Categorie
diritto

Sinistra brum brum.

Le città a 30 km/h sono l’ennesimo frutto marcio della psicopedagogia e degli insegnamenti della sinistra, basati sulla individuazione dei mali del mondo nell’uomo, nella sua voglia di possedere una casa, i beni essenziali, una macchina e usare tutto ciò di cui dispone in modo normale.

Naturalmente, questa psicopedagogia demenziale e ipocrita non attecchirà mai, perché la società, per quanti idioti possa mai contenere al suo interno, possiede una sua stabilità e impermeabilità inerziali rispetto alle boiate che possono essere volta per volta partorite dalla classe che vorrebbe dirigerla.

Tutti, dunque, continueranno, salvo grazie a Dio alcune eccezioni, a viaggiare alla velocità più opportuna a seconda delle condizioni della strada, del meteo, del veicolo e di tutte le altre circostanze, velocità che in alcuni casi sarà sicuramente superiore ai 30 che si vorrebbero imposti, ma in molti altri sarà anche inferiore, essendo esperienza comune di tutti quella per cui, in determinate situazioni stradali, si debba procedere ancora più lentamente.

Gli unici effetti che produrrà sulla realtà questa demenziale tendenza delle città a 30 km all’ora saranno che i politici di sinistra potranno continuare a vantare una loro presupposta superiorità etica e morale, esattamente come i vegani, in realtà totalmente inesistente e che ci saranno molte persone che prenderanno più multe, perché «la legge é legge», come si diceva già ai tempi di Hitler.

Per certo, tra quelli che prenderanno una multa di 150€ perché andavano ai 42 sui viali a Bologna ci saranno anche degli stagisti o delle partite iva che, grazie alla totale assenza di politiche di tutela del lavoro da parte della sinistra che avrebbe invece dovuto proteggerli, ricavano mensilmente uno stipendio di 7/800€.

Ma gli amministratori e la polizia municipale da loro sguinzagliata non desisteranno e diranno che sono tutte persone che hanno commesso «infrazioni», che non hanno a cuore la sicurezza stradale e quindi dei pericoli pubblici, quando invece l’unica cosa di cui sono responsabili é appunto il desiderio di avere un’auto e usarla per lo più per accedere e recedere dal lavoro.

Non ci sarà pietà per loro, perché la pietà dei sindaci di sinistra é oggi riservata solo agli omosessuali che si sono fatti fabbricare un bambino all’estero e poi lo hanno costretto in una famiglia
omogenitoriale, facendogli perdere per sempre la figura del padre o della madre.

Per loro la legge si infrange spesso e volentieri, e a favore di telecamera e di social, mentre per il pensionato a 800€ al mese dopo quarant’anni di lavoro che andava ai 35 con la Panda mi dispiace ma non può che applicarsi.

Nel nome del bene superiore, che solo chi dirige la sinistra in Italia può conoscere, i soldi di quelle infrazioni verranno poi versati ai comuni in modo che possano pagare un contributo affitto all’ultimo clandestino sbarcato a Lampedusa, in modo che possa fare concorrenza sul mercato del lavoro a chi risiede stabilmente e regolarmente in Italia.

A fine anno, gli amministratori presenteranno delle statistiche in cui dimostreranno che il numero di incidenti é diminuito del 5,03%, in realtà dovute a fattori completamenti diversi, tra cui il fatto che molti saranno costretti a rinunciare all’automobile, ma non importa.

Chi vota sinistra avvelena anche te: digli di smettere.

Rock n’ roll.

Categorie
diritto

10 cose sull’insinuazione allo stato passivo.

1) La devi fare quando hai un credito nei confronti di una società o altra impresa commerciale che é stata dichiarata fallita.

2) Sei tu che devi attivarti per chiedere che il fallimento paghi il tuo credito, se non lo fai nessuno te lo pagherà, anche se risulta dai libri contabili: é lasciato alla tua iniziativa.

3) L’istanza di insinuazione deve essere fatta categoricamente entro un certo termine, che di solito é 30 giorni prima quello fissato per l’udienza di verificazione dello stato passivo.

4) Di solito, impari che la società da cui devi avere dei soldi é fallita da una lettera che ti manda il curatore, che ha trovato il tuo credito nei libri contabili.

5) La lettera del curatore contiene tutte le indicazioni per presentare la tua istanza di ammissione.

