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Quando il compenso richiesto sembra troppo.

nel 2005/06 mi sono rivolto a uno studio infortunistico per un ricorso al giudice di Pace, nel 2008 è arrivato l’assegno di 6600 € e tra avvocato, studio infortunistico e dottore mi sono stati presi 5000€ di spese e senza darmi copia del contratto e in più dandomi una fattura intestata all’avvocato invece che a me.
Mi sembra una spesa un po’ eccessiva, lei che ne dice?

È un tema di cui abbiamo parlato tante volte: per controllare la correttezza del compenso richiesto da un avvocato, o da un’azienda, bisogna vedere in concreto il lavoro che è stato fatto in relazione al caso in cui è stato prodigato.

Per fare questo controllo, peraltro, bisogna fare un altro piccolo investimento, perché anche questo è un lavoro che richiede alcune ore, essendo necessario ricostruire quello che è stato fatto di solito in alcuni anni, tant’è vero che il nostro studio ha un prodotto apposito per questo tipo di situazioni, che puoi vedere in questa scheda.

Ovviamente, puoi spendere altri soldi solo per veder confermata la correttezza del «conto» che ti è già stato presentato, naturalmente anche in questo caso potrebbe valerne la pena perché anche la serenità di sapere di non essere vittima di un’ingiustizia potrebbe giustificare la spesa.

Valuta tu cosa può essere più opportuno fare.

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Condotte riparatorie: come uscire bene da un processo penale.

Uscire in modo brillante da un processo penale.

Oggi ti voglio parlare di un modo molto interessante per risolvere situazioni penali introdotto nel 2017 e che, a mio giudizio, non ancora tutti conoscono e applicano come invece si potrebbe per uscire da procedimenti penali nel modo migliore.

Si tratta dell’estinzione del reato per eliminazione delle conseguenze dell’illecito o, anche solo, offerta di eliminazione effettuata alla vittima del reato.

L’istituto è previsto dal nuovo art 162 ter c.p., introdotto dalla Legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario).

Leggiamolo insieme:

«Nei casi di procedibilità a querela soggetta a remissione, il giudice dichiara estinto il reato, sentite le parti e la persona offesa, quando l’imputato ha riparato interamente, entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e ha eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose del reato. Il risarcimento del danno può essere riconosciuto anche in seguito ad offerta reale ai sensi degli articoli 1208 e seguenti del codice civile, formulata dall’imputato e non accettata dalla persona offesa, ove il giudice riconosca la congruità della somma offerta a tale titolo.

Quando dimostra di non aver potuto adempiere, per fatto a lui non addebitabile, entro il termine di cui al primo comma, l’imputato può chiedere al giudice la fissazione di un ulteriore termine, non superiore a sei mesi, per provvedere al pagamento, anche in forma rateale, di quanto dovuto a titolo di risarcimento; in tal caso il giudice, se accoglie la richiesta, ordina la sospensione del processo e fissa la successiva udienza alla scadenza del termine stabilito e comunque non oltre novanta giorni dalla predetta scadenza, imponendo specifiche prescrizioni. Durante la sospensione del processo, il corso della prescrizione resta sospeso. Si applica l’articolo 240, secondo comma.

Il giudice dichiara l’estinzione del reato, di cui al primo comma, all’esito positivo delle condotte riparatorie».

Lo spirito e l’ambito di applicazione della riforma.

L’intervento normativo che ha introdotto questo istituto si inserisce in un più ampio sistema di riforma dell’ordinamento penale, sia sostanziale che processuale, avviato dalla Riforma Orlando, inteso a “deflazionare il numero di procedimenti penali e comunque a realizzare una rapida definizione degli stessi, determinando effetti di risparmio in termini di spese processuali e di impiego di risorse umane e strumentali” (come si legge nella Relazione tecnica al testo originario).

Attraverso l’estinzione del reato mediante condotte riparatorie, lo Stato, normalmente portatore di un interesse pubblicistico alla repressione penale, rinuncia, per ragioni di politica criminale, alla punizione del colpevole, relativamente a quei reati in cui alla persona offesa è sufficiente un ristoro patrimoniale.

Tutto questo vuol dire che, siccome la giustizia è al collasso, e non si riescono a fare i processi per tutti i reati che vengono commessi, si aprono strade di uscita in cui, a determinate condizioni, si consente agli indagati di definire il procedimento.

Collocato nella parte del Codice Penale dedicata alle cause di estinzione del reato, l’art. 162 ter reca la rubrica “Estinzione del reato per condotte riparatorie”.

Si tratta, nello specifico, di una causa di estinzione del reato a portata generale, cioè applicabile, sul piano astratto, a qualsiasi fattispecie criminosa, salvo alcune precisazioni che si andranno ad illustrare a breve; a natura ‘personale’, dovendo l’iniziativa provenire necessariamente dalla volontà dall’imputato.

La riparazione in caso di concorso di persone.

