Il consenso è la causa del matrimonio, causa unica e necessaria, dalla quale esso nasce, e con esso lo stato di coniuge. Il can. 1057, § 2 C.I.C. così recita “consensus matrimonialis est actus voluntatis, quo vir et mulier foedere irrevocabili sese mutuo tradunt et accipiunt ad consituendum matrimonium”. Tale definizione altro non è poi se non la trasposizione dell’enunciato della Cost. Conciliare Gaudium et Spes – “intima communitas vitae at amoris coniugalis a Creatore condita suisque legibus instructa, foedere coniugii seu irrevocabili consensu personali instauratur. Ita actu humano, quo coniuges sese mutuo tradunt et accipiunt, institutum ordinatione divina firmum oritur etiam coram societate; hoc vinculum sacrum intuitu boni, tum coniugum et prolis tum societatis, non ex humano arbitrio pendet” (G.S., n. 48).
Il canone 1055, § 1, CIC traccia le coordinate del “matrimoniale foedus”: la diversità di sesso – vir et mulier – il consorzio di tutta la vita – inter se totius vitae consortium constituunt – la preordinazione alla prole – indole sua naturali ad bonum coniugum atque prolis generationem et educationem ordinatum – ed infine la sua sacramentalità – a Christo Domino ad sacramenti dignitatem inter baptizatos evectum est.
Il consenso non è un qualsiasi atto di volontà, bensì un atto qualificato dall’oggetto che con esso si raggiunge; a causa del quale tale atto di volontà assurge ad atto di volontà matrimoniale “consensus partium est unica, totalis et adaequata causa efficiens matrimonii, seu est absolute necessarius ac per se sufficiens ad matrimonium constituendum” (cf. Z. Grocholewski, De esclusione indissolubilitatis ex consensu matrimoniali eiusque probatione, Napoli, 1973, p. 21).
Il Legislatore ha, quindi, accolto nel codice del 1983 l’impostazione personalistica del matrimonio, elaborata dal Concilio Vaticano II. Il soggetto che scambia il consenso deve essere in grado di porre un atto umano specifico – libero da condizionamenti sia interni che esterni. Il consenso matrimoniale è un atto della persona che implica non solamente processi intellettivi e volontaristici, ma anche altri requisiti, fisici, psichici e affettivi, che possono alterare la capacità di intendere e di volere il matrimonio. La maturità psicologica richiesta dal can. 1095, 2 è quella che rende la persona consapevole di quale incidenza abbia il matrimonio nella propria esistenza e che la rende capace di esprimere un giudizio pratico-pratico sul significato oggettivo degli iura et officia matrimoniali, cioè i doveri e le esigenze espresse dai cann. 1055 (bonum coniugum) e 1057, le proprietà essenziali. Occorre quindi una maturità sufficiente ed adeguata, un grado di giudizio pratico, valutativo e decisionale che renda la persona capace di scegliere fra lo sposarsi o meno, con una persona e/o per motivi ragionevoli. Qundi se la discretio iudicii è maturità, il grave difetto di discrezione può essere qualificato come “immaturità” (cfr. J. Castano, Il sacramento del matrimonio, 1994, Roma, p.332).
CAN 1095 CIC
Il canone 1095 del Codice del 1983 ha come scopo la regolamentazione degli effetti giuridici derivanti dalla presenza, nel contraente, di anomalie psichiche tali da determinare un’incapacità di prestare il consenso. Quindi, attiene al diritto canonico in quanto tale, non la mera classificazione di queste anomalie psicologiche né la formulazione di eventuali diagnosi (conclusioni appartenenti alla scienza medica), ma l’individuazione di quei disturbi tali da incidere non su una qualsiasi incapacità del soggetto, ma sulla capacità consensuale specifica del matrimonio canonico.
A tale fine il can 1095 C.I.C. 1983 definisce i tre stadi di anomalia psichica che possono cagionare effetto giuridico inficiante la capacità suddetta. Queste tre modalità sono:
Insufficiente uso di ragione
Grave difetto di discrezione di giudizio
Incapacità di assumere i doveri essenziali del matrimonio.
