1) Maggiore chiarezza sulla situazione, grazie alla conoscenza delle regole, ma anche all’ascolto dei fatti.
2) Maggiore tranquillità e serenità grazie all’intervento di un professionista della materia.
3) Inizio della trattazione del problema, sia nella fase di analisi, sia direttamente passando alla fase del fare.
4) Fine di tutti i dubbi e le incertezze e inizio del lavoro sul problema, con tutti i vantaggi che ne conseguono.
5) Definizione di una strategia di base per affrontare la situazione con l’aiuto di un professionista esperto in problemi legali.
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Sono una cooperante, italiana. Fino all’anno scorso vivevo in Ciad con il mio compagno, francese e nostra figlia, di 3 anni e mezzo. Insieme decidiamo di trasferirci a Dakar, in Senegal. Lui parte ad ottobre io avrei dovuto raggiungerlo alla fine del mio lavoro con la pupa che resta con me in Ciad. Trasferiamo tutte le nostre cose a Dakar. Poi fine novembre, il giorno prima della nostra partenza dal Ciad per l’italia prima e Dakar poi mi chiama e mi dice che la storia è finita. Baratro. Dopo mesi di decisioni decido, per il bene di mia figlia di raggiugerlo comunque a Dakar per fare in modo che la pupa possa stare con il padre. Arrivo a Dakar a fine febbraio 2020, adesso siamo a Dakar. Io sono alla ricerca di lavoro sul posto ma se non trovo nulla vorrei partire con la bimba. Ognuno vuole che la bimba resti con se. Io ho fatto questo sforzo di venire qui per agevolare la vicinanza. Ma è chiaro che se partissi vorrei farlo con lei. Ho bisono di aiuto per capire come agire.
Ti serve più un percorso di counseling che un percorso di tipo legale, almeno al momento.
A livello legale ci sono degli aspetti che si possono, e per certi versi è opportuno, gestire, ma in questa fare, come hai correttamente intuito tu stessa, devi «capire come agire» e cioè come puoi comprendere che cosa è più opportuno per te e per tua figlia, in una situazione non facile, spalmata tra tanti paesi del mondo, con due genitori di nazionalità diverse e tendenzialmente portati anche a stabilirsi di conseguenza in paesi diversi, anche una volta terminato il lavoro all’estero.
A livello fattuale si gestiscono, e mi è anche capito di gestire diverse volte, separazioni di genitori che sono poi andati a vivere addirittura in due continenti diversi. È chiaro che in quei casi, le possibilità di progettare la separazione si restringono notevolmente, concretandosi sostanzialmente nel far stare i figli con un genitore durante il periodo scolastico e con l’altro per quello delle vacanze estive, con tutte le complicazioni del caso.
Tua figlia peraltro è molto piccola, è al limite – di 4 anni – per cui si considera praticabile il pernotto nell’ordinamento italiano, non è ipotizzabile, prima di qualche anno ancora, che possa trascorrere periodi molto lunghi col padre – questo te lo dico io che, pur essendo un noto maschilista, ritengo che i bambini, quando sono molto piccoli, è opportuno, naturale, innegabile che stiano con la mamma, salvo ovviamente casi di mamme gravemente disfunzionali.
A monte di tutto questo, c’è la necessità di definire da parte tua un adeguato progetto di vita, perché se è vero che nelle separazioni, come si ripete stancamente e un po’ burocraticamente, va valutato per di più l’interesse dei minori, come se fosse scollegabile da tutte le persone che ruotano attorno a loro, in realtà l’interesse dei genitori resta fondamentale perché i minori godono del benessere dei genitori e purtroppo ne soffrono inevitabilmente l’eventuale mancanza.
Quindi le domande per te funzionali potrebbero in ipotesi essere le seguenti: – dove, cioè in quale Stato, stabilisco la mia residenza definitiva? – se mi stabilisco all’estero, poniamo a Dakar, quale potrà essere il mio lavoro? – nella medesima ipotesi, quali saranno i rapporti di mia figlia con eventuali miei parenti tra cui nonni, zii, cugini, ecc.? – quali saranno le possibilità di istruzione, tra poco, lavoro, tra qualche anno, formazione, sviluppo, sanità, ecc. per mia figlia a seconda di dove andrò a stabilirmi? – se decido di tornare a stabilirmi in Italia come potranno funzionare in concreto i rapporti con il padre che per mia figlia sono preziosi?
