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Da molti anni, non mi chiedo più se una perso…

Da molti anni, non mi chiedo più se una persona sia nevrotica o meno, ma quali nevrosi abbia.

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Separazioni e divorzi? Opera di Satana.

Il 27 dicembre 2016 scrivevo questo post su facebook, che diventava il più cliccato e il più condiviso di sempre. Lo ripropongo anche qui nel blog. Non è un post metaforico, credo in ogni singola lettera di quello che ho scritto.

Come avvocato divorzista, la domanda che le persone mi fanno più spesso e volentieri é «Come mai ci sono così tante separazioni, divorzi e famiglie che si sfasciano?»

Quando, però, rispondo che è colpa del diavolo, ognuno di coloro che mi hanno rivolto questa domanda se ne pente e subito desidererebbe non averla mai formulata.

Quando, poi, ulteriormente glielo dimostro in concreto e puntualmente, se ne pente ancora di più.

Che poi non è nemmeno del tutto vero.

Il diavolo è sempre esistito e se ne è sempre andato per il mondo e per le anime a raccontare le sue fesserie. Il punto è che oggigiorno, epoca della distrazione e della profonda convinzione dell’opportunità di seguire il proprio cuore, anche a costo di mettere il cervello nel cesso, nessuno ha più capacità di discernimento.

Anzi, pochi sanno addirittura cosa significhi la stessa parola discernimento.

Non è un’offesa, significa capacità di scelta, di cernita, di distinzione tra ciò che è buono e ciò che non lo è. Richiede consapevolezza, che a sua volta richiede di non essere distratti…

Torniamo al diavolo. A me non fa paura, a voi nemmeno, ma per motivi profondamente diversi e rilevanti.

Io non mi illudo che non esista (una delle sue bugie preferite, se non la preferita in assoluto), ho imparato a conoscerlo e, lavorando su me stesso, ho capito come mandarlo regolarmente affanculo, salvo momenti di debolezza che spero non arrivino mai o il meno possibile (già la consapevolezza che potrebbero esserci mi salva, tuttavia).

A voi invece non fa paura perché pensate che non esista, che sia una roba medioevale o cattoretrograda, buona al massimo per far rigare diritto i bambini, surclassato peraltro in quello da altre e più laiche figure, come l’uomo nero.

Ed è così che perdete il senso della necessità di lavorare su voi stessi per superare lo sconforto, la debolezza, i momenti di crisi, per riuscire a chiuderli e non farli invece precipitare sempre di più.

Ma torniamo di nuovo a lui, il diavolo. Partiamo dall’etimologia, dal greco dia ballein: dividere, separare, seminare zizzania, calunniare. Il nome “diavolo” significa letteralmente “colui che divide”. É azzeccatissimo. Infatti il suo lavoro e il suo godimento, la ragione stessa della sua esistenza, la sua essenza, é proprio quello, dividere, far litigare, allontanare le persone: i genitori dai figli, i genitori tra loro, i fratelli, l’uomo da Dio.

Come avvocato, vi posso dire che il diavolo oggigiorno il suo lavoro lo svolge con un ritorno di investimento incredibile, come mai ha avuto prima.

Forse proprio questo è il tratto caratteristico della nostra epoca: la divisione, l’isolamento e la profonda infelicità e insoddisfazione che ne derivano.

Va considerato che le guerre ad esempio per il diavolo ormai sono sicuramente noiose. Si vabbeh gli piace far crepare la gente e i bambini sotto le bombe, é bellissimo, ma poi finisce tutto subito… Vuoi mettere invece spaccare una famiglia e condannare tutti i membri a portare nel cuore dolore per tutto il resto della loro vita, fiaccarli come uomini e tenerli sotto il suo giogo per sempre? Uno che crepa smette di soffrire subito, lui vuole invece gente che soffre tutti i giorni, per tutta la vita.

É anche per questo che finiamo per fare campagne contro la guerra o preferiamo attardarci al lavoro per condividere foto di cani o gatti da adottare quando a casa c’è un uomo, una donna o un bambino che avrebbe bisogno di parlare con noi, di giocare o anche solo di una carezza.

O che tutti vogliono cambiare il mondo, ma nessuno aiutare la mamma a lavare i piatti.

O che sviluppiamo ragionamenti perfetti che però di fatto servono solo a tenere le nostre vite, e quelle di chi ci è vicino, immerse nel nulla.

O che non capiamo che il nostro valore è unicamente nell’amore e nell’affetto che siamo in grado di dare.

Ma torniamo per la terza volta a lui. Come opera il diavolo?

Prendiamo, per capirlo, un altro dei suoi nomi (sempre alla faccia di quelli che dicono che l’etimologia non serva a un cazzo). Lui è Lucifero, ha la luce. Il diavolo ha la luce e la usa. Prende una bugia e la riempie di luce così che sembra vera, sembra talmente vera che solo un occhio attento è capace di vedere la differenza (discernere). Purtroppo, l’uomo moderno é generalmente senza alcuna difesa.

Un esempio dalle cronache di questi giorni: quel papà, nella notte di Natale, che ha creduto alla bugia per cui la più brillante soluzione per il fatto che la sua compagna, madre di sua figlia, volesse lasciarlo fosse ammazzarla.

Fate bene attenzione: questi uomini e queste donne che uccidono il partner non sono Orchi. Sono persone normali. Sono persone normalissime. Io ne vedo tutti i giorni persone che vorrebbero uccidere il partner. Vi dò una informazione: tutti quelli che attraversano una crisi familiare provano il desiderio di ammazzare l’altro. É umano. Io sono così bello e buono e laltro non mi vuole più, ma come osa? La differenza la fa la capacità di avere consapevolezza e fermarsi prima. Perché ci sono sempre più omicidi per questi motivi? Perché questa capacità non c’è più.

Chi ha ammazzato quella mamma, che era madre anche di un’altra bambina, ha reso orfane due bambine, si è condannato a finire il resto della sua vita in carcere e ha condannato sua figlia a non vederlo più e ad essere data, se va bene, ai nonni o ad un’altra famiglia. L’ha destinata a vivere una tragedia, un problema senza una possibile soluzione, un dolore che dura per sempre.

E tutto questo la notte di Natale, quando la bambina aspettava i regali sotto l’albero.

Il diavolo è un figlio di puttana, noi siamo diventati dei coglioni.

(la eventuale condivisione é sempre gradita)

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La sofferenza va anzitutto accolta e ascoltata.

Oggigiorno, chi affronta una situazione di dolore e sofferenza e si rivolge a qualcun altro essere umano per ricavarne conforto e lenimento, incoccia quasi sempre, e non solo quando interpella un amico, ma anche quello che dovrebbe essere un professionista della cura, in un fanatico del pensiero positivo.

Sì é verissimo, il pensare positivo fa bene e risolve un sacco di problemi, ma ci sono momenti nella vita di tutti noi in cui questo non è semplicemente possibile. Può essere un traguardo, un obiettivo di lungo termine della relazione di cura, ma nell’immediato non si può proporre come soluzione.

Se uno va al pronto soccorso con una gamba fratturata, non gli si può proporre come cura quella di andarsi a fare una bella passeggiata, anche se notoriamente camminare fa benissimo…

Proporre il pensiero positivo a chi in quel momento ne é evidentemente incapace significa non solo omettere di aiutarlo e curarlo, quando magari se ne avrebbe il dovere, ma addirittura aggravarlo, facendolo sentire ancora più inadeguato, inadatto, sfortunato e, persino, giudicato.

Il primo intervento é sempre e solo l’ascolto e l’atteggiamento della compassione, nel suo significato etimologico cum patior, stare insieme senza fare niente condividendo, per quanto possibile, la situazione di sofferenza e dolore.

La modalità dell’essere, in contrapposizione a quella oggi tanto di moda quanto disfunzionale del «fare» qualcosa a tutti i costi – pena sentirsi un inetto e un incapace che «non cura i propri problemi», é l’unica che funziona e che mette in moto i meccanismi di autoguarigione e lenimento dell’animo umano.

La sofferenza va accettata, accolta e persino esplorata, senza la minima pretesa di fare alcunché, tutte le ferite vanno rimesse a Dio e all’universo e, soprattutto, nessuna goccia di dolore va mai sprecata, ma bevuta fino in fondo per poter andare presto oltre e più in alto.

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Situazioni senza soluzione: come accettarle.

A volte, in molte situazioni della vita, l’unica vera soluzione è accettare che non ce ne sia affatto una.

Come quando in una relazione soffri, ma soffriresti ugualmente fuori da essa, decidendo di interromperla.

tragedia sentimenti

L’unica cosa da fare in questi casi é accettare la piccola tragedia che, finché non cambia – da sola – la situazione, il tuo destino è comunque soffrire.

E metterti allora subito a lavorare su di te.

Tu sei l’unica cosa che rientra nella tua sfera di dominio, in ciò che puoi cambiare.

Non smetti di amare, ad esempio, quando subisci un grave torto da parte del tuo partner. Se lo sorprendi, sempre ad esempio, a tradirti, non smetti per ciò stesso di amarlo. Sprofondi nel dolore, ma rimani bagnato, o bagnata, dei tuoi sentimenti.

Questa è appunto la tragedia dei sentimenti: che non cambiano anche se sopravvengono fatti, anche gravi, in contrasto con essi.

In questi casi, la mentalizzazione non ti serve, non ti aiuta, anzi ti fa solo stare peggio.

Pensare a quel che «dovresti fare» quando in realtà non lo puoi fare, ti fa sentire solo più inadeguato o inadeguata.

E questa sensazione di inadeguatezza che ti procuri da solo non ha nemmeno senso, perché se anche avessi la dabbenaggine di prendere decisioni di testa non risolveresti niente, anzi staresti solo peggio.

Quindi non rimpiangere di non avere più coraggio, o forza di volontà, perché non c’entra niente, saresti solo uno sconsiderato ad agire così e staresti solo peggio tu, per fare stare male tutti gli altri…

Guardati dall’alto quando produci questi pensieri. Sono solo dicerie infondate, nuvoloni grigi nella mente di una persona che soffre.

Cosa devi fare allora?

Devi accettare che al momento una soluzione per smettere di soffrire non esiste, quindi devi accettare la sofferenza, come «spiega» il grande mistico Rumi nella sua poesia «La locanda» di cui ti ho già parlato diverse volte.