Quanto contenuto nei numeri 1 e 2 del can. 1095 concerne il matrimonio “in fieri”, ma il matrimonio cristiano non si erige soltanto sul momento dello scambio del consenso, poiché dalla pronuncia del fatidico “sì” ha inizio la realizzazione del progetto di vita comune proprio dei coniugi. Il numero 3 del can. 1095 si sofferma sullo sviluppo patologico di questo cammino, volto al raggiungimento dei fini del matrimonio: si rivolge pertanto al matrimonio “in facto esse”. Il soggetto nel momento in cui instaura l’unione coniugale deve essere potenzialmente in grado di adempiere tutto quello che richiede lo stesso matrimonio “in facto esse” considerato, non essendo bastevole che lo abbia chiaro a livello razionale.
In senso positivo “la possibilità di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio contempla quel sufficiente possesso del soggetto che gli conferisce il potere di responsabilizzarsi, in termini di obbligazione giuridica,così come porre in essere i comportamenti e gli atti del futuro …che sono dovuti perché il loro contenuto fa stretto riferimento ai doveri essenziali del matrimonio….In senso negativo , è incapace colui che non possiede il sufficiente dominio di sé e dei suoi atti necessario per potersi impegnare, nel momento costitutivo del matrimonio…”(cfr. Pedro Juan Viladrich, Il consenso matrimoniale, Giuffrè Editore, Milano,2001, p.59).
Can. 1095, n. 2
Il canone 1095 stabilisce che sono incapaci di contrarre matrimonio “1° qui sufficienti rationis usu carent; 2° qui laborant gravi defectu discretionis iudicii circa iura et officia matrimonialia essentialia mutuo tradenda et acceptanda; 3° qui ob causas naturae psychicae obligationes matrimonii essentiales assumere non valent”. Il can. 1095, n. 2, stabilisce quindi che il grave difetto di discrezione di giudizio rende il soggetto incapace di emettere un valido consenso. Non siamo di fronte ad una incapacità derivante da malattia psichica, poiché tale anomalia affonda le proprie radici nel rapporto fra intelletto e volontà. Il consenso si serve del giudizio speculativo come base remota, ma è dato “propriamente da un giudizio pratico – pratico, il quale, diversamente dal giudizio teorico, si riferisce all’azione ed indica ciò che è buono e conveniente” (cfr. G. Zuanazzi, La maturità matrimoniale. Aspetti psicologici e psichiatrici, dispense ad uso degli studenti dello Studio Rotale, 2002, p. 1).
Molteplici sono gli elementi propri della capacità di discernere in modo critico. In primo luogo, abbiamo la capacità di giudicare tra le diverse alternative esistenziali, che si concretizza nell’essere in grado di perecepire sé stessi ed il coniuge con sufficiente obiettività. Questo significa, avere avuto la possibilità di ipotizzare una diversa alternativa al matrimonio, senza subire alcun tipo di coattività nei confronti della scelta medesima, non determinata da un cammino inconscio, che conduce alla inevitabilità, ma garantita da una decisione responsabile che origina una vera e consapevole donazione.
Inoltre deve essere presente la possibilità e la capacità di percepier i limiti della scelta effettuata, valutando i pro e i contro. Infine, abbiamo la capacità di distinguere le motivazioni concernenti la scelta che deve essere libera, in quanto atto umano della volontà che si concretizza nel processo di autodeterminazione razionale dell’uomo. “Nella formazione di un atto del libero arbitrio, agiscono quegli elementi appartenenti alla costituzione immutabile della psiche, soprattutto se tali elementi raggiungono un notevole grado di morbosità psichica o nevrotica, tanto minore deve riconoscersi alla libertà di scelta…- Infatti -… tutto ciò che lede gravemente la mutua causalità dell’intelletto e della volontà nel deliberare sul matrimonio da contrarre e nel realizzare il volere, impedisce il consenso matrimoniale” (cfr. M.F. Pompedda, Studi di diritto matrimoniale canonico, Giuffrè Ed., Milano, 1995, pp. 14-16). Rammentiamo brevemente come, secondo la classificazione operata dalle scienze psicologiche, si abbiano alcuni tipi di decisioni, che vanno da quelle calcolate (che sono fredde e razionali), ardite (frettolose), alle crescenti (progressive e meditative) ed a quelle ritardate (frutto dell’insicurezza). Una scelta maturata con garanzia è la scelta formulata in un tempo adeguato, la sola che permette al soggetto una reale comprensione del progetto di vita che si va predisponendo. La maturità psicologica del can. 1095, n. 2, è quella che rende la persona consapevole dell’incidenza che il matrimonio avrà nella vita, nella propria e altrui esistenza, che la rende quindi capace di esprimere quel giudizio pratico-pratico sul significato dei doveri e dei diritti scaturenti dal matrimonio medesimo. Si richiede pertanto una maturità adeguata che renda il soggetto capace di soppesare i pro e i contro al matrimonio con quella determinata persona. Tale scelta va garantita dalle condizioni personali e ambientali, che siano idonee e correttamente motivate, sia a livello conscio che inconscio.