6) Appena ricevi la lettera o hai in qualsiasi altro modo notizia certa del fallimento della società che deve pagarti é bene che tu prenda un appuntamento con il tuo avvocato di fiducia per mostrargli la documentazione e chiedergli di occuparsi dell’istanza.

7) Può anche darsi che non convenga procedere con la formazione e l’invio dell’istanza: questo é un aspetto fondamentale che potrai valutare insieme al tuo avvocato nel primo incontro e prima di procedere oltre.

8) Alcune persone hanno un privilegio, cioè il diritto di essere pagati coi soldi presenti o ricavabili nel fallimento prima di tutti gli altri, anche a discapito degli stessi altri.

9) L’esempio più conosciuto di persone con privilegio é quello dei lavoratori dipendenti per retribuzione, TFR, interessi e tutte le altre voci connesse al rapporto di lavoro.

10) L’esistenza del privilegio deve essere dichiarata nell’istanza, altrimenti si viene ammessi in via chirografaria, cioè senza privilegio, e si rischia di non prendere quasi niente.

(1) Condividi ora questo contenuto, se pensi che possa essere utile ad altri (2) Iscriviti subito al blog, al podcast, al canale youtube e tiktok e all’account instagram degli avvocati dal volto umano per ricevere altri contenuti gratuiti come questo (3) Se ti serve assistenza legale professionale, chiama ora il n. 059 761926 e prenota il tuo appuntamento.

Categorie
diritto

Recuperare un credito da una srl: è possibile?

Ho affittato un ufficio ad una società Srl che ha pagato sempre in ritardo e dopo regolare disdetta di locazione è andata via, lasciando: due mensilità ancora da pagare, un danno pare a 5000,00 euro ed ancora la propria merce/attrezzatura nel locale.
L’avvocato alla quale mi sono rivolta, ha già inviato due lettere di reclamo e di intimidazione a pagare ma mi ha detto che con quest tipologia di società Srl purtroppo non si può agire sug crediti delle persone fisiche che ne hanno fatto parte e che può succedere che chiudono la p.Iva e tolgono la società dall’ufficio di registro, in modo che non si possa più intervenire ed io perdo i soldi.
Ma è possibile? Non si può intervenire sul capitale sociale?

È possibilissimo, come spiego meglio nella mia scheda sul recupero crediti, che ti invito a leggere attentamente, dove richiamo il fondamentale concetto della solvenza, cioè della capacità di un debitore di pagare effettivamente i suoi debiti o di poter essere sottoposto, in modo efficace, ad un pignoramento.

Per quanto riguarda il capitale sociale, esso, nonostante tutte le disposizioni a riguardo, non garantisce quasi mai niente. Intanto bisogna vedere se è stato interamente versato, poi considera che comunque è posta a garanzia e soddisfacimento di tutti i creditori, se la società ha altre esposizioni concorrenti facilmente potrebbe non essercene affatto per tutti.

Di solito, quando si concedono immobili in locazione a società a responsabilità limitata o comunque di capitali, dotate cioè di personalità giuridica, si chiede ai soci più importanti di garantire con i propri beni personali, prestando una fideiussione – è sufficiente una firma anche «in proprio» dell’amministratore. Oppure si richiede una fideiussione bancaria. Ovvero ancora si richiede una polizza di tutela legale della locazione, di cui ho parlato in altri post che ti invito a consultare.

Se non hai preso questi accorgimenti a suo tempo, ora non c’è molto margine di manovra.

Si può vedere se si tratta di una srl unipersonale o se ricorre una delle ipotesi in cui c’è la responsabilità anche personale degli amministratori, però mi pare, andando a naso, che il tuo credito non sia tale da giustificare un lavoro e un approfondimento di questo genere, valuta bene il rapporto costi e benefici prima di investire altri soldi in un recupero come questo che potrebbe essere difficile se non impossibile.

Se vuoi un preventivo da parte nostra per l’assistenza nel caso, puoi chiedercelo compilando il modulo nel menu principale del blog. Ti raccomando, con l’occasione, di iscriverti alla newsletter del blog, o, se non ti piace la mail, al gruppo Telegram, in modo da non perderti importanti e utili aggiornamenti quotidiani.

Categorie
diritto

Amministratore di società fallita: che fare?

Nel 2009 in qualità di socio amministratore di una srl, abbiamo portato i libri in tribunale chiedendo un fallimento in propio.
A distanza di un paio d’anni il fallimento è stato chiuso. Volevo sapere se è possibile ottenere la cancellazione del mio nominativo come fallito, quali procedure devono essere fatte e sopratutto anche i tempi.