Relativamente a questo secondo aspetto, è bene precisare che, laddove il reato sia stato commesso da più persone in concorso, la causa estintiva opererà per il solo imputato che abbia risarcito il danno, con la conseguenza della non estensibilità della declaratoria di estinzione del reato a favore dei correi inadempienti, come previsto dalla disposizione generale di cui all’art. 182 c.p. Così, ad esempio, nel caso in cui il danno cagionato dal reato (ad esempio da un furto) venga risarcito da uno solo dei tre responsabili, gli altri due imputati non potranno automaticamente beneficiare della declaratoria estintiva pronunciata in giudizio in favore del correo, dovendo necessariamente ritenersi circoscritti gli effetti di questa pronuncia al solo imputato da cui sia concretamente promanata l’iniziativa riparatrice ritenuta congrua dal giudice.

Presupposti di applicabilità.

Procedendo nell’analisi dell’art. 162 ter, si rileva immediatamente la necessaria compresenza di due requisiti, ai fini della sua applicabilità:

  1. la verificazione di un reato procedibile a querela di parte (senza limitazioni relative alla cornice edittale), purché rimettibile: rimangono inevitabilmente esclusi dall’ambito applicativo dell’istituto i reati procedibili d’ufficio e quelli perseguibili a querela irretrattabile, quelli, cioè, per i quali il nostro ordinamento prevede che, una volta che sia stata presentata regolare querela da parte della persona offesa, questa non possa più essere rimessa: in questo senso, pertanto, esulano dall’operatività dell’art. 162 ter c.p. i reati di violenza sessuale ex art. 609-bis e di atti sessuali con minorenne ex 609-quater c.p.
  2. la mancata remissione di querela da parte della persona offesa, in seguito alla riparazione del danno da parte del reo. Se vi fosse remissione, infatti, il procedimento penale dovrebbe giungere a naturale estinzione per mancanza di condizione di procedibilità, senza nemmeno passare al vaglio di merito del giudice (ma si dovrebbe arrestare all’accoglimento del G.I.P. della richiesta di archiviazione del PM nella fase delle indagini preliminari), mentre per l’applicabilità dell’art. 162 ter c.p. è necessario giungere alla fase dibattimentale del procedimento penale, come previsto dalla lettera della norma.

Non si applica allo stalking.

Merita un accenno una fattispecie delittuosa particolarmente stigmatizzata nell’attuale contesto sociale, ovvero il reato di atti persecutori disciplinato dall’art. 612 bis c.p. (cd. “stalking”), per il quale inizialmente era ammessa l’estinzione del reato per condotte riparatorie, salvo che il fatto non fosse stato commesso a danno di un minore o di una persona con disabilità (ipotesi procedibili d’ufficio).

Tuttavia, da subito si levarono numerose polemiche in relazione a quei casi in cui fu dichiarato estinto il reato per effetto della mera offerta reale formulata dall’imputato, avente ad oggetto la dazione di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno subito dalla vittima, nonostante il dissenso di quest’ultima.

Per questa ragione, solo qualche mese dopo l’introduzione dell’istituto, il legislatore, con la Legge 4 dicembre 2017 n. 172, è andato ad aggiungere all’art. 162 ter c.p. il seguente comma: “Le disposizioni del presente articolo non si applicano nei casi di cui all’articolo 612 bis”, in tal modo escludendo espressamente l’operatività dell’istituto al reato di atti persecutori.

Le condotte riparatorie.

Entrando nel merito dell’istituto, si osserva che la norma articola le condotte riparatorie in due ipotesi alternative:

  • condotta riparatoria integrale, congiunta, ove possibile, alla eliminazione delle conseguenze dannose della azione (la norma recita infatti “quando l’imputato ha riparato interamente … il danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e ha eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose del reato”). Tale comportamento dovrà necessariamente avvenire “entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado”, salva la concessione del termine di sei mesi qualora l’imputato provi che, per causa a lui non imputabile, non sia stato in grado di adempiere alle condotte riparatorie entro il termine ordinario richiesto dalla disposizione (art. 162 ter c.p., II comma). Il fatto non addebitabile va individuato in tutte quelle situazioni di difficoltà di pagamento, tali per cui il termine non viene verosimilmente quasi mai negato, come accade negli sfratti per morosità, dove viene sovente concesso il cosiddetto “termine di grazia. Se il giudice decide di accogliere la richiesta, fissa un termine, non superiore a sei mesi, per permettere all’imputato di provvedere al pagamento, anche in forma rateale, di quanto dovuto a titolo di risarcimento; a questo scopo, ordina la sospensione del processo e fissa la successiva udienza alla scadenza del termine stabilito e comunque non oltre novanta giorni dalla predetta scadenza, imponendo specifiche prescrizioni. Durante la sospensione del processo, il corso della prescrizione resta sospeso.
  • condotta riparatoria realizzata mediante presentazione di un’offerta reale, e successivo deposito, secondo quanto previsto dagli artt. 1208 e ss. c.c., in caso di mancata accettazione da parte della persona offesa e comunque fatto salvo il giudizio di congruità del giudice di merito. In questa ipotesi, stante il richiamo alla disposizione civilistica, è necessario che vengano rispettate alcune prescrizioni, ovvero, anzitutto, che il creditore (persona offesa) sia soggetto capace di ricevere, che l’offerta sia formulata dall’imputato che possa validamente adempiere, ed infine che la riparazione sia completa, ovvero comprensiva della totalità della somma o delle cose dovute. In seguito all’offerta, evidentemente non accettata dalla persona offesa, il giudice ne valuterà la congruità e potrà dichiarare in seguito l’estinzione del reato una volta che l’imputato abbia eseguito il deposito nelle forme stabilite dall’art. 1210 c.c. In particolare, il risarcimento può essere effettuato “banco iudicis”, purché venga accettato (e sia data prova, come sopra si è visto, della sua effettuazione); laddove, invece, la persona offesa non intenda accettare la somma offerta a titolo di risarcimento, posto che l’obbligazione risarcitoria ha per oggetto la dazione di una somma di denaro, occorrerà procedere al deposito della somma offerta presso un istituto bancario: in questo caso, la comunicazione fatta dal debitore al creditore dell’accettazione manifestata dall’intermediario abilitato ad eseguire il trasferimento produrrà gli stessi effetti del deposito previsto dall’art. 1210 c.c. Compiute tutte queste formalità, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, l’imputato dovrà produrne copia, affinché il giudice possa, sentite le parti e la persona offesa, e valutata congrua l’offerta rifiutata, pronunciare la declaratoria (non impugnabile) di estinzione del reato, fatto salvo, ad ogni modo, il potere della persona offesa di richiedere in via civile il ristoro che essa ritiene più congruo.

Cosa deve fare dunque l’autore del reato?

La norma non specifica quale debba essere effettivamente il danno ristorabile, prevedendo unicamente che il danno civile sia riparato “interamente” e che l’eliminazione delle conseguenze offensive avvenga solamente “ove possibile”.

Attualmente, un orientamento dottrinale consolidato ritiene che l’imputato debba porre rimedio ad entrambi i tipi di conseguenze pregiudizievoli sofferte dalla persona offesa, ovvero, sia al “danno civile”, che al “danno criminale”. Per quanto attiene al “danno civile”, l’art. 162ter c.p. attinge con tutta evidenza al testo dell’art. 185 c.p., il quale, nel disciplinare le obbligazioni di natura civilistica scaturenti dall’illecito penale, sancisce per l’appunto l’obbligo delle restituzioni, e l’obbligo del “risarcimento del danno patrimoniale o non patrimoniale” cagionato dal reato. Per quanto attiene invece al “danno criminale”, laddove l’articolo in commento menziona le “conseguenze dannose o pericolose del reato” allude evidentemente all’offesa del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, elemento necessario per la sussistenza del reato.

Al fine di vagliare l’integralità della riparazione del danno, la norma prevede che il giudice, prima di dichiarare estinto il reato, proceda all’audizione (delle parti e) della vittima del reato, ponendosi tale adempimento come momento che, pur se necessario nell’ambito della valutazione circa la sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie riparatoria, non assume tuttavia efficacia vincolante nel contenuto, potendo addirittura essere valutata congrua la proposta riparativa anche in caso di un manifesto diniego della persona offesa. Ciò significa che le esigenze espresse da quest’ultima saranno dunque acquisite dall’organo giudicante, senza però risultare vincolanti nel merito, limitandosi a porsi unicamente come momento di realizzazione del contraddittorio nell’accertamento dei presupposti riparatori dell’estinzione.

È ovvio che nella pratica è bene far precedere sia l’offerta reale che la condotta riparatoria da una trattativa, tramite un avvocato, con la vittima del reato, in modo da vedere se possibile raggiungere un accordo in cui, a seguito dell’esecuzione di una determinata prestazione, come ad esempio il pagamento di una somma di denaro, la vittima si dichiara integralmente risarcita, soddisfatta e tacitata.

Effetti: cosa comporta.

In merito agli effetti dell’applicazione di tale causa estintiva, la dichiarazione di estinzione del reato per effetto delle condotte riparatorie dell’imputato travolge non solo le pene principali e le pene accessorie, ma anche gli effetti penali della condanna e le misure di sicurezza.

Restano efficaci invece gli effetti della confisca obbligatoria, prevista dall’art. 240 comma, secondo comma, c.p., dal momento che l’eventuale pronuncia del giudice penale circa l’estinzione del reato non riveste autorità di giudicato nel giudizio civile.

La causa di estinzione del reato, peraltro, non comporta l’estinzione delle obbligazioni civili derivanti da illecito, pertanto la persona offesa che non reputi soddisfacente e proporzionata all’entità del danno subito la somma deliberata dal giudice penale, eventualmente, può decidere di adire il giudice civile per ottenere una quantificazione più adeguata dello stesso.