Una ulteriore distinzione infine va operata fra maturità psichica e maturità affettiva. La prima si possiede con il raggiungimento di un grado di integrazione personale ed interpersonale tale da permettere la sostituzione dei meccanismi del piacere, del potere e dell’egocentrismo con quelli della conoscenza oggettiva di sé stessi e del partner. La maturità affettiva, da un punto di vista relazionale, è classificabile come la componente della personalità, determinata dall’insieme dei fattori psichici, i quali permettono di affrontare le relazioni, amorose ed affettive. Questo presuppone, una partecipazione responsabile alla vita comune, una capacità di autodominio ed una accettazione dell’individualità dell’altro. Occorre necessariamente distinguere fra un grado minimo e massimo di comunicazione interpersonale, talchè se un coniuge non contribuisce sufficientemente al dialogo ed allo scambio affettivo questo può certamente ridurre la concordia e l’armonia della coppia, ma non incidere sulla capacità consensuale del soggetto medesimo. Se infatti due sposi per problemi accidentali non hanno potuto realizzare il tipo di relazione interpersonale desiderata, ciò non determinerà sic et simpliciter una “incapacitas contrahentis” (cfr. coram Stankiewicz, diei 22 maii 1986, R.R.Dec., Vol. LXXVIII, n. 5, p. 336).
Sul concetto di gravità di cui al can. 1095, n. 2, esso va riferito al difetto, e non alla causa che lo provoca; difetto che diminuisce la padronanza del dominio sulla decisione e sulla consapevolezza dei diritti e doveri essenziali da dare e da accettare nella concretezza quotidiana. Sostanzialmente, il termine “grave”, non concerne la gravità dell’anomalia o del disturbo mentale di cui potrebbe soffrire l’individuo, in quanto non trattiamo di categorie mediche, ma esclusivamente giuridiche. Quello che attiene la nostra indagine è “l’effetto finale di tali cause psichiche del soggetto…in virtù delle quali questi ha perso quella maturità abituale, proporzionata a discernere con il suo intelletto ed ad impegnarsi con la sua volontà alla donazione ed ad una accettazione efficaci dei diritti e doveri matrimoniali” (cfr. P.J. Viladrich, Il consenso matrimoniale, Giuffrè Ed., Milano, 2001, p. 55).
Esempio di caso specifico : carenza di libertà interna
Il concetto di carenza (assoluta) di libertà interna è stato elaborato per delineare che le cause immediate di tale distonia mentale non procedono dall’esterno, bensì dall’interno. In tal caso si accorda che determinate circostanze oggettive sarebbero di per sé idonee a suscitare nel soggetto una alienazione tale da non far considerare il consenso come atto libero.
Nei casi di mancanza di libertà interna è il soggetto che cova nel profondo uno stato soggettivo, che potrebbe non permettergli di agire con la necessaria libertà richiesta dall’impegno nuziale. Generalmente tale contesto si verifica in individui che soffrono di una qualche anomalia psichica, la quale deve essere proporzionatamente grave all’atto deliberativo qualificato che è il consenso matrimoniale (cfr. coram Colagiovanni, diei 2 februarii 1988, R.R.Dec., Vol. LXXX, p. 48; coram Stankiewicz, diei 21 iunii 1990, R.R.Dec., Vol. LXXXII, p. 527).
