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Io sono l'eretto: come salvare il mondo stando in piedi.

Ieri mattina sono andato coi miei familiari a Serramazzoni per una visita ai miei nonni, che vi riposano.

Dopo la deposizione di due mazzi di fiori freschi, aver condiviso qualche ricordo e scorse le vestigia di qualche antica linea di parentela, siamo andati in centro per bere qualcosa di caldo.

C’era la nebbia, faceva piuttosto freddo.

Così conviene, peraltro, per questi giorni a cavaliere tra luce e tenebre, dove il nostro mondo dei vivi si avvicina come non mai a quel loro dei morti.

Entrati in un bar, di cui é giusto e pio tacere nome ed ubicazione, ho chiesto se ci saremmo potuti sedere, come sono solito fare da sempre – senza, in quel momento, pensare ad altro.

La barista – le donne sono sempre più affezionate alle regole – mi ha snocciolato la vigenza: «chi ha il green pass sì, e lo devo vedere; chi non ce l’ha, no».

Legittimo.

Alla fine, chi aveva il green pass si é seduto; chi non ce l’aveva, parte é uscito e parte é rimasto, in piedi, accanto al tavolo dove gli altri stavano seduti.

Tra questi ultimi, sono rimasto accanto ai miei familiari assisi, in una posizione un po’ scomoda e forse, vista dall’alto, demenziale, rinfrancato tuttavia dall’aver così potuto dare, col mio insistere in piedi, il mio contributo a sconfiggere un morbo che continua a riempiere le strade di camion con gran copia di morti.

«Io sono l’eretto», dunque: colui che salverà il mondo; molto di più dell’eletto, che, del resto non ha mai combinato granché.

E comunque sitting is the new smoking: se non salverò il mondo, salverò almeno me stesso.

Forse.

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I no green pass di Novara: un errore evitabile.

La figura non eccezionale dei no greenpass dei giorni scorsi a Novara, vestiti a-la-Auschwitz, é un precipitato del fatto che si pensa troppo spesso che le battaglie – anche quelle giuste, come io ritengo essere quella contro il green pass – sia preferibile condurle con l’indignazione piuttosto che con la logica.

La logica però, tutto al contrario, resta indispensabile e molto più feconda dell’indignazione o di paragoni, completamente infondati e pieni di fallacie, come quello tra la situazione di noi non vaccinati e quella degli ebrei ai tempi del nazismo, due cose che non hanno davvero niente a che fare l’una con l’altra.

Questo non significa che il green pass sia un istituto apprezzabile; esso resta, tutto all’opposto, un’idea abominevole realizzata in modo demenziale che deve essere spazzata via dall’ordinamento prima possibile.

Ma lasciamo che a fare paragoni demenziali sia Burioni con la sua dittaturapneumatica, noi cerchiamo di portare avanti questa battaglia con la serietà e la compostezza necessarie per vincerla.

Abbiamo il rosario da tenere in mano e da recitare: non ci serve niente altro e soprattutto non abbiamo proprio bisogno di pagliacciate.

Detto questo, va però anche sottolineato che un po’ di enfasi e un po’ di slogan fuori dalle righe é normale che ci siano in ogni manifestazione, guarda ad esempio le boiate che sono state mostrate nelle piazze di protesta contro la bocciatura del ddl Zan: in questo caso però l’indulgenza dei media e della politica in generale é stata molto più ampia, perché, a passarle al setaccio, si sarebbero trovate tante cretinate anche in quei cortei.

Questo, alla fine, é un motivo in più per cercare di lavorare meglio e con quanta più intelligenza possibile.

Evviva noi.

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diritto

Alea jacta est, cabrones!

Stamattina, alle otto meno dieci, forte della titolarità di una partita IVA e dell’assenza di un datore di lavoro cui far capo, sfornito di green pass, ho tuttavia varcato la soglia del mio studio professionale di Vignola, via Caselline 339, con lo stesso cipiglio di Cesare al momento di attraversare il Rubicone.

Una volta dentro, e preso possesso del luogo e di tutte le sue pertinenze, alle otto meno cinque – ex comma 1, art 3, dl 127/2021 – ho controllato tramite il mio fido dispositivo mobile il greenpass della mia impiegata, sincerandomi che potesse avere accesso ai locali dello studio per ammannirvi le sue prestazioni lavorative secondo il CCNL attualmente in vigore.

Lei stessa poi, verso le 10, scendendo di un comma, al 2 della stessa disposizione, ha controllato il green pass all’uomo della caldaia, proveniente dal capoluogo, che ha così potuto avere accesso ai vani antistanti il locale bagno dell’ufficio, in modo da poter ulteriormente manutenere in tutta sicurezza l’impianto termico di pertinenza dello stabile.

Grazie a questo complicato gioco di pesi e contrappesi, a questa danza digitale di adempimenti e «beeep» di consenso elettronico, io, la mia impiegata e l’uomo della caldaia questa sera siamo sani come pesci, anziché trovarci in terapia intensiva, dove almeno io dovrei per giunta pagarmi il soggiorno, sotto ad un casco respiratorio.

Non so di loro, ma a me, tutta questa salute non impedisce comunque di sentirmi un po’ stronzo.

Sed alea jacta est, cabrones!

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Good morning, Draghistan!

Good morning, Draghistan!

Non ha senso parlare di discriminazione quando si vogliono indicare i
problemi del greenpass.

É evidente che qualsiasi normativa che fa riferimento a situazioni di
fatto che sono diverse nella realtà discrimina – e per fortuna che lo
fa perché situazioni diverse vanno trattate in modo diverso.

Questo, addirittura, é il vero significato del principio di
uguaglianza, nell’ermeneutica ufficiale della Corte costituzionale,
completamente condivisibile.

Il problema di un istituto abominevole come il green pass é molto più
a monte di questo e consiste nel fatto che non esiste una epidemia di
microorganismi di gravità tale da giustificare l’adozione di
provvedimenti del genere.

Non ci sono abbastanza morti.

Non ce n’è un numero nemmeno lontanamente sufficiente per giustificare
questo merdaio di legislazione liberticida e soffocante che é stato
varato, con estrema cura, negli ultimi due anni.

Mi dispiace per i decerebrati che vanno ancora avanti dopo due anni a
sostanziarsi con i camion di Bergamo, ma basta alzare gli occhi dal
televisore, dal giornale o dal cellulare per vedere che la gente non
muore.

Si ammala, piuttosto, poi guarisce.

La mortalità è delle zero virgola qualcosa per cento.

Senza dimenticare, peraltro, che morire si muore tutti, prima o poi.

Il vero negazionista é quello che nega questa, che ormai è la realtà
evidente a tutti quelli che vogliono vederla.

Il problema del green pass non é, dunque, che discrimina, ma, molto
prima, che non c’è nessuna epidemia tale da giustificarlo.

Così come è senza alcuna giustificazione la campagna di in(o)culazione
di massa in corso.

Stefano Paternò é morto a causa del vaccino – lo accerta la perizia
ufficiale – perché aveva, senza accorgersene, già in precedenza
contratto il virus.

Cioè lui è morto per tentare di evitare di prendere un morbo che era
così grave che l’aveva già preso in passato senza accorgersene…

Io voglio bene a tutti. Tra i vaccinati ci sono persone a me molto
care e davvero spero di cuore che non succeda loro nulla, non riesco
ad accedere al settarismo che augura i peggiori mali a una parte o
all’altra.

Però io scelgo di non vaccinarmi.

Non perché, come vuole qualche cretino, «non so quello che c’è
dentro», ma piuttosto perché so benissimo quello che c’è fuori.

Se mi vaccinassi, lo farei per non ammalarmi, non certo per viaggiare,
andare a mangiare una pizza o altre amenità che pure ho sentito.

I vaccini servono, in teoria, per combattere le malattie, non per
andare a Formentera o a mangiare le lasagne o i tortellini.

Già questo dovrebbe farvi suonare qualcosa nella testa.

Iscriviti al blog, é fondamentale per evitare le vaccate che oggi
dominano la scena in ogni campo.

Evviva noi.

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