Queste ed altre domande a corollario delle stesse sono pre-giuridiche e vanno approfondite appunto con un percorso di counseling.
Se credi, puoi valutare l’acquisto da questa scheda prodotto. Le sedute, ovviamente, si possono fare anche tramite Skype, come spiego meglio in questo post.
Ogni tanto qualche lettore del blog e cliente dello studio mi fa questa domanda, con riferimento a questa o quella città.
La risposta sintetica è che sarebbe non solo completamente inutile, ma anzi richiederebbe un uso di risorse (tempo, attenzione, denaro) che determinerebbe una compromissione della qualità del nostro lavoro e di conseguenza necessariamente della qualità dei servizi che diamo ai clienti.
Attualmente, abbiamo e abbiamo fatto cause pressoché in ogni parte d’Italia e diverse volte anche all’estero. Anzi, la mia fattura più grossa in 22 anni di professione è stata proprio fatta in occasione di un recupero crediti negli USA.
Oggigiorno si può fare benissimo, non serve affatto avere uno studio in loco, anzi una struttura porterebbe via risorse preziose.
Quello che importa, nella trattazione dei problemi legali, è la definizione di una strategia adeguata e per fare questo non occorre avere una organizzazione complessa, che, anzi, è un «peso» enorme per quanto riguarda la sua gestione ed è destinata ad influire inevitabilmente anche sui costi praticati ai clienti, innalzandoli.
Spesso mi basta sentire un cliente 10 minuti al telefono per sapere già che cosa deve fare. Il punto, dopo, è farlo – passare alla fase del fare.
Come faccio ad avere cause un po’ dappertutto?
Intanto, ormai, in tutti i fori dell’Emilia Romagna – noi abbiamo sede a Vignola, in provincia di Modena – andiamo direttamente. Specialmente nel civile, questo è molto facilitato dal PCT o processo civile telematico, oltre che dalla mia adorata Golf TGI a metano con cui vado ad esempio a Ravenna con 2 euro… – che amore!
Anche in alcuni fori della Lombardia andiamo ormai direttamente, come ad esempio Mantova.
Per quelli che sono un po’ più distanti, utilizziamo un collega in loco, di solito una persona che conosciamo da anni, di cui ci fidiamo abbastanza (spesso è una persona che scrive sul blog) e che comunque segue le nostre istruzioni e lavora sulla base degli atti scritti da noi. Attualmente, grazie al PCT, il lavoro del collega in loco consiste quasi esclusivamente nella partecipazione alle udienze, che, specialmente nel civile, sono momenti molto «burocratici» dove non si discute nulla, rimandando al contenuto di atti già depositati o da depositare.
Nota che, peraltro, personalmente quasi mai faccio udienza anche nel mio tribunale di Modena. Ho organizzato lo studio in modo che ognuno anche al suo interno abbia una sua «specializzazione» non per materia ma per tipo di incombente. Io mi dedico all’ascolto dei clienti, alla definizione delle strategie e alla redazione degli atti, mentre altri colleghi partecipano, in mia sostituzione, alle udienze. Questo è un discorso più complesso e ci torneremo sopra, purtroppo è impossibile oggigiorno per un avvocato che voglia svolgere in modo efficiente il proprio lavoro essere tutte le mattine in tribunale, per non dire del fatto che quasi sempre le udienze si accavallano e quindi è proprio fisicamente impossibile partecipare a tutte, a meno di non avere il dono della bilocazione come padre Pio.
Per quanto riguarda gli assistiti, molte persone scelgono di venire, almeno per una volta, presso lo studio di Vignola, magari prenotando due ore anziché una, in modo da poter esporre completamente il problema in quella occasione che tendenzialmente è destinata a rimanere unica. Chi non vuole venire, può comunque fare tutto a distanza… Esiste il caro vecchio telefono, la posta elettronica, ci sono le videoconferenze. Molta gente negli Stati Uniti ha uno psicologo solo via Skype, figuriamoci se non si può avere un avvocato a distanza.
Dal punto di vista del cliente, accettare e implementare l’utilizzo di questi mezzi di comunicazione significa accedere ad un mercato molto più vasto di professionisti ed avere di conseguenza molta più possibilità di scelta, rispetto a chi sceglie l’avvocato solo perché ha lo studio sotto casa!
