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Clienti supermercato che sporcano: il condominio può intervenire?

il nostro ufficio ha sede in un edificio al cui piano terra si trova un supermercato. I clienti (o presunti tali) del supermercato danneggiano, sporcano e creano disagio al condominio (al punto addirittura di usare l’ascensore condominiale come latrina). Il supermercato afferma che non ritiene sua responsabilità intervenire in alcun modo per prevenire il comportamento dannoso dei clienti (ad esempio tramite l’uso di un servizio di guardie, come da noi proposto). Il supermercato è responsabile per il comportamento dei propri clienti (come ad esempio lo è il gestore di un bar nel caso di rumori molesti provocati dai propri clienti)?

A mio giudizio la società che gestisce il supermercato non può lavarsene le mani, trattandosi di danni che derivano direttamente dallo svolgimento dell’attività stessa che, per sua natura, richiede un continuo e intenso accesso e recesso da parte del pubblico.

Forse l’allestimento di un servizio di vigilanza è un onere eccessivo per una situazione come questa, ma si possono ipotizzare altre soluzioni come interventi di pulizia più frequenti, ad esempio.

Suggerirei di inviare una diffida alla società che gestisce il supermercato per richiamarla alle proprie responsabilità in materia, sotto pena, in difetto, di ipotizzabile azione giudiziario. Se riesci a fare gruppo con altri titolari di unità immobiliari dell’edificio, riesci sia ad avere più forza di intervento nei confronti della controparte sia ad abbattere le spese, che sono sempre le stesse, ma vengono divise per più soggetti, a volte molti di più.

Il punto di partenza, come sempre, è dunque un appuntamento in cui confezionare insieme una diffida da inviare alla controparte.

Se vuoi incaricarmi di preparare e spedire la diffida, chiama ora lo studio al numero 059 761926 e prenota il tuo primo appuntamento, concordando giorno ed ora con la mia assistente; puoi anche acquistare direttamente da qui: in questo caso, sarà poi lei a chiamarti per concordare giorno ed ora della nostra prima riunione sul tuo caso; a questo link, puoi anche visualizzare il costo.

Naturalmente, se vivi e lavori lontano dalla sede dello studio – che è qui, a Vignola, provincia di Modena, in Emilia – questo primo appuntamento potrà tranquillamente avvenire tramite uno dei sistemi di videoconferenza disponibili, o anche tramite telefono, se lo preferisci. Ormai più della metà dei miei appuntamenti quotidiani sono videocall.

Guarda questo video per sapere meglio come funzionerebbe il lavoro con me.

Ti lascio alcuni consigli finali che, a prescindere dal problema di oggi, ti possono sempre essere utili.

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10 cose sull’insinuazione allo stato passivo.

1) La devi fare quando hai un credito nei confronti di una società o altra impresa commerciale che é stata dichiarata fallita.

2) Sei tu che devi attivarti per chiedere che il fallimento paghi il tuo credito, se non lo fai nessuno te lo pagherà, anche se risulta dai libri contabili: é lasciato alla tua iniziativa.

3) L’istanza di insinuazione deve essere fatta categoricamente entro un certo termine, che di solito é 30 giorni prima quello fissato per l’udienza di verificazione dello stato passivo.

4) Di solito, impari che la società da cui devi avere dei soldi é fallita da una lettera che ti manda il curatore, che ha trovato il tuo credito nei libri contabili.

5) La lettera del curatore contiene tutte le indicazioni per presentare la tua istanza di ammissione.

6) Appena ricevi la lettera o hai in qualsiasi altro modo notizia certa del fallimento della società che deve pagarti é bene che tu prenda un appuntamento con il tuo avvocato di fiducia per mostrargli la documentazione e chiedergli di occuparsi dell’istanza.

7) Può anche darsi che non convenga procedere con la formazione e l’invio dell’istanza: questo é un aspetto fondamentale che potrai valutare insieme al tuo avvocato nel primo incontro e prima di procedere oltre.

8) Alcune persone hanno un privilegio, cioè il diritto di essere pagati coi soldi presenti o ricavabili nel fallimento prima di tutti gli altri, anche a discapito degli stessi altri.