Problemi di coordinamento.

La riparazione dal giudice di pace.

Ciò posto, si può considerare come l’art. 162 ter c.p. ponga inevitabilmente problemi di coordinamento con istituti riparatori preesistenti di tipo settoriale, in primo luogo con l’art. 35, D. Lgs. n. 274/2000, che prevede l’estinzione del reato in seguito alla condotta riparatoria da parte dell’imputato nei procedimenti penali di competenza del Giudice di Pace.

Rispetto a questa figura, tuttavia, l’istituto previsto dall’art. 162 ter c.p. si differenzia per la assoluta estraneità di esigenze di conciliazione, di prevenzione di futuri reati e di rieducazione del colpevole: il fondamento teorico dell’istituto previsto dall’art. 162 ter c.p., infatti, non contempla logiche di giustizia riparativa, avendo il legislatore chiaramente mostrato di volere riconnettere esclusiva efficacia al solo fattore della congruità delle condotte riparatorie in relazione alla consistenza del danno arrecato, al fine della declaratoria di estinzione del reato. Qualora, infatti, il giudice reputi le condotte riparatorie congrue, a nulla varrebbe, come detto, un eventuale dissenso della vittima, intenzionata a proseguire nell’azione penale, ma dovrà essere dichiarato estinto il reato.

I commi 1 e 2 dell’art. 35, invece, dispongono che “Il Giudice di Pace, sentite le parti e l’eventuale persona offesa, dichiara con sentenza estinto il reato, enunciandone la causa nel dispositivo, quando l’imputato dimostra di aver proceduto, prima dell’udienza di comparizione, alla riparazione del danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e di aver eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato” e “Il Giudice di Pace pronuncia la sentenza di estinzione del reato di cui al comma 1 solo se ritiene le attività risarcitorie e riparatorie idonee a soddisfare le esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione”. E’ opinione consolidata, infatti, che la ratio dell’art. 35 d.lgs. n. 274/2000, come del resto dell’intero sistema in cui esso è inserito, sia di tipo conciliativo, nel senso che l’Autorità giudiziaria deve sentire la parte offesa (o la parte civile costituita), il Pubblico Ministero e l’imputato, non solo per valutare l’idoneità delle condotte riparatorie a soddisfare l’esigenza di riprovazione della condotta criminosa tenuta, ma anche per verificare se da siffatte condotte sia possibile evincere un pentimento del reo.

A fronte di tali differenze, posto che l’art. 162 ter c.p. non costituisce un inutile doppione dell’art. 35 d.lgs. n. 274/2000, parte della dottrina sostiene l’astratta applicabilità dell’art.162 ter c.p. anche ai reati di competenza del Giudice di Pace. Tuttavia, la scarsa attenzione alla vittima e l’assenza di contatti conciliativi tra questa e l’imputato si scontrano con l’onere del Giudice di Pace di coltivare durante l’intero corso del procedimento un dialogo conciliativo tra le parti. Il processo penale davanti al Giudice di Pace, infatti, è caratterizzato da un costante promovimento della conciliazione tra le parti, come affermato nella disposizione che ne enuncia i ‘principi generali’ (art. 2, co. 2: Nel corso del procedimento, il giudice di pace deve favorire, per quanto possibile, la conciliazione tra le parti). Pertanto, mentre la disciplina ‘speciale’ di cui all’art. 35 d.lgs. 274/2000 appare perfettamente coerente con tale canone conciliativo, mirando in definitiva a stimolare il ravvedimento dell’imputato fondato sull’esatta percezione del disvalore della propria condotta e sulla conseguente volontà di riparare il danno cagionato alla persona offesa (in un certo senso, quindi, di chiedere scusa all’offeso provvedendo a rimuovere tutti gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla condotta lesiva), quella di cui all’art. 162 ter c.p. genera indubbiamente, se proiettata in questo contesto, un fortissimo attrito concettuale.

L’attenuante dell’avvenuta riparazione del danno

Concludendo, volendo accennare brevemente al rapporto tra la causa estintiva del reato prevista dall’art. 162 ter c.p. e gli altri istituti che attribuiscono peculiare rilevanza alle condotte riparatorie del reo, si può citare, in primis, la circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p., secondo cui “Attenuano il reato, quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze attenuanti speciali, le circostanze seguenti: 6) l’avere, prima del giudizio, riparato interamente il danno, mediante il risarcimento di esso, e, quando sia possibile, mediante le restituzioni; o l’essersi prima del giudizio e fuori del caso preveduto nell’ultimo capoverso dell’articolo 56, adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato”. Considerato che il presupposto sostanziale di entrambe le figure è il medesimo, ovvero la riparazione del danno, si può comunque osservare che nel primo caso l’effetto è quello della estinzione del reato, mentre nel secondo solo l’attenuazione della pena; inoltre nella circostanza attenuante vi è alternatività tra la riparazione del danno tramite risarcimento o restituzioni, e l’essersi il reo adoperato per elidere o attenuare le conseguenze del reato, mentre per l’estinzione del reato ex art. 162 ter c.p., come già detto, l’imputato, per andare esente da sanzione, deve non solo risarcire interamente il danno all’offeso, ma anche eliminare ove possibile le conseguenze del reato. Pertanto, qualora l’imputato abbia riparato il danno ma non anche eliminato le conseguenze del reato, scartata l’applicabilità della causa estintiva, residua comunque la possibilità di attenuare la pena a norma dell’art. 62 n. 6 c.p., ipotesi peraltro configurabile anche qualora si sia in presenza di reati procedibili a querela irretrattabile o procedibili d’ufficio.