Accetta il fatto che non c’è nessuna decisione da prendere, nessuna riflessione da fare.

C’è solo del lavoro da iniziare su te stesso, per creare una versione sempre migliore, per avere vibrazioni sempre più alte.

Non nego che questo sia difficile, specialmente quando si ha il cuore spezzato, ed è sicuramente una strada in salita, ma resta il fatto che è l’unica strada.

Una soluzione, una decisione arriveranno, ma non saranno mentalizzazioni, sarà la tua «pancia» a decidere quando le cose saranno sufficientemente mature.

Quindi, anche qui, devi passare dalla modalità di mentalizzazione a quella di percezione di te stesso, di quello che hai realmente in pancia. Devi fare il passaggio dal passare al sentire, per quanto il sentire possa essere, in momenti come questo, poco piacevole.

Se vuoi essere guidato in un percorso di gestione di situazioni del genere, o comunque desideri un aiuto concreto per la tua crescita personale, contattami tramite il modulo apposito oppure chiama il numero 059 761926 per concordare un appuntamento per iniziare il tuo percorso di counseling.

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Problemi col partner? Lavora solo su di te.

Cosa fare in caso di problemi col partner.

Recentemente, durante una delle mie sedute di counseling con una persona, con cui stavamo trattando un problema di relazioni o di coppia, che sono la maggior parte dei problemi che si trattano nella pratica quotidiana, dal momento che sono le cause più diffuse di disagio e di malessere spirituale delle persone, mi è venuto in mente, all’improvviso e senza che ne sapessi il perché (tuttora non ho capito come ho fatto a pensarci), la storia di Orfeo ed Euridice.

A quel punto, ho interrotto la seduta e ho chiesto di poter pensare a come mai mi fosse venuto in mente questo mito mentre stavo ascoltando le problematiche di una persona che era stata lasciata, almeno temporaneamente, dal suo partner – partner che in quel momento sembrava molto confuso e non in grado di capire che cosa fosse meglio fare con la loro relazione.

Dopo qualche istante, l’ho capito… Siccome si tratta di un aspetto abbastanza importante della cura delle persone che sono state lasciate, dopo una relazione più o meno lunga, mi è sembrato interessante raccontarlo in un incontro di approfondimento con alcune persone che seguo, anche perché credo che sia una esperienza che può essere utile a molti.

I miti davvero non hanno mai finito di insegnarci delle cose, sono dei grandi classici che, come diceva Calvino, non hanno mai finito di dire quello che hanno da dire.

Il tono di voce di questo post ti sembrerà un po’ strano perché è appunto la trascrizione di una lezione tenuta presso lo studio di Vignola qualche giorno addietro.

La storia di Orfeo ed Euridice.

Ma vediamo prima la storia di Orfeo ed Euridice.

Orfeo si innamora di Euridice e la sposa, vivono felici fino a che non arriva un pretendente che vuole Euridice per sé. Euridice non vuole questo pretendente, lo rifiuta sino al punto da fuggire correndo. Mentre corre nell’erba, però, un serpente la morde e la fa morire.

A questo punto, Euridice viene portata nell’Ade, il regno degli inferi il posto sotto terra dove secondo gli antichi si finiva dopo la morte.

Orfeo ovviamente si dispera. Prende su e scende negli inferi. Lui che era un musicista suona e canta delle canzoni talmente belle da commuovere persino le divinità infernali… Persino le divinità infernali, infatti, che erano notoriamente senza pietà, dovendo governare un mondo di morti che si lamentavano in continuazione, hanno pietà di Orfeo, tanto che alla fine gli concedono di riportare in vita Euridice.

Gli pongono però una sola condizione, cioè che Orfeo non si volti mai a guardare indietro mentre sta portando fuori dal regno degli inferi Euridice.

Non voltarsi indietro.

Tra parentesi, sul mito di non voltarsi indietro potremmo parlare e scrivere libri interi, tutta la mitologia tutte le storie più significative importanti hanno questo mito del non voltarsi indietro, che ci dice una cosa molto importante e cioè che dobbiamo vivere nel presente guardando al futuro senza appunto voltarci mai indietro, recriminare il passato perché se facciamo questo perdiamo energia.

Pensiamo semplicemente alla moglie di Lot, Sara, che lasciando Sodoma contravviene al divieto di Dio di voltarsi indietro e viene trasformata in una statua di sale esattamente come avviene a noi: tutte le volte che diamo troppo peso a quello che è avvenuto in passato ci trasformiamo in una statua di sale, perdiamo la nostra umanità, perdiamo la nostra vita perché smettiamo di vivere nel presente, l’unica dimensione in cui c’è vita, e quindi diventiamo rigidi come un minerale.

Tornando a noi, purtroppo Orfeo, verso la fine, ha paura: teme di non avere preso Euridice, ma un’ombra dell’inferno.

Si volta indietro ed immediatamente Euridice svanisce, questa volta per sempre.

Cadere in un inferno.

Ma cosa vuol dire questo nelle relazioni?

Anche perché non c’è solo il gesto di voltarsi indietro, c’è anche la situazione di una persona che è uscita da una relazione perché è stata precipitata, da qualcosa, dentro ad un inferno.

Questo però se guardi bene è quello che succede almeno nel 90% dei casi in cui uno esce da una relazione che era felice, una relazione in cui si viveva, fino a poco tempo prima, con soddisfazione… Questa persona esce dalla relazione perché viene precipitata in un suo inferno, che a volte può essere semplicemente anche l’inferno di non riuscire più ad amare e disperarsi per questo, oppure un inferno anche diverso: può essere una malattia, anche una malattia terminale, comunque qualcosa che rappresenta una cesura per la relazione, un brusco scarto, e la persona ne esce.

Quindi il mito di Orfeo ed Euridice è un mito universale perché ci dice che cosa succede spesso – purtroppo bisogna usare questa parola: spesso – nelle relazioni, anche quelle felici, e cioè che finiscono.

Il primo grande insegnamento da portare a casa é questo, di vivere queste relazioni nel presente perché oggi ci sono, domani per qualsiasi motivo potrebbero non esserci più.

Ma cosa ci dice ancora questo mito? Ci dice almeno altre due cose molto importanti.

La prima riguarda le ipotesi in cui il tuo partner scende in un inferno, da cui, anche se con molto sforzo, puoi pensare di tirarlo fuori. Anche Orfeo ha dovuto impegnarsi al massimo, metterci tutta la sua arte per poter commuovere le divinità infernali… Ci sono delle situazioni in cui le persone che noi amiamo cadono in buche molto profonde, ma noi, nonostante la difficoltà, anzi a volte anche proprio in considerazione della difficoltà (perché noi ci diciamo: “se amiamo davvero, dobbiamo superare anche questa”), cerchiamo di tirarle fuori da questo inferno e facciamo di tutto, anche l’impossibile, per riportarle a casa – esattamente come Orfeo ha cercato di riportare a casa Euridice, facendo l’impossibile, cioè commuovendo con la musica le divinità infernali.

È giusto andarsi a riprendere chi si ama?

Ma è giusto andare a riprendere una persona che è caduta dentro un inferno? Questo inferno può essere l’alcolismo, la tossicodipendenza, la dipendenza affettiva, una malattia, che comunque sempre collegata a uno stato psicologico – lo sappiamo bene che molte malattie non vengono per caso.

Che cos’è – soprattutto – che rientra nella nostra sfera di dominio?

Quando ci occupiamo di relazioni, noi possiamo intervenire sull’altro, sul nostro partner, o piuttosto l’unica cosa che rientra nella nostra sfera di dominio siamo noi stessi?

Il mito di Orfeo ed Euridice ci dice esattamente questo, ci dice che, se una persona cade dentro una buca, tu puoi decidere di aspettarla, puoi decidere di creare la situazione migliore per favorire il suo rientro, ma non puoi andarla a ri- prendere

Ciò nel senso che la persona dovrà uscire da sola da questa buca, altrimenti non ne uscirà mai veramente. E questa è la prima cosa che ci dice il mito.

Non solo, ma tu dubiterai anche, per sempre, che sia lei, che sia quella di prima. E questa è la seconda, non meno importante della prima, cui è strettamente collegata.

Chi cade dentro una buca deve uscirne da solo e da solo deve decidere di tornare, dalla buca a dentro la relazione.

Libertà e perdono: i due pilastri dell’amore.

L’amore, te l’ho detto anche altre volte, si basa su due grandi pilastri: la libertà e il perdono.

  1. Senza libertà non c’è amore, perché hai una persona che sta con te solo perché è costretta. Te ne ho parlato quando abbiamo visto la differenza tra l’amore egoico e l’amore animico, dove ti ho fatto l’esempio di chi ama egoisticamente e chiude la persona amata in cantina, ma quello non è vero amore, lo sappiamo perfettamente, lo intuiamo non c’è bisogno di pensarci molto.
  2. Il perdono è indispensabile, perché noi possiamo anche dare la colpa a questa persona, di essere caduta in una buca… Pensiamo ad esempio al caso del tradimento, che è una delle buche più grosse: anche qui, se amiamo davvero, dobbiamo utilizzare lo strumento del perdono. Senza necessariamente pensare al tradimento, il nostro partner può essere disfunzionale anche per altre cose: può dare poca attenzione, può trascurare, può non essere grato della relazione, può essere sgarbato, tante piccole cose che nel tempo però minano una relazione. Anche qui bisogna esercitare la difficile arte del perdono, di cui ti parlerò meglio un’altra volta.

Innesca la tua crescita personale.

Qualsiasi sia l’errore in cui è caduto il nostro partner, qualsiasi sia la situazione di difficoltà, bisogna lasciare che sia lui a risolverla e che sia lui a tornare a casa, che sia lui a tornare da noi.

Non è un dirgli “arrangiati” ma piuttosto un dirgli “sono spiacente per quello che ti è successo, ti perdono e ti amo ancora, quando avrai sciolto i tuoi modi e credessi io ci sono” e farlo con un sorriso davvero sincero.

Per agevolare la situazione, noi possiamo agire solo su quello che rientra nella nostra sfera di dominio e quello che rientra nella nostra sfera di dominio è solo la nostra crescita personale.

Quindi, anche se può sembrare controintuitivo, noi non dobbiamo andare a tirare per la giacchetta il nostro partner, ma dobbiamo concentrarci su di noi.

Dobbiamo diventare ogni giorno una versione migliore di noi stessi in maniera da tirare verso l’alto noi e le persone che sono, o che potrebbero essere, intorno a noi

Noi dobbiamo attirare, dobbiamo se-durre nel senso etimologico di questa bellissima parola, cioè portare a noi, riportare a noi, appunto condurre a sè.

E si attira solo diventando sempre più positivi, innalzando le nostre vibrazioni il più possibile, vibrando di emozioni positive il più possibile. È una strada ripidissima per chi ha il cuore spezzato, ma io ti dico che non è affatto impossibile percorrerla, anzi, e che comunque è l’unica strada.

Mettiti dunque subito al lavoro, ti lamenterai poi dopo semmai.

Tutto questo lo capiamo plasticamente nel caso del tradimento, dove noi capiamo perfettamente che non possiamo andare dal nostro partner che ci ha tradito e continua a tradirci a dirgli: “scegli me, perché io sono meglio, lui è peggio, lei è peggio, lascia perdere, stai rovinando la nostra coppia, stai rovinando la nostra famiglia, stai rovinando 8 anni, 10, 12, 15, 20 di vita insieme…”

Questi sono discorsi che non servono a niente, se il tuo partner è caduto in questa buca, ci sono delle ragioni e se vuoi indietro il tuo partner, e quindi se hai scelto già di perdonarlo, devi accettare il fatto che queste ragioni che l’hanno portato a tradirti, questi nodi che hanno portato a tradirti, sia lui a scioglierli e sia lui a tornare a casa, dalla buca in cui è caduto.

Nell’ultima tentazione di Cristo, Gesù va dalla Maddalena che, in quel contesto, fa la prostituta in un locale aperto a tutti. Si siede in un angolo, aspetta per ore che tutti gli uomini presenti si uniscano a lei, davanti a lui. Venuta la sera, lei finalmente lo nota e va a parlargli chiedendogli subito, scandalizzata di se stessa: “Sei stato qui tutto il tempo?”. Ma a lui non importa, a lui importa solo di parlare finalmente con lei.

Ma perché Orfeo si volta?

Se noi lo andiamo a prendere, se noi lo andiamo a tirare per la giacchetta, se noi lo andiamo a tirar fuori dalla buca in cui è caduto, esattamente come ha fatto Orfeo, che è andato, è sceso negli inferi, che sono la più grande buca che l’umanità abbia mai concepito, per andare a riprendere sua moglie, se facciamo questo allora che cosa succede?

Succede esattamente quello che è successo a Orfeo, cioè che questa persona è la volta che la perdiamo davvero definitivamente.

Guarda come è esatto il mito nel descrivere questa situazione.

Perché Orfeo si volta indietro? Perché non riconosce più sua moglie, perché pensa di tenere per mano non sua moglie, ma un’ombra dell’inferno? Ma perché – pensa un attimo a questo – non riconosce il tatto, l’odore, le vibrazioni, la presenza di una moglie così tanto amata?

Non è forse quello che succede anche oggigiorno quando si va a riprendere di forza una persona per riportarla a casa? Come la guardi e la pensi questa persona, quando dorme o quando fa l’amore con te? Quando dorme ti chiedi se sia sempre quella di prima e quando fa l’amore con te ti chiedi se non stia pensando all’altro anche mentre è lì con te…

In una parola, questa persona non la riconosci più.

E sei tu stesso che l’hai resa irriconoscibile andando là a riprenderla di forza in una situazione in cui era caduta lei… Ma se non la riconosci più, ecco che non puoi avere quello che c’era prima. Tu sei partito perché volevi indietro le tue cose, volevi indietro la tua vita, sei andato alla ricerca del ladro che ti ha rubato la macchina come se il furto si potesse annullare e tutto potesse tornare come prima…

Ecco perché Orfeo non riconosce Euridice, perché è pieno di dubbi giustamente dice “ma noi siamo andati nell’inferno, non è che questa non è più mia moglie ma ho preso per sbaglio un’ombra?” – oppure, ancora peggio e più probabilmente – “non è che mia moglie è diventata un’ombra, perché non mi sembra più lei… Se mi sembrasse lei l’avrei riconosciuta..?

Orfeo così obbedisce ai suoi dubbi e contravviene alle divinità infernali, si volta ed Euridice svanisce, torna nell’inferno nella sua buca e questa volta per sempre.

Ma non è quello che fa qualsiasi uomo, qualsiasi donna che viene tradita e riporta a casa il suo partner? Un uomo riporta a casa sua moglie, la guarda smarrito, perso, non la riconosce, esattamente come Orfeo non riconosce Euridice.

La moglie percepisce nel volto del marito il suo smarrimento e il fatto crudo: non è più riconosciuta! Allora capisce che ormai appartiene a quella buca in cui era caduta e difficilmente, molto più difficilmente, adesso ne uscirà più.

Quindi?

Ecco quindi che cosa ci dice alla fine questo racconto straordinario, che quando uno dei nostri partner cade in una buca, che può essere come abbiamo visto anche la buca di chi smette di amare – nessuno vuole deliberatamente smettere di amare, chi smette di amare soffre tantissimo, ebbene da questa buca la persona dovrà uscire da sola.

È qui che si vede se si ama davvero, perché è qui che bisognerà dare i due grandi pilastri, i due grandi doni dell’amore, che sono la libertà e il perdono.

È qui che si deciderà se attendere la persona amata che è caduta in difficoltà e non ci può più amare: noi possiamo amarla, ma lei non può più amarci, in quel momento lì a volte fa anche fatica ad accettare il nostro amore per mille motivi, ma noi possiamo aiutarla, possiamo migliorare noi stessi possiamo arrivare ad avere vibrazioni altissime come ha fatto Orfeo che ha suonato una musica talmente bella che ha commosso persino le divinità dell’inferno, che sono entità dal cuore di pietra, però lui è riuscito a vibrare talmente alto e talmente forte da commuovere anche quei cuori di granito.

Poi però ha dubitato.

Non ha riconosciuto la moglie. Lui ce l’ha messa tutta, ma all’ultimo passo le sue vibrazioni si sono abbassate, non è riuscito a mantenere la quota e la trazione e a riportare spontaneamente Euridice a sé.

La conclusione dunque è che l’unica cosa che rientra nella nostra sfera di dominio quando hai un problema di relazioni sei tu stesso.

Come si fa a lasciar andare?

«Siddharta entrò nella camera dove suo padre sedeva sopra una stuoia di corteccia, s’avanzò alle sue spalle e rimase là, fermo, finché suo padre s’accorse che c’era qualcuno dietro di lui. Disse il Brahmino: « Sei tu, Siddharta? Allora di’ quel che sei venuto per dire ».

Parlò Siddharta: « Col tuo permesso, padre mio. Sono venuto ad annunciarti che desidero abbandonare la casa domani mattina e recarmi fra gli asceti. Diventare un Samana, questo è il mio desiderio. Voglia il cielo che mio padre non si opponga ».

Tacque il Brahmino: tacque così a lungo che nella piccola finestra le stelle si spostarono e il loro aspetto mutò, prima che venisse rotto il si-

lenzio nella camera. Muto e immobile stava ritto il figlio con le braccia conserte, muto e immobile sedeva il padre sulla stuoia, e le stelle passavano in cielo. Finalmente parlò il padre: «Non s’addice a un Brahmino pronunciare parole violente e colleriche. Ma l’irritazione agita il mio cuore. Ch’io non senta questa preghiera una seconda volta dalla tua bocca».

Il Brahmino si alzò lentamente; Siddharta restava in piedi, muto, con le braccia conserte.

« Che aspetti? » chiese il padre. Disse Siddharta: «Tu lo sai». Irritato uscì il padre dalla stanza, irritato cercò il suo giaciglio e si coricò. Dopo un’ora, poiché il sonno tardava, il Brahmino si alzò, passeggiò in su e in giù, uscì di casa. Guardò attraverso la piccola finestra della stanza, e vide Siddharta in piedi, con le braccia conserte: non s’era mosso. Come un pallido bagliore emanava dal suo mantello bianco. Col cuore pieno d’inquietudine, il padre ritornò al suo giaciglio.

E venne di nuovo dopo un’ora, venne dopo due ore, guardò attraverso la piccola finestra, vide Siddharta in piedi, nel chiaro di luna, al bagliore delle stelle, nelle tenebre. E ritornò ogni ora, in silenzio, guardò nella camera, vide quel ragazzo in piedi, immobile, ed il suo cuore si riempì di collera, il suo cuore si riempì di disagio, il suo cuore si riempì d’incertezza, il suo cuore si riempì di compassione. Ritornò nell’ultima ora della notte, prima che il giorno spuntasse, entrò nella stanza, vide il giovane in piedi, e gli parve grande, quasi straniero.

«Siddharta, » chiese « che attendi? ». «Tu lo sai». «Starai sempre così ad aspettare che venga giorno, mezzogiorno e sera? ». «Starò ad aspettare». «Ti stancherai, Siddharta ». «Mi stancherò».

« Ti addormenterai, Siddharta ». «Non mi addormenterò ».

«Morirai, Siddharta ». «Morirò ». «E preferisci morire, piuttosto che obbedire a tuo padre? ». «Siddharta ha sempre obbedito a suo padre». «Allora rinunci al tuo proposito?».

«Siddharta farà ciò che suo padre gli dirà di fare». Le prime luci del giorno entravano nella stanza. Il Brahmino vide che Siddharta tremava leggermente sulle ginocchia. Nel volto di Siddharta, invece, non si vedeva alcun tremito: gli occhi guardavano lontano. Allora il padre s’accorse che Siddharta non abitava già più con lui in quella casa: Siddharta l’aveva già abbandonato.

Il padre posò la mano sulla spalla di Siddharta. «Andrai nella foresta,» disse «e diverrai un Samana. Se nella foresta troverai la beatitudine, ritorna, e insegnami la beatitudine. Se troverai la delusione, ritorna: riprenderemo insieme a sacrificare agli dèi. Ora va’ a baciar tua madre, dille dove vai. Ma per me è tempo d’andare al fiume e di compiere la prima abluzione».

Tolse la mano dalla spalla di suo figlio, e uscì. Siddharta barcollò, quando provò a muoversi. Ma fece forza alle sue membra, s’inchinò davanti al padre e andò dalla mamma, per fare come suo padre aveva prescritto

Estratto da Siddharta, di Hermann Hesse.

Messaggio da portare a casa.

Se una persona ti dice che vuole uscire da una relazione, in realtà ne é già fuori.

Accettalo.

Puoi scegliere se perdonarlo e aspettarlo o, tutto al contrario, uscire anche tu dalla logica della relazione.

In entrambi i casi, devi subito dedicarti a ricentrarti e creare, giorno dopo giorno, una versione migliore di te stesso.

Non devi cercare di riportare il tuo partner nella relazione, sarà lui a tornare quando avrà eventualmente sciolto i suoi nodi.

Conclusioni.

Ti é piaciuto questo articolo? Condividilo sui social o in altro modo, può essere utile a qualcun altro, oggi molte persone hanno problemi di relazioni.

Conosci qualcuno che ne ha? Mandagli questo post via mail o per whatsapp, gli sarà utile e gli darà un po’ di conforto.

Vuoi iniziare un percorso di counseling in cui praticare le cose indicate in questo articolo e altre per stare sempre meglio e crescere giorno dopo giorno? Contattami per concordare come fare, concorderemo un appuntamento presso lo studio di Vignola o ci organizzeremo altrimenti.

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Relazione disfunzionale: come uscirne?

Note dell’episodio.

Donna stoppa uomo

In questa puntata del podcast non parliamo di un problema legale, ma di un problema personale, a partire sempre da una domanda mandataci da una nostra ascoltatrice tramite messaggio vocale su whatsapp. Rispondendo a questa ragazza, con il metodo tipico del counseling che utilizzo con le persone che seguo direttamente, ho toccato molti temi interessanti per la crescita personale e l’uscita dalls sofferenza. Pertanto ho effettuato una trascrizione curata di questo episodio, in modo che sia fruibile da quante più persone possibile. Si tratta comunque di temi di cui ti tornerò a parlare, perché sono molto importanti per qualsiasi ipotesi di cura della persona.

Aggiungo solo che il tema di come uscire da una relazione disfunzionale è centrale per tantissime persone. Proprio stamattina sono stato due ore con una persona che, dopo dieci anni, deve ancora uscire del tutto dalla relazione col marito…

Riferimenti.

Trascrizione.

Data l’importanza degli argomenti trattati, per questa puntata del podcast ti ho preparato una trascrizione curata, cioè editata e sistemata, in modoc he i contenuti possano essere fruiti anche in questo modo. Ti raccomando però sempre di ascoltare la puntata in originale, magari due o tre volte, per assorbire meglio i concetti.

Introduzione

Buongiorno. Oggi ascoltiamo un quesito di tipo personale, non è un problema di tipo legale come quelli che vediamo di solito, ma un problema appunto di tipo personale, che vedremo di affrontare dal punto di vista del counseling, ma sentiamo prima un attimo la nostra sigla…

Sono Tiziano Solignani avvocato cassazionista, mediatore familiare e counselor. Oltre vent’anni fa ho aperto il blog degli avvocati dal volto umano pensando che dovesse esserci un mondo diverso e più umano di affrontare i problemi legali. In questo podcast, rispondo a domande lasciatemi per iscritto o tramite messaggio vocale da utenti della rete che hanno problemi legali o personali, intervisto esperti su temi di grande interesse e propongo riflessioni e approfondimenti in cui condivido la mia esperienza di oltre due decenni per evitare alle persone di incorrere in problemi o prendere vere e proprie fregature. Iscriviti al podcast e al blog all’indirizzo blog.solignani.it per non perdere consigli fondamentali o interviste interessanti su temi utili per la vita di tutti i giorni. Puoi seguire i blog e il podcast via mail o tramite il canale telegram. Lascia la tua recensione sul podcast su iTunes. Se vuoi comprare un’ora della mia attenzione sul tuo problema puoi acquistare una consulenza dalla home page del blog.

Bene, adesso sentiamo la domanda che ci ha mandato la nostra ascoltatrice tramite il solito messaggio vocale.

Ricordo che anche tu puoi mandare un messaggio collegandoti alla home page del blog all’indirizzo blog.solignani.it e facendo tap sul pulsante verde in basso a destra.

La domanda

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Buonasera, ho di recente chiuso una relazione che presentava queste caratteristiche sin da subito la persona che frequentavo ha dimostrato un forte attaccamento verso di me ed un forte desiderio di voler definire la relazione anche se in tempi molto brevi. Poi a questa prima fase per così dire idilliaca in cui quella persona sembrava ricalcare tutte le caratteristiche da me desiderate, ne è seguita una di svalutazione in cui, la persona sembrava  pretestuosa per creare litigi molto spesso per tutte le ragioni, dove si innescava un forte senso di colpa per poi approdare a una fase finale di abbandono e chiusura. A questo abbandono io penso di essere appunto la causa della rottura reagivo con determinazione al fine di trovare una soluzione e poter ripristinare la relazione questa sorta di rituale, un meccanismo, se in un primo momento mi sembrava essere giustificato da una serie di paure, di insicurezze, provate dalla persona poi nel ripetersi ciclicamente abbia creato un forte senso di inadeguatezza impotenza e sofferenza questo mi ha spinto a documentarmi con video di psicologia su YouTube anche grazie all’aiuto di persone esperte al fine di trovare una spiegazione. Sono giunta alla conoscenza di un ambito estremamente complesso ed ampio come quello dei disturbi di personalità e si è instaurata in me la consapevolezza di essermi a trovata all’interno di una relazione tossica con un manipolatore affettivo probabilmente affetto da narcisismo ora, pur avendo chiusa la relazione, mi trovo spesso a dover gestire all’altalenanza di momenti di forte mancanza quasi di astinenza ed altri più sopportabili in quanto la relazione aveva alimentato questo dualismo tra emozioni forti positive e negative a punto da creare una vera e propria dipendenza. Ora le chiedevo per chi appunto si fosse trovato all’interno di queste **relazioni tossiche** con persone disturbate comunque affette da patologie disturbi di personalità quale fosse il percorso per poter uscirne e soprattutto quale spiegazione darsi al fine di comprendere perché si siano tirate la nostra vita e conseguentemente condurci alla **guarigione** delle nostre **ferite primordiali** o a poter dare inizio a un percorso di crescita che ci permetta poi in un futuro ha di non attirarle nuovamente grazie

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Le mie osservazioni

Attenzione alla mentalizzazione

Cosa si può dire, quali sono le osservazioni che si possono fare relativamente alla tematica, a quello che ci ha raccontato, ai problemi che ha posto la nostra ascoltatrice?

In generale mi sento di fare un’osservazione e cioè che queste situazioni non si prestano ad essere affrontate bene con una eccessiva mentalizzazione

Facendo un attimo una premessa più generale, qui oggi noi tendiamo a vivere – questa è un una circostanza che viene ricordata da tutte le persone che si occupano di spiritualità – tendiamo a vivere troppo nella mente e troppo poco nel cuore, siamo nell’epoca della mentalizzazione, c’è anche un post nel blog in cui parlo di questo, che metterò nelle note dell’episodio, siamo nell’epoca della mentalizzazione anche per via di alcune rivoluzioni alienanti che ci sono state durante la storia dell’uomo, a partire da quella agricola per finire con quella attuale, quella digitale, che ci hanno portato a vivere sempre più nella mente astratta, nella mente logica e a essere sempre più sconnessi dal cuore e dalla dimensione emotiva, che è una dimensione che dobbiamo recuperare…

Questa la prima osservazione che mi viene mente vedendo il gesto di una persona che ha sofferto in una relazione emotiva disfunzionale e che ha cercato degli strumenti di soluzione in una disamina logica, in quello che offre la scienza a riguardo, che é un’operazione che qualche perplessità la suscita, nel senso che oggi pretendiamo di risolvere tutto grazie alla scienza anche le dinamiche emotive spirituali ma qua c’è qualcosa che secondo me stride, è impossibile non sentire questo stridore, perché quando andiamo a parlare di emotività – e le relazioni sono emotività – non sono aspetti scientifici, non è un lavoro é una dimensione legata alla sfera emotiva, l’approccio scientifico a mio giudizio mostra diversi limiti, può essere un approccio di partenza, come nella famosa immagine della scala, nell’ultima pagina del romanzo di Umberto Eco, Il nome della rosa.

Ti porta fino a un certo punto poi dopo, per arrivare dove devi arrivare davvero, la scala la devi buttar via e passare ad altro, la scala credo che sia la metafora della scienza, della tecnica, degli strumenti… Poi occorrono altre cose, l’intuito, la consapevolezza…

Non mi ricordo più quale popolo dicesse –  probabilmente i nativi americani, lo ricorda Scardovelli in uno dei suoi video meravigliosi che consiglio a tutti di guardare, Scardovelli è un vero gigante della spiritualità e dell’anima – quale popolo dicesse che noi europei eravamo sostanzialmente pazzi perché vivevamo costantemente nella testa, mentre invece bisogna vivere nel cuore.

C’è molta verità in questa questa considerazione, dobbiamo scendere oggigiorno di un piano dal piano di sopra, quello mentale, al piano inferiore,  quello emotivo, anche perché la famosa scienza, che io così poco considero ha comunque fatto uno studio, una rilevazione statistica, che che ci dice che chi vive di più nel cuore è la persona mentalmente più equilibrata, più centrata, di solito più sana che esista, mentre chi è mentalizzato, e quindi è sempre preda della logica, è una persona molto più spesso, almeno di solito…

Le tre grandi dimensioni dell’uomo.

Noi abbiamo tre grandi dimensioni come uomini dalla più superficiale la più profonda: la mente, la emotività quindi il cuore, e l’inconscio.

L’inconscio è quello che ci governa davvero, di cui noi non abbiamo consapevolezza, e non la possiamo avere, anche se pian piano scivola nella dimensione emotiva. Va però fatto notare, vorrei farti notare, come oggigiorno noi se siamo finiti per dare importanza preponderante alla mente razionale che l’aspetto più superficiale di tutta la nostra esperienza come uomini e non è nemmeno quella che ci può guidare molto bene perché le disfunzionalità della mente razionale sono tante, sono anche molto frequenti, chi razionalizza troppo è un po’ il problema di oggi no, quindi la prima indicazione che mi sentirei di dare è proprio quella di tornare al cuore, scendere un piano dalla testa al centro del petto, portare questi problemi, iniziare ad affrontarli da un punto di vista emotivo, questa come prima indicazione.

Sempre Scardovelli parla della mente e dell’inconscio ad esempio paragonandoli rispettivamente ad una zanzara e un elefante, dove la zanzara tenta disperatamente di pungere l’elefante per fargli cambiare direzione, ma l’elefante non si accorge nemmeno e probabilmente non viene nemmeno punto, perché la zanzara non riesce nemmeno a penetrare la pelle spessa dell’elefante.

Questa è una metafora che mi piace moltissimo, perché effettivamente è come viviamo noi: abbiamo delle menti che ci mandano in continuazione dei messaggi come dovresti fare questo, dovresti fare quello, non devi fare quello, non devi fare quello, adesso faccio così, adesso faccio cosà, che non solo non servono a niente, perché comunque la nostra essenza più profonda ha già preso un’altra direzione, ha già fatto delle altre scelte e ci possono essere 1000 motivi per queste scelte e questi motivi sono comunque destinati a restare in parte sconosciuti, in buona parte sconosciuti…

La mente ci tortura

Un aspetto che c’è da sottolineare riguardo di ciò è che non solo queste decisioni della mente razionale, tutto questo agitarsi, tutto questo voler prendere il controllo, sembra veramente un parto… La nostra mente razionale è un omino minuscolo dentro a un qualcosa di gigantesco che si agita, strepita, come se volesse prendere il controllo di una cosa enorme, molto più grande di lei, molto più grande di lui.

Tutto questo movimento della mente non solo non serve a niente, ma è una forma di violenza che noi facciamo noi stessi e questo non va bene, non va bene perché il primo comandamento, comandamento inteso sia in senso cristiano, ma in senso universale, la prima cosa che ogni persona deve fare è amare se stessa e non giudicarsi, mentre la mente ci giudica in continuazione: hai mangiato troppo di nuovo, non hai fatto allenamento di nuovo, non hai ancora incominciato a studiare, non hai fatto il corso, non sei stato bravo sul lavoro, non sei stato bravo con il tuo partner, devi fare questo, devi fare quello…

È come se ognuno di noi avesse dentro la testa oggigiorno un torturatore… Guardate che questo è molto vero, molto vero e questo è un altro motivo per cui bisogna comunque sistemare il dialogo interno

Cosa fare in una relazione disfunzionale

Abbiamo messo insieme alcuni spunti, dobbiamo cercare di essere gentili con noi stessi, quindi la nostra ascoltatrice è caduta in una relazione disfunzionale, ma non se ne deve fare una colpa sono cose che possono accadere, non è colpa sua, è un’esperienza di vita, ogni istante di vita vale la pena di essere vissuto, ovviamente ogni istante ha un sapore diverso, può essere un sapore di dolore, di sofferenza, o sapore di gioia, di felicità, come di migliaia di altre sfumature di emozione…

Dobbiamo accogliere questi momenti tutti con gli occhi aperti come nella nella celebre poesia di Rumi, La locanda, che poi magari vi metto nelle note dell’episodio, che per me è il testo che più di ogni altro ci dice che cos’è la mindfulness o meditazione di consapevolezza, che è un altro sistema per arrivare a questo tipo di approccio all’esistenza, di questo modo di vivere la vita su cui torneremo tantissimo perché è uno strumento in cui io credo molto e di cui torneremo a parlare spesso, magari faremo una puntata apposita o più puntate sulla mindfulness.

Bene, quindi la nostra ascoltatrice ci dice anche un’altra cosa abbastanza importante e cioè che lei sta soffrendo, perché comunque aveva un attaccamento.

Questo è un po’ il bello del counseling, che consiste innanzitutto in una fase di ascolto non giudicante

Quando l’ascolto non è giudicante le persone ti dicono da sole che cosa hanno che non va o che ritengono disfunzionale, che cos’è che dà loro fastidio qual è in sostanza il loro problema, tra virgolette il problema della nostra ascoltatrice lei ce lo ha detto molto chiaramente, lei ci ha detto «io mi sono resa conto che mi sono legata ad una persona disfunzionale in una relazione disfunzionale ma al contempo questa persona mi manca addirittura fino a livelli di dipendenza», o fino ad usare il termine dipendenza per descrivere l’intensità della mancanza.

Ovviamente non è una dipendenza, ma se la nostra ascoltatrice ha usato questo termine, questa parola specifica significa semplicemente che la mancanza è molto alta…

Siamo frammentari.

Qui bisogna richiamare un altro concetto molto importante che fa riferimento al fatto che noi non siamo unitari, questa é una cosa che noi dobbiamo accettare, noi non siamo unitari, non siamo coerenti, non siamo fatti di una parte sola: siamo fatti di più parti in contrasto tra di loro.

La unitarietà, la visione di noi stessi come esseri unitari, è un altro precipitato della mentalità razionale, la mente ci vorrebbe sempre dicotomici, o bianchi o neri, o si o no, o su o giù, o qui o lì… Noi in realtà non siamo così, quindi concepirci in questo modo e pretenderci in questo modo è l’ennesima violenza che non facciamo noi stessi…

Lasciamo perdere questa forma di violenza e accettiamo di essere composti da parti diverse che sono spesso in contrapposizione tra loro… Guardate che ogni singolo individuo è come se fosse uno stato dove c’è una popolazione che si presenta alle elezioni determina una maggioranza, o se vogliamo indice un referendum, svolge un referendum, si determina la maggioranza e quello che la persona fa è il risultato di queste votazioni, di questo referendum: ci sarà sempre una parte soddisfatta e ci sarà sempre una parte in sofferenza.

Questo è esattamente quello che è accaduto anche alla nostra ascoltatrice, ma accade a tutti noi in continuazione… Lei si è resa conto che questa persona è disfunzionale e che questa relazione non la stava portando da nessuna parte, ma parti di lei comunque ancora, a parti di lei comunque ancora manca questa relazione manca questa persona, quindi la presa di consapevolezza almeno a livello mentale che c’è stata riguardo la disfunzionalità di questa relazione di questa persona non è stata sufficiente per determinare una uscita completa da questa esperienza

Questo è normalissimo, è quello che accade a tutti noi, nessuno escluso: non succede mai che usciamo da una situazione, da una persona alla quale ci siamo legati, in maniera automatica.

Anche se questa persona commette delle cose gravissime nei nostri confronti, noi comunque siamo bagnati di questa persona, non asciughiamo in quattro e quattr’otto, possiamo prendere una spinta che ci determina un cambiamento, ma questo cambiamento richiederà molto tempo per avvenire e magari in alcuni casi non avverrà mai del tutto, c’è un legame che rimane.

Innescare la crescita personale.

Bene, allora, una volta che abbiamo fatto tutti questi discorsi, che cosa deve fare, che cosa può fare la nostra ascoltatrice dal punto di vista più concreto?

Intanto il tema della crescita personale è importante, non mi ricordo più chi abbia detto che lo scopo della della persona umana, di ogni uomo, è quello di costruire se stesso ed è uno scopo che dura per tutto l’arco della vita della persona… Questa secondo me è una grandissima verità, nel senso che noi nasciamo e poi dobbiamo continuare a nascere ad una versione nuova di noi stessi tutti i giorni della nostra vita, una versione nuova e possibilmente migliore, ma non migliore solo per la società, migliore per noi stessi, migliore per vivere più consapevolmente e quindi più felicemente, che è poi l’insegnamento delle grandi tradizioni sapienziali planetarie, per cui anche il cristianesimo ma il buddismo il taoismo le tradizioni indiane, tutte quelle che volete, che sono tradizioni di sapienza volta ad evitare il dolore per gestire il dolore e a consentire all’uomo di essere sempre più consapevole e più felice, per cui noi dobbiamo diventare sempre la versione migliore di noi stessi.

La mindfulness.

Quando parlo di saggezza, non parlo di saggezza mentale, abbiamo visto che la mentalizzazione è un problema oggigiorno… Parlo di un’evoluzione profonda della persona, un’emozione profonda, emotiva e se possibile anche inconscia, col tempo quindi cambiare proprio la base della personalità per quanto si possa fare molto di quanto una persona possa dire su queste cose comunque andare verso le cose buone le cose giuste quello che ci insegnano appunto le tradizioni sapienziali.

Qual è lo strumento nell’immediato che si può utilizzare per affrontare situazioni di questo genere? Io credo che sia la meditazione di consapevolezza o mindfulness. La mediazione di consapevolezza è tante cose e magari dedicheremo a questo tema una o più puntate del podcast come accennavo prima, ma è comunque intanto questo che mi preme sottolinearti, la mindfulness é una pratica, quindi va un attimo capita, ma poi bisogna praticarla, è una forma di meditazione, quindi chi la vuole praticare può prendersi uno dei tanti libri che ci sono in circolazione, eventualmente nelle note dell’episodio ti posso mettere il link al testo che uso io, che guarda caso è un testo a cui sono collegati anche dei supporti multimediali, cioè dei file audio che contengono le meditazioni da fare, quindi tipicamente è una forma di meditazione che si fa sedendosi e focalizzando l’attenzione su respiro.

Si sceglie il respiro perché il respiro è un oggetto di meditazione sempre a disposizione, oltre a essere collegato con la nostra energia al centro dell’universo e questi discorsi, è comunque un oggetto di meditazione sempre a disposizione si possono usare anche altre cose tipo la fiamma di una candela, io ad esempio faccio meditazione sul corpo quando faccio allenamento, perché quello che per sviluppare, quello che è molto importante quando si fanno degli allenamenti specialmente di muscolazione e la propriocezione, l’importante è che l’attenzione si focalizzi.

C’è un articolo molto bello, che ho dato la settimana scorsa ad una mia cliente del counseling, di Nicoletta Cinotti sulla cura dell’attenzione, dove si ricorda ancora una volta che la gestione dell’attenzione è una cura in sé a prescindere dall’oggetto, nel senso che se tu riesci ad uscire da quello stato di attenzione distribuita e disordinata in cui si vive di solito, in cui viviamo di solito oggigiorno con l’attenzione che salta da un oggetto all’altro e riesci a restare focalizzato su una determinata cosa per un certo periodo di tempo immediatamente ottieni un miglioramento del tuo stato emotivo.

Questa è una grande verità, una grandissima verità, anche la lettura che venga fatta con un libro cartaceo classico o con un ebook reader che però non abbia tutte le distrazioni tipiche di un cellulare, di notifiche che arrivano in continuazione o cose di questo genere, è una forma di meditazione tant’è vero che molte persone leggono non tanto per acculturarsi, quanto perché è un qualcosa, è un gesto che le fa sentire meglio, perché per mezz’ora o un’ora pensano solo al libro che stanno leggendo…

E questa a focalizzazione dell’attenzione, che diventa come un laser su un oggetto singolo, è un gesto che ci dà enormi benefici, provare per credere, è una pratica quindi non parliamo più in generale bisogna provare a farlo se volete prendete il libro, altrimenti potete anche cercare su Internet, altrimenti fate semplicemente quello che vi ho detto, vi sedete chiudete gli occhi focalizzate l’attenzione sul vostro stesso respiro senza comandarlo senza regolamentarlo, limitandovi ad osservarlo andare su e giù come osservereste ad esempio le onde del mare che in continuazione si infrangono lungo gli scogli o la riva…

Conclusioni.

Bene per oggi è tutto, come sempre soluzioni preconfezionate scientifiche o pillole da prendere non ce ne sono, ci sono delle cose che si possono fare quindi iniziare a meditare, continuare la crescita personale, prendere sempre più consapevolezza e questo lo si ottiene grazie alla meditazione, cercare di scendere di un piano dalla testa al cuore, accettare tutte le emozioni della nostra vita, comprese quelle sgradevoli, esattamente come nella poesia della locanda di Rumi.

Ok per oggi è tutto, direi che abbiamo affrontato argomenti anche molto interessanti, meritevoli sicuramente di futuri approfondimenti.

Grazie per avermi ascoltato, resta sintonizzato abbonati al podcast e se credi manda anche tu il tuo quesito collegandoti all’home page del blog all’indirizzo blog.solignani.it facendo tap sul pulsante verde in basso a destra grazie ciao e buona giornata un abbraccio.

La locanda

«L’essere umano è come una locanda. Ogni mattina un nuovo arrivo. Momenti di gioia, di depressione, di meschinità, a volte un lampo di consapevolezza giunge come un visitatore inatteso. Dai loro il benvenuto e intrattienili tutti! Anche se c’è una moltitudine di dolori, che violentemente svuota la tua casa portando via tutti i mobili, tratta ugualmente ogni ospite con rispetto. Potrebbe aprirti a qualche nuova gioia. I pensieri cupi, la vergogna, la malizia, Accoglili sulla porta con un sorriso, ed invitali ad entrare. Sii grato chiunque arrivi, perché ognuno è stato mandato dall’aldilà per farti da guida

Gialal al-Din Rumi

Messaggi finali

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Categorie
counseling

Diario della gratitudine: come, quando, perché farlo.

Che cos’è.

Oggi ti parlo del diario della gratitudine, uno strumento fondamentale, uno dei primi compiti, o riti, che invito i miei clienti del counseling a svolgere.

É proprio per loro che ho voluto ancora una volta raccogliere qui le informazioni fondamentali a riguardo, per poter mandare loro volta per volta il link, mettendole poi anche, come faccio sempre, a disposizione di tutti.

Il diario della gratitudine è un esercizio di crescita personale e benessere spirituale, o meglio un vero e proprio rito o pratica, che consiste nell’annotare, tendenzialmente una volta al giorno, tutte le cose belle che ci sono nella tua vita e di cui senti di poter essere grato.

Molto semplicemente, dunque, il diario della gratitudine consiste nell’annotare per iscritto tutte le cose per cui sentiamo di poter essere grati. Pertanto, tutte le cose belle, o che noi stimiamo belle, che ci sono nella nostra vita.

Ti raccomando di stampare questo post e leggerlo alcune volte prima di iniziare. Tieni poi la stampa dentro al taccuino che userai e ogni tanto rileggilo. Se ti viene in mente qualcosa da chiedere, o semplicemente vuoi condividere un’esperienza, lascia un commento sotto.

Prima di andare a vedere più in dettaglio il diario della gratitudine, occorre fare un’importante premessa, che vale per tutti gli esercizi e le pratiche di crescita spirituale compresa questa.

Fai gli esercizi senza farti violenza.

Come tutti gli esercizi di crescita personale, il diario della gratitudine va fatto senza mai farsi violenza, trattandosi sempre con dolcezza.

Non bisogna farlo per forza tutti i giorni: se ad esempio capita un giorno in cui ti senti particolarmente stanco, perché magari hai avuto una giornata pesante al lavoro, lo puoi benissimo saltare…

Oggigiorno molte persone tendono a fare degli esercizi di crescita personale un ennesimo strumento di tortura verso loro stessi, un ennesimo momento in cui misurano la loro adeguatezza, e più spesso la loro inadeguatezza, pertanto la prima importante premessa è: fate questo esercizio, e tutti gli altri esercizi di crescita personale e di riflessione spirituale che dovete affrontare, mantenendovi sempre gentili con voi stessi, senza farne una mania senza farne un’ossessione.

Cercate di ascoltarvi e di seguire i vostri ritmi naturali, soprattutto quelli energetici.

Occhio al dialogo interno.

Soprattutto, se dovesti mancare, ad esempio, un giorno di tenere il diario della gratitudine, oppure se dovesti pensare in qualsiasi momento che non lo stai facendo bene, che non riesci a scrivere più di due o tre cose, e quindi trovi questo deludente, tiene sempre sotto controllo il dialogo interno.

Non ti abbandonare mai ad espressioni come “sono un fallito”, “non riesco neanche a tenere un diario”, “non riesco mai a fare qualcosa di utile”, “non uscirò mai da questa situazione”.

Di invece a te stesso: “Sono molto bravo perché ho capito di aver bisogno di un cambiamento e mi sto impegnando per averlo”.

Anche questo te lo dico per esperienza: parliamo di una cosa molto banale ma le persone che si trovano in difficoltà riescono sempre a trovare dei motivi e delle occasioni per dare addosso a loro stesse, quindi facciamo che questi esercizi siano un momento di crescita e non l’ennesima occasione per farsi violenza e tirarsi addosso.

Fatta questa importante premessa, che vale per tutti gli esercizi di crescita spirituale e più in generale per tutte le cose che fa una persona nella vita, vediamo adesso di capire in che cosa consiste il diario della gratitudine, partendo dalle cose occorrono per fare questo rito.

Scegli con cura gli oggetti per farlo.

Per fare il diario della gratitudine, è preferibile procurarsi degli oggetti che ci piacciano: hai letto bene, è molto importante che gli oggetti che utilizziamo per fare il diario della gratitudine siano oggetti che ci gratifichino con la loro bellezza.

La bellezza è il linguaggio con cui Dio parla all’uomo ed è ciò che, secondo Dostoevskij, ci salverà.

Quindi inizia a fare l’esercizio con una immersione nella bellezza degli oggetti che ti servono e non sottovalutare mai la bellezza, che è una cosa di cui noi abbiamo assolutamente bisogno, specialmente nei momenti di difficoltà.

Gli oggetti che ti servono sono ovviamente della carta per scrivere e una penna.

Personalmente utilizzo dei taccuini Moleskine, di cui sono un fan assoluto, anzi diciamo proprio che per questi taccuini ho una vera e propria dipendenza tanto che ogni volta che entro in una libreria che li vende ne devo comprare alcuni, nonostante che abbia già la casa e l’ufficio pieni -un po’ come le donne con le scarpe…

Tu puoi prendere il quaderno o il taccuino che preferisci, l’importante è che sia bello, non devi usare per fare questi esercizi – che devono essere svolti in un contesto in cui tu sei immerso nella piacevolezza – dei fogli magari di recupero stampati sul lato e voltati dall’altro, oppure dei quadernacci di poco pregio, prendi un supporto che sia bello come sono belli per me i taccuini Moleskine.

Stesso discorso vale per la biro, personalmente io uso una penna stilografica perché credo che il tratto di scrittura della stilografica, con una continua variazione di intensità del colore e di dimensione, man mano che si procede, sia di una bellezza unica, sia nel momento in cui tu scrivi, sia nel momento in cui vai a rileggere.

Personalmente uso una stilografica economica della Parker, che per i miei gusti è ampiamente sufficiente; ovviamente qui nel settore del penne uno può spaziare e comprare veramente quello che vuole, quindi prendi la penna che davvero ti piace, che abbia il tratto, lo scorrimento, il colore – sia come scrittura sia come oggetto – che più ti piacciono.

Prenditi del tempo, perdi piacevolmente un po’ di tempo per andare a sceglierti questi oggetti e prendi gli oggetti che in qualche modo senti che ti stimolano qualcosa tra quelli che vedi esposti, quelli che in qualche modo senti che vuoi adottare e che possono avere un significato e una presenza nella tua vita.

Qui sembra che parliamo di cose che non hanno nessuna importanza, in realtà il diario della gratitudine è un vero e proprio rito, quindi queste cose, tutto al contrario, sono di fondamentale importanza.

Un oggetto che non serve, ma aiuta molto é una candela. Non usare la luce artificiale, specialmente se scrivi la sera. Procurati una candela da tenere sul tavolo vicino a te, accendila prima di cominciare e spegnila quando hai finito, scrivi alla sua luce e, se credi, al suo profumo. Scegli ovviamente una candela che ti piaccia per forma, colore, consistenza, odore.

Che cosa scrivere.

Che cosa scrivere, quando scrivere e se eventualmente ripetere le stesse cose.

Il diario della gratitudine, come abbiamo appena finito di dire, è un rito, è un esercizio spirituale, esattamente come la preghiera e la meditazione. Non è che se reciti il Padre nostro un giorno poi non lo reciti più per tutto il resto della tua vita. La preghiera anzi è fatta proprio di ripetizioni, quante più volte possibile, della medesima preghiera: il Padre nostro è sempre lo stesso, però chi crede lo recita più volte possibile; analogamente se c’è una cosa nella tua vita di cui ti senti grato la puoi scrivere anche tutti i giorni, tutte le volte in cui fai il diario della gratitudine, non è affatto un errore ma significa semplicemente che anche oggi sei, o sei stato, grato per quella cosa.

La ripetizione non è, per converso, necessaria: può darsi che nel giorno in cui stai redigendo il tuo diario ci siano altre cose per cui in quel momento ti senti più grato.

Non giudicarti per la tua gratitudine o mancanza di.

Non ti sentire nemmeno in colpa per non dedicare la tua gratitudine a quella cosa nel momento in cui la dedichi ad un’altra: stiamo parlando semplicemente di quello che prova il tuo cuore e noi dobbiamo essere in grado di ascoltarlo anche qui senza giudicarlo – è chiaro che ci sono miliardi di cose di cui dovremmo essere grati, ma non le possiamo comunque mai menzionare tutte, scriviamo quelle a cui abbiamo pensato quel giorno.

Un giorno ad esempio puoi essere più grato per la salute, magari perché sei venuto a contatto con una persona malata, o hai saputo di un amico che ha avuto un problema; un altro giorno puoi essere più grato per il fatto di avere ad esempio banalmente un automobile che funziona, che ti consente di spostarti, di vivere, andare a lavorare.

Il tuo cuore può essere grato per tante cose, l’importante è prenderne nota e non giudicarti mai. Dal punto di vista della crescita personale, puoi essere grato anche di cose negative come ad esempio di avere commesso un reato e non essere stato preso – qui subentra poi un altro genere, un altro tipo di problemi che ha che fare col fatto che secondo me l’uomo se non fa’ la cosa giusta non può essere felice e quindi il peccato non ti conduce alla felicità, se quel reato è anche un peccato, specialmente se è un peccato grave, é un altro tipo di problema, ma faccio per spiegarti che bisogna essere grati di quello che ci pare, bisogna accettare di essere grati per una cosa piuttosto che per un’altra senza anche qua giudicarci.

Quindi, compila il diario sentendoti libero di ripetere più volte, anche al limite tutti i giorni, se comunque tu tutti i giorni sei grato per quella cosa, la medesima cosa, e sentendoti per converso libero di non scrivere delle cose di cui pensi che dovresti essere grato ma di cui non senti ancora la gratitudine.

Se la sentirai dentro al cuore quella cosa poi la scriverai, non ti giudicare non ti ritenere un ingrato solo per questo. Scrivi liberamente e, mentre scrivi, pensa quanto è bello il fatto che tu stia facendo un gesto del genere, che ti sta migliorando, sta creando una versione migliore di te stesso.

Porta la gratitudine dalla testa al cuore.

Il diario della gratitudine è uno dei primi esercizi che consiglio ai miei clienti del counseling che si trovano in difficoltà o in situazioni di disagio, perché ti consente di fare un inventario di tutto quello che di bello c’è dentro la tua vita nonostante la situazione di mancanza di serenità e felicità che in questo momento stai attraversando.

La cosa più importante da sottolineare di questo esercizio, il suo vero scopo, è quello di portare nel cuore quella gratitudine che tutti noi abbiamo nella mente e quindi farcela finalmente sentire.

Serve a passare da una gratitudine solo considerata, solo conosciuta sulla carta, a una gratitudine che senti dentro al tuo cuore.

A contatto con la sofferenza.

Personalmente mi è capitato di apprezzare questa differenza che ti sto tratteggiando in modo particolarmente efficace un periodo di circa due anni fa, quando mia mamma è stata ricoverata in ospedale per alcuni giorni. In quel periodo, io andavo a trovarla tre volte al giorno e mi ricordo che alla sera, quando mi mettevo nel mio letto a dormire, sentivo proprio fisicamente il piacere di quanto fosse bello poter dormire nel mio letto e non essere invece costretto a tentare di riposare in un letto d’ospedale, con delle flebo attaccate, delle persone che fanno rumore e tante altre cose che ti impediscono di dormire bene.

Inoltre pensavo quanto fosse bello non avere problemi di salute, quando invece gli ospedali sono pieni, e queste cose non solo le pensavo “a tavolino”, le sentivo dentro, le sentivo nel mio cuore, come un calore, come una ricchezza che avevo.

Io mi sentivo ricco in quel momento, quindi mi sentivo pieno di gratitudine proprio perché ero stato messo a contatto direttamente con la sofferenza.

Questo è un altro aspetto molto importante: tu oggigiorno hai poche occasioni di essere messo a contatto con la sofferenza, anzi hai, tutto al contrario, una serie continua e sistematica di occasioni in cui vieni messo a contatto con altre persone che letteralmente sciorinano com’è bella la loro vita… Parlo dei social network, dove altre persone in continuazione fanno vedere bei viaggi, belle cene, begli eventi, bei corpi e tu tendi a fare inevitabilmente dei paragoni e inevitabilmente anche a sminuirti e ad essere sempre meno grato.

Questo confronto continuo con le cose altrui, specialmente se non sei una persona poi così tanto evoluta per sentire la felicità per le altre persone, per avere l’empatia tale da sentire la felicità per loro per essere contenti per loro, infischiandotene di quello che tu stai facendo… Magari in quel momento io posso sentire la felicità per chi sta facendo una bella festa, un bel viaggio e io magari sono sul divano a casa che guardo la televisione, perché poi c’è anche il momento mio di andare in viaggio, io comunque quella sera sto bene anche a casa, guardo la televisione e sento veramente la soddisfazione, mi fa veramente piacere che questo mio amico sia a godersi la vita, a farsi un bel viaggio, ma questo è un punto di arrivo, non è per tutti la persona normale che guarda queste cose tende a dire lui e là, o sono qua che schifo la mia vita, perché io non faccio mai dei viaggi di questo genere – quando magari ho fatto un viaggio più bello appena un mese prima o lo farà un mese dopo ma questo è un altro tipo di discorso…

Tornando a noi, il diario della gratitudine non è un mero inventario, è un rito, un esercizio che serve per portare la gratitudine dalla mente – dove tutti ce l’abbiamo, perché tutti diciamo che bello avere un corpo sano, avere un lavoro, avere un’automobile, però poi ce ne dimentichiamo (nota l’esattezza dell’etimo della parola: di-menticare, fare uscire dalla mente) – nel cuore e quindi sentirsela addosso, sentirci addosso la nostra ricchezza…

La vita di ognuno di noi è piena di doni incredibili e sconfinati, che non vengono dall’uomo, non li abbiamo comprati al supermercato: non abbiamo comprato la nostra intelligenza, il nostro corpo sano o comunque sano im una buona percentuale, o comunque esistente anche se ti manca un arto ,anche se hai subito delle mutilazioni, comunque c’è qualcosa che ti è rimasto comunque, c’è qualcosa di buono per poter vivere.

Quindi la gratitudine ha sempre un senso, logico ed oggettivo, non è una illusione per invasati, anzi é un ritorno alla realtà.

Siamo noi che ce ne dimentichiamo, il diario della gratitudine serve per tornare alla realtà e portare nel cuore tutte le cose buone che ci sono nella vita e sentire tutti i giorni questa ricchezza che noi oggettivamente abbiamo.

Non è questione di costruire la percezione di una realtà che non c’è, ma di tornare a sentire la realtà che c’è: questo è molto importante credo!

Procedi.

Per fare il diario della gratitudine, abbiamo bisogno degli oggetti che abbiamo detto e di uno spazio di raccoglimento che tu ti puoi costruire dove vuoi, lo spazio di raccoglimento può essere anche in metropolitana mentre stai tornando a casa dal lavoro o andando al lavoro, ti metti un paio di cuffie, oppure anche senza le cuffie puoi riuscire ugualmente a concentrarti, sarà una cosa più simpatica scrivere il diario della gratitudine in mezzo al casino, ma lo puoi fare tranquillamente, alla fine magari riuscirai a essere grato anche del casino che ti fa un po’ compagnia.

Comunque è necessario un momento di raccoglimento, esattamente come per meditare e per pregare, vedi tu dove puoi trovare o creare questo momento di raccoglimento, sono sufficienti anche 10 minuti al giorno non ci vuole tanto tempo però è bene che tu tendenzialmente ogni giorno faccia atto di omaggio all’opportunità di svolgere questo rito per te stesso, quindi il diario di gratitudine è anche un gesto di amore che tu fai per te stesso

É un momento in cui ti stai dicendo, e lo stai anche facendo, che stai prendendo un po’ di tempo per te, dopo il tempo che tu dedichi al lavoro, alla famiglia, a tutte le cose della tua vita stai prendendo un po’ di tempo per te, per farti crescere per migliorare, quindi già questo è una cosa molto bella di cui puoi essere grato a te stesso e orgoglioso. Questo tempo, per quanto di pochi minuti, é finalmente solo tuo. É bellissimo.

Fai attenzione a come ascolti.

Il valore della gratitudine ce lo spiega direttamente il vangelo, quando Gesù dice:

«Fate bene attenzione, dunque, a come ascoltate: perché chi ha molto riceverà ancor di più; ma a chi ha poco sarà portato via anche quel poco che pensa di avere». (Luca 8, 18)

Questa è una legge talmente esatta che potremmo definire fisica, come quella di gravità: significa che chi crede di avere, chi sente di avere, chi è pieno di gratitudine per le cose che ci sono nella sua vita, attira altre cose buone, perché è carico di energia positiva verso se stesso e l’universo.

Chi invece ritiene di non avere, e quindi non sente le ricchezze che in realtà ha, finisce per perderle…

Questo secondo fenomeno è un fenomeno che noi vediamo spessissimo nelle relazioni: quante volte accade che una persona venga data per scontata, non si senta la gratitudine per la presenza di questa persona nella nostra vita e quindi si finisca per perderla?

In realtà stiamo parlando di un principio universale, che vale per qualsiasi cosa: lavoro amicizie, beni materiali, beni spirituali…

È uno dei grandissimi insegnamenti di Cristo, un maestro che sapeva perfettamente come funziona l’universo.

Attenzione alla prima riga, dove Gesù parla non di ragionamenti, ma di ascolto. Il punto non è la mente, ma, ancora una volta, il cuore. Non è una questione di valutazioni da fare, ma di… percezione. La gratitudine non deve essere un omaggio astratto a tavolino, un riconoscimento logico, deve essere qualcosa che sentiamo nel cuore. Deve essere, in altre parole, un’emozione, che si ricava – questo è l’insegnamento del maestro – ascoltando in modo giusto quello che ti succede.

Cosa vuol dire da questo punto di vista ascoltare, percepire in modo corretto quel che ti succede? Vuol dire vedere sempre il buono che resta, che c’è, anche dopo che ti capitano o sono capitate cose negative.

Non è essere cretinamente giulivi, ma é, come ti ho detto prima, vedere la realtà per quello che è davvero, nel suo complesso, senza rimanere vittima del male, né farsene contagiare.

Ecco perché è assolutamente fondamentale fare questo esercizio che in realtà è un piccolo rito quotidiano per portare nel cuore quello che in qualche modo sappiamo con la mente, ma che tendiamo a dimenticare, mentre invece dobbiamo sempre sentire la ricchezza che c’è comunque, nonostante tutto, nella nostra vita.

Facendo questo inizieremo subito a sentirci molto meglio.

Counseling.

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Quando lui vuole tornare da sua moglie.

Vivo una storia da tre anni con un uomo sposato, con alti e bassi. Lui in più occasioni ha detto di voler lasciare la moglie, con cui ha due figli, per costruire una famiglia con me, e ha anche compiuto dei passi concreti in questo senso, come affittare una casa, però ultimamente, in questi giorni, mi ha detto di aver deciso di provare a ricostruire con sua moglie. Io sono disperata, per lui avevo anche lasciato il mio ragazzo, ma soprattutto lo amo… Da quando mi ha detto così sto malissimo, passo momenti in cui vorrei metterli sotto con la macchina, lui e sua moglie, inoltre mi sono imposta di non scrivergli e non parlargli, vorrei farlo ma penso che sia meglio per il momento stargli lontana. Non so cosa fare, so solo che sto malissimo. Mi date un consiglio? Spero di fare cose buone…

Non è con la violenza che puoi uscire da una situazione di questo genere, violenza contro di «loro» (anche solo immaginata, di metterli sotto con la macchina) ma soprattutto contro di «te» (l’imposizione di non telefonare, non incontrarlo, non fare altre cose che vorresti fare ma pensi che non sarebbero opportune).

Tutto al contrario, è solo con l’amore che si può uscire da vicoli ciechi di questo genere, amore che però deve essere:

  • a) genuino e animico e non, invece, egoico;
  • b) rivolto verso tutti i protagonisti della situazione, compresa lui, la moglie del tuo lui e, soprattutto, te stessa.

Non è un discorso facile da capire e soprattutto da praticare, ma proviamo ugualmente ad affrontarlo perché credo che queste siano le uniche parole che potrebbero davvero servirti. Ti rimando, a riguardo, anche alla lettura di questa lezione sulla differenza tra amore animico ed amore egoico.

Cosa significa amare?

Significa forse desiderare una persona sino al punto da provare l’impulso di metterla sotto con la macchina nel momento in cui si pensa di stare per perderla?

Facciamo un passo indietro.

Nessuno di noi è completamente unitario e autentico, ma frammentario. Quello che facciamo, e anche quello che proviamo nelle nostre vite, è come se fosse la risultante di una serie continua di «votazioni» o elezioni che le svariate parti e personalità di cui siamo composti svolge, con una maggioranza che emerge volta per volta… Funzioniamo, anche se appariamo all’esterno come individui e «monadi», come tanti piccoli staterelli, con una popolazione interna che si divide in opinioni e punti di vista…

Tra le varia parti di cui siamo composti abbiamo una o più manifestazioni egoiche e una parte animica, una parte dell’anima.

Quindi, detto questo, amare cosa significa, nel suo significato letterale e rigoroso?

È semplicissimo, anche se tendiamo a dimenticarcelo o a non volerlo vedere.

Amare significa, molto semplicemente e incontrovertibilmente, mettere il bene di un’altra persona sopra al nostro.

Detto questo, se tu amassi quest’uomo di un amore vero, puro ed animico, avresti dovuto… fare dei salti di gioia nel momento in cui ti ha comunicato che voleva ricostruire con sua moglie, con cui ha anche dei figli, cosa che corrisponde probabilmente al suo bene, per come comunque lo ha valutato lui e per come generalmente avviene in situazioni del genere, in cui la separazione di una coppia con figli rappresenta sempre una ferita profonda per diversi aspetti.

Invece, tutto al contrario, sei caduta nella disperazione perché hai perso qualcosa che sentivi come tuo.

Quello che provi, dunque, al momento non è tanto amore, quanto un tuo desiderio di possesso, un volere una persona, al punto tale da immaginare di punirla gravemente per non voler essere più tua.

È, con tutta evidenza, più una manifestazione del tuo ego. Non c’è molto altruismo in questo, non c’è amore, c’è più che altro un capriccio egoico.

Almeno in questa fase. Non sto affatto dicendo che sei una donna egoista, materialista, che vuole comprarsi un uomo e tenerselo come oggetto. Siamo frammentari, l’abbiamo detto poco fa. In questo momento, la tua ferita è una ferita dell’ego.

Ma l’anima ce l’hai ancora. Anche perché è nella sofferenza che gli dei ci fanno visita e, quando lo fanno, ci ricordano della nostra dimensione animica.

Come sempre succede, è nelle tue ultime parole che, anche se sicuramente non te ne sei resa conto, fa capolino la tua anima, quando dici «spero di fare cose buone».

Qui abbandoni la tua dimensione individuale e intuisci che l’unica via d’uscita da questa situazione in cui ti sei cacciata da sola, come fanno tutti del resto (ognuno si costruisce da solo l’inferno in cui vive), è quella di elevarti al di sopra del tuo egoismo ed iniziare a capire davvero sia te, sia lui, sia l’altra donna e cioè sua moglie.

È solo cercando di fare la cosa giusta che uscirai da questa situazione, accettando che la cosa giusta possa anche essere finire per non avere quest’uomo.

Quello che devi iniziare a fare è provare sentimenti di compassione, benevolenza, amore per tutti e tre i protagonisti cioè per te, per lui, per sua moglie.

Devi capire che ognuno di voi tre sta soffrendo terribilmente per la situazione in essere, che ognuno di voi è una persona che desidera solo vivere, amare, essere amata e non provare dolore o sofferenza e che invece lo prova.

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Al momento, pensi che sia difficile provare sentimenti di questo genere per lui, che vorresti mettere sotto con la macchina, per sua moglie, che probabilmente vorresti ugualmente imballare con la macchina, ma solo dopo averla torturata adeguatamente per almeno una settimana, ma io ti dico che la persona, delle tre, che ti sarà più difficile da amare davvero sarai tu stessa.

Ti senti in colpa verso di loro, ti stai giudicando per esserti ficcata in questa situazione, pensi di essere stupida, avventata e chi più ne ha più ne metta, sei molto crudele con te stessa e più soffri e più ti dai addosso. ti imponi delle regole – non chiamare, non parlarci – pensando che ti possano aiutare mentre accrescono solo il tuo fastidio.

Inizia proprio da qui, smettila di giudicarti e accettati per quello che sei e per quella che è stata la tua vita sinora. Può darsi che sia stato tutto un errore, ma chi non commette errori? E, se anche fosse, l’importante poi è ravvedersi e rimediare, per quanto possibile.

Devi essere inflessibilmente tenera e dolce con te stessa, come una madre lo sarebbe con un proprio figlio che pur sbaglia o ha sbagliato.

Fatto questo, dovrai riuscire a guardare la sofferenza anche degli altri due ed averne compassione.

Se riuscirai a fare tutto questo, ti eleverai ad un livello più alto dell’essere, quello della tua dimensione animica, che c’è e vuole uscire fuori, lo testimoniano le tue ultime parole, e uscirai da questa situazione, anche se non è detto che sia con l’uomo che desideri al tuo fianco: ma ricordati che lo scopo non è mai avere un uomo, una donna, un animale, ma essere felici e grati in e per questa vita.

Dovrà nascere una nuova e migliore versione di te.

È sempre lo Spirito che ci porta nel deserto e lo fa per farci diventare più grandi, più capaci di amore, più felici. Sta a noi fare quello che è necessario per portare tutto a compimento.

Se vuoi un appuntamento per parlare di persona con me o con uno dei nostri counselor, puoi richiederlo chiamando lo 059 761926. Ricordati di iscriverti alla newsletter o al gruppo Telegram per non perderti altri articoli come questo.

Un grande abbraccio.

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Essere grati per la sofferenza: è possibile?

«Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo» (Mt 4,1).

Non é forse questo quello che capita anche a noi periodicamente nella vita?

Siamo condotti ogni tanto, ma regolarmente, nel deserto.

Il deserto affettivo, la tristezza, la desolazione: condizioni in cui la tentazione di cedere alle scorciatoie, alle illusioni, agli espedienti – tutte cose che non ci danno la vera felicità – é più forte del solito.

Tutto questo avviene… anche per la nostra crescita personale.

Chi è infatti che ci conduce in questi deserti?

Non è il diavolo, non è la sfortuna, ma è lo stesso Spirito.

Ma perché Dio che ci ama ci sottopone alla sofferenza, ad una sofferenza a volte così intensa?

Ciò che è ingiusto per l’uomo, può essere giusto per lo Spirito

Ma, soprattutto, ciò che è giusto per lo Spirito può sempre essere utile all’uomo, se l’uomo, che ha una sua parte da fare a riguardo, fa le scelte giuste.

È una strana verità, ma davvero dobbiamo essere grati per tutto il dolore che riceviamo e per tutti i deserti che attraversiamo perché sono le uniche cose che ci consentono di capire chi siamo davvero e quale è il segno che lasceremo sulla parete dell’eternità.

Ecco perché il primo comandamento – che, in realtà, non è una regola ma una ricetta per la felicità – é quello di amare lo Spirito con tutto il nostro cuore, con tutta la nostra anima e con tutta la nostra mente, anche, anzi soprattutto quando, come un padre severo ma pieno di amore, ci sottopone a delle prove difficili e dolorose, ma necessarie.

Sia sempre fatta la sua volontà.