9) L’esempio più conosciuto di persone con privilegio é quello dei lavoratori dipendenti per retribuzione, TFR, interessi e tutte le altre voci connesse al rapporto di lavoro.

10) L’esistenza del privilegio deve essere dichiarata nell’istanza, altrimenti si viene ammessi in via chirografaria, cioè senza privilegio, e si rischia di non prendere quasi niente.

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Cancellazione dall’elenco falliti: un esempio

Oggi ti voglio riportare un provvedimento di cancellazione dell’iscrizione di una persona nel registro dei falliti che abbiamo ottenuto recentemente dal tribunale di Potenza.

Riceviamo spesso richieste di cancellazione di queste iscrizioni e richieste di chiarimenti riguardo alle stesse, così ho pensato che potesse esserti utile vedere un esempio di provvedimento a riguardo.

In questo caso, il procedimento è durato circa sei mesi, ma ti ricordo che i tempi sono variabili a seconda della sede del tribunale competente, che è determinato per legge e non si può scegliere a proprio piacimento.

Se tu o un tuo familiare o una persona che conosci avete bisogno di una pratica come questa, potete valutare il prodotto relativo, descritto in questa scheda del nostro store legale.

La pratica relativa è poi meglio descritta in questa pagina.

«TRIBUNALE DI POTENZA

Il Giudice dell’Esecuzione dott.ssa Flavia Del Grosso,

letta la richiesta presentata nell’interesse di xxx, depositata in data 22.1.2018, volta ad ottenere l’ordine di cancellare dal sistema informativo del casellario l’iscrizione della sentenza pronunciata dal Tribunale di Melfi in data xxx n. xxx, che aveva dichiarato il fallimento della xxx e, conseguentemente, dell’istante quale socio illimitatamente responsabile;

letti gli atti, osserva quanto segue:

Va in primo luogo premessa l’illegittimita? sopravvenuta dell’iscrizione nel casellario giudiziale della sentenza dichiarativa di fallimento (per effetto della pronuncia della Corte Costituzionale n. 39/2008 e del D.P.R. n. 313/02 come modificato dal D. lgs n. 169/07), e va altresi? ribadito che la competenza sulle questioni concernenti le iscrizioni e i certificati del casellario giudiziale spetta Tribunale del luogo ove ha sede l’ufficio nel cui ambito territoriale e? nato l’interessato (v. art. 40 D.P.R. cit., sostanzialmente richiamante l’abrogato art. 689 c.p.p.).

Ritenuto che l’attribuzione all’autorita? giudiziaria della competenza a decidere sulle controversie in materia di iscrizione comporti altresi? il potere di ordinare l’eliminazione delle annotazioni che non possono essere iscritte o che vanno eliminate, va poi detto che nel caso in esame, relativo all’iscrizione di sentenza dichiarativa di un fallimento ormai chiuso, va senz’altro ordinata l’eliminazione di detta iscrizione (v. in tal senso, Cass. Pen. Sez. I, Sent. n. 8317 del 16.12.09).

Ed invero, ripercorrendo le successive modifiche apportate nel tempo alla specifica materia, occorre partire dal testo previgente della legge fallimentare, che faceva derivare automaticamente dalla dichiarazione di fallimento e dalla conseguente iscrizione nel pubblico registro dei falliti la perdita dei diritti civili del fallito fino alla definitivita? della sentenza di riabilitazione civile e alla pronuncia giudiziale di cancellazione dell’iscrizione nel registro. Mai essendo stato istituito il Pubblico registro dei falliti, la predetta pubblicita? era realizzata dall’iscrizione nell’Albo dei falliti e dall’iscrizione della sentenza nel casellario giudiziale.

Il D. lgs n. 5/2006, nel tracciare una riforma organica del fallimento, ha novellato anche in relazione a tali aspetti specifici, sopprimendo l’albo dei falliti, e sostituendo l’istituto della riabilitazione civile del fallito con quello dell’esdebitazione, con immediati riflessi anche sul regime delle iscrizioni nel casellario giudiziale. In particolare, la vecchia normativa (che prevedeva l’iscrizione per estratto dei provvedimenti giudiziari che dichiarano il fallimento; di quelli di omologazione del concordato fallimentare, di chiusura del fallimento e di riabilitazione del fallito) doveva ritenersi implicitamente abrogata per la parte che menzionava riscrizione della riabilitazione.

