, poi, per tutta questa umanità che sgomita per essere felice, che ci prova in tutti i modi, ma non ci riesce, quando forse basterebbe rinunciare al fare, per tornare semplicemente all’essere, e mettere via tutti i giudizi e le mentalizzazioni per accettarsi vulnerabili, limitati, imperfetti, persino dappoco, ma capaci, nonostante tutta questa imperfezione, di amare bene e davvero.
Le mie domande per te oggi sono queste:
si vive meglio guardando il mondo e gli altri dalle mente, giudicandolo, o dal cuore, con compassione?
si ama per essere amati indietro o solo perché è bello farlo, per poter vedere, o anche solo immaginare, un sorriso?
quali sono le persone più importanti della tua vita, quelle più vicine a te?
ti accorgi quando queste persone sono angustiate da qualcosa? Quando te ne accorgi, ti fermi ad ascoltarle?
sei diventato un adulto o sei ancora, in tutto o in parte, un bambino?
Oggi il peggiore degli equivoci è che la forza serva per far male, o infliggere violenza, quando, all’esatto opposto, la forza, nel corpo e nello spirito, è quanto di più necessario ci sia per poter amare davvero.
Perché amare significa innanzitutto proteggere, ma soprattutto perché per continuare ad amare anche nel dolore, da cui prima o poi veniamo attinti, magari proprio dalla stessa persona che stiamo cercando di amare, l’anima deve essere la più grande possibile e deve sempre restare in alto.
Diventa ogni giorno più forte, diventa ogni giorno una versione migliore di te stesso.
Le genti hanno fame di numeri, di statistiche, perché vogliono «capire», più vogliono «capire» e più se ne ingozzano, è come se uno dovessero affrontare un viaggio in auto e per guidare bene si scolasse una cassa di birra.
Quando hai appena ricevuto un dolore, una coltellata al cuore, la tua anima soffre e diventi immediatamente più egoico.
Il dolore e la sofferenza ti fanno cadere a terra, nel regno del Mondo e, sì certamente, anche del suo principe, il diavolo, rappresentato nell’allegoria degli arcani dalla lama numero 15.
É il regno delle ombre, che non sono però fuori da noi, ma, tutto all’opposto, dentro di noi: sono i famosi «lati oscuri», oggi sotto attacco da parte del pensiero unico e del politicamente corretto, ma veri e propri doni di Dio.
In quel momento cominci a odiare, a progettare sconnessioni, a pensare a modalità di relazione con gli altri basate sul tuo disinteresse, a smettere di vivere perché «di sofferenza e dolore ne ho avuto abbastanza», a fare proiezioni come «le persone sono tutte cattive»…
In quei momenti, puoi fare scelte sbagliate, come quella, classica, di mettere il tuo cuore dentro ad una gabbia, o di indurirlo come una pietra, per scongiurare altra sofferenza, che, però, fa parte della vita, come ci insegnano tutte le gradi tradizioni sapienziali, tra cui sicuramente il cristianesimo, dove si ringrazia Dio persino per la morte, e il buddismo, dove la prima delle quattro nobili verità è che la vita è dura e contiene la sofferenza, con la conseguenza che chi rifiuta il dolore rifiuta la vita e finisce per non vivere e continuare ad esistere come uno «sconnesso», termine che potremmo considerare un buon sinonimo di narcisista, che é talmente scollegato dagli altri da guardarli soffrire senza accorgersene.
Non prendere mai decisioni quando il dolore ti ha schiacciato a terra, non rimpiangere la sofferenza, non detestare i tuoi lati oscuri.
La sofferenza viene per creare una versione ogni giorno migliore di te, i tuoi lati oscuri, compresa la capacità di odiare, la violenza, ti servono per proteggere tutto quello che ami e sono un dono di cui puoi essere grato a Dio.
Fai attenzione però a quello che ti racconti mentre sei a terra intento a rimetterti in piedi.
Non prendere nessuna scelta finché non sarai di nuovo riuscito a dispiegare di nuovo le vele della tua anima.
Fai che l’unica tua scelta in quei momenti sia chinarti sulla tua anima dolente e aiutarla con amore a rimettersi in piedi.
«Chi semina nelle lacrime mieterà nella gioia.» (Salmo 126, 5)
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Dietro un narcisista, c’è una persona che ha reagito nel modo meno funzionale ad un profondo dolore, diventando purtroppo a sua volta causa di ulteriore dolore per gli altri.
Un narcisista é solo una persona con una grande ferita, che, anziché usarla per diventare più umano, empatico e in grado di capire gli altri, ha deciso, tutto all’opposto, di blindarsi il cuore, ingabbiarselo, finendo solo per diventare più insensibile, isolato e, in fondo, smarrito e monadico.
Tu sei le tue scelte.
Spetta a te decidere cosa fare col dolore e la sofferenza che ti manda la vita.
Puoi usarli come carburante per la tua evoluzione e la tua crescita personale, oppure, al contrario, per smettere di vivere davvero, sul falso presupposto, sull’inganno diabolico, che così smetterai di soffrire…
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