La particolare tenuità del fatto.

E’ inoltre evidente la somiglianza con l’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto, previsto dall’art. 131 bis c.p., che, alla luce della limitata offensività del fatto commesso, consente di pervenire alla conclusione del processo penale mediante l’emissione di una sentenza di assoluzione, ma solo per i reati puniti con pena non superiore nel massimo a cinque anni. In tali ipotesi, i criteri di valutazione per il giudice sono quelli della modalità di estrinsecazione della condotta illecita e dell’esiguità del danno o del pericolo, che devono essere valutate ai sensi dell’art. 133, comma primo, c.p. La norma in questione prevede comunque un accertamento in merito alla commissione del fatto e all’elemento soggettivo (salvo che la dichiarazione non avvenga prima del dibattimento), pertanto la sentenza penale irrevocabile pronunciata ai sensi dell’art. 131 bis c.p. avrà efficacia di giudicato nel giudizio civile per le restituzioni e il risarcimento, e potrà quindi essere fatta valere in quella sede dalla persona offesa per il soddisfacimento delle proprie pretese risarcitorie.

La messa alla prova.

Quanto, infine, ai rapporti tra l’art. 162 ter c.p. e l’art. 168 bis c.p., che disciplina la sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato, si ritiene che, stante la sostanziale coincidenza di presupposti, il ricorso alla sospensione del processo con messa alla prova potrebbe essere marginalizzato alle ipotesi in cui non è applicabile il 162 ter c.p., ad esempio quado il reato è procedibile d’ufficio.

Conclusioni.

Sei rimasto coinvolto in un procedimento penale per cui esistono i presupposti per la definizione tramite condotte riparatorie?

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Diffida per ingiuria: come si procede?

sono stato presumibilmente vittima di INGIURIA ad opera del mio ex-superiore gerarchico nell’azienda in cui ho lavorato fino a Novembre 2018.
Vorrei per cortesia un preventivo per la lettura e valutazione di email in mio possesso per un riscontro sull’opportunità di procedere davanti a un giudice di pace per la richiesta di risarcimento del danno.

Il costo è sempre quello per la consulenza di base, che comprende anche la diffida e cioè la lettera di richiesta danni, di natura stragiudiziale, rivolta all’autore dell’illecito.

Trovi tutto a questa pagina.

Una prima valutazione dell’opportunità di fare una causa civile al giudice di pace per il risarcimento del danno – l’ingiuria come sai è stata depenalizzata, e anche prima comunque era preferibile agire in sede civile – si può fare immediatamente, al momento del confezionamento della lettera, ma poi andrà rifatta o meglio integrata in base al riscontro che si otterrà o meno con la lettera.

Se vuoi procedere, dunque, intanto con una prima analisi di fattibilità e con la lettera, procedi con l’acquisto dalla pagina in questione.

Ti raccomando con l’occasione di iscriverti e restare iscritto al blog, in modo da non perdere importanti articoli in grado di farti evitare problemi e fregature nella vita di tutti i giorni.

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Modulo CAI compilato male: che conseguenze ci sono?

Sono stato interrogato dal giudice di pace per confermare la mia responsabilità in un sinistro stradale. Non ho confermato il CAI inviato all’assicurazione, adesso cosa può succedere ?

È una domanda davvero un po’ troppo scarna per potervi dare una risposta utile.

Si possono fare solo alcune osservazioni generali.

Intanto, l’interrogatorio del giudice di pace può essere libero o formale. Si tratta di due cose completamente diverse, il primo serve per tentare la conciliazione, il secondo tende a realizzare un vero e proprio mezzo di prova.

Gli effetti dell’uno o dell’altro, dunque, sono molto diversi.

Per quanto riguarda il modulo CAI, o constatazione amichevole di incidente, il suo valore probatorio effettivo nel giudizio civile è molto controverso, nonostante l’art. 143 del codice delle assicurazioni, che, a riguardo, non è stato riconosciuto esaustivo.

Volendo essere sintetici, si può forse dire che il modulo CAI è uno dei diversi elementi di prova che poi utilizza il giudice per la ricostruzione della verità dei fatti.