La disciplina transitoria prevedeva tuttavia che i ricorsi per dichiarazione di fallimento e le domande di concordato fallimentare depositate prima dell’entrata in vigore del decreto, nonche? le procedure di fallimento e concordato fallimentare pendenti alla stessa data, andassero definiti secondo la legge anteriore.

Si rendeva pertanto necessario l’intervento correttivo del Digs 169/07, che abrogava, tra l’altro, le norme del D.P.R. 313/02 riferite all’iscrizione nel casellario della sentenza di fallimento, in particolare quelle che disciplinavano l’iscrizione dei provvedimenti giudiziari inerenti alla dichiarazione di fallimento; l’eliminazione dell’iscrizione della sentenza dichiarativa di fallimento solo in caso di revoca definitiva dello stesso; la non inseribilita? nei certificati della sentenza dichiarativa di fallimento in caso di riabilitazione; la non iscrizione nel certificato penale richiesto dall’interessato (e dalle pubbliche amministrazioni) delle sentenze di fallimento.

Il D. lgs n. 169/07 precisava poi che per le procedure concorsuali aperte dal 16.01.06, il richiamo, contenuto nel D.P.R. n. 313/02 alla riabilitazione doveva intendersi riferito alla chiusura del fallimento, e che le nuove disposizioni si applicavano ai procedimenti per dichiarazione di fallimento pendenti ovvero aperti successivamente.

La C. Cost, con la sentenza n. 39/2008, ha dichiarato poi l’illegittimita? costituzionale dell’art. 50, R.D. 267/42 (che istituiva il pubblico registro dei falliti collegando la permanenza delle incapacita? connesse allo status di fallito alla predetta iscrizione) e dell’art. 142 (che subordinava la cancellazione dell’iscrizione de qua e la cessazione delle incapacita? solo alla definitivita? della sentenza di riabilitazione) evidenziando il contrasto con l’art. 3 Cost, della previsione che determinati effetti sanzionatori del fallimento permanessero anche “dopo la chiusura del fallimento (…’’senza correlarsi alla protezione di interessi meritevoli di tutela”).

Successivamente, anche il problema concernente l’asserita impossibilita? di cancellare dal Casellario giudiziale l’iscrizione di pregresse sentenze dichiarative di fallimento se non in caso di revoca, veniva portato all’attenzione della Corte costituzionale, che rilevava tuttavia la possibilita? di un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme, alla luce delle modifiche legislative via via intervenute.

Ed in effetti, valutando organicamente la nuova disciplina, puo? considerarsi pacifico da un lato che le sentenze dichiarative di fallimento non debbano piu? essere iscritte nel casellario giudiziale (essendo la pubblicita? in ogni caso assicurata dall’iscrizione nel registro delle imprese), e dall’altro che a carico del fallito non possano piu? conseguire effetti personali che si protraggano anche dopo la chiusura del fallimento.

Si osserva peraltro che l’abrogazione della riabilitazione civile priva di fatto il fallito della possibilita? di conseguire un’attestazione di comportamenti idonei a bilanciare l’annotazione del fallimento. In conclusione, il permanere, per i fallimenti pregressi e dopo la loro chiusura, di un’iscrizione pregiudizievole (ancorche? priva di effetto) ma non eliminabile, appare ingiustificato e inutilmente discriminatorio.

Trasferendo queste considerazioni sul piano concreto, si osserva che ristante e? nato a Melfi, ma che il Tribunale dello stesso Comune e? stato soppresso, per cui la competenza a decidere sull’istanza appartiene al Tribunale di Potenza.

Si rileva, inoltre, che in data 14.3.2001 il suddetto Tribunale di Melfi omologava con sentenza n. xxx il concordato fallimentare a chiusura della procedura in oggetto (cff certificato della cancelleria della sez. fallimentare del Tribunale di Potenza in atti).
Per tutto quanto sopra esposto, dunque, la domanda puo? trovare accoglimento, dovendosi pertanto ordinare l’eliminazione dal Casellario giudiziale della iscrizione della sentenza di fallimento del ricorrente xxx.