Innanzitutto, conviene valutare se sussistono i presupposti per richiedere l’esdebitazione, di cui parlo più approfonditamente in questo precedente post che ti invito a leggere con attenzione.

Se non ci fossero i presupposti, si può tentare, verificandone anche qui la fattibilità, la richiesta di cancellazione dall’iscrizione nel registro dei falliti, per la qual cosa ti rimando a quest’altro post.

Peraltro, il tuo nominativo non dovrebbe essere indicato esattamente come fallito, ma semplicemente come amministratore di una società che è stata dichiarata fallita, una cosa diversa che va trattata in modo apposito.

Ti consiglio di acquistare una consulenza nel corso della quale il tuo caso possa essere approfondito e valutato alla luce delle varie opzioni disponibili.

Ti raccomando, con l’occasione, di iscriverti alla newsletter del blog, o, se non ti piace la mail, al gruppo Telegram, in modo da non perderti importanti e utili aggiornamenti quotidiani.

Categorie
diritto

Si può fare il GDPR col culo degli altri? Sì e solo da noi!

A proposito del famoso e famigerato decreto GDPR. Io ho una ditta individuale, sono soltanto io, i dati che ho di terze persone sono quelli dei clienti a cui faccio fattura. Il mio commercialista mi ha praticamente passato la patata bollente dandomi un elenco di studi a cui rivolgermi. In questo periodo non ho soldi da spendere e non intendo spenderne. Esiste un modo per disporre autonomamente l’informativa da mandare ai miei clienti?!

Quando due si sposano, o quando un’azienda vuole fare un regalo di Natale ai suoi dipendenti o collaboratori, a volte si opta per eseguire una donazione a favore di una associazione o organizzazione non profit, consegnando nelle mani del destinatario del pensiero una dichiarazione scritta su un bigliettino o una lettera con una formula che più o meno recita così «Volendo farti un regalo, ho pensato che anche tu saresti stato più contento se, al post di ricevere una bomboniera di merda, ti avessi fatto sapere che i soldi per acquistare quella bomboniera sono stati devoluti alla lega per la tutela dei gatti senza una gamba».

È una prassi che, onestamente, mi ha sempre lasciato un po’ perplesso, per quanto sia sicuramente lodevole prendersi cura dei gatti senza una gamba e delle altre miliardi di cause meritevoli che esistono al mondo.

Infatti, con grande saggezza, di solito, di chi si comporta così, si suole dire, utilizzando un’espressione gravemente omofoba che riporto solo per completezza espositiva, che «vuol fare il finocchio col culo degli altri».

In effetti, la solidarietà e la beneficienza devono essere spontanee.

Decido io, innanzitutto, a chi voglio e se voglio fare un regalo, di qualsiasi genere, non lo decidi tu, specialmente se parti per fare un regalo a me.

In secondo luogo, a me potrebbe non stare a cuore, o anche starmi profondamente sul cazzo, la causa verso cui tu hai conferito il mio regalo, cosa che renderebbe la situazione ancora più spiacevole.

Temo che molte persone non protestino semplicemente per buona educazione e perché magari a cavallo donato non si guarda in bocca, anche se per la verità di donato in situazioni del genere spesso non c’è davvero un cazzo, se non un sentimento poco piacevole di essere stati vagamente presi per il culo senza neanche la possibilità di replicare perché poi «pare brutto».

Perché questa lunga digressione su un tema che non sembra poi così tanto attinente?

Ma perché forse anche tu potresti procedere in un modo simile per fare le tue informative.

Prendi un foglio di carta e ci scrivi sopra una cosa come la seguente:

«Caro cliente, in questo documento avrei voluto e forse anche dovuto mettere la informativa sul trattamento dei tuoi dati personali imposta dalla legislazione europea e nazionale.Tuttavia non mi sono potuto permettere un avvocato o un altro consulente che mi fornisse la necessaria assistenza tecnica e, anche se me li fossi potuti permettere, non li avrei comunque incaricati perché secondo me queste cose sono delle stronzate [spero qui di aver interpretato bene il tuo pensiero, credo di non sbagliarmi!]. Preferisco utilizzare i soldi che guadagno dalla mia attività per reinvestire nell’azienda e fornirti servizi sempre migliori / andare in vacanza con la mia famiglia / andare al centro massaggi dalle cinesi [se io fossi un tuo cliente mi piacerebbe che tu mettessi quest’ultima alternativa]».

E voilà, ecco fatto il GDPR col culo degli altri!

Ma non ringraziarmi.

Categorie
diritto

Recesso immotivato dei clienti: come tutelarsi?

Siamo una società di produzioni cinematografiche e organizziamo anche corsi di un paio di giorni con personaggi dello spettacolo.
Ora capita che alcuni dei partecipanti a questi corsi firmino, versando una quota minima, un contratto di adesione al corso e poi, con varie scuse, cambino idea con due righe per mail o non si presentino il giorno dell’inizio del corso e del saldo.
E’ possibile in questi casi ottenere ugualmente per vie legali il saldo e in questo caso può essere previsto un intervento legale a percentuale?

La prima cosa da fare, in situazioni del genere, è sistemare il modello di contratto o il contratto «tipo» che fate firmare al momento della raccolta dell’adesione, in modo da regolamentare in modo specifico questo aspetto del «recesso» e da munire l’eventuale violazione delle clausole relative di adeguate tutele.

Ad esempio, se opportuno, potrebbero essere previste clausole di tutela come le clausole penali.

Più in generale, va rivista anche la politica della negoziazione e della trattativa con il pubblico dei clienti. Ad esempio, quale percentuale è più idonea da raccogliere come anticipo e, soprattutto, tramite quali mezzi di pagamento? Raccogliendola, ad esempio, tramite carta di credito, si sarebbe sicuramente più tutelati in caso di recesso illegittimo.

Per quanto riguarda eventuali azioni di recupero, la prima cosa da dire è che, come probabilmente risulta già chiaro, è evidente che bisogna cercare in ogni modo di ridurle al minimo, prevenendo l’insorgere di situazioni di questo tipo con strumenti di tutela «a monte» come quelli sopra indicati.

Nei casi in cui dovessero comunque verificarsi ipotesi del genere, la tariffazione a percentuale si può valutare, anche se non credo che si tratti di importi che possano offrire molto margine a riguardo. È una cosa ad ogni modo da valutare in concreto, in relazione al lavoro presumibilmente necessario e a quello che effettivamente si andrebbe a recuperare nel suo importo più o meno preciso.

Ti consiglierei, per prima cosa, di chiedere un preventivo, compilando il modulo apposito nel menu principale del blog, per la redazione di un buon modello contrattuale, adeguatamente tutelante, per tutti i rapporti con i vostri clienti.

Categorie
diritto

Preliminare non registrato: può essere annullato?

Ho sottoscritto un preliminare di vendita per un immobile commerciale, senza registrare lo scritto, ala buona, conoscendo i proprietari. La vendita dovrebbe avvenire a fine anno, dopo la sistemazione di alcune servitù. Ora sto già occupando l’immobile con contratto di locazione. A breve, la società che ora possiede l’immobile verrà acquisita da una holding straniera. Potrei rischiare di veder annullato il preliminare se il nuovo proprietario non ne approvasse le condizioni? E’ meglio registrare il compromesso per essere certi di riuscire ad acquistare?

La registrazione del preliminare, introdotta da una riforma legislativa di non molto tempo fa, serve per lo più ad evitare che lo stesso venditore alieni, ceda o venda lo stesso immobile a più persone contemporaneamente, realizzando quella che, di fatto, è una truffa, frequente nel settore immobiliare.

In questi casi, infatti, il venditore promette in vendita lo stesso immobile, poniamo, ad una dozzina di persone o società, facendosi dare da ognuna una caparra o un anticipo, solo che, ovviamente, uno solo di essi potrà poi acquistare definitivamente l’immobile.

Se il compromesso viene stipulato per scrittura privata, infatti, nessuno di coloro cui lo stesso immobile viene promesso, successivamente al primo soggetto, ha modo di sapere che il medesimo immobile è già stato promesso in vendita.

Facendo, invece, la registrazione nei registri immobiliari della conservatoria, tra i vari promissari acquirenti dello stesso immobile, prevale chi ha effettuato la registrazione. L’immobile, in effetti, rimane vincolato ufficialmente a costui, tant’è vero che chi agisce sul mercato per quell’immobile ha l’onere di consultare eventuali vincoli esistenti in conservatoria, con la conseguenza che se, nonostante la registrazione, conclude ugualmente il preliminare di compravendita, non può poi avere alcuna pretesa sull’immobile – salvo ovviamente il diritto al risarcimento del danno nei confronti del truffatore – dal momento che è stata una sua mancanza non verificare la situazione del bene.

Tutto questo per dirti che la registrazione del preliminare non conferisce più o meno validità al preliminare stesso. Il contratto conserva la forza che aveva originariamente, la differenza sta solo nell’opponibilità a terzi.

Direi, pertanto, che la registrazione non sia uno strumento che ti possa essere utile. Se questa nuova proprietà è interessata a sciogliere il preliminare, farà leva su altri aspetti, relativi al contenuto del contratto stesso e al suo adempimento o meno.

Se pensi che questa possa essere la situazione, ti consiglio di farti seguire sin da subito da un avvocato. Se vuoi un preventivo da parte del nostro studio, puoi chiederlo compilando il modulo apposito nel menu principale del blog.

PS: il termine «registrazione» è utilizzato qui impropriamente, in realtà si intende la «trascrizione» del contratto preliminare. Grazie a Francesco per avermelo fatto notare, meglio precisarlo 😉

Categorie
diritto

Cancellazione dall’elenco falliti: un esempio

Oggi ti voglio riportare un provvedimento di cancellazione dell’iscrizione di una persona nel registro dei falliti che abbiamo ottenuto recentemente dal tribunale di Potenza.

Riceviamo spesso richieste di cancellazione di queste iscrizioni e richieste di chiarimenti riguardo alle stesse, così ho pensato che potesse esserti utile vedere un esempio di provvedimento a riguardo.

In questo caso, il procedimento è durato circa sei mesi, ma ti ricordo che i tempi sono variabili a seconda della sede del tribunale competente, che è determinato per legge e non si può scegliere a proprio piacimento.

Se tu o un tuo familiare o una persona che conosci avete bisogno di una pratica come questa, potete valutare il prodotto relativo, descritto in questa scheda del nostro store legale.

La pratica relativa è poi meglio descritta in questa pagina.

«TRIBUNALE DI POTENZA

Il Giudice dell’Esecuzione dott.ssa Flavia Del Grosso,

letta la richiesta presentata nell’interesse di xxx, depositata in data 22.1.2018, volta ad ottenere l’ordine di cancellare dal sistema informativo del casellario l’iscrizione della sentenza pronunciata dal Tribunale di Melfi in data xxx n. xxx, che aveva dichiarato il fallimento della xxx e, conseguentemente, dell’istante quale socio illimitatamente responsabile;

letti gli atti, osserva quanto segue:

Va in primo luogo premessa l’illegittimita? sopravvenuta dell’iscrizione nel casellario giudiziale della sentenza dichiarativa di fallimento (per effetto della pronuncia della Corte Costituzionale n. 39/2008 e del D.P.R. n. 313/02 come modificato dal D. lgs n. 169/07), e va altresi? ribadito che la competenza sulle questioni concernenti le iscrizioni e i certificati del casellario giudiziale spetta Tribunale del luogo ove ha sede l’ufficio nel cui ambito territoriale e? nato l’interessato (v. art. 40 D.P.R. cit., sostanzialmente richiamante l’abrogato art. 689 c.p.p.).

Ritenuto che l’attribuzione all’autorita? giudiziaria della competenza a decidere sulle controversie in materia di iscrizione comporti altresi? il potere di ordinare l’eliminazione delle annotazioni che non possono essere iscritte o che vanno eliminate, va poi detto che nel caso in esame, relativo all’iscrizione di sentenza dichiarativa di un fallimento ormai chiuso, va senz’altro ordinata l’eliminazione di detta iscrizione (v. in tal senso, Cass. Pen. Sez. I, Sent. n. 8317 del 16.12.09).

Ed invero, ripercorrendo le successive modifiche apportate nel tempo alla specifica materia, occorre partire dal testo previgente della legge fallimentare, che faceva derivare automaticamente dalla dichiarazione di fallimento e dalla conseguente iscrizione nel pubblico registro dei falliti la perdita dei diritti civili del fallito fino alla definitivita? della sentenza di riabilitazione civile e alla pronuncia giudiziale di cancellazione dell’iscrizione nel registro. Mai essendo stato istituito il Pubblico registro dei falliti, la predetta pubblicita? era realizzata dall’iscrizione nell’Albo dei falliti e dall’iscrizione della sentenza nel casellario giudiziale.

Il D. lgs n. 5/2006, nel tracciare una riforma organica del fallimento, ha novellato anche in relazione a tali aspetti specifici, sopprimendo l’albo dei falliti, e sostituendo l’istituto della riabilitazione civile del fallito con quello dell’esdebitazione, con immediati riflessi anche sul regime delle iscrizioni nel casellario giudiziale. In particolare, la vecchia normativa (che prevedeva l’iscrizione per estratto dei provvedimenti giudiziari che dichiarano il fallimento; di quelli di omologazione del concordato fallimentare, di chiusura del fallimento e di riabilitazione del fallito) doveva ritenersi implicitamente abrogata per la parte che menzionava riscrizione della riabilitazione.

La disciplina transitoria prevedeva tuttavia che i ricorsi per dichiarazione di fallimento e le domande di concordato fallimentare depositate prima dell’entrata in vigore del decreto, nonche? le procedure di fallimento e concordato fallimentare pendenti alla stessa data, andassero definiti secondo la legge anteriore.

Si rendeva pertanto necessario l’intervento correttivo del Digs 169/07, che abrogava, tra l’altro, le norme del D.P.R. 313/02 riferite all’iscrizione nel casellario della sentenza di fallimento, in particolare quelle che disciplinavano l’iscrizione dei provvedimenti giudiziari inerenti alla dichiarazione di fallimento; l’eliminazione dell’iscrizione della sentenza dichiarativa di fallimento solo in caso di revoca definitiva dello stesso; la non inseribilita? nei certificati della sentenza dichiarativa di fallimento in caso di riabilitazione; la non iscrizione nel certificato penale richiesto dall’interessato (e dalle pubbliche amministrazioni) delle sentenze di fallimento.

Il D. lgs n. 169/07 precisava poi che per le procedure concorsuali aperte dal 16.01.06, il richiamo, contenuto nel D.P.R. n. 313/02 alla riabilitazione doveva intendersi riferito alla chiusura del fallimento, e che le nuove disposizioni si applicavano ai procedimenti per dichiarazione di fallimento pendenti ovvero aperti successivamente.

La C. Cost, con la sentenza n. 39/2008, ha dichiarato poi l’illegittimita? costituzionale dell’art. 50, R.D. 267/42 (che istituiva il pubblico registro dei falliti collegando la permanenza delle incapacita? connesse allo status di fallito alla predetta iscrizione) e dell’art. 142 (che subordinava la cancellazione dell’iscrizione de qua e la cessazione delle incapacita? solo alla definitivita? della sentenza di riabilitazione) evidenziando il contrasto con l’art. 3 Cost, della previsione che determinati effetti sanzionatori del fallimento permanessero anche “dopo la chiusura del fallimento (…’’senza correlarsi alla protezione di interessi meritevoli di tutela”).

Successivamente, anche il problema concernente l’asserita impossibilita? di cancellare dal Casellario giudiziale l’iscrizione di pregresse sentenze dichiarative di fallimento se non in caso di revoca, veniva portato all’attenzione della Corte costituzionale, che rilevava tuttavia la possibilita? di un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme, alla luce delle modifiche legislative via via intervenute.

Ed in effetti, valutando organicamente la nuova disciplina, puo? considerarsi pacifico da un lato che le sentenze dichiarative di fallimento non debbano piu? essere iscritte nel casellario giudiziale (essendo la pubblicita? in ogni caso assicurata dall’iscrizione nel registro delle imprese), e dall’altro che a carico del fallito non possano piu? conseguire effetti personali che si protraggano anche dopo la chiusura del fallimento.

Si osserva peraltro che l’abrogazione della riabilitazione civile priva di fatto il fallito della possibilita? di conseguire un’attestazione di comportamenti idonei a bilanciare l’annotazione del fallimento. In conclusione, il permanere, per i fallimenti pregressi e dopo la loro chiusura, di un’iscrizione pregiudizievole (ancorche? priva di effetto) ma non eliminabile, appare ingiustificato e inutilmente discriminatorio.

Trasferendo queste considerazioni sul piano concreto, si osserva che ristante e? nato a Melfi, ma che il Tribunale dello stesso Comune e? stato soppresso, per cui la competenza a decidere sull’istanza appartiene al Tribunale di Potenza.

Si rileva, inoltre, che in data 14.3.2001 il suddetto Tribunale di Melfi omologava con sentenza n. xxx il concordato fallimentare a chiusura della procedura in oggetto (cff certificato della cancelleria della sez. fallimentare del Tribunale di Potenza in atti).
Per tutto quanto sopra esposto, dunque, la domanda puo? trovare accoglimento, dovendosi pertanto ordinare l’eliminazione dal Casellario giudiziale della iscrizione della sentenza di fallimento del ricorrente xxx.

PQM

dispone che dal certificato del casellario giudiziale relativo a xxx, nato a Melfi il xxx, sia cancellata l’iscrizione relativa alla sentenza pronunciata dal Tribunale di Melfi in data xxx n. xxx che aveva dichiarato il fallimento del xxx quale socio

illimitatamente responsabile della xxx. Si comunichi a cura della Cancelleria.

Potenza, 13.2.2018

Categorie
diritto

Socio di sas uscito: risponde per i debiti?

mio padre è socio accomandatario di una sas al 50%; l’altro socio a fine anno è andato in pensione.
per la sua uscita non ha chiesto nulla in quanto il suo è stato un subentro e non ha versato nessun capitale sociale;la società è ancora attiva e volevo chiederLe se per quanto riguarda i debiti accumulati dalla società nei confronti del fisco spetta solo a mio padre doverli pagare o anche al socio uscente, in quanto essendo una sas ne rispondono entrambi? I debiti del fisco riguardano gli anni in cui lui ancora lavorava.
Secondo Lei cosa dovrebbe fare mio padre?

Purtroppo è impossibile dare una risposta davvero utile in una situazione del genere senza aver potuto visionare l’atto di recesso o mutuo consenso con il quale il socio è uscito, insieme alla documentazione sociale, tra cui lo statuto e l’atto costitutivo.

In generale si può solo ricordare che i soci accomandatari rispondono delle obbligazioni sociali sorte sino al momento della loro uscita ai sensi dell’art. 2290 cod. civ. secondo cui appunto nei casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente ad un socio, il socio, ed i suoi eredi, sono responsabili delle obbligazioni sociali maturate sino al giorno dell’uscita del socio stesso.

Considerata l’importanza dei valori e degli aspetti che ci sono in ballo, ti consiglierei di rivolgerti ad un bravo avvocato innanzitutto per una consulenza volta a chiarire meglio la situazione, esaminando più in dettaglio la situazione anche alla luce della documentazione esistente, ma in seguito probabilmente anche per compiere quelle attività necessarie per la tutela di tuo padre.

Categorie
diritto

Fallimento risultante dopo recesso da amministratore: che fare?

Ho un problema con la banca che non mi vuole aprire più un conto corrente perché mi risulta un fallimento un una azienda in cui io non ero unico amministratore e in cui avevo il 25% delle quote, la società è stata messa in liquidazione perché è stato fatto un decreto ingiuntivo d parte di un fornitore che vantava un credito, premesso che io non ero più amministratore da diversi anni e che mi ero dimesso mandando come previsto dallo statuto una comunicazione (raccomanda) alla sede legale alla camera di commercio allo studio che gestiva la contabilità e alla sede operativa. Questa non è stata presa in carico per alcuni motivi, poi la stessa cosa è stata fatta in un secondo momento presso un’altra camera di commercio dove l’amministratore in carica e di fatto aveva spostato la sede legale, fatto sta che io risulto ancora in carica e mi risulta un fallimento con un procedimento in corso con problemi sulla mia attività imprenditoriale. Come posso fare? mi può essere di aiuto?

Ci possiamo sicuramente guardare, approfondendo la situazione in diritto e soprattutto in fatto, ovviamente senza alcuna garanzia, purtroppo, di riuscire ad ottenere un risultato perché dipende proprio da quello che troveremo mentre ricostruiamo quello che è successo.

Tu dici che la prima raccomandata di dimissioni o recesso non è stata presa in carico per «alcuni motivi», senza però dire di quali motivi si tratterebbe, quando invece è proprio questo l’aspetto che si dovrebbe iniziare ad approfondire.

Può darsi che tu risulti ancora in carica per motivi corretti, oppure che questa risultanza sia un errore dovuto alla mancata annotazione del tuo recesso esercitato correttamente.

Per cui la prima cosa da fare è esaminare la documentazione del caso, in modo completo, e vedere che cosa se ne può inferire.

Se credi, valuta l’acquisto di una consulenza per fare questo lavoro, da noi o da un altro avvocato di tua fiducia.