Se una persona compila in modo inesatto un modulo CAI, le conseguenze dipendono dalle circostanze.

Non credo che, in molti casi, possa esserci il reato di falso in scrittura privata, peraltro abrogato dal d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7.

Piuttosto, se il sinistro non fosse genuino, se si trattasse cioè del classico «bidone» inventato allo scopo di lucrare soldi indebitamente da una compagnia assicurativa, ci potrebbe essere il reato di truffa.

Ovviamente, dipende dalle circostanze e quindi da tutti gli altri elementi del fatto.

Se vuoi approfondire la situazione, valuta di acquistare una consulenza da un avvocato.

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Condanna penale: si può fare un concorso pubblico?

ho avuto una condanna per aggressione a pubblico ufficiale e il giudice di pace mi ha condannato a € 600,00 pena sospesa, posso far parte della polizia locale?

Quello che può fare o meno una persona con uno o più precedenti penali dipende, in generale, discrezionalmente dall’amministrazione che deve procedere all’assunzione, anche perché su uno o più precedenti specifici possono intervenire vicende modificative dello stesso.

Per esempio, per un fatto specifico, per cui è stata irrogata sentenza di condanna, può intervenire riabilitazione o estinzione del reato, che non cancellano affatto il precedente, come credono alcuni, ma ne elidono, cioè annullano, alcuni effetti penali.

Se ciò sia sufficiente per consentire di partecipare ad un concorso, per ottenere permessi o licenze, come tipicamente il porto d’armi, la licenza per fare la guardia giurata, è poi una valutazione che verrà svolta liberamente dall’amministrazione interessata e volta per volta competente.

Per cui la tua domanda, purtroppo, non ha molto senso.

In primo luogo, bisogna vedere esattamente cosa prevede la sentenza di condanna e se dopo la stessa sono intervenute, o si possono far intervenire, vicende migliorative come quelle sopra citate.

Se si possono far intervenire, e si stima che potrebbe essere utile, è poi ovviamente il caso di lavorarci sopra per ottenerle.

In secondo luogo, bisogna vedere cosa prevede, una volta che la tua posizione sarà stata chiarita, il bando di concorso cui intendi partecipare.

Ti conviene svolgere questo lavoro di approfondimento con l’aiuto di un avvocato, tieni solo in considerazione che può darsi che questo investimento non abbia ritorno per te, perché potrebbe anche concludersi con una valutazione negativa circa la possibilità per te di concorrere.

È solo un tentativo che puoi fare.

Se vuoi un preventivo da parte del nostro studio, puoi chiedercelo compilando il modulo apposito nel menu principale del blog.

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Figlia di 21 anni a carico: posso scaricare le spese mediche?

sono divorziata e ho tre figli tra cui una di 21 anni non lavora e non va a scuola per motivi gravi di salute il padre ha dato sempre un sussidio che ora ha variato senza andare da un Giudice di pace e i soldi che portava direttamente a casa mia visto che mia figlia ha la residenza dove abito io con il mio attuale marito sposati in comune e ha preso nel suo stato di famiglia me e mia figlia abbiamo il diritto di scaricare gli scontrini fiscali di farmaci, visite ecc visto che il mio ex marito a parte il sussidio mia figlia è stata cresciuta da me il mio attuale marito e lui convive beato con la sua convivente

Purtroppo, questo è un problema non tanto di competenza di un avvocato: è materia fiscale / previdenziale su cui bisognerebbe interpellare un fiscalista, cioè un commercialista, un ragioniere o un sindacato.

Quello che ti posso dire è che può essere che il fiscalista abbia bisogno di vedere qual è il titolo che regola il divorzio, cioè la sentenza o accordo in house (convenzione di negoziazione assistita) che ha determinato lo scioglimento del matrimonio e il conseguente regime in ordine ai figli, anche se tale regime al momento è decaduto, avendo tua figlia ormai superato la maggiore età.

Un’altra cosa che volendo si può dire è che il mantenimento pagato per un figlio non può essere variato a piacimento, trattandosi peraltro di materia indisponibile, ma deve essere sempre corrisposto nella misura determinata dal titolo che lo regola. Attenzione però che, se è vero che il diritto è imprescrittibile, è vero che i singoli ratei cadono in prescrizione dopo 5 anni.

Ovviamente, non è competente il giudice di pace per questo genere di vertenze, che appunto riguardano materia di famiglia che è indisponibile, ma il tribunale.

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Ho ricevuto una denuncia infondata: cosa faccio?

solo dopo due anni ho saputo da una lettera che un mio vicino ha fatto ricorso in Cassazione a Roma di un reato per Lui che non ho mai fatto e mai risalito a questa denuncia fino pochi giorni fa. il colloquio lo faranno il 9 .12.2016.Per stabilire se procedere o no su un’archiviazione di questa den. da parte della Procura di Pn. Io ho le prove delle stesse foto fatte dal vicinante che la rete che lui ammette che ho sgangiato di Sua proprietà è stata la Slavina del Suo tetto che cadendo rovesciò la rete verso la Mia proprietà, feci le foto allora, volendole mandare al Vicino per dirgli che la neve aveva staccato la rete e di rimetterla a posto, per ascoltare mia moglie mi disse di non spedirle in quanto questo magari faceva storie, con delle liti, ora cosa devo fare per dimostrare alla Cassazione questa mia Innocenza ?

