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ATP ex art. 445 bis cpc: da quando decorre il beneficio?

Come noto, nelle cause in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonché di pensione di inabilità e di assegno di invalidità, disciplinati dalla legge 12 giugno 1984, n. 222, chi intende proporre in giudizio domanda per il riconoscimento dei propri diritti presenta con ricorso al giudice competente istanza di accertamento tecnico per la verifica preventiva delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere.

Il giudice preposto all’ATP, come chiarito da Cassazione n. 6010-6085/2014 è tenuto, con il decreto di omologa, ad attenersi alle conclusioni di ordine sanitario cui è giunto il CTU. La Suprema Corte ha anche avuto cura di precisare che, in caso di asimmetria tra la CTU e il decreto di omologa, si dovrà avere riguardo alle conclusioni definitive predisposte dal consulente.
In tale solco si pone il problema della decorrenza del beneficio eventualmente riconosciuto al ricorrente nella consulenza tecnica d’ufficio. In particolare, la prassi dei Tribunali insegna che non di rado il CTU, nel riconoscere il predetto beneficio, ometta però di indicarne la decorrenza.

Tale omissione, tuttavia, non va interpretata come una carenza della consulenza tale da ingenerare incertezza circa la data di effettivo riconoscimento dell’indennità richiesta.
Al contrario, a chiarire la linea di condotta cui sono tenuti gli uffici INPS preposti alla liquidazione delle prestazioni riconosciute tramite decreto di omologa ci pensa la Nota INPS 4818/2015, nella quale viene testualmente riportato “Gli uffici amministrativi dovranno riconoscere la prestazione con decorrenza dal primo giorno del mese successivo alla presentazione della domanda.

Nel caso in cui, invece, la CTU riconosca la sussistenza del requisito sanitario da una data successiva a quella della domanda, per data di decorrenza della prestazione deve intendersi il primo giorno del mese in cui è dichiarata l’insorgenza dello stato invalidante”. A parere dello scrivente, la suesposta nota è di chiara interpretazione: la necessità di specificare la decorrenza si pone unicamente nei casi in cui il CTU ritenga di dover spostare “in avanti” rispetto alla data della domanda la decorrenza della prestazione. Tutto ciò, all’inverso, implica che in caso di mancata indicazione la decorrenza debba senz’altro farsi risalire al primo giorno del mese successivo a quello in cui è stata effettuata la domanda.

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INPS vuole soldi indietro: che fare?

Oggi voglio parlare di una questione purtroppo sempre più diffusa e che molto “disagio” crea in coloro che si trovano ad essere destinatari di tali comunicazioni, per lo più pensionati, si vedono recapitare raccomandate a.r. con richiesta da parte dell’Inps di restituzione somme, a dire dell’ente, erogate indebitamamente.

Capita, anche con una certa frequenza, che la richiesta di restituzione afferisca a periodi anche molto indietro con gli anni.

E’ prassi sempre più diffusa operare, da parte dell’Ente, sin dal mese successivo a tali comunicazioni, una ritenuta sulle pensioni eventualmente già erogate. Una sorta di esecuzione forzata autonomamente auto-autorizzata dallo stesso ente previdenziale.

E’ prassi dell’ente negare qualsivoglia motivazione in merito a tali richieste.

L’avvocato a cui il pensionato si rivolge, al fine di valutare la fondatezza delle richieste di restituzione dell’Inps, tenta più e più volte, con richieste bonarie, almeno di conoscere le motivazioni; provvede, altresì, ad inoltrare numerose istanze di revoca del provvedimento che si ritiene illegittimo in via di autotutela.

Nulla.

L’Inps, di fatto, costringe il pensionato al ricorso giudiziale con tutti i patemi e le spese legali da anticipare che questo comporta.

E’ recente il caso occorso ad una mia cliente che si è vista recapitare una richiesta di restituzione di somme per l’importo di €. 32.805,25, per presunte somme, relative ad una pensione d’invalidità civile, erogate indebitamente nel periodo dal 01.12.1993 al 31.03.2007.

Questa la scarna comunicazione dell’ente.

Vani sono stati i ripetuti solleciti tutti bonari a che l’ente esplicasse le motivazioni di tale richiesta.

Vani, altresì, gli inviti ad agire in via di autotutela essendo evidentemente decorso qualsivoglia termine prescrizionale.

Dunque cosa fare in presenza di tali richieste?

In primis valutare la motivazione espressa dell’ente in relazione alla richiesta di restituzione.

In secondo luogo verificare appunto il decorso di eventuali termini di prescrizione.

Qualora venga accertato un indebito pensionistico a seguito di verifica sulla situazione reddituale che incide sulla misura o sul diritto delle prestazioni, l’Istituto procederà al recupero delle somme indebitamente erogate nei periodi ai quali si riferisce la dichiarazione reddituale.

Ciò solo qualora la notifica dell’indebito avvenga entro l’anno successivo a quello nel corso del quale è stata resa la dichiarazione da parte del pensionato.

Ove la notifica dell’indebito non sia effettuata entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello nel quale è stata resa la dichiarazione reddituale, le somme erogate indebitamente non sono ripetibili.

Ma ancora, a prescindere dalla valutazione sui requisiti reddituali, l’art. 52, comma 2 L. n. 88/1986 evidenzia che, laddove siano state riscosse rate di pensione risultanti non dovute, non si fa luogo a recupero delle somme corrisposte, salvo che l’indebita percezione sia dovuta a dolo dell’interessato.

Se hai subito una richiesta di restituzione da parte di INPS o altri enti previdenziali, contattaci per valutare il tuo caso.