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Cravatte personalizzate: l’impianto è dovuto o no?

Ho ordinato delle cravatte personalizzate. La ditta mi ha preventivato 270 euro per l’impianto, ma adesso che il prodotto è pronto ed è venuto il momento di pagare, si rifiuta di fornirne copia in quanto “per il prezzo eccezionale li devo solo ringraziare”. A questo punto mi domando se vale davvero la pena inviare il pagamento per concludere l’acquisto o no.

La prima osservazione da fare è che si tratta di un aspetto che avrebbe dovuto essere espressamente trattato e successivamente specificato nel «contratto» intercorso tra di voi; ho messo il termine «contratto» tra virgolette perché l’operazione tra voi conclusa non necessitava di un vero e proprio contratto formale, come a volte ci si può immaginare: sarebbe stato sufficiente menzionare questo aspetto, anche come proposta, in una mail, certamente più rilevante se certificata, con successiva accettazione da parte del fornitore, ad esempio.

cravatte

In mancanza di ciò, purtroppo si deve ricorrere all’interpretazione del contratto, che, come tale, fornisce sempre risultati tendenzialmente incerti.

A parte questo però, c’è una seconda osservazione da fare e cioè che non rientra solo nella tua sfera di dominio valutare se «vale la pena fare il pagamento»: un contratto, o accordo, tra di voi c’è comunque stato, il fornitore ha fatto, in tutto o in parte, il lavoro convenuto, per cui adesso potrebbe anche pretendere il corrispettivo che avevate pattuito o si può ricavare in base all’entità del lavoro dispiegato.

Quello che ti suggerirei a questo punto è in prima battuta sicuramente di negoziare con il fornitore.

Una diffida tramite avvocato potrebbe essere utile, tuttavia, dato il basso valore dell’affare, non credo proprio che possa essere conveniente attivare una spesa di assistenza legale per una situazione del genere, salvo che tu non abbia una polizza di tutela legale, cosa che io consiglio sempre, come forse sai.

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Scala contro finestra: chi vincerà?

ho un giardino in cui ho rifatto una scala per potervi accedere 4 anni fa.
il proprietario del’appartamento di sotto si è accorto (dopo 4 anni) che la scala oscura una delle due finestrelle di una camera e mi chiede di rimuoverla.
il problema è che a parte il fatto che non posso spostare la scala perché solo lì ho accesso, il suo “appartamento” secondo me è accatastato come cantina o comunque non ad uso abitativo: cosa posso fare?

Ovviamente, per poter dire se hai diritto di mantenere questa scala o meno la situazione andrebbe approfondita molto di più, soprattutto in fatto, cioè vedendo co precisione la situazione dei luoghi, degli immobili e della scala stessa.

pexels-photo-434645Nel caso questo diritto non ci sia, chiaramente quattro anni sono troppo pochi per averlo acquistato per effetto di istituti legati al decorso del tempo, come ad esempio l’usucapione.

Può essere, forse, che si possa pensare ad un tuo diritto di ottenere un passaggio per interclusione, dal momento che non hai accesso altrimenti, ma è un aspetto che abbisogna di molto maggior approfondimento.

Per quanto riguarda l’appartamento sottostante, purtroppo con i «secondo me» non si conclude mai niente, anche qui sono necessari accertamenti puntuali da parte innanzitutto di un tecnico, quindi in seguito di un legale.

L’osservazione generale che si può fare è che la situazione assomiglia molto ad una di quelle in cui conviene cercare di negoziare e trovare se possibile un accordo con l’altro condomino o confinante.

Quando io dico «cercare di negoziare» intendo a) cercare un avvocato bravo e con spiccate capacità di relazione, uno molto diplomatico per intenderci b) chiedergli un preventivo per seguire la vostra situazione. Non intendo invece il fai da te: purtroppo oggi la gente comune, priva di una preparazione non dico giuridica, ma derivante dalla pratica forense, ha davvero molte poche speranze di riuscire ad ottenere dei risultati concreti e positivi.

Purtroppo, gli avvocati bravi a negoziare sono pochi, ed è questa la vera tragedia del ceto forense, e di conseguenza del sistema giustizia e di tutti i suoi utenti, perché un avvocato asino in diritto è sicuramente tollerabile, anzi in certi casi è persino preferibile, dal momento che solo una piccola parte – per fortuna – delle vertenze viene definita applicando il diritto, ma un avvocato che non sa relazionarsi con gli altri, mettere da parte il proprio ego, usare modi diplomatici e condurre una trattativa in modo efficace è assolutamente inammissibile – eppure di analfabeti relazionali ne vedo tutti i giorni sempre di più, non fanno che aumentare.

Se vuoi un preventivo di assistenza da parte del nostro studio, puoi chiedercelo, gratuitamente, dall’apposita voce nel menu principale del blog.