Sei in preda ad una notevole confusione e, ancor più in situazioni del genere, per procedimenti penali è sconsigliabile fare qualsiasi cosa di diverso dal rivolgersi appena possibile ad un bravo, e soprattutto degno di fiducia, avvocato.

La Cassazione non c’entra niente, è un giudice di ultima istanza, e solo in sede di legittimità, mentre questo procedimento probabilmente pende al tribunale o al giudice di pace.

Non è detto che vada avanti e che, nel caso, si concluda con una condanna, ma l’unica cosa da fare quando si è sottoposti ad un procedimento penale è lavorare sull’allestimento della miglior difesa possibile.

Questa è una cosa che non puoi ovviamente fare da solo, sia per legge, perché è richiesta l’assistenza di un avvocato, sia perché non ne saresti affatto in grado, così come la maggior parte delle persone che non praticano i tribunali quotidianamente.

Non ti posso dare altro consiglio che quello di dedicarti appena puoi alla ricerca di un legale che possa essere degno della tua fiducia, raccomandandoti sin da ora di far riferimento a lui, dopo averlo scelto oculatamente, con la massima, appunto, fiducia.

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Giudice di pace: vacci a parlare, e capirai tante cose.

Oggi pubblico il post di un’amica e collega del mio stesso foro di Modena, Rita Fontanesi, che su facebook ha scritto un piccolo sfogo che però contiene tante importanti verità che credo sia giusto vengano portate all’attenzione di tutti i cittadini ed utenti della giustizia, per iniziare a capire che le cose stanno molto diversamente da quello che vorrebbe farvi credere il telegiornale.

Quello che ha scritto Rita è sicuramente incredibile, ma (io vi posso assicurare che è) vero.

Molta gente è convinta che andando a parlare con il Giudice di Pace tutto possa essere risolto. Se hai una sentenza di Tribunale che non ti piace mica fai appello, che è una roba lunga che costa, no no scherziamo!?: “Voglio andare a parlare dal Giudice di Pace, sono sicuro che capirà!”. Perfetto…dov’è il Giudice di Pace? Non è più a Carpi, è stato soppresso ora è solo a Modena dove per parlare con un cristiano che sia vivo, non il Giudice ma un cristiano qualunque che abbia almeno un paio di occhi e una bocca per parlare, devi andare alle 6,30, prendere un bigliettino così forse per le 13 il cristiano ti parla e forse ti dice quando puoi tornare per parlare con il Giudice vero e proprio (che nella fattispecie non è competente per il tuo problema ma vabbè! Mi capirà!). Io ormai dal Giudice di Pace sto solo aspettando una sentenza (per la quale è competente) dal 2010, dopo di che ho spavirato via ogni nuova pratica perchè non ci voglio più avere a che fare in quanto, per il tempo che perderei, dovrei fare delle parcelle completamente insensate. Men che meno ci vado per una cosa che non lo riguarda…quindi andrà il cliente direttamente. Sono momenti altamente formativi per un cliente…sono quei momenti in cui capisce che, se la giustizia non funziona, non è per colpa degli avvocati (che pagano al posto dello Stato la carta, i toner, le biro, le fotocopiatrici, i ganci, gli evidenziatori, le graffette…e tutto ciò che vi viene in mente) ma perchè le riforme vengono fatte da cocainomani con il gusto per l’orrido che non hanno mai lavorato seriamente un solo giorno. Ma hanno profumatissime pensioni!

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Se vendo i miei immobili ai miei figli posso non pagare Equitalia?

Ho accululato diverse multe autovelox ,che ritengo ingiuste e non intendo pagare,per diversi motivi,ho presentato ricorso al giudice di pace,ma credo che alla fine,verranno confermate,queste sanzioni da me non pagate diventeranno immagino cartelle esattoriali Equitalia,per cui mi chiedo se anche in questo caso , pur essendoci una responsabilita’ individuale ,le stesse se da me non pagate ricadranno sui miei figli ? , e se inquanto ,a breve voglio intestare tutti i miei averi ai miei figli ( a proposito e’ meglio a questo punto fare una vendita….’ e’ meno aggredibile dal fisco di una donazione???) e diventare nullatenente, poi possono rivalersi sulla mia futura pensione o su qualche usofrutto eventuale di un negozio dove andrei a vivere?

Nella tua domanda mescoli cose molto diverse tra loro, ognuna delle quali richiederebbe un approfondimento a parte. Ti posso in questa sede ovviamente dare solo alcuni brevi spunti.