Ricordo anche che i nostri preventivi sono sempre in ogni caso globali, cioè indicano il costo finale per il cliente, mentre il corrispondente in loco, l’altro avvocato della zona, lo paghiamo sempre noi con quello che abbiamo ricavato dal cliente, così c’è la massima chiarezza sui costi nonostante l’intervento di più professionisti.
In conclusione, le cose che servono, per la trattazione dei problemi legali, sono le idee giuste, non gli immobili.
Perché allora ci sono studi legali che aprono sedi in più città?
Probabilmente perché devono fare del cinema, come si dice a Modena, cioè per ragioni di rappresentanza. O magari perché ai titolari piace girare per il mondo anche a costo di farlo un po’ a cazzo, pur di non stare a casa col coniuge – quale scusa migliore di «Devo andare a Milano!»?
Non chiedermi di indicarti un avvocato delle tue parti, come spiego in questo post che ti invito a leggere, non chiedermi di aprire studi dalle tue parti: chiedimi, se vuoi, un preventivo, compilando l’apposito modulo nel menu principale del blog.
Sono proprietaria di un appartamento sito in un blocco di tre condomini con accesso da area privata. Abbiamo problemi con il Comune in quanto non vuole garantire il servizio di raccolta rifiuti porta a porta perché non vuole accedere all’area privata. Insisto nel dire che la suddetta area è privata ma ad uso pubblico in quanto nel condominio insistono ben 2 scuole pubbliche e le aree pertinenziali non sono transennate quindi vengono utilizzate sia dalle maestre che dai genitori, ma soprattutto dal pulmino per i bambini. Legalmente è legittima la mia definizione di area privata ad uso pubblico anche se non espressamente definita nella Concessione Edilizia o in atti con l’Ente?
È una domanda poco pratica, e quindi di non molto senso, perché per arrivare a dare una risposta plausibile ad essa, e magari nemmeno sicura, bisognerebbe approfondire ben di più, leggendo anche la documentazione che hai menzionato, più molta altra.
Credo che la strategia per affrontare un problema di questo genere non possa essere questa.
Più interessante è capire i reali motivi per cui volete, necessariamente, collocare i rifiuti per la raccolta per forza in questa area piuttosto che in un’area disponibile adiacente dove effettivamente i rifiuti sarebbe raccolti senza problemi.
Ci sono, ad esempio, aspetti di sicurezza, comodità, possibile esposizione ad atti di vandalismo o altre cose del genere?
Credo che si dovrebbe partire da qui per inquadrare meglio il problema da un punto di vista strategico.
Inoltre sarebbe fondamentale, subito dopo aver chiarito meglio questi aspetti, inviare comunque intanto una diffida sia all’ente responsabile sia alla società che gestisce la raccolta con l’invito ad effettuare il servizio anche all’interno dell’area privata, per portare la vertenza ad un livello più concreto e iniziare a formare documentazione ufficiale che in seguito potrebbe essere importante.
Per vedere cosa costerebbe una diffida del nostro studio, ed eventualmente acquistarla, puoi collegarti a questa pagina Ti raccomando, con l’occasione, di iscriverti alla newsletter del blog, o, se non ti piace la mail, al gruppo Telegram, in modo da non perderti importanti e utili aggiornamenti quotidiani.
Come probabilmente sapete già, mi sono iscritto ad un master di counseling, per diventare appunto counselor.
Ma che cos’è il counseling?
In termini molto elementari, ma a mio giudizio abbastanza efficaci, il counseling consiste nel farsi ascoltare da un «esperto», esperto in niente di molto più specifico che non sia l’ascolto stesso, per ricevere un aiuto nella definizione di una o più strategie o tattiche per poter affrontare uno o più problemi della vita, di qualsiasi genere, dal lavoro, alle relazioni, alla spiritualità, alla personalità e così via.
Entrare in questo mondo per me è stato davvero molto spontaneo.
Sono avvocato da 22 anni, per tutto questo tempo ho cercato di aiutare le persone definendo strategie efficaci per i loro problemi legali – che, come tali, non sono mai problemi giuridici, ma presentano sempre profonde radici emotive.