PQM

dispone che dal certificato del casellario giudiziale relativo a xxx, nato a Melfi il xxx, sia cancellata l’iscrizione relativa alla sentenza pronunciata dal Tribunale di Melfi in data xxx n. xxx che aveva dichiarato il fallimento del xxx quale socio

illimitatamente responsabile della xxx. Si comunichi a cura della Cancelleria.

Potenza, 13.2.2018

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Socio di sas uscito: risponde per i debiti?

mio padre è socio accomandatario di una sas al 50%; l’altro socio a fine anno è andato in pensione.
per la sua uscita non ha chiesto nulla in quanto il suo è stato un subentro e non ha versato nessun capitale sociale;la società è ancora attiva e volevo chiederLe se per quanto riguarda i debiti accumulati dalla società nei confronti del fisco spetta solo a mio padre doverli pagare o anche al socio uscente, in quanto essendo una sas ne rispondono entrambi? I debiti del fisco riguardano gli anni in cui lui ancora lavorava.
Secondo Lei cosa dovrebbe fare mio padre?

Purtroppo è impossibile dare una risposta davvero utile in una situazione del genere senza aver potuto visionare l’atto di recesso o mutuo consenso con il quale il socio è uscito, insieme alla documentazione sociale, tra cui lo statuto e l’atto costitutivo.

In generale si può solo ricordare che i soci accomandatari rispondono delle obbligazioni sociali sorte sino al momento della loro uscita ai sensi dell’art. 2290 cod. civ. secondo cui appunto nei casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente ad un socio, il socio, ed i suoi eredi, sono responsabili delle obbligazioni sociali maturate sino al giorno dell’uscita del socio stesso.

Considerata l’importanza dei valori e degli aspetti che ci sono in ballo, ti consiglierei di rivolgerti ad un bravo avvocato innanzitutto per una consulenza volta a chiarire meglio la situazione, esaminando più in dettaglio la situazione anche alla luce della documentazione esistente, ma in seguito probabilmente anche per compiere quelle attività necessarie per la tutela di tuo padre.

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Locazione commerciale: non riesco più a pagare, che faccio?

ho un’attività in affitto, purtroppo sono morosa da quattro mesi nel pagamento del canone d’affitto, questa mattina comunicando alla proprietaria che avevo un potenziale acquirente per la mia attività lei mi ha messo a conoscenza del fatto che si era rivolta ad un avvocato (ovviamente non ero a conoscenza della cosa perché in questo periodo era stata espressa da parte mia verbalmente la difficoltà che avessi nell’adempiere al mio impegno dovuto alla crisi)che cosa devo fare adesso?
come mi posso muovere?

Ti sembrerà stupefacente, ma per un problema legale devi per forza rivolgerti ad un avvocato.

Non puoi fare da sola, sia per gli aspetti tecnici, che sono abbastanza difficili da padroneggiare per i professionisti stessi, sia per la conduzione delle trattative, che sarebbe il modo più indicato al momento attuale per trattare la situazione.

È molto importante evitare l’intimazione dello sfratto, perché nel campo delle locazioni commerciali non c’è la possibilità di chiedere il termine di grazia come è previsto per le locazioni abitative, in più molti giudici considerano valido il principio della cristallizzazione dell’inadempimento: questo significa che se anche dopo lo sfratto paghi tutto quanto dovuto e magari anche le spese legali, la proprietà conserva il diritto di chiedere ed ottenere la convalida dello sfratto, con la conseguenza che perdi comunque i locali e i salti mortali che magari hai fatto per poter pagare, da questo punto di vista, non sono serviti a nulla.

La cosa che devi fare è scegliere, e qui ti raccomando la massima cura possibile, un bravo ?, facendogli contattare subito quello della proprietà per vedere se si riesce a trovare una soluzione negoziale, anche temporanea, attraverso adeguate trattative.