Purtroppo, i debiti in genere, tra cui sicuramente quelli con Equitalia, si trasmettono agli eredi. Ne abbiamo parlato diverse volte nel blog, puoi fare una ricerca per trovare diversi articoli che approfondiscono la cosa.

La formula migliore con cui trasferire i beni ai propri figli va valutata attentamente in riferimento ai tanti profili che sono interessati non sono civilistici ma anche fiscali e così via.

In ogni caso, non ti posso dare consigli su come sottrarre i tuoi beni ai creditori, come ripeto sempre bel blog. Per questo non posso nemmeno fare considerazioni sulle ultime domande.

Forse è il caso che incarichi un avvocato di approfondire il tuo caso e dirti cosa ti conviene fare, anche perché fare trasferimenti immobiliari per non pagare alcune multe, i cui debiti comunque potrebbero passare agli eredi, che sono gli stessi a cui hai trasferito gli immobili, potrebbe non avere molto senso.

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Causa civile: ma quanto tempo può durare?

Vorrei sapere quanto può durare la causa che sto valutando di fare, anche perché non vorrei mi venisse a costare poi troppo. Possibile che non ci siano indicazioni sui tempi, almeno vaghe?

Purtroppo è molto difficile prevedere la possibile durata di una causa. In effetti è un problema, perchè come hai giustamente intuito la sua durata incide anche sul costo, sia con i sistemi tariffari tradizionali, sia con i sistemi nuovi, come il nostro “forfettone“, con la sola eccezione della quota lite, che però non è sempre praticabile e, dove praticabile, non è sempre accettata dal legale ed è quindi una opzione tariffaria tutto sommato ancora praticata marginalmente. Con il sistema del forfettone, almeno, hai un tetto di spesa massimo su base annuale, che secondo noi è il massimo grado di certezza che si può raggiungere considerato il tipo di lavoro che svolge un avvocato ed ha il grande vantaggio di distribuire la spesa in vari ratei, evitando che, magari dopo 7 o 8 anni, arrivi al cliente una parcella che, se redatta secondo il vecchio sistema tariffario, può non difficilmente essere di decine di migliaia di euro.

L’unico sistema per avere una vaga idea della durata di un procedimento, comunque, è quello di guardare un po’ alle statistiche, cioè alla durata che si è avuta sinora. Va al riguardo tenuto presente che ci sono grandi differenze innanzitutto tra sedi giudiziarie, per cui una causa a Milano può avere una durata diversissima di una a Napoli, quindi occorre informarsi presso un legale del foro locale – o uno studio come il nostro che essendo anche network è in grado di recuperare queste informazioni da un referente in loco.

Un’altra importante distinzione è quella tra cause di Tribunale e cause di Giudice di Pace. Le prime sono molto più lunghe delle seconde. Solitamente, una causa di Tribunale ha una possibile durata dai cinque ai sette anni, con punte in meglio o in peggio a seconda dei casi. Una causa di Giudice di Pace, invece, di solito dura circa un anno e mezzo, anche se qui si sentono in particolar modo le differenze tra sedi giudiziarie.

La statistica, comunque, è solo un dato vago ed indicativo, perchè la durata della causa che inizi oggi può essere influenzata da riforme o “ristrutturazioni” dell’apparato giudiziario che potrebbero essere, ad esempio, fatte tra due o tre anni e che potrebbero accorciare, ma più facilmente allungare, la durata della causa stessa.

Ad esempio, ricordo che agli inizi della professione iniziai una serie di cause presso l’allora esistente Pretura di Vignola, che aveva una media di durata delle cause di circa quattro anni, che, anche ai tempi, era una buona media. Dopo un paio d’anni, tuttavia, i nostri “soloni” di Roma, spalleggiati anche da quelli di Bologna e Modena, decisero che la Pretura andava soppressa – si trattò di una perdita gravissima per il territorio, che ne sta subendo le conseguenze ancora oggi – e tutte le cause finirono in Tribunale a Modena. Confluite nel gran calderone, tutte quelle cause, che avevano inizialmente buone speranze di finire in quattro anni, in realtà terminarono in sette, alcune otto anni, praticamente il doppio, e non c’è stato nulla da fare.

Come dicevo prima, comunque, è proprio per questa incertezza di fondo che spesso consigliamo ai nostri assistiti l’opzione tariffaria del forfettone, che almeno, duri quel che duri la causa, mette un “tetto” di spesa a livello annuale, così il cliente può programmarsi per bene le spese, sapendo che, per ogni anno di durata, spenderà una certa cifra e soprattutto non avrà le famigerata sorprese finali.

Un’altra cosa da dire, per chiudere il discorso, rispetto alla durata delle causa è che in tutti i casi in cui la stessa, praticamente in quasi tutte le cause di Tribunale, supera i quattro anni, la parte può, almeno, chiedere l’equa riparazione, cioè un risarcimento del danno “morale” per la durata eccessiva del procedimento.