Da alcuni anni, sono mediatore familiare e aiuto le coppie, cercando anche in questo caso di definire delle strategie per poter raggiungere i loro obiettivi, auspicabilmente di composizione delle crisi o, nei casi meno fausti, di separazione – è noto che io sono molto favorevole alle riconciliazioni o al lavoro sulla coppia, specialmente quando ci sono i figli, mettendo la soluzione della separazione sempre all’ultimo posto.
Come counselor, potrò aiutare le persone, gli individui, andando per certi versi anche alla radice dei primi due problemi, quelli legali, che coinvolgono due individui non necessariamente legati da relazioni specifiche, e quelli di coppia, che spesso originano da problemi singoli di uno o dei due componenti della stessa.
Mi sento molto portato per questo tipo di lavoro, per via delle mie doti di empatia e della mia preparazione tendenzialmente eclettica, a cavallo delle scienze umane e della tecnica, con la quale sorprendo sempre le persone che hanno a che fare con me quando vedono che mi destreggio abbastanza bene sia con la letteratura, la filosofia e la fede, sia con le tecniche più moderne – nel colloquio che ho avuto ieri ad esempio ho consigliato ad una mia cliente di creare una campagna utilizzando facebook ads, un sistema di marketing che ho approfondito per interesse personale e che ho trovato molto efficace.
La mia fortuna, appunto, è stata probabilmente quella di essere sempre stato molto curioso, senza porre confini, e interessato da tutto quello che avrebbe potuto essermi utile o anche solo divertente.
Credo che aiutare gli altri sia anche molto cristiano e so che, ad ogni modo, aiutare davvero gli altri mi piace e mi dà profonda soddisfazione (purtroppo, molte persone non vogliono essere aiutate).
Nel campo dei problemi legali, purtroppo tutto quello che puoi fare per aiutare gli altri incontra mille ostacoli che sfuggono dalla tua sfera di controllo: puoi impostare bene un ricorso o una strategia, ma poi c’è un giudice che decide e magari vede le cose in modo diverso da te. Nel campo del lavoro individuale, il rapporto è tra il consulente e l’individuo – e questo è francamente e finalmente meraviglioso.
Le persone oggigiorno non sono felici.
Potete tentare di venirmela a raccontare in qualsiasi modo, ma io sono 22 anni che tengo le mani dentro alle ferite più brucianti della gente e so che cosa c’è nella pancia di più o meno tutti.
Facendo l’avvocato, ho raccolto più confessioni di un frate, quindi so perfettamente cosa dico.
Parlo di persone che avrebbero tutto per essere felici, ma non lo sono.
Anzi, stanno male, proprio male e continuano a girare in tondo senza riuscire ad uscirne.
Per metterci anche la ciliegina sopra, finiscono per giudicarsi molto aspramente per la situazione in cui si trovano…
Io sono andato verso il counseling per la tensione verso il dolore e la sofferenza di queste persone, dopo un percorso di crescita individuale che mi è capitato di fare e che mi ha reso molto più forte, felice, resiliente.
Ovviamente, non tutto può essere risolto con il counseling, che è un tipo di intervento che si basa sulla parola, che è uno strumento potentissimo, ma non sempre sufficiente.
Peraltro, il counseling si può utilizzare per persone che sono «sanissime», non presentano alcun disagio, ma posso semplicemente giovare dell’aiuto di un punto di vista diverso («think different») per affrontare le cose della loro vita o semplicemente per fare crescita personale, una cosa importantissima che ognuno di voi deve fare da quando nasce a quando muore (e, probabilmente, anche oltre…).
Il counselor si colloca, a mio modo di vedere, su un primo, ma vastissimo, gradino di lavoro di cura e relazione con la persona, quello dei «sani» che possono giovarsi di un aiuto esterno o delle persone con disagi contenuti.
Se i disagi sono più grandi, ma si possono curare ancora con la parola, si può tentare con uno psicoterapeuta, magari insieme ad un counselor.
Se sono più grandi ancora, c’è lo psichiatra o, ulteriormente, il ricovero sanitario.
Sempre come avvocato, mi è capitato, ad esempio, di ricevere tre persone, in altrettante occasioni diverse, che erano vittime di veri e propri deliri – di persecuzione, di distorsione della realtà – con le quali ogni terapia basata sulla parola sarebbe stata inutile.