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Affitto di azienda con beni mancanti: che fare?

problema affitto ramo azienda bar pasticceria, nel laboratorio pero mancano la meta dei macchinari stabiliti,
perche hanno una causa per mancata restituzione macchinari dati in comodato, ho avuto pazienza poi
ho stabilito che fino a quando non mi danno i macchinari non pago piu l’affitto, perche mi e stato arrecato un danno di limitata possibilita produttiva. posso essere obbligata a pagare almeno una picoola parte oppure posso continuare a non pagare?
la societa che mi ha affittato ha problemi con dei fornitori che stanno pignorando l’affitto, ma se io non pago mi e stato detto che possono (i creditori) chiedere la risoluzione del contratto

La situazione andrebbe approfondita molto di più, per capire quali sono le cause, materiali e/o giuridiche, della mancata consegna e messa a disposizione della parte di beni che manca, da valutare rigorosamente confrontando la consistenza reale con quella descritta nel contratto di affitto.

A parte questo, più in generale si può dire che in ogni caso, come abbiamo già detto centinaia di volte, non è mai prudente interrompere il pagamento del canone sic et simpliciter, senza formalizzare il cambio di atteggiamento in qualche modo.

In questi casi, e sempre che ce ne sia il fondamento, si esercita l’eccezione di inadempimento, cioè il vecchio principio per cui inadimplenti non est adimplendum.

Quando si dispiega questa eccezione, è bene inviare all’altra parte una lettera scritta, con raccomandata a ricevuta di ritorno o posta elettronica certificata, con cui si indicano i motivi dell’inadempimento e quindi la sua giustificazione, in modo se non altro da comprovare la propria buona fede.

Stai molto attenta perché negli affitti di azienda non sono previsti termini di grazia, e molti giudici ritengono che valga il principio della cristallizzazione dell’inadempimento, cioè se anche paghi dopo l’intimazione dello sfratto o comunque l’iniziativa giudiziaria della proprietà volta a conseguire la risoluzione lo sfratto rimane valido.

Ti consiglio di far scrivere questa lettera da un bravo avvocato.

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Le condizioni di separazione possono sempre essere cambiate?

circa un anno fa, insieme ad un amico, titolare di una ditta individuale nel settore industriale, si voleva costituire una s.nc., Volevamo chiudere la ditta individuale e formare una società per unire le forze e ampliare il volume d’affari. Purtroppo è subentrata la sua separazione dalla moglie, con un figlio minore e tutto è passato in secondo piano. A distanza di un anno hanno firmato un accordo di separazione, evitando un iter giudiziale. Alla moglie viene passato un contributo mensile a tempo indeterminato e il figlio rimane con il papà (tra 6 mesi è maggiorenne). Finalemente vorremmo costituire una snc. Ci sono dei presupposti nel caso dovessimo incrementare il fatturato e quindi gli utili, dove la moglie separata dal mio amico può avanzare delle richieste e quindi di fatto far slittare nuovamente la ns. società?

Le condizioni di separazione possono essere sempre cambiate, o comunque ogni coniuge può sempre chiedere il cambiamento, così come spiego nella scheda sulla modifica condizioni.

In ogni caso, non credo abbia senso collegare più di tanto la costituzione e l’esistenza in vita di un’impresa, per quanto piccola possa essere, alle vicende familiari dei suoi membri, che possono sempre cambiare, considerando che nessuna situazione è per sua natura stabile.

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Posso essere escluso da una società cui ero stato associato?

ho trovato un locale per aprire una bar ristorante estivo, a San Teodoro (OT), ho proposto una societa,a un mio amico e questo a portato un altro perche cera bisogno di una fideJuzione,morale il contratto d’affitto e stato intestato alla società di quest’ultimo”Bella srl” e noi altri(due) ci siamo associati
per il conseguimento della licenza e la gestione dividendo i profitti..con un apporto di capitale del 37,5%
piu contributo lavorativo.Adesso gli altri due sion sono messi d’accordo ( 37,5%+25% di quote= maggioranza)
per escludermi dalla società,con boicot e senza restituirmi i miei soldi..e arrecandomi un danno per mancato guadagno, (contratto di 6 anni).come dovrei muovermi e cosa posso rivendicare

Per capire come poterti muovere, la prima cosa da fare è capire esattamente cosa significa che vi siete «associati», cioè quale figura giuridica è stata utilizzata per «inserirvi» in questa impresa cioè ad esempio se siete stati inquadrati come collaboratori, soci, associati in partecipazione e così via.

Da ciò, infatti, dipende la disciplina applicabile, quella in base alla quale si può verificare la legittimità della tua esclusione e, più in generale, individuare le regole applicabili.