Secondo l’antropologia cristiana, partendo dall’assunto che la sponsalità è un status che connota l’individuo – status che si acquisisce con uno sviluppo morale e fisico usuale; raggiunta l’età della discrezione, nell’individuo normale le circostanze non dovrebbero avere cittadinanza. Tale incapacità di autodeterminarsi può essere giustificata solo come conseguenza di gravi disturbi, obiettivamente constatabili. Pertanto ogni caso dovrà essere provato: dovranno essere analizzate le caratteristiche psicologiche del soggetto, caratteristiche tali da dimostrare che un individuo, sulla scia di determinate cisrcostanze (p. es. il timore di uno scandalo o di una gravidanza inaspettata) ha agito senza possibilità di autodeterminazione. Il Pontefice nel discorso alla Rota del 1987, sull’incapacità, ha dichiarato che “una vera incapacità è ipotizzabile solo in presenza di una seria forma di anomalia, che, comunque si voglia definire, deve intaccare sostanzialmente la capacità di intendere e/o di volere del contraente” (cfr. Giovanni Paolo II, Allocuzione Viva Gioia, 5.II.1987, n. 7, AAS, Vol. LXXIX, pp. 1453).
La mancanza di libertà interna va distinta da altri capi autonomi di nullità: in particolare mi riferisco al metus (can. 1103 CIC). La giurisprudenza rotale ha tracciato negli ultimi anni lo spartiacque fra le fattispecie della mancanza di libertà interna e del metus ab intrinseco, rilevandolo nel connotato della consapevolezza o meno della mancanza di libertà. Nel metus vi sarebbe nel soggetto che lo subisce la consapevolezza della mancanza di libertà; questa consapevolezza è ovviamente assente nell’icapacità (cfr. E. Turnaturi, Il diritto fondamentale del fedele alla libera scelta dello stato coniugale ed il difetto di libertà nel consenso matrimoniale canonico, in Monitor Ecclesiasticus, 121 (1996), p. 418). Il criterio della coscienza o meno della perdita della libertà del soggetto si rivela fondamentale da un punto di vista probatorio. La divergenza fra le due fattispecie non si arresta qui. Infatti nella mancanza di libertà interna si verifica nell’individuo un atto psicologicamente perturbato; nel metus, invece, assistiamo ad una decisione assunta secondo un percorso psicologico normale.
La Giurisprudenza Rotale più recente insegna, quali mezzi probatori si dimostrino idonei ad attestare la mancanza di libertà interna: “ablatio libertatis ab intrinseco eruitur ex declaratione partis actricis, quae Iudici proponat et exponat, cur ipsa persuasa sit de matrimonii nullitate ob defectum discretionis iudicii, definite ob defectum libertatis internae. Deinde excutiatur pars conventa, quae per plures annos cum parte actrice cohabitavit et vices prae et postmatrimoniales ex cotidiano vitae experimento cognoscit. Postea testes omnia adiuncta adducant, ex quibus aliqua abnormis constitutio subiecti psychica dignoscatur. Ipsi facta enarrare debent, non autem iudicium de factis ferre. Ad periti munus eligatur, qui non solum idoneitatis testimonium obtinuit, vero etiam scientiam et artis experientia sit insignis, religionis honestatisque laude commendatus ” (cfr. coram Huber, decisio diei 21 iunii 2000, in Ius Ecclesiae, Vol. XV, n. 1, 2003, p. 134)
Per quanto concerne le perizie, disposte per valutare il grado di maturità e la presenza delle discrasie presenti nel soggetto interessato, al momento dello scambio del consenso, giova sottolineare che esse sono mezzi di prova che dovranno sempre sottostare al discrezionale apprezzamento del giudice, il quale dovrà ponderarle giusta la propria coscienza (can. 1608, §3). L’oggetto formale delle perizie dovrebbe essere costituito dalla verifica dell’incapacità del nubente con riferimento alla minima capacità, sufficiente ad un valido consenso, e non all’ideale piena maturità in ordine ad una vita coniugale soddisfacente e serena. La capacità minima indica il grado minimo di relazione interpersonale che deve contraddistinguere la coppia tipo, e, sorreggere il dialogo interpersonale fra i coniugi, quasi fosse una sorta di minimo comune denominatore nella vita di coppia. La seconda costituisce certamente un grado massimo, che idealmente può essere accolto come obiettivo possibile, certo perseguibile nella vita di coppia, ma, che potrà essere raggiunto e finalizzato solamente in presenza di un dialogo approfondito fra soggetti coscienti e moralmente predisposti alla costruzione di esso.