Ognuna delle figure che si occupano della persona (counselor, psicoterapeuta, consulente filosofico, psichiatra, ecc.) deve avere l’onestà di inviare la persona alla figura più appropriata per lui, sia in alto che in basso, a seconda della situazione e della gravità del problema e questa è e sarà sempre la mia «proposizione etica» come counselor.
Da oggi, il blog cambia anche il suo payoff, che diventa, da «avvocati da volto umano» qual era, «avvocati, mediatori e counselor dal volto umano».
Con questo ultimo tassello, si compie finalmente una prima grande fase della mia evoluzione come persona e come professionista.
Sono arrivato ad un punto che, in precedenza, non avevo nemmeno bene identificato come quello mio di arrivo, come sempre avviene nella vita, che è come un puzzle da ricostruire, in cui ricevi un pezzo alla volta da sistemare, senza però poter vedere l’immagine d’insieme.
Ma sento che era questo il punto cui dovevo arrivare.
Il lavoro di qualsiasi professionista, artigiano, imprenditore, lavoratore, familiare ha senso solo se è davvero utile agli altri.
Ho sempre intuito che al centro del mio lavoro avrebbe dovuto esserci l’uomo, con le sue esigenze, da trattare in modo umano – da qui lo slogan, fortunatissimo, degli «avvocati dal volto umano». Ho preso una professione tradizionalmente burocratica, fatta di tanta incomunicabilità con il pubblico degli assistiti, e ho cercato di renderla umana e mettere al centro il cuore e il lavoro sul cuore, da me ultimamente sempre più spesso proposto in alternativa a quello giudiziario classico.
Da là a prendere in mano la persona in modo completo il passo è stato davvero breve, ogni avvocato tocca con mano più volte al giorno la radice emotiva e individuale di tutti i problemi legali.
Dopo tanti anni passati non dico a girarci intorno, ma a vedere i problemi più da lontano, senza poter intervenir più nel profondo, finalmente avrò la possibilità di fare sempre di più quel lavoro sul cuore di cui oggi c’è assoluto bisogno.
Adesso concludo, ci sarebbero tante altre cose da dire, ma magari va ne parlerò in altri post successivi, come facciamo sempre sul blog.
Io posso solo ringraziarvi perché se sono qui a poter scrivere e fare queste cose è quasi solo merito vostro che mi avete dato fiducia e scelto per la trattazione dei vostri problemi, a volte delicatissimi, e mi avete fatto crescere, in tutti questi anni, sia come professionista che come uomo.
Il minimo che possa fare è continuare ad esserci, sempre, a disposizione per ascoltarvi.
Sapete che, quando c’è qualcosa che vi fa male, quando vi fa male da qualche parte, potete venirne a parlare con me.
Evviva noi e che Dio vi benedica e volga sempre il suo volto verso di voi.
PS vi lascio questo breve, ma eccezionale, video di un grande maestro, Mauro Scardovelli, che spiega ancora più approfonditamente cosa sia il counseling, parlando delle fondamentali intuzioni di Carl Rogers.
il figlio più grande di mio marito (15 anni) ha chiesto ad entrambe i genitori, in un incontro congiunto da lui richiesto, di potersi trasferire da noi (da 5 anni lui e suo fratello di 11 anni vivono con la mamma a seguito di separazione e successivo divorzio), mantenendo comunque i rapporti con la mamma come erano quelli con il padre (1 we si ed uno no e 1 giorno a settimana). Viviamo in due paesi distanti 18 km e lui ha chiesto, ovviamente, anche di cambiare scuola. Mio marito ed io ci siamo subito detti favorevoli, mentre la madre si oppone chiedendo un perizia psicologica per il ragazzo (che è stabilissimo psicologicamente) volendo però stare lontana da avvocati e tribunale perché non “ha soldi per pagare». Mio marito ha trovato una psicologa specializzata in problematiche adolescenziali e ha chiesto a lei di comunicare la sua volontà al ragazzo: lei si rifiuta di farlo. Come ci si può comportare per evitare traumi al ragazzo che è stressatissimo?
Mi sembra evidente che ci si trovi di fronte ad una mamma che, per mille motivi magari che al momento non possiamo indagare, ma tra i quali potrebbe annoverarsi anche il timore di perdere un mantenimento, non vuole proprio sentirci.
Ad ogni modo, le strategie non sono molte, o meglio la strategia può essere solo una, molto semