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Conviventi di fatto o con accordo di convivenza?

La famiglia di fatto

Da15 anni io e il mio compagno viviamo insieme ed abbiamo da subito dichiarato al Comune di abitare presso lo stesso domicilio. Se chiediamo uno stato di famiglia, questo risulta composto da me, lui e i nostri figli (9 e 11 anni). Vorrei capire, quindi, come siamo inquadrati dal punto di vista legale, cioè se diritti e doveri sono uguali a quelli matrimoniali. Se non è così, vorrei sapere cosa fare per poterci avvicinare il più possibile alla situazione legale che costituisce il matrimonio, senza doverci sposare. Ad esempio, nel caso di morte di un coniuge, quello che resta in vita gode di pensione o altro trattamento economico per il fatto di essere sposati. Nel nostro caso abbiamo qualche tutela oppure niente?

Al momento, la vostra è una famiglia di fatto. I vostri diritti e doveri reciproci, tra genitori, non sono affatto uguali a quelli di una famiglia unita in matrimonio, dal momento che la vostra è una convivenza di fatto, una unione libera, dove non esiste obbligo di coabitazione, fedeltà reciproca, collaborazione e così via.

Verso i figli, invece, le situazioni giuridiche sono invece molto più simili, comparandole con quelle dei figli nati da persone unite in matrimonio, anche se ci sono ancora residue differenze, specialmente a livello processuale, dove l’affido dei figli di persone non coniugate viene sempre regolato passando dal tribunale, mentre nel caso dei «figli matrimoniali» si possono fare gli accordi in house.

Ci sono una serie di situazioni che sono state recentemente parificate, in tutto o in parte, a quelle di cui «godono» i coniugi, proprio per dar conto della sempre maggior diffusione delle convivenze, appunto già per i conviventi di fatto.

La convivenza dopo la legge 76 del 2016

La legge 76, celebre per aver introdotto nel nostro paese le unioni civili, ha previsto una serie di diritti e situazioni tutelate anche per i conviventi di fatto come voi, in maniera da dare altrettante coperture a situazioni che in passato avevano determinato problematiche.

Già da ora, avete già queste tutele, mentre, se vorrete avvicinarvi di più al matrimonio, potrete stipulare un accordo di convivenza, come ti dirò meglio nel prossimo paragrafo.

I conviventi di fatto, da questo punto di vista, sono coloro che rientrano nella nozione data dall’art. 36 della legge: «due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile». Per l’accertamento di tale situazione, deve esserci una risultanza anagrafica corrispondente, come previsto dall’art. 37. Quindi la convivenza non si può «inventare» ma deve risultare effettivamente a partire innanzitutto dalla coabitazione e dallo stato di famiglia.

I conviventi di fatto rientranti in questa nozione, che sostanzialmente non innova rispetto a quanto già si opinava precedentemente, sono tutelati nelle seguenti situazioni:

  • in caso di detenzione in carcere di uno dei due, l’altro gode dei diritti di visita e altre facoltà previste per i coniugi dalle leggi di ordinamento penitenziario (art. 38)
  • in caso di malattia o ricovero, l’altro convivente ha diritto di visita, assistenza e accesso alle informazioni sanitarie e personali che spettano ai coniugi (art. 39)
  • ciascun convivente può stabilire che sia l’altro a prendere le decisioni sanitarie su di lui in caso cada in stato di incapacità di intendere o di volere, come ad esempio in ipotesi di un incidente a seguito del quale cade in coma (art. 40): questa nomina può avvenire anche con semplice scrittura privata o addirittura di fronte ad un testimone (questa può sembrare una innovazione intelligente, ma è una scelta disgraziatissima, pensa solo a cosa può accedere in caso di testimone falso; già solo per questo varrebbe la pena fare una dichiarazione scritta e metterla in un luogo sicuro);
  • il convivente ha diritto di continuare ad abitare nella casa familiare in caso di decesso dell’altro convivente, analogamente a quanto previsto per il coniuge superstite dall’art. 540 del codice civile, ma per un periodo sensibilmente più breve (due anni o un periodo pari alla convivenza, ma comunque non superiore ai cinque anni) (art. 42); se la casa familiare era condotta in locazione, il convivente ha diritto di succedere all’altro convivente deceduto nel contratto (art. 44); per conseguire l’assegnazione di una casa popolare, il convivente conta come il coniuge (art. 45)
  • il convivente di fatto ha diritto ad un risarcimento uguale a quello che sarebbe corrisposto al coniuge nel caso in cui l’altro convivente resti ucciso in un sinistro stradale o altro incidente o fatto illecito di terzo (art. 49)

Tutti questi sono diritti di cui godete già adesso, per il semplice fatto di essere conviventi di fatto.

Gli accordi di convivenza.

Per avvicinare la vostra situazione giuridica a quella delle coppie unite in matrimonio, potete stipulare, con l’assistenza anche di un avvocato, un contratto di convivenza.

I contratti di convivenza sono stati introdotti in Italia nel 2016 – si tratta dunque di una riforma recente – sempre con la legge n. 76, articoli 50 e seguenti, dettati appunto dopo quelli che prevedono i diritti di tutti i conviventi, anche quelli che non hanno stipulato un accordo.

Con i contratti di convivenza i conviventi regolano, secondo la legge, i «rapporti patrimoniali relativi alla … vita in comune» (art. 50), ma questa definizione è fuorviante perché in realtà, se è vero che con il contratto non si regolano rapporti personali, è anche vero che la sua conclusione, tra i conviventi, determina conseguenze anche sui loro rapporti personali, determinando l’insorgenza di obblighi di famiglia, dal momento che comportano la necessità di mantenimento nel caso in cui uno dei due cada in stato di bisogno.

Ma vediamo le cose con ordine.

Per stipulare questi contratti, che a mio giudizio, regolando situazioni che hanno riflessi sugli obblighi di famiglia, sarebbe molto più corretto chiamare «accordi», si può andare da un avvocato.

L’avvocato assiste i conviventi nella determinazione congiunta dei contenuti dell’accordo, dopodiché – e questa è una cosa molto importante – ne autentica le sottoscrizioni, in modo che sia accertato con valore legale che le firme apposte nei contratti siano appunto genuinamente state apposte dalle persone che vi figurano come parti. Inoltre, entro dieci giorni, l’avvocato deve trasmettere l’accordo di convivenza al comune di residenza dei conviventi stessi per l’annotazione nei registri dello stato civile (art. 52). Questa annotazione è fondamentale in quanto, con l’accordo, i conviventi possono adottare un «regime patrimoniale della famiglia» corrispondente alla comunione legale tra coniugi, che ha dei riflessi, delle conseguenze legali, per i terzi che vengono a contrarre con uno dei due conviventi, del tutto analogamente a quanto avviene con la comunione tra coniugi.

Questo è un argomento molto tecnico, che vale la pena approfondire con un’apposita consulenza, specialmente se uno dei due conviventi ha un’attività in proprio.

Con l’accordo, i conviventi possono (art. 53):

  1. indicare la residenza;
  2. stabilire le modalità di contribuzione alla vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo;
  3. adottare il regime patrimoniale della comunione dei beni

Il punto n. 2 è molto interessante, perché conferisce ai conviventi un potere che non spetta neanche ai coniugi, che invece, a riguardo, devono sottostare ad una regola già preformata dalla legge, di cui parlo in un altro post che ti consiglio di leggere con attenzione: clicca qui.

Con questo accordo, ad esempio, i conviventi possono ad esempio stabilire che uno dei due va a lavorare fuori casa, mentre l’altro rimane in casa, ad accudire i figli e gestire la casa stessa, mentre quello che lavora e percepisce un reddito deve darne una parte prestabilita all’altro.

Fai attenzione però. Questo potrebbe risolvere i problemi di tutela di un convivente, che tipicamente in questo caso sarebbe la donna (che sono sessista è ormai noto ;-)), ma in realtà dura solo finché dura il contratto di convivenza.

Poniamo che una donna faccia un accordo di questo genere con un dirigente d’azienda che guadagna 6.000 euro al mese e si obblighi a rigirargliene 2.000. Tutto questo dura solo finché dura l’accordo di convivenza, quindi questa donna dovrebbe progettare adeguatamente la sua vita anche finanziaria perché se a cinquant’anni venisse lasciata dal convivente essendosi sempre occupata di casa e figli avrebbe ben poca professionalità da spendere nel mondo del lavoro a quel punto e si ritroverebbe con niente in mano!

Come insegna l’uomo ragno, insomma, da grandi poteri grandi responsabilità: tutti questi nuovi «diritti», come tanti altri diritti esistiti in passato, spesso finiscono per rovinare le persone, specialmente se c’è inconsapevolezza. Sarei solo più contento se i media, i giornalisti, gli intellettuali, cui spetterebbe questo compito, fossero meno «giulivi» nel presentare queste radiose innovazioni e fornissero alle persone gli strumenti per capire davvero di che cosa si tratta e come devono maneggiare queste cose.

Del punto 3 abbiamo già detto. I conviventi possono adottare il regime patrimoniale della comunione dei beni tra coniugi, come appunto i coniugi, sistema di cui ho parlato tante volte nel blog ed al cui archivio ti rimando. In particolare, puoi leggere un post miliare sul tema: clicca qui.

Conclusioni.

L’importanza è la consapevolezza e progettare adeguatamente la tua famiglia in base alla vostra situazione concreta, a quello che fate fuori e dentro casa.

Se vuoi un preventivo, puoi chiedermelo compilando il modulo apposito nel menu principale del blog.

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Contratti di convivenza: una novità molto importante in arrivo.

Il disegno di legge Cirinnà, al momento non ancora approvato definitivamente, contiene novità molto interessanti per tutte le famiglie di fatto o convivenze, anche etero, con molte più possibilità per chi ne fa parte di tutelarsi ma anche di dare adeguata progettualità alla coppia e alla famiglia.

Ciò nel senso che chi, ad esempio, dovrà formare una famiglia avrà a disposizione un ventaglio molto più ampio di possibili modelli e scelte che, se usato oculatamente e con equità, potrebbe dare regolamentazioni molto più sensate ad ogni situazione – ricordiamoci sempre che ogni famiglia è diversa dall’altra.

Una delle novità più interessanti è la possibilità di stipulare appositi contratti di convivenza, che sarebbe stato meglio denominare accordi, visto che non sono affatto contratti, per regolare aspetti importanti della vita di coppia.

Non ne parlo più approfonditamente adesso perché il mio costume è da sempre quello di ragionare su leggi già definitive, anche per non ingenerare confusione (sono sempre molte le persone che scambiano un progetto di legge per una legge), ma tengo l’iter sotto controllo perché lo ritengo molto interessante.

Se e quando la legge venisse approvata, cosa che appare ormai probabile vista la situazione politica, faremo sul blog gli adeguati approfondimenti, probabilmente con un ciclo di post dedicati visto che le novità sono tante e molto ricche.

Un errore che faranno sicuramente in molto e che fin da adesso posso individuare è confondere gli accordi di convivenza con i contratti prematrimoniali di cui si vede nei film e telefilm soprattutto di origine statunitense. In realtà sono cose diversissime e i contratti prematrimoniali continuano ad essere vietati da noi.

Per maggiori informazioni, potete collegarvi alla scheda dedicata, dalla quale potrete anche iscrivervi per essere avvertiti via mail della definitiva approvazione della legge.

Considerata l’importanza di questa riforma, abbiamo anche attivato domini dedicati per raggiungere la pagina di cui sopra, potete ad esempio sempre richiamarla tramite l’indirizzo http://www.accordidiconvivenza.it.

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Separazione o comunione dei beni: qual è meglio?

Homer e Marge

Che cosa sono.

Ecco una domanda sempre molto gettonata, che riceviamo periodicamente con una certa costanza:

Devo sposarmi, ma io e la mia fidanzata siamo incerti se fare la separazione dei beni o la comunione, che cosa è meglio?

È il caso, quindi, di fare un po’ di chiarezza.

Innanzitutto vediamo però che cosa sono comunione e separazione dei beni.

Si tratta di regimi patrimoniali della famiglia, cioè regole che stabiliscono di chi è la proprietà di quello che viene acquistato da uno dei due coniugi durante il matrimonio, a partire da subito dopo la celebrazione di esso. Questi regimi possono essere cambiati anche in seguito, passando ad esempio da comunione a separazione e viceversa, ma sempre solo con l’accordo dei coniugi, altrimenti il loro mutamento si può avere solo con separazione personale o divorzio, o decesso di uno dei due.

In generale, con la separazione dei beni ogni coniuge conserva la proprietà dei beni che acquista, mentre con la comunione alcune, molto importanti, categorie di beni che acquista uno dei due coniugi diventano di proprietà comune, per effetto del matrimonio. In realtà, il discorso è molto più articolato e non sempre facile da comprendere per i profani del diritto (e anche purtroppo a volte per qualche avvocato).

Ad ogni modo, per spiegare un po’ meglio la differenza, grosso modo, in modo che sia comprensibile a tutti, si può dire che con la separazione non cambia niente rispetto alla situazione precedente, ognuno rimane proprietario dei suoi beni e dei suoi redditi; con la comunione, invece, si costituisce una specie di “società” tra marito e moglie per cui gli acquisti fatti da uno dei due, con alcune importanti eccezioni, diventano di proprietà comune e sono soggetti a regole particolari per quanto riguarda la loro amministrazione e la possibilità che i creditori dei coniugi possano pignorarli.

Il sistema preferibile in linea generale.

In generale, secondo me è meglio la separazione dei beni, ma solo appunto in generale, perché la valutazione va rigorosamente fatta in relazione alle caratteristiche che si hanno in mente per la famiglia che si va a costituire.

La comunione dei beni è un istituto che viene messo «di default» solo nel nostro Paese, altrove il regime ordinario è quello della separazione. E’ stata, la comunione, introdotta storicamente per fare da contrappeso all’introduzione di separazione e divorzio e quindi in qualche modo anche per rendere più difficile sciogliere i vincoli matrimoniali. Purtroppo però i vincoli affettivi tra le persone non sono determinati dagli istituti patrimoniali vigenti per la famiglia e, quando vengono a mancare e si apre la crisi della famiglia, la comunione è solo un problema in più tra i tanti da risolvere e non certo un aiuto.

La comunione avrebbe anche la funzione di retribuire la donna o comunque il coniuge ch non lavora per il «lavoro casalingo», che svolge in casa e che, specialmente nel caso di famiglie con figli, è di importanza fondamentale. Si considera che il marito, ad esempio (potremmo parlare di moglie, a termini invertiti), può andare al proprio impiego o professione solo perchè la donna rimane a casa a mandare avanti la famiglia e quindi giustamente lo stipendio o comunque il reddito deve essere diviso per due.

Ma, a parte il fatto che oggigiorno lavorano nella maggior parte dei casi entrambi i coniugi, anche in regime di separazione dei beni nulla vieta che i coniugi si accordino affinchè la moglie (o, oggigiorno, anche il marito) stia a casa e poi a fine mese o anno i proventi dell’unico coniuge che lavora siano divisi. La cosa non è obbligatoria come nella comunione, ma al giorno d’oggi ciascun coniuge ha tutti i mezzi a disposizione per ottenere ciò che è giusto dall’altro coniuge ed in effetti questa sembra la strada preferibile.

Come è meglio procedere per scegliere il regime patrimoniale?

In conclusione, la cosa migliore, qualunque decisione si prenda, è non ignorare questi aspetti, come fa invece la maggior parte della gente che si sposa.

In altri paesi, come gli Stati Uniti, si usano per regolare questi ed altri aspetti addirittura i contratti prematrimoniali, che tanto scandalo suscitano qui in Italia. In realtà, a mio giudizio hanno ragione quelli che li fanno perchè quando le cose vanno bene si possono tranquillamente lasciare nel cassetto, mentre invece se vanno male, anzichè impelagarsi in separazioni che durano 10 o 15 anni come qui in Italia, si riesce a risolvere il vincolo in poco tempo e con poche complicazioni.

Qui i contratti prematrimoniali non si possono fare, perchè la materia è considerata indisponibile, in larga parte, tuttavia almeno una consulenza di base da un professionista sul regime patrimoniale da scegliere e su come amministrare la famiglia non è una cattiva idea, anche per tutelarsi contro i terzi nel caso in cui la famiglia continui. Oltre che sul solo regime patrimoniale, sarebbe bene farsi informare anche sul tipo di famiglia da costituire, cioè se basata su matrimonio, su sola convivenza e così via perché ci sono conseguenze importanti anche in relazioni a queste scelte.

Per questo tipo di problematiche, abbiamo anche definito un prodotto specifico: la consulenza prefamiliare.

Ulteriori approfondimenti

Per ulteriori approfondimenti, rimando al mio libro, disponibile anche in ebook, dove le differenze tra separazione e comunione sono illustrate più nel dettaglio, anche sotto il profilo di come vanno amministrati i beni a seconda della scelta dell’uno o dell’altro regime patrimoniale.