DOMANDA – Vorrei sottoporvi una questione riguardante mio fratello. Egli ha 30 anni e non ha mai dimostrato nessuna voglia di lavorare (negli ultimi 10 anni ha lavorato forse 3 anni), dimettendosi sempre lui senza venir mai licenziato. Ha passato la sua vita a giocare coi videogiochi, mantenuto da mio padre che però un anno fa è morto. A quel punto mia madre gli ha trovato un altro lavoro e comprato la casa; lui pochi mesi dopo si è dimesso e ha venduto la casa consumando tutti i soldi rivenienti dalla vendita. Ora mia madre non lo vuole mantenere ne prendere in casa con sè. Chiedo in quali termini, se per esempio mio fratello avesse dei problemi psicologici di dipendenza da gioco accertati o depressione o altra malattia psichica (visto come si comporta), se mia madre potrebbe essere condannata a pagargli gli alimenti, e in subordine, quando mia madre mancherà, se potremo essere obbligati io e mia sorella.
— RISPOSTA – Le disposizioni civilistiche in materia sono previste dagli articoli 433 e seguenti del codice civile, per antica tradizione risalente sino al diritto romano.
Con queste disposizioni, tuttavia, si incrociano quelle, di diritto amministrativo ed assistenziale, che sono oggi previste e prevedono l’intervento da parte di enti territoriali o appunto assistenziali a sostengo della persona caduta in stato di bisogno.
È abbastanza raro, oggigiorno, vedere l’applicazione delle disposizioni in materia di alimenti, o almeno una applicazione completa, dal momento che prima di ciò, c’è quasi sempre un contributo, almeno parziale, da parte dei servizi sociali e dei vari enti che si possono chiamare in causa.
Purtroppo, intestare la casa a tuo fratello si è rivelato un errore, sarebbe stato preferibile che al medesimo venisse lasciato il godimento della medesima, ma non anche la facoltà di disporne.
L’applicazione delle disposizioni in materia di alimenti prescinde da un giudizio di colpevolezza dello stato di bisogno o meritevolezza del contributo, è una regola di tipo solidaristico – familiare che appunto viaggia autonomamente.
Piuttosto, mi pare che tuo fratello presenti dei problemi non trascurabili per cui potrebbe essere estremamente consigliabile valutare di ricorrere alla nomina di un amministratore di sostegno, per impedirgli di perdere quel poco che gli è rimasto e provvedere alla tutela del suo patrimonio, considerata la sua condotta di vita.
Ti suggerirei di non trascurare la situazione e di valutare, insieme al resto della famiglia, quali migliori iniziative intraprendere.
Se vuoi approfondire ulteriormente la situazione, chiama ora lo studio al numero 059 761926 e prenota il tuo primo appuntamento, concordando giorno ed ora con la mia assistente.
Puoi anche acquistare online direttamente da qui: in questo caso, sarà poi lei a chiamarti per concordare giorno ed ora della nostra prima riunione sul tuo caso; a questo link, puoi anche visualizzare il costo.
Naturalmente, se vivi e lavori lontano dalla sede dello studio – che è qui, a Vignola, provincia di Modena, in Emilia – questo primo appuntamento potrà tranquillamente avvenire tramite uno dei sistemi di videoconferenza disponibili, o persino tramite telefono, se lo preferisci; ormai più della metà dei miei appuntamenti quotidiani sono videocall.
Guarda questo video per sapere meglio come funzionerebbe il lavoro con me.
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Oggi parliamo di un caso posto da una nostra ascoltatrice in cui figli sono stati affidati ai servizi sociali. Vedremo come è meglio cercare di comportarsi in questi casi e quali sono le possibilità di intervento in una materia del genere.
Nell’episodio di oggi, un padre che si chiede quale sia la strategia migliore per poter riavere a casa il proprio figlio collocato dalle assistenti sociali presso una casa famiglia e una comunità. [la risposta è nel podcast]
sono separata ancora non legalmente possono togliermi mia figlia di 10 mesi ed AFFIDARLA a lui solo perché vivo con mia madre e non abbiamo reddito? E un altra cosa così piccola può richiedere il pernotto le spetta? Io so che un minore può pernottare dal padre solo dai 3/4 anni
Sono domande purtroppo che non hanno molto senso.
La decisione circa l’affido di un figlio viene presa dal giudice considerando tutte le circostanze del caso concreto e, comunque, non è prevedibile, per cui la prima considerazione utile da fare è che in prima battuta conviene, per questo e mille altri motivi, tentare di raggiungere, con l’aiuto di un avvocato bravo e con una grande propensione alla negoziazione, una soluzione di tipo consensuale.
Ovviamente, l’assenza di reddito non è una circostanza dirimente, non può mai esserlo, specialmente da sola, va considerata l’intera situazione dei genitori alla luce dell’interesse del minore. Anche se ti consiglio di attivarti per superare questa condizione, mettendoti alla ricerca, se possibile, di un’occupazione o chiedendo comunque ai servizi sociali se ci sono dei sussidi o degli aiuti.
Anche per quanto riguarda il pernotto è un po’ il solito discorso, dipende sempre dall’interesse del minore, dalla situazione concreta e da come lo vede il giudice. Ci sono sentenze che stabiliscono a quattro anni il momento in cui può avvenire il pernotto presso il padre, ma altre sentenze, a mio giudizio più azzeccate, sostengono che dipende sempre dalla maturità del figlio.
In conclusione, ti serve un progetto completo per la gestione della crisi familiare, da far gestire ad un avvocato scelto molto oculatamente e, se possibile, anche da un mediatore familiare. Finché ti focalizzerai su singoli aspetti non realizzerai molto di costruttivo.
Il primo passo per te è scegliere un avvocato. Se non disponi di sostanze per compensarlo, forse puoi chiedere l’ammissione al patrocinio a spese dello stato.
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Di Amministrazioni di sostegno si parla molto, forse troppo e spesso nemmeno in modo preciso. Cosa è l’amministrazione di sostegno? Quali sono i presupposti per la sua applicazione? E soprattuto cosa implica nelle vite delle persone che in qualche modo hanno a che fare con questo strumento, ancora oggi non del tutto compreso e “digerito”, come beneficiari, parenti, o anche operatori dei servizi principali di cui tutti usufruiamo come ospedali, banche o uffici postali, solo per fare un esempio?
Definizione: La legge sulle Amministrazioni di sostegno (ADS per brevità) è la n° 6 del 2004, presente nel nostro ordinamento da ormai quattordici anni. Ancora molti però sono i dubbi e le incertezze che ha creato con la sua entrata in vigore. L’ADS Ha principalmente “la finalità di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente (Art 1).La caratteristica fondamentale di questa misura di tutela è la possibilità che possa essere disposta anche in modo temporaneo. L’Ads infatti può essere disposta in modo “elastico” per permettere alla persona di riuscire a recuperare le capacità e le autonomie che avesse temporaneamente perduto (ad esempio a seguito di infortunio).
Presupposti dell’ADS: Necessita dell’ADS La persona che, “per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi (Art 2)” Elemento essenziale è che vi sia un interesse attuale e concreto al compimento di atti per i quali è fondamentale l’amministratore di sostegno e che il soggetto interessato non sarebbe in grado di compiere da solo. (ad esempio, gestione delle pratiche per assunzione di badante, o per inserimento in case di riposo, contratti di utenze o di locazione, gestione quotidiana delle spese per la casa o dei risparmi, qualora ve ne siano). Importante anche è sottolineare che il “sostegno” dato sarà previsto solo per determinate attività. Non si avrà una totale sostituzione del soggetto debole da parte dell’ads in tutte le attività ma un aiuto specifico ove vi sia reale necessità Questa specificità è indicata specificamente nel decreto di nomina di amministratore di sostegno emesso dal giudice tutelare competente per territorio.
Chi può chiedere l’ADS: 1)lo stesso beneficiario, cioè la persona che ne avrà poi bisogno (anche se minore, interdetto o inabilitato); Il coniuge; la persona stabilmente convivente; i parenti entro il 4° grado, che sono poi i genitori, i figli, i fratelli o le sorelle, i nonni, gli zii, i prozii, i nipoti e i cugini; gli affini entro il 2°grado, che sono i cognati, i suoceri, i generi,le nuore; Possono chiedere l’ADS anche il pubblico ministero; il tutore o il curatore del soggetto fragile.
Il procedimento per avere un ADS: L’ads si ottiene sulla base di un ricorso presentato all’Ufficio del giudice tutelare del Tribunale competente per territorio, cioè del luogo in cui la persona è residente. Per ottenere la nomina di un amministratore di sostegno ci si deve rivolgere quindi al Tribunale competente ma per avere informazioni e maggiori indicazioni si possono contattare senza dubbio i distretti sociali di zona. Infatti i responsabili dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura e assistenza della persona, se sono a conoscenza di fatti tali da rendere opportuna l’apertura del procedimento di amministrazione di sostegno, sono tenuti a proporre al giudice tutelare il ricorso o a fornirne comunque notizia al pubblico ministero. Il procedimento vero e proprio viene introdotto con un ricorso, la modulistica può essere reperita presso gli uffici URP dei Tribunali di zona o reperita sui rispettivi siti internet di riferimento sotto la voce “volontaria giurisdizione”. Per la presentazione del ricorso non è necessaria l’assistenza di un avvocato. Il procedimento è esente dal pagamento del contributo unificato ma è richiesto il versamento di una marca da bollo che ad oggi è di 27 euro. L’amministratore di sostegno viene nominato con un decreto del giudice tutelare. Tuttavia in particolari situazioni più complesse in cui vi siano difficoltà trasversali nella gestione dei soggetti, come ad esempio per esposizioni debitorie del beneficiario, dichiarazioni di successione, gestioni di beni immobili o situazioni di carattere di disagio sociale o economico, è bene chiedere consulenza legale per comprendere se lo strumento dell’ads sia quello più idoneo per la propria situazione. Molte amministrazioni di sostegno infatti nascono perchè vengono considerate necessarie ed urgenti in carenza di rete familiare o sociale ma spesso una attivazione di queste reti possono evitare questo strumento che è si di tutela ma anche limitativo delle attività della vita quotidiana del beneficiario, il quale non sempre ha necessità di essere vincolato. L’Ads nominato dal giudice tutelare, infatti, anche se provvisoriamente, ha poteri di fatto concreti della vita del soggetto sottoposto ad amministrazione di sostegno, che vanno dal controllo e gestione del conto corrente bancario e dei risparmi nel precipuo interesse dello stesso, ad esempio scegliendo di assumere una persona che lo aiuti in casa, occupandosi del pagamento delle utenze e delle tasse, delle assemblee di condominio…oppure, ove ve ne siano i presupposti, scegliendo di farlo vivere in una casa di riposo e aiutandolo a fare scelte sulle cure alle quali sottoporsi o sugli specialisti da consultare per le determinate patologie. Tutti i poteri dell’ads su tutto quel che può fare o anche che lo stesso amministrato può fare con l’aiuto dell’amministratore o anche da solo sono espressi chiaramente nel decreto di nomina del giudice tutelare.
Cosa contiene il decreto di nomina?: Il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno deve contenere l’indicazione: delle generalità della persona beneficiaria e dell’amministratore di sostegno della durata dell’incarico, che può essere anche a tempo indeterminato dell’oggetto dell’incarico e degli atti che l’amministratore di sostegno ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario degli atti che il beneficiario può compiere solo con l’assistenza dell’amministratore di sostegno dei limiti, anche periodici, delle spese che l’amministratore di sostegno può sostenere con utilizzo delle somme di cui il beneficiario ha o può avere la disponibilità della periodicità con cui l’amministratore di sostegno deve riferire al giudice circa l’attività svolta e le condizioni di vita personale e sociale del beneficiario.
Quali sono i doveri dell’amministratore di sostegno?: L’Amministratore di sostegno deve rendere conto al giudice tutelare, con la cadenza temporale prevista nel decreto di nomina. Con la stessa relazione e rendiconto con allegata la documentazione relativa alla situazione medica, economica e in generale alla situazione di vita del beneficiario, almeno a seconda delle prassi dei singoli tribunali italiani, l’Ads può richiedere il riconoscimento di una indennità per l’attività svolta in quel periodo, che verrà riconosciuta dal Giudice tutelare ove ne vengano identificati i presupposti e sarà a carico del beneficiario dell’amministrazione di sostegno. Ove l’amministrato non abbia proprie sostanze l’amministratore di sostegno nominato, in linea di massima non potrà ricevere indennità dal giudice e pertanto avrà prestato la sua attività pressochè gratuitamente e spesso anche in perdita data l’impossibilità in determinati casi di poter rientrare delle spese sostenute.
Come si sceglie l’amministratore di sostegno?: La scelta dell’amministratore di sostegno avviene con esclusivo riguardo alla cura ed agli interessi della persona del beneficiario. Qualora vi siano le disponibilità di una rete familiare solida l’incarico può essere assunto da un parente. Ove vi siano contrasti fra le parti o non venga ritenuto nell’interesse del beneficiario che l’ads sia un familiare, l’incarico può essere affidato ad un terzo, anche professionista. La legge dice che, nella scelta della persona da nominare amministratore di sostegno, il giudice tutelare preferisce, se possibile: il coniuge che non sia separato legalmente la persona stabilmente convivente il padre, la madre il figlio il fratello o la sorella il parente entro il quarto grado il soggetto designato dal genitore superstite con testamento, atto pubblico o scrittura privata autenticata.
>Sono Manuela madre di 2 figli meravigliosi. Ho ricevuto dagli assistenti sociali una raccomandata dove siamo invitati io e il papà a vari colloqui x valutare se i miei bimbi sono a rischio. Ora premetto che la denuncia é partita dai carabinieri del paese xké il padre, é stato trovato a fumare cannabis con amici. Dato cio sono arrivati a casa a fare una perquisizione senza nessun mandato, solo a lui, quando agli amici in possesso di molto più, non sono andati. Forse sulla base della precedente perquisizione, effettuata solo 5 mesi prima, sempre da carabinieri ma di altro paese. La prima perquisa è stata traumatica, con i bimbi presenti, sempre senza un mandato, x non parlare del fatto ke devi solo subite in silenzio x non aspettarti di peggio. Con la seconda arrivo a casa con i bimbi e trovo già i caramba all’interno. Dico a loro di uscire e andarsene da casa mia due volte tranquilla. Stessa dinamica: il padre buono e semplice , collaborativo al massimo, consegna tutto ciò ke ha. Il padre è x me il primo responsabile della sua superficialità nel trattare la cosa. Un uomo spesso, dato ke tutte le mamme in passato hanno sbagliato nel crescerli, matura molto dopo una donna. Come molto dopo capisce cosa siglifichi essere genitore.Diciamo ke arrivano lentamente . Arriviamo al dunque: io molto stanca dei soprusi subiti, in ogni settore di questa società in declino, alla fine li ho buttati fuori di casa quasi a calci, urlando come una pazza ma sana di mente. Figurarsi toccare uno dell’ arma!!! Chiaramente poveretti questi carabinieri ke partono al giuramento con tutte le più buone intenzioni, è difficile spiegare ke ormai nella società fungono più come riscossori di tributi, ke come salvatori dei cittadini. Diciamolo apertamente ke , x noi cittadini, sono visti più come un problema, ke un aiuto. Smettiamola d’essere ipocriti socialmente.Uno va da loro solo x casi gravi. Te li trovi x strada e ti tocchi. Sono segno di vergogna se vanno a casa di qualcuno. Nessuno vuole avere a ke fare con loro. Di una cosa sono certa, stiamo vivendo un crollo totale della democrazia. Un popolo affamato, derubato di ogni diritto non può ke arrivare alle armi. Cittadini costretti a stare in silenzio, pur ammettendo i propri errori, x evitare il peggio. Zitto, taci, subisci cosi non ti succederà niente…Non ti porto via i bambini, questa è La loro arma. Così ti costringono a abusi di potere e conflitti di interessi. Io ai miei figli ho detto No.!! Agire, siate liberi, usate cuore amore e saggezza nel capire ke si può dire no. No come tutti i grandi ke hanno detto No ai soprusi. Denunciate, provate a cambiare le cose. Come lo fecero i nostri partigiani. No al silenzio. Disgregazione, distruzione della famiglia, questo è l’obbiettivo. Divisi, separati siamo tutti più deboli e governabili. La famiglia è l’unica cosa ke abbia realmente valore in questa vita così breve. I figli, le persone, gli affetti. Invece Viene demolita, resa esanime. Il padre dei bimbi non è un cattivo, e un semplice e umile ke hanno schiacciato, trattato da criminale. Non ha più vita sociale, tolto ogni dignità. X riuscire forse a tenere i miei bimbi, io ke sono pulita, devo chiaramente dissocciarmi da lui. Tutto questo accanimento ha portato a una frattura tra me e il padre. Quello ke ti insegnano è vai, abbandona pure il famigliare ke ha bisogno di aiuto. Pensa solo a te se vuoi riuscire a tenere i bimbi. Questo è quello ke mi sono sentita dire. Mi chiedo? X i carabinieri i miei bimbi sono a rischio, perché x loro hanno possibile accesso a sostanze. Dato ke ai carabinieri ha dato tutto il padre io mi chiedo come fanno a dichiarare una cosa simile? Secondo loro forse un bimbo di 4anni è capace di salire, aprire mobili e andare a cercare quella cosa specifica di cui non ne sa l’esistenza x mangiarla forse oppure x fabbricarsi una sigaretta. Non so. Guarda come sono preoccupati x i miei bimbi, quando non si sono fatti il minimo problemi ad entrare in casa con dei minori senza uno straccio di documento. Chissà xké dopo ke li ho buttati fuori di casa a insulti, il ragazzino di 18 anni, sotto leva ke sapeva ancora di latte mi ha sfidata caricandomi, mentre comandate e altro volevano arrestarmi su due piedi fregandosene di farlo di fronte a dei bambini con denuncia annessa. Questo è secondo voi l’atteggiamento di persone ke sono realmente preoccupate x i miei bambini? Sono pultroppo poveretti assuefatti da un meccanismo vizioso ke li ha privati di tutti i loro buoni propositi. Della capacità di giudizio, schiavi della burocrazia e dei giudici ke liberano i reali assassini e criminali. Chi paga sono i miseri, il popolo al quale avevano giurato di proteggerlo. Dopo questo riassunto/sfogo. Vorrei sapere se sia meglio cercarmi subito un avvocato civilista ke si occupa di diritto dei minori o cos’altro? Cosa posso fare x evitare il peggio? Cosa posso fare x i miei bambini? Sicuramente mettermi Occhiali rosa x riuscire ad essere tranquilla e positiva anche se mi risulta molto difficile. Forse dovro dimostrare d’essere incrollabile come madre, fingere???? Le confesso ke essendo una ex malata di cancro senza più scudi e bariere mi risulta difficile recitare. Fingere. Sono sempre stata sincera in tutto e ora acor piu. Difficile ma x i piccoli se dovro farlo lo farò.
La mia impressione al momento è che tu stia ingigantendo una situazione che è in realtà molto più semplice, probabilmente per i contraccolpi emotivi di quello che hai vissuto recentemente o meno.
Se il tuo convivente è stato trovato in possesso di sostanze stupefacenti, c’è stato il problema di capire se questo possesso era indice solo di un uso personale o anche di spaccio e, per accertare questo, uno dei mezzi principali è disposizione è la perquisizione domiciliare, in cui si vede se la persona in questione possiede altre quantità di stupefacente insieme ad altri «attrezzi» tipici di chi fa commercio di queste sostanze come bilancini, confezioni, ecc.
Come saprai, l’uso personale, infatti, al momento, non è reato, ma solo un illecito di altro tipo – il consumatore viene considerato più una vittima che un criminale e viene seguito dai servizi pubblici per aiutarlo a superare le abitudini di consumo. Chi invece fa commercio degli stupefacenti commette un vero e proprio reato, considerato abbastanza grave perché promuove tali abitudini presso la generalità del pubblico.
Nei casi in cui una persona viene colta intenta a consumare stupefacenti insieme ad altre persone, c’è sempre il problema di capire se si tratta di un uso personale per tutti o se invece uno del gruppo è lo spacciatore che ha procurato di sua iniziativa la sostanza per tutti e gli altri semplici consumatori. Anche per questo si è resa necessaria la perquisizione.
Se la perquisizione, e tutti gli altri elementi raccolti, tra cui l’esame tossicologico che ha esaminato la quantità di principio attivo contenuta nella sostanza rinvenuta al tuo convivente, hanno alla fine tratteggiato un quadro più di consumatore che di spacciatore, ora il servizio pubblico vi sta seguendo per tale motivo – si tratta di una cosa non solo normale, ma opportuna, dal momento che a tutela dei minori è giusto che gli assistenti sociali intervengano in nuclei familiari in cui c’è una persona almeno che fa uso di stupefacenti, per tanti motivi che non è davvero il caso di richiamare.
Tutto ciò premesso e chiarito, credo che l’atteggiamento migliore da parte vostra, non solo esteriore, ma anche interiore (non c’è bisogno di recitare parti o copioni di nessun genere), sia quello di accettare innanzitutto l’intervento del servizio, dato che l’«errore», a parte le modalità di intervento delle forze dell’ordine e tutto quello che può esservi spiaciuto, è comunque inizialmente del tuo convivente stesso.
Dopo aver accettato come giusto o comunque inevitabile l’intervento del servizio, il mio consiglio è quello di collaborare con lo stesso, seguendo anche le indicazioni che verranno impartite al tuo compagno per seguire un percorso presso il SERT per trattare la sua situazione di consumatore di sostanze.
Una consulenza orientativa di partenza da un avvocato che comunque interessato del caso potrebbe, se opportuno, in seguito intervenire più prontamente non sarebbe affatto male. Se vuoi acquistarne una da noi, puoi cliccare sul link apposito nel menu del blog, altrimenti puoi scegliere qualsiasi altro avvocato degno di fiducia, chiedi ovviamente sempre prima un preventivo.
cosa dispone la legge se il figlio maggiorenne non può dimostrare la serietà dei propri progetti di vita professionale in quanto il presupposto di partenza è che non debba esserci, a monte e secondo i genitori, alcuna pretesa di mantenimento universitario poiché sarebbe responsabilità del figlio e non del genitore? Mi spiego: cosa dispone la legge se l’humus culturale dei genitori si fonda sull’idea che i figli a 18 debbano andare via da casa sebbene studenti liceali ed universitari eccellenti ? Un principio educativo, cioè, può sopravanzare il diritto al mantenimento e all’istruzione del maggiorenne, laddove il figlio si sia diplomato con il massimo dei voti e presenti una media altissima agli esami, ma proceda lentamente poichè costretto a lavorare per sostenersi, in quanto “colpevole” per aver accampato la “pretesa”? Può il figlio essere obbligato ad abbandonare gli studi poiché messo continuamente in difficoltà economica e per scelta genitoriale?
Così non si capisce quasi niente.
Come ho detto dozzine di volte, quando si pone una domanda ad un professionista, che sia un avvocato, un notaio, ma anche un medico, un geometra o qualsiasi altro, bisogna limitarsi ad esporre i fatti, e il problema relativo (cioè quello che, di questi fatti, non ti va bene), lasciando qualsiasi valutazione più generale a lui. Nessuno entra dal dottore pretendendo di fare disquisizioni sulla scienza medica, ma si limita a dire dove gli fa male, quali sono i sintomi, e cosa vorrebbe cambiare della sua situazione.
Considerate le difficoltà anche solo di articolare correttamente una domanda di questo genere, ti consiglierei di andare a parlare con un avvocato di persona, acquistando una consulenza.
In generale, si può solo dire che la mentalità dei genitori è tutelata sino ad un certo punto, nel senso che qualora la stessa dovesse scontrarsi con i principi fondamentali della legislazione italiana e soprattutto della costituzione, che contiene regole significative in materia di filiazione, così come anche «lette» dalla giurisprudenza costituzionale, ebbene in quel caso sarebbero ovviamente prevalenti le disposizioni di legge, anche per l’interesse generale a che la società venga condotta con una certa omogeneità, sia pure nel pluralismo generalmente concesso alla popolazione.
Ovviamente, come è stato giustamente detto, per il governo della famiglia e dei figli il diritto è uno strumento molto limitato, per cui si devono valutare strumenti di intervento diversi come la mediazione e il ricorso ai servizi sociali, se del caso.
Come accennato, ti consiglio di andare a parlarne appena puoi con un bravo avvocato sensibile alle tematiche familiari e in grado di padroneggiare strumenti alternativi come quelli che ti ho indicato e magari altri.
Come si instaura una nuova causa, cioè come si «fa partire» una causa in tribunale?
I due sistemi più diffusi sono quelli della citazione, tuttora prevista per il rito ordinario, quello che si applica quando non sono previsti riti particolari, e quello del ricorso, previsto ad esempio per quasi tutte le pratiche di famiglia, come separazione e divorzio, consensuali e giudiziali.
La differenza risiede per lo più nel momento in cui viene fatta la notifica alle altre parti interessati e cioè di solito alle controparti. Col sistema della citazione, si fa prima la notifica alle altre parti e poi il deposito dell’atto introduttivo presso il tribunale. Viceversa, con il sistema del ricorso si deposita l’atto introduttivo prima in tribunale, dopodiché si fa la notifica alla controparte.
Con questo post, vediamo più in particolare come funziona l’introduzione di un giudizio, o causa, o vertenza giudiziale, con il sistema del ricorso, in modo da stendere una breve guida di riferimento per tutti coloro che promuovono o subiscono, e quindi sono coinvolti in, una iniziativa del genere, con un occhio di riguardo specialmente ai nostri clienti, cui potremo mandare il link a questo post per capire meglio come funzionano le cose che stiamo facendo insieme.
Lo schema tipico che terremo presente, anche se non in via esclusiva, per comodità di esposizione, sarà quello dei procedimenti contenziosi di separazione e divorzio, che sono tra le pratiche che più frequentemente ci capita di trattare in studio. Su questo canovaccio di base si possono innestare variazioni anche significative a seconda della materia e delle circostanze, comunque il meccanismo di base del ricorso rimane più o meno quello descritto di seguito.
Le fasi del ricorso.
Redazione del ricorso.
Con il ricorso, si hanno diverse fasi, che iniziano con la redazione, da parte delle parte che promuove l’iniziativa, di un documento contenente le proprie difese fondamentali, che viene chiamato appunto ricorso. Questa fase consiste più che altro nella raccolta dei documenti fondamentali a riprova delle proprie ragioni, dal momento che il processo civile, a discapito di quanto si dice in contrario, è un processo quasi esclusivamente documentale, dove le prove scritte sono assolutamente fondamentali. Il testo del ricorso consiste infatti solitamente per lo più nella illustrazione dei documenti allegati, documenti che, come è stato plasticamente detto, bisogna «far parlare». Personalmente, tendo a redigere il ricorso sempre insieme al cliente, depositandolo subito dopo, per praticità, all’interno di un appuntamento, appositamente fissato, di due ore. Altri avvocati seguono metodi diversi.
Deposito del ricorso.
Terminata la raccolta dei documenti necessari o opportuni e la redazione del ricorso, bisogna depositarlo presso il tribunale competente. Il deposito oggigiorno avviene per lo più tramite il processo civile telematico, quindi viene fatto dal computer dell’avvocato mediante firma digitale e l’utilizzo di una apposita chiavetta volta a identificarlo, mediante un software che cripta i documenti da depositare, che vengono poi trasmessi tramite posta elettronica certificata alla casella pec del tribunale interessato.
Dopo il deposito (dopo ogni deposito, come vedremo anche dopo), l’avvocato che lo ha eseguito telematicamente deve ricevere le celebri quattro pec: la ricevuta di accettazione, la ricevuta di consegna, la pec con l’esito dei controlli automatici e quella di accettazione della busta. Le prime due pec sono quelle solite tipiche della pec, sono assimilabili alla ricevuta di spedizione e di ricevimento della vecchia raccomandata cartacea: sostanzialmente certificano che hai inviato il deposito e che il tribunale lo ha ricevuto nella sua casella pec. La terza pec viene emessa a seguito di un controllo software, cioè automatizzato, sulla busta tramite cui è stato effettuato il deposito e riguarda la sua integrità informatica. In questa fase già potrebbero esserci stati problemi, che il sistema, nel caso, segnala al mittente in modo che possa provvedere a rifare il deposito. La terza pec arriva indietro quasi subito dopo aver inviato il deposito, insieme alle prime due. La quarta pec, invece, di solito arriva un giorno o due, o qualche giorno, dopo l’invio del deposito, perché richiede un intervento «umano» da parte del cancelliere, che controlla se la busta e il deposito sono a posto e ne determina l’accettazione.
Fase di attesa del provvedimento del giudice.
Se il deposito è a posto ed è stato regolarmente accettato dal cancelliere del tribunale, a questo punto la pratica entra, per l’avvocato e il suo cliente, in una fase di attesa o stand by per gli amanti dell’Inglese.
Bisogna aspettare che il giudice provveda sul ricorso, cosa che di solito avviene tramite fissazione dell’udienza (teniamo presente oggi, come abbiamo accennato, i procedimenti come quelli di separazione e divorzio, mentre non parliamo, ad esempio, di quelli di ingiunzione, volti ad ottenere un decreto ingiuntivo). Ovviamente, il giudice potrebbe anche non fissare l’udienza, potrebbe ad esempio convocare l’avvocato per chiarimenti, richiedere integrazioni di prove; la cancelleria potrebbe richiedere integrazioni del contributo unificato, dal momento che ci sono anche aspetti fiscali del processo che devono essere completi affinchè la pratica vada avanti. Ma si tratta di evenienze rare. Quello che di solito avviene è che il giudice emette un decreto con cui fissa la prima udienza della causa.
Decreto di fissazione della prima udienza.
Quando il giudice emette il decreto di fissazione della prima udienza, di solito questo è comunicato all’avvocato del ricorrente tramite un’altra pec. In questa pec, ovviamente, e nel decreto è indicato il numero di ruolo del procedimento, un numero che lo identifica univocamente e che il difensore annota dove ritiene preferibile.
Nel decreto sono indicati altri dati fondamentali:
la data dell’udienza, dove l’avvocato dovrà comparire e spesso anche il suo cliente personalmente;
il termine e cioè il giorno entro cui deve costituirsi il resistente e cioè l’altra parte del procedimento cui il ricorso verrà in seguito notificato
Ci sono poi altre cose che possono essere contenute nel decreto di fissazione dell’udienza, come ad esempio:
eventuali richieste di documentazione integrativa (di solito, ad esempio, nei procedimenti di separazione e divorzio i giudici richiedono il deposito delle ultime tre dichiarazioni dei redditi);
eventuali richieste ed inviti ulteriori (ad esempio a Bologna mi è capitato che il tribunale invitasse in sede di decreto di fissazione della prima udienza alla mediazione familiare, indicando anche i centri pubblici presso cui svolgerla);
eventuali incarichi ai servizi sociali di redigere una apposita relazione da depositare entro la prima udienza (in modo da «mettersi avanti») – una cosa positiva che però viene fatta abbastanza raramente;
La notifica.
Ad ogni modo, cosa deve fare l’avvocato quando riceve il decreto di fissazione dell’udienza? Oltre ad annotarsi la data della prima udienza e il termine per il resistente per costituirsi, e comunicare entrambi questi dati al suo cliente (oggigiorno, per lo più via posta elettronica), deve provvedere alla notifica.
La notifica consiste nel portare a conoscenza dell’altra parte, anche ancora non sa niente di niente, che esiste un processo contro di lei.
Senza notifica, infatti, cade tutto. Al momento, appunto, l’altra parte del processo non sa nemmeno che esiste un procedimento contro di lui o di lei e può venirne a conoscenza solo tramite notifica.
Cos’è esattamente che viene notificato, cosa riceve l’altra parte?
Una copia del ricorso che si era depositato in tribunale, insieme al decreto del giudice.
Chi riceve la notifica può così vedere che è stato depositato un ricorso contro di lui, può leggerlo, e può vedere cosa ha previsto il giudice e, soprattutto, il termine entro il quale deve anche lui depositare un proprio documento contenente tutte le sue difese (memoria difensiva) in tribunale e il giorno in cui dovrà comparire, o tramite un proprio avvocato, o anche personalmente, in tribunale.
Chi riceve un ricorso, salvo rari casi, deve nominare un proprio avvocato e non può difendersi da solo. Quindi porta tutto quello che ha ricevuto ad un legale, che organizzerà adeguatamente la sua difesa.
Come viene fatta la notifica? Bisogna prendere giù dal sistema telematico del tribunale, collegandosi allo stesso, le copie del ricorso introduttivo e del decreto di fissazione dell’udienza, redigere una relata di notifica, che è l’atto con cui si descrive come viene appunto effettuata la notifica, e aggiungere una attestazione di conformità, che è un documento con il quale l’avvocato attesta che i documenti che vengono notificati (ricorso e decreto di fissazione udienza) sono uguali a quelli che si trovano depositati in tribunale.
La notifica può avvenire tramite il servizio postale, in forma cartacea, oppure tramite pec, sempre per via telematica, a seconda che il destinatario disponga o meno di una casella pec ufficiale, o comunque in dipendenza delle circostanze. Nel caso in cui la notifica avvenga via pec, l’attestazione di conformità non è necessaria nel caso in cui si notifichino files aventi natura di duplicato informatico di quelli che si trovano depositati in tribunale, dal momento che gli stessi sono identici e – vorrei dire – si confondono con gli originali stessi.
Deposito della notifica.
Dopo aver eseguito la notifica, l’avvocato deve aspettare, se i tempi lo consentono, di ricevere gli avvisi relativi di spedizione, ricevimento, comunicazione di avvenuto deposito e così via. Una volta ricevuti tutti gli avvisi del caso, previa scansione degli stessi se la notifica è avvenuta in cartaceo, dovrà effettuare un nuovo deposito, avente ad oggetto appunto la notifica appena eseguita, dal momento che il tribunale dovrà controllare che il ricorso e il decreto siano stati regolarmente notificati alla controparte.
Anche questo deposito deve essere effettuato per via telematica e anche in questo caso l’avvocato, dopo il deposito, riceve le celebri quattro pec.
Effettuato il deposito della notifica, l’avvocato del ricorrente resta in attesa di due cose: la costituzione del resistente e la prima udienza.
Costituzione del resistente e memoria avversaria.
La costituzione del resistente è il deposito, da parte del resistente, cioè la controparte, del documento contenente le proprie difese fondamentali, quello con la famosa «altra campana» rispetto a quanto contenuto nel ricorso iniziale. Ovviamente, il legale del ricorrente, insieme al suo cliente, devono esaminare questo documento, per vedere se e in che parti è fondato o meno o come è possibile, se del caso, contrastarlo. Dopo la costituzione del resistente, non è male per il cliente fissare un appuntamento con il proprio avvocato in cui esaminare la memoria avversaria.
Di solito, l’avvocato del ricorrente viene avvertito dal tribunale via pec in modo automatico del deposito da parte del resistente della sua memoria, ma ciò non è previsto né garantito per legge. Se il resistente deposita la propria memoria e il tribunale non avverte il ricorrente, il ricorrente non può lamentarsi in alcun modo di non aver potuto vedere la memoria del resistente. È onere del ricorrente andare a vedere che cosa ha depositato la propria controparte, in sostanza. Per questo, come abbiamo detto prima, l’avvocato del ricorrente deve segnarsi la data entro cui il resistente deve fare il suo deposito, per andare poi – nel caso il tribunale non gli abbia mandato un avvertimento via pec – a vedere direttamente tramite terminale (sistema polis) se si è costituito o meno. Peraltro, l’accesso tramite polis è quasi sempre necessario per l’avvocato del ricorrente per andare a scaricare i documenti che quasi sicuramente saranno stati allegati alla memoria del resistente.
Una volta avuta la memoria del resistente e i documenti allegati, ed aver esaminato gli stessi insieme al proprio cliente, l’avvocato del ricorrente rimane in attesa della prima udienza, utilizzando eventualmente questo tempo per preparare ulteriori difese e raccogliere documenti sulla base dell’esame della memoria avversaria svolta con il suo cliente.
La prima udienza. Conclusioni.
Il giorno della prima udienza, poi, con entrambe le parti regolarmente costituite a seguito del deposito di un documento con le proprie difese fondamentali, comincia la trattazione della causa davanti al giudice.
Quello che accade in questa sede e successivamente esula dall’argomento del presente post, che riguarda solo il modo in cui un procedimento viene incardinato e quindi la sua fase iniziale, e dipende poi anche dal tipo di procedimento di cui si tratta in concreto, magari ne parleremo in un altro post.
Spero di aver chiarito almeno un poco come funziona l’introduzione delle cause per cui è previsto il sistema del ricorso, in modo che i clienti degli avvocati abbiano chiaro come si svolge questo iter e cosa bisogna fare o meno nelle varie fasi dello stesso.
Se ci fosse qualcosa che non è del tutto chiaro, o se comunque avete osservazioni, lasciatemi pure un commento qui sotto, risponderò volentieri. Grazie per la vostra attenzione.
ho una sorella più vecchia di me sposata da quasi 40 anni con uno schizofrenico che a vOlte diventa anche pericoloso, un fratello anche lui schizofrenico da più di 30 , abita difronte a me, da poco ho saputo che anche l’altra sorella (non ho rapporti con lei da più di 20 anni) sposata da 15, anche lei con qualche problema…è alcolista grave tanto che in questi giorni è stata ricoverata in una comunità di recupero. Bene il marito di questa, quando lei uscirà dalla comunità vuole separarsi e pensa di mandarla a vivere con mio fratello in quanto la casa che per ora usufruisce solo mio fratello è un eredità e tutti noi fratelli abbiamo una quota, il fratello è interdetto e il suo tutore è il sindaco del paese, ora io chiedo se decido di trasferirmi all’estero e non posso più seguire mio fratello vado incontro a qualche grana?
Gli obblighi alimentari che potresti avere nei confronti di tuo fratello ai sensi dell’art. 433 cod. civ. e quelli, più in generale, che ogni persona ha nei confronti degli incapaci non sono tali da impedirti di trasferirti all’estero o altrove.
Si tratterebbe di una limitazione eccessiva della libertà personale di un individuo.
Ovviamente, se hai sempre seguito tu tuo fratello di fatto non puoi interrompere così semplicemente, ma devi trovare una soluzione e cioè un modo con il quale tuo fratello possa continuare ad essere assistito anche dopo che tu non lo farai più, specialmente se il bisogno di assistenza è assoluto.
Ti conviene, se hai questi progetti, iniziare a muoverti sin da subito, interessando gli eventuali familiari che possono essere in grado di farsi carico di questo problema ma soprattutto gli enti pubblici preposti.
Comincia segnalando la situazione e il caso ai servizi sociali.
mia sorella 2013 ha avuto un emorragia cerebrale ed e`finita in coma nel quale sta ancora oggi. Lei dal 2013 sta in un centro di cura. Fino adesso le spese del centro di cura sono state pagate dal nostro papa, che tra breve non potrà più pagare queste spese. e toccherà a me a pagarle, visto che sarò l`unico parente rimasto. Come fratello sarò obbligato a pagare “nella misura dello stretto necessario” – c`e`un massimo che mi possono prendere mensilmente, si sa circa con quale cifre dovrò calcolare?
Come potrei indicare una cifra se non mi dici nemmeno quale è la retta del centro di cura?
Ad ogni modo, le disposizioni del codice civile contengono solo principi di massima, che poi devono essere «attualizzati» nel caso concreto appunto a seconda della situazione esistente.
Il compito di tradurre in indicazioni operative concrete, e quindi nella determinazione di un ammontare mensile, spetta agli operatori giuridici e quindi, in assenza di un organo amministrativo, all’eventuale giudice che si dovesse occupare della questione.
Il giudice naturalmente valuterà nel caso tutta la situazione e quindi anche il tuo reddito, per tradurre l’indicazione del codice civile in una statuizione concreta ed applicabile.
Ti suggerirei però, prima di arrivare a questo, di interpellare gli enti di assistenza preposti per il territorio, perché per malati di questo genere solitamente esistono interventi pubblici in grado di coprire buona parte della retta, se non tutta.
Anche perché il problema è – parlo anche per esperienza di una causa di cui ho avuto occasione di occuparmi al riguardo – che l’unica legittimata a chiedere gli alimenti è la tua stessa sorella che, essendo in coma, potrebbe farlo solo tramite un amministratore di sostegno che le venisse nominato.
Mentre invece la struttura in cui si trova non è legittimata ad alcunché, inoltre è discutibile che possa, anche qualora non venisse corrisposta la retta, dimetterla sic et simpliciter.
Per questi motivi, ti consiglierei di cercare di coinvolgere gli enti interessati, cominciando, in caso tu non sappia bene quali possano essere per il tuo territorio, a sentire dai servizi sociali.