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Successione con sorelle insopportabili: come gestirla?

Ho una mamma vedova di 87 anni alla quale auguro lunga vita, non vado d’accordo con le mie due sorelle che mi stalkerizzano. Volevo solo sapere se quando la mamma passerà a miglior vita, posso farmi rappresentare da qualcuno che tuteli i miei interessi al momento della successione. Insomma avere una persona che fa totalmente le mie veci e se sì, dove posso cercarla.

Certamente.

Puoi nominare una persona che ti rappresenti nel disbrigo della pratica di successione. Conferendo, se proprio credi, anche una rappresentanza sostanziale, oltre a quella difensiva.

Di solito il professionista più indicato per questo tipo di lavoro è proprio un avvocato, che comunque se ne occupa in tante altre occasioni pur in assenza di conflitti particolarmente poco piacevoli come nella tua.

Fai attenzione però: in generale, è bene sceglierne uno con una grande propensione alla negoziazione e quindi tutto il contrario del legale «litigioso» e attaccabrighe che si tende a cercare quando si è molto arrabbiati…

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Casa coniugale: il giudice può ordinarne la vendita?

chiedo un consiglio per il mio compagno. separato consensualmente da 3 anni, in sede di separazione lui e la ex moglie hanno convenuto che lei rimanesse a vivere nella casa coniugale, con la bimba di 4 anni, e che lui andasse a vivere altrove, affidamento congiunto. pagano il mutuo contratto insieme prima del matrimonio, dividendo equamente la rata al 50% totale circa 600€ e inoltre lui passa alimenti per la bambina per circa 300€ mese, per differenze salariali, oltre a pagare anche metà delle spese condominiali. la bimba passa metà del suo tempo con il papà e con la mamma. ma mentre la mamma vive in un tre locali, il papà vive a casa dei nonni, con la bimba. ora il papà vorrebbe divorziare, ma ci chiedevamo se fosse possibile chiedere al giudice di disporre la vendita della casa e che ognuno poi viva come crede, per liberare il papà dal mutuo e permettergli di vivere una situazione educativamente corretta nella quotidianità con la bimba.

Non è possibile, il giudice della separazione non può intervenire, tantomeno d’imperio su aspetti proprietari o dominicali.

È una cosa che potete ottenere solo attraverso negoziazione con la madre, che, ovviamente, trovandosi, di riflesso, in una posizione di vantaggio, perché gode interamente di una casa che è solo per metà sua, non è così facile che possa accettare.

Ma non è detto che sia impossibile, in molte situazioni il coniuge interessato acconsente ad una vendita e una ripartizione del ricavato, magari perché vuole sistemare definitivamente la questione e comprarsi una casa che, per quanto magari più piccola, possa essere di sua proprietà esclusiva.

La risposta, dunque, è che, come al solito, non esistono strumenti magici e immediati, ma ci si può solo provare.

Quello che dovete fare è incaricare un bravo e onesto avvocato che, magari approfittando della necessità di fare il divorzio, provi a trattare anche la questione della vendita della casa.

Se volete un preventivo dal nostro studio, potete compilare il modulo apposito nel menu principale del blog.

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Un approccio strategico per i problemi legali.

Un nuovo approccio strategico per i problemi legali.

Oggi parliamo di un nuovo approccio nella trattazione dei problemi legali.

Dopo anni di pratica e riflessione, ho infatti man mano sviluppato un nuovo metodo, che potremmo definire strategico, per la trattazione delle situazioni conflittuali tra le persone, le aziende e i vari soggetti del caso.

Si tratta di un atteggiamento che, ormai, suggerisco e pratico già da alcuni anni con buono, e qualche volta eccellente, profitto e che mi sembra venuto il momento di «codificare» e condividere ufficialmente con te che leggi e segui il blog, oltre che più in generale con tutti.

Perché il diritto non ti serve quasi mai a niente.

Generalmente, chi si trova coinvolto in un problema legale si pone alla ricerca e all’approfondimento di «quello che dice il diritto» – cioè la legge, la giurisprudenza, ecc. – sul punto.

Ebbene, si tratta, quasi sempre, di un approccio sbagliato e destinato a rivelarsi molto infruttuoso nel giungere ad una soluzione del problema.

Quello che va focalizzato con molta chiarezza è che lo scopo di una persona o una azienda che si trova ad avere un problema legale non è, e non può essere affatto, applicare il diritto.

Come dice una cara e saggia collega: sticazzi del diritto.

Lo scopo di chi ha un problema legale è, molto semplicemente, risolverlo, superarlo e rimettersi a vivere, se è una persona, o a produrre, se è un’azienda.

Non importa come, purché sia in modo legittimo e conveniente.

Dopo ventidue anni che faccio l’avvocato, ti posso confermare infatti un dato statistico, al riguardo, molto interessante e cioè che raramente le vertenze vengono definite applicando il diritto.

Molto più spesso si fanno transazioni, sistemi alternativi (ADR), mediazioni, conciliazioni.

L’importante è che la vertenza sia chiusa, definita, accantonata, superata, se possibile in modo conveniente e in tempi abbastanza decenti.

Perché per affrontare un problema legale non devi fare mai quello che sarebbe giusto.

Un altro errore concettuale molto grave di chi ha un problema legale da risolvere, e spesso anche del suo avvocato, è quello di volerlo risolvere «facendo quello che è giusto».

Lo avrai sentito molte volte: «voglio solo quello che mi spetta»

Facciamo un po’ di chiarezza anche al riguardo.

Quando si ha un problema legale, si ha un problema. Non si hanno dei diritti.

I diritti non esistono, nessuno può dirtelo meglio di un avvocato.

Te la voglio fare chiarissima.

Se hai una spina infilata nel culo, non hai il diritto alla salute: hai solo una spina infilata nel culo.

Te la devi togliere prima possibile e basta.

Adesso stai attento: nella trattazione dei problemi legali, non bisogna mai fare quello che è giusto, ma bisogna fare quello che è conveniente.

Te lo ripeto, perché è fondamentale: nella trattazione dei problemi legali, non bisogna mai fare quello che è giusto, bisogna fare quello che è conveniente.

Ti faccio un esempio molto semplice.

Sei un’azienda. Hai un credito da recuperare. Le possibilità di recupero sono molto scarse. Il tuo tempo, la tua attenzione, il tuo denaro sono risorse limitate – questo è un aspetto molto banale ma altrettanto trascurato nella vita di tutti i giorni.

Vuoi utilizzare il denaro, il tempo, l’attenzione di cui disponi per provare a recuperare un credito che difficilmente potrai portare a casa solo «perché è giusto», «perché è una questione di principio»?

Non è, forse, preferibile fare ciò che conviene, piuttosto che ciò che è giusto?

Ciò che conviene non è probabilmente mettere a perdita il credito, usare il tempo e il denaro e l’attenzione di cui disponi per rimetterti al lavoro e servire i buoni clienti dell’azienda facendola prosperare?

Incaponirsi nel recuperare un credito non significa forse dare la parte migliore delle tue risorse a un cliente tossico, tralasciando peraltro al contempo quelli buoni, che invece si meritano il meglio da te?

Ti faccio ora un altro esempio.

Sei una persona coinvolta in una eredità con i tuoi fratelli. Le ipotesi di divisione elaborate dagli altri non ti convincono. Vuoi imbarcarti in una causa di divisione giudiziale, che dura magari vent’anni, o vuoi accontentarti di avere subito una porzione inferiore a quella che secondo te sarebbe giusto che ti venisse assegnata?

Forse, se confronti la differenza tra la «minor parte» che ti verrebbe data e quello che spenderesti per fare una causa che rischia di essere davvero ultradecennale, vedi che ti conviene pure anche concretamente, conti alla mano.

«Sì ma poi i miei fratelli così solo perché sono prepotenti alla fine hanno più di me e non è giusto

Mi sembra di sentirla questa voce.

C’è un piccolo giustiziere dentro ognuno di noi, formatosi direttamente sugli indimenticati banchi dell’asilo.

Chi lo ascolta, però, si trova a pagarne care le conseguenze. L’universo si incarica sempre regolarmente di ciò. Te lo dico sulla base della mia esperienza.

Tu non hai un problema legale per «fare giustizia», ce l’hai perché ti è capitato e ti devi limitare a risolverlo. Devi semplicemente uscirne nel modo migliore, non importa niente altro.

In realtà, infatti, nonostante tutte le idee, le invidie, i paragoni che ci vengono spontanei, noi non sappiamo pressoché nulla della vita degli altri.

In fin dei conti, se a un fratello rimangono due mobili in più che differenza fa nella qualità della vita di ognuno dei protagonisti della vicenda?

Ch differenza potrebbe mai fare nella tua vita?

Un problema è solo un problema.

Ecco dunque i concetti di base.

Chi ha un problema legale, non ha un diritto, non ha un’opportunità. Ha solo un problema, una situazione spiacevole da risolvere nel modo più conveniente possibile e, magari, in tempi rapidi, per tornare alla sua vita personale e/o professionale.

A chi ha un problema legale non deve interessare che il diritto venga applicato o rimanga lettera morta dentro ai testi di legge.

In realtà, questo non interessa nemmeno a chi scrive il diritto, che non lo formula certo con la pretesa che venga sempre applicato, ma solo come ipotesi residuale che si applica quando le persone non sono riuscite a far niente di meglio, dopo una causa poliennale, da parte di un giudice che non sempre lo interpreta, peraltro, in modo corretto.

Che il diritto venga applicato, o rimanga invece chiuso nei libri, in realtà non frega un cazzo a nessuno: l’importante è che i conflitti vengano risolti, magari con buona o discreta soddisfazione di tutte le parti coinvolte.

A chi ha un problema legale, inoltre, non deve interessare che sia fatta la cosa giusta, ma deve subito focalizzarsi sul capire che cosa è più conveniente per lui fare, come uscire da questa situazione.

Ti ricordi la exit strategy per toglierti la spina dal culo?

L’unica cosa su cui lavorare è la strategia.

Non siamo dei giustizieri, è un compito che non ci spetta, non ce lo possiamo assumere, se lo facciamo ne paghiamo care le conseguenze.

Siamo solo persone con dei problemi che devono cercare di saltarci fuori nel modo migliore possibile.

Ecco perché nella trattazione dei problemi legali la cosa più importante è la strategia che si deve adottare per la sua trattazione e perché quello che dice il diritto a riguardo non è, e non può essere mai, la strategia nonostante molte persone, e anche molti avvocati, facciano una enorme e dannosa confusione al riguardo.

La strategia è fatta di tutte quelle iniziative, di qualsiasi genere, stragiudiziale, giudiziale, creativo, che possono condurre alla risoluzione del problema, purché questo avvenga in modo conveniente per il cliente e che sia, naturalmente, legittimo.

Ecco perché non si può essere contrari in linea di principio a nessun metodo alternativo di risoluzione delle controversie.

Specialmente la mediazione civile, tanto osteggiata all’inizio da molti avvocati, in realtà nella pratica ha dato buona prova, un paio di mesi fa nello scetticismo generale ho chiuso in sede di mediazione addirittura una vertenza per contratti bancari.

Pur essendo un contenitore di negoziazione molto vacuo nei suoi tratti, ha comunque rappresentato uno spazio in cui i soggetti coinvolti nei conflitti si sono potuti esprimere in modo adeguato, spesso riprendendo a dialogare e trovando così delle soluzioni in tempi molto rapidi.

Ma questo è solo un esempio, i metodi possono essere e sono infiniti.

Quando persino Gesù mandò affanculo un cliente.

Devi far capo al fatto che i conflitti tra le parti non sono quasi mai dissidi interpretativi relativi a questa o quella legge, ma cose in realtà molto più umane e cioè conflitti emotivi fatti di cose molto semplici come rancore, invidia, presunzione, «a me non mi fanno fesso» e altre demenzialità del genere di cui siamo fatti noi uomini che viviamo su questa terra.

Se capiamo questo, si apre un immenso spazio di creatività per gli avvocati o comunque per le persone che aiutano privati ed aziende a risolvere i problemi giuridici.

Hai sentito parlare di Gesù Cristo?

Gesù ha guarito ciechi, zoppi, storpi, indemoniati, emorroissi, gente che aveva patologie del corpo e dell’anima estremamente gravi.

Un giorno da Gesù andò un tale che gli chiese una cosa molto semplice (Lc 12,13-21).

Era una tipica cosa da avvocato, un problema legale.

Gli disse «Maestro buono, aiutami a fare la divisione con mio fratello».

Sai cosa gli rispose Gesù?

Lo mandò immediatamente affanculo, senza passare nemmeno dal via.

Gli chiese «Ma chi mi ha costituito mediatore tra di voi?» che, in Italiano moderno, significa più o meno «Ma chi ti conosce, a te e a tuo fratello?»)

E poi si lanciò subito dopo a parlare della cupidigia, per dire che alla radice dei problemi e dei conflitti umani ci sono solo le nostre pochezze.

Spero che questo brano ti sia piaciuto. Io peraltro lo uso spesso  quando mi chiedono di lavorare gratis per qualcuno: se pure Cristo, che ha guarito addirittura da legioni di demoni del tutto gratuitamente, si è rifiutato di fare l’avvocato gratis, chi sono io per credermi migliore di lui?

Comunque, sempre Gesù, quando gli chiesero se fosse lecito divorziare, disse di no (Mt 19,3-12). Quando, a quel punto, gli fecero presente che Mosè aveva eppure previsto il divorzio, lui rispose che fu previsto «solo per la durezza dei vostri cuori».

Di nuovo, cosa ci fa capire questo?

Una grande verità, che tutti i conflitti non hanno, in realtà, alcuna ragione oggettiva, ma si radicano nel cuore malato o ferito (non c’è altra parola per dirlo!) degli uomini che ne sono protagonisti.

Dio ti può guarire un problema fisico, ridarti la vista, la deambulazione, può persino liberarti da un demone, ma non può farti fare delle scelte che tu stesso non vuoi fare perché c’è il libero arbitrio. L’uomo, per costituzione, deve essere libero di rovinarsi, perché solo così può aver senso la sua scelta, opposta, quella di amare.

Ecco perché Gesù manda affanculo quello che gli aveva chiesto di aiutarlo a dividersi dal fratello. Quell’uomo avrebbe dovuto lavorare su se stesso e parlare con suo fratello. Gesù si limita a parlare della cupidigia, dandogli la chiave per lavorare sul suo cuore, ma questo lavoro sul suo cuore lo può fare solo l’uomo stesso. Dio può perdonare i peccati del passato, ma il compito di pentirsi e di tornare a vedere la bellezza del Regno può essere svolto solo dall’uomo.

Va bene Gesù, Cristo e la Madonna ma allora come muoversi?

Torniamo dunque alle nostre domande.

Quando si ha un problema legale, le domande che non ti devi sostanzialmente mai fare (e che invece si fanno quasi tutti) sono le seguenti:
– cosa prevede la legge, la giurisprudenza, stocazzo sul punto?
– cosa è giusto fare?

Le domande che ti devi fare sono piuttosto:
cosa mi conviene fare adesso?
come è meglio muovermi?
da chi mi posso far aiutare per superare questo problema?

Qual è, insomma, la strategia migliore da adottare, a prescindere dal diritto, da quello che sarebbe giusto, per togliermi questa rogna (l’Italiano è una lingua bellissima, chiamiamo le parole con il loro nome) di dosso?

Ecco perché è inutile perdere ore e giorni a cercare di capire cosa prevede il diritto su un determinato tema ma è preferibile, ad esempio, mandare subito una diffida con cui si apre la vertenza e si inizia una negoziazione e cioè, più in generale, passare subito all’azione.

L’azione è la cosa più importante per trattare qualsiasi problema. I problemi legali non fanno eccezione, anzi forse per loro è ancora più importante.

Prendi subito un avvocato: basta «solo» che non sia un idiota.

Ovviamente, il primo, spesso anche l’unico, e più importante gesto strategico di chi ha un problema legale è quello di a) capire che i problemi legali si trattano solo facendosi aiutare da un avvocato e non in altro modo e b) sceglierne uno bravo.

Già capire che non è il caso di perdere tempo con sistemi alternativi demenziali (Carabinieri, Polizia municipale, cuggggini, ecc.) è un momento di alta importanza, come ho spiegato meglio in questo precedente post.

Un altro grande momento magico è capire che, nella scelta di un avvocato, non contano le specializzazioni, perché nessuno ci capisce un cazzo nelle specializzazioni se non è del settore, anche perché spesso non ci capisce niente nemmeno chi è del settore, ma anche perché gli approcci non olistici hanno mostrato tutti i loro limiti in tutti i campi, a partire ad esempio da quello della medicina.

L’unica cosa importante è: scegliere un avvocato che non abbia la testa piena di segatura.

Non è così facile, per la verità, ma con un po’ di impegno ce la puoi fare.

L’avvocato, una volta incaricato, sceglierà e consiglierà attingendo da un vasto carniere di interventi possibili la strategia migliore.

Tutto può far brodo!

Può essere che consigli il cliente di:

  • parlare di persona
  • attendere
  • utilizzare la mediazione di un familiare, un sacerdote, un amico di famiglia, chi ti pare
  • inviare una lettera scritta con il suo aiuto ma firmata dal cliente
  • inviare una lettera con la carta intestata dello studio legale
  • iniziare una causa per sbloccare una negoziazione (io l’ho fatto molto spesso, specie nel campo delle separazioni)
  • fare una o più telefonate
  • iniziare una mediazione familiare o civile
  • iniziare una causa perché è l’unico sistema e allora si va a scegliere quale causa se con rito ordinario o con il 702 bis, se fare una CTU preventiva, ecc. ecc. ecc.
  • qualiasi altra cosa che sia lecita e possa essere utile a risolvere il problema

L’unica cosa che importa è che lo strumento scelto sia quello che appare più opportuno per la strategia di risoluzione del problema, che è quello di superarlo senza considerare l’eventuale applicazione del diritto o il raggiungimento di una soluzione equa, ma semplicemente di una soluzione conveniente.

Iniziare prima possibile a lavorare sul problema: la fase del fare.

L’approccio strategico da me proposto e praticato ormai da diversi anni consiglia e consente generalmente comunque di passare prima possibile alla fase dell’azione, a quella del fare, che, come è importante per tutti i problemi, è fondamentale anche per quelli legali.

È perfettamente inutile lambiccarsi il cervello per ore, giorni, settimane ed anni per cercare di capire cosa sarebbe giusto fare, cosa prevede il diritto sul punto.

È molto meglio, invece, passare subito all’azione, cioè a trattare concretamente il problema, con uno degli strumenti elencati prima, magari anche molto semplici e poco «invasivi» come una telefonata, una lettera e così via.

Non trascurare i problemi, non crogiolarti nell’apatia, non indugiare nelle lamentele!

Vai prima possibile da un avvocato.

Pur con tutte le incertezze che ci sono sempre in questi casi, è importante iniziare comunque prima possibile a lavorare sul problema.

Ci sono problemi che sulla carta, dentro ai nostri cuori, sembrano irrisolvibili, giganteschi, terribili, salvo poi scoprire che con un paio di mosse giuste, azzeccate e magari un po’ di fortuna si avviano a risoluzione molto più semplicemente di quello che pensavamo.

È una esperienza che abbiamo fatto tutti.

Quindi l’imperativo è: muoviti.

Senza fretta, ovviamente, ma nemmeno senza aspettare senza che in realtà vi sia nessun motivo per farlo.

Prima ci si comincia a lavorare sopra e prima si finisce.

La breve ma fondamentale fase dell’ascolto.

Nel mio approccio strategico, l’analisi del problema passa in secondo piano.

Ovviamente c’è, comunque, necessariamente una fase di analisi e soprattutto di ascolto del cliente, che è molto importante, ma dopo un primo incontro si può, anzi si deve, già iniziare a lavorare concretamente sul problema senza bisogno di approfondimenti ulteriori.

L’analisi di un problema, peraltro, è bene che non si protragga più di tanto, perché, specialmente in persone provate da anni di situazioni di disagio, rischia di far rivivere questo disagio quando magari si stava sopendo, cosa che è deleteria perché per risolvere il problema il cuore dei protagonisti deve essere il più possibile «rinfrescato» e alleggerito.

Servono avvocati in grado di capire i termini umani del problema dopo massimo mezz’ora di ascolto e in grado ulteriormente di tracciare delle indicazioni strategiche entro la conclusione del primo incontro, per iniziare subito dopo a lavorare in concreto sul problema.

Ogni incontro si deve concludere con la definizione di un prossimo passo. Cioè con la individuazione della cosa da fare come prossima mossa. Prima si parla insieme, poi si decide insieme che cosa fare. Così semplice.

Hai un problema legale?

Se hai un problema legale, e hai letto attentamente sino a qui, ti sarà chiaro che è bene passare prima possibile a lavorarci sopra con un bravo avvocato.

Se vuoi un preventivo da parte del nostro studio, puoi chiedercelo compilando questo modulo. Ovviamente è gratuito.

Se, invece, preferisci acquistare direttamente un’ora o più della nostra attenzione sul tuo problema, puoi valutarlo da questa pagina.

Vuoi diventare un avvocato ad indirizzo «strategico»?

Se sei un avvocato e ti piace questa impostazione, contattami in privato. C’è un importante progetto al riguardo di cui magari potremmo parlare.

Ringraziamenti.

Si ringrazia la collega Sara Mascitti del foro di Latina per gli opportuni chiarimenti sull’uso più corretto del termine «sticazzi».

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Recuperare la casa familiare: si può solo negoziare

mi sono appena separato, non siamo sposati ma abbiamo due bambine. Abbiamo comprato casa di 193 mila euro. Io ho venduto una mia casa mettendo 114 mila euro subito (documentabile) la mia ex 10 mila euro tramite mutuo mensile. Attualmente è stata data a lei la casa e i giudici hanno suddiviso il mutuo di 400 euro mensili, 200 io e 200 la mia ex. I giudici consigliano di derimere la situazione della casa ma la ex non accetta nulla, vendere, acquistare la quota ecc e rifiuta la mediazione. La banca sarebbe anche disposta a bloccare il mutuo per un anno ma la ex non vuole. Io non so più cosa fare, vivo in affitto e adesso cambierò casa, più grande, e non ho più i soldi per pagare il mutuo. Cosa posso fare?

Non c’è molto che tu possa fare «d’imperio», è una situazione che, come abbiamo detto ormai dozzine di volte, puoi affrontare solo negozialmente, cioè trattando con la tua ex.

La casa familiare, attualmente, a prescindere dal titolo di proprietà e da chi l’ha pagata, è stata destinata dai giudici a servire le tue due figlie. Questa situazione perdurerà finché entrambe le stesse non saranno non solo maggiorenni ma anche autosufficienti, quindi, se sono ancora piccole, potenzialmente per altri vent’anni.

Per poter trovare una soluzione che ti consenta di recuperare valore spendibile per una tua abitazione, puoi solo negoziare con la tua ex, dal momento che la legge è dalla sua parte e le conferisce il diritto di abitare gratuitamente in quella abitazione per il tempo di cui abbiamo detto.

Per fare questa trattativa, può essere molto utile, ad esempio, andare da un mediatore familiare.

Per cui, come primo passo in assoluto, ti consiglio di rivolgerti ad un mediatore familiare e mandarle un invito a partecipare alle sedute di mediazione.

Se questo non dovesse funzionare, o non dovesse magari neppure iniziare, ci sono altre cose che si possono tentare, ma si possono vedere solo in seguito.

Fatti seguire da un bravo avvocato, esperto di diritto di famiglia e con spiccata propensione alla negoziazione: il contrario del legale «aggressivo» che le persone, che non hanno capito niente di come si gestiscono i problemi legali, si solito cercano.

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Tribunali: perché non li smantelliamo e facciamo decidere a Forum?

Per ottenere giustizia, sei costretto a incaricare un difensore avvocato. L,ordinanza ex art. 700 ti dà, ragione, però, ti condanna a pagare le spese pocessuali anche della controparte. Protetto da tale imprevidente ordina, il colpevole ripete il reato di non consegnare documenti dovuti. Già questa è ingiustizia. Poi chiedi al tuo difensore il rimborso dell’onorario perché lascio’ scadere il termine per impugnarla, ma ti offre solo uno sconto. Allora penso che il modello di giustizia proposto da “Forum” andrebbe esteso il piu’ possibile e, almeno nel cause di condominio, andrebbero eliminati gli avocado di parte.
Lei cosa ne pensa ?

Innanzitutto, non si capisce bene che cosa è successo nel tuo caso. Non è possibile che una parte totalmente o comunque principalmente vittoriosa venga condannata a rimborsare le spese avversarie. Quello che può essere successo è che il giudice abbia compensato le spese, perché magari c’era soccombenza reciproca, come avviene abbastanza spesso, o parziale, o perché le circostanze lo consigliavano.

Con la compensazione delle spese, che può essere anch’essa totale o parziale, ognuna delle parti si paga le proprie spese legali, provvede a compensare il proprio avvocato, il chè, per la parte che riteneva di avere ragione, viene sentito come una ingiustizia.

Detto questo, e quindi al netto dell’impossibilità di valutare effettivamente quale sia stata la tua esperienza, rimane il discorso circa l’opportunità di definire delle forme di amministrazione della giustizia «alternative» rispetto a quella offerta dal procedimento civile italiano «classico».

A questo riguardo, va detto che il problema non è, a mio giudizio, in sé rappresentato dalla presenza – necessaria – di un avvocato per parte, che è una cosa che serve sia all’utente del sistema giustizia, sia al sistema giustizia in generale.

All’utente serve innanzitutto perché nei sistemi giudiziari statuali si applica il diritto, sia sostanziale che processuale, che è una materia complessa e per nulla intuitiva, al contrario di quel che si può pensare comunemente. L’avvocato è indispensabile così come è necessario un meccanico quando c’è da riparare un motore o un idraulico quando c’è da rifare un bagno. Nessuno si metterebbe in testa di aprire il motore di una macchina moderna o di rifare da solo la ristrutturazione di casa propria, perché mancano quelle nozioni e quell’esperienza che sono indispensabili per fare quel tipo di lavoro.

Al sistema giudiziari, gli avvocati sono ancora più indispensabili perché, grazie alla presenza della loro intermediazione e al confezionamento da parte loro di atti giuridici scritti o comunque di discorsi orali «condensati», la trattazione di un singolo caso dura 10 minuti al posto delle tre ore che sarebbero necessarie se si ammettessero le parti a parlare direttamente, parti che quasi sempre non hanno alcuna idea di come si espone un problema, tantomeno giuridico, né di quali siano le regole del procedimento civile italiano, che restano vincolanti e la cui inosservanza determina spesso decadenze e impossibilità di far valere i propri diritti.

Una udienza di forum dura oltre un’ora e senza che il caso venga approfondito più di tanto; un’udienza civile nel processo civile italiano dura anche solo 10 minuti, ma il caso è approfondito molto di più, specialmente sotto il profilo probatorio, grazie al lavoro svolto dagli avvocati.

Il modello di giustizia proposto da forum peraltro si basa sull’arbitrato irrituale, che è previsto dal nostro codice di procedura civile ed è a disposizione di tutti coloro che se ne vogliono servire, anche al di fuori di Forum, solo che purtroppo è molto poco diffuso, sostanzialmente pur esistendo da svariati decenni le persone non lo usano. Occorre comunque il consenso di entrambe le parti coinvolte per farvi ricorso.

Ci sono, poi, una miriade di sistemi di gestione dei conflitti alternativi rispetto al ricorso al sistema giudiziario, di cui in Italia, proprio a causa dell’inefficienza della giustizia, si è tentato, anche maldestramente, purtroppo, di imporre la cultura e la diffusione, come la negoziazione assistita, la mediazione civile, i vari tentativi di conciliazione obbligatori previsti in determinate materie, come ad esempio le telecomunicazioni.

Va nominata anche la mediazione familiare, che è un tentativo di risolvere i conflitti familiari con un approccio alternativo, nel quale credo moltissimo.

Anche io, dopo oltre venti anni di professione forense, penso che la vera, o comunque il massimo di, giustizia che l’uomo, nel corso della sua storia, abbia mai avuto o possa mai avere fosse quella impartita, sulla base dell’equità e non del diritto, dai capi villaggio o dai saggi nelle più elementari forme di aggregazione umana, aggregazioni di cui parla ad esempio il sociologo Jared Diamond nei suoi bellissimi e indispensabili libri.

Lo stesso Diamond riporta come in alcune zone del suo stato di origine, il Montana, siano ancora oggi sopravvissute forme di amministrazione della giustizia del genere: persone o società che hanno un conflitto si rivolgono ad una persona ritenuta saggia ed imparziale affinché indichi una strada, vincolante o anche solo non vincolante, ma convincente. È una specie di arbitrato, ma basato moltissimo sulla fiducia nel «saggio», che può inventarsi anche soluzioni creative e slegate da riferimenti giuridici, anche perché i conflitti tra gli uomini non hanno se non raramente ragioni davvero economiche, sono per lo più problemi con una profonda radice emotiva.

È quello che ho realizzato con il mio cumSolvere, per le persone che hanno optato per servirsene, ed è l’unica forma di «giustizia» in cui mi sento di credere, non basata sull’applicazione di regole astratte scritte prima che insorgessero i problemi che si vogliono risolvere con esse, applicazione che peraltro avviene da parte di un «giudice» che è in realtà un burocrate che occupa quella posizione per il solo fatto di aver superato, magari decenni prima, un concorso, ma una giustizia basata sulla unanimemente riconosciuta qualità delle persone che sono chiamate ad impartirla per saggezza, capacità negoziali, capacità di leggere l’animo umano, creatività e ingegno.

Resta il fatto che purtroppo il ricorso a queste forme di giustizia alternativa rimane subordinato alla volontà di entrambe o comunque tutte le parti, per cui basta che una sola di esse rifiuti di prestare il proprio consenso che ritorni ad essere necessario il ricorso al sistema giudiziario statuale.

Vale comunque la pena, in ogni caso, di formulare un apposito invito prima di instaurare una vertenza giudiziale, naturalmente tramite un atto scritto e successivamente documentabile.

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Non pago le spese condominiali e gli altri mi minacciano e insultano: che posso fare?

I miei genitori hanno un debito con il condominio perché mio papà è stato licenziato e mia mamma lavorando in un impresa di pulizie guadagna poco, stanno chiedendo un prestito ma sarà difficile…fanno già fatica con il mutuo..
Ieri ci hanno scritto sulla porta con pennarello indelebile “bastardi pagate le spese”. Questo episodio ha fatto finire mamma in ospedale perché è l’ennesimo, ci hanno rubato gli indumenti, la posta, e addirittura per due volte il simbolo del natale alla porta. Abbiamo paura!cosa faranno??non siamo animali, siamo in difficoltà e ci pugnalano invece di aiutarci, la volontà a pagare c’è ma non li abbiamo davvero…stamattina faremo denuncia perché ieri non è stato possibile data la festività il commissariato era chiuso.
Cosa possiamo fare??se non posso permettermi l’avvocato a chi mi rivolgo??l’amministratore dice che sono arrabbiati con noi ma gesti così non si DEVONO giustificare

Purtroppo non è un problema che si possa risolvere con il ricorso al sistema giudiziario, anche perché, pur essendo i gesti di cui rimanete vittime illeciti ed addirittura spregevoli, siete anche voi in torto non pagando delle spese che saranno per questo addossate a tutti gli altri condomini. È vero che non è colpa vostra, ma nemmeno degli altri che fanno parte della comunità condominiale.

Credo che abbiate fatto bene a presentare la denuncia, anche per avere una traccia scritta di quello che succede, ma penso che il modo di trattare il problema sia quello di tentare una mediazione o comunque aprire un dialogo con la comunità condominiale, eventualmente tramite l’amministratore.

Sicuramente molto più facile a dirsi che a praticarsi, specialmente se il vostro condominio è composto da molte unità, però non vedo altri sistemi. Naturalmente, si può inviare una diffida all’amministratore tramite un avvocato in cui si richiamano i fatti accaduti e si diffida chiunque dal reiterarli, però non so quanto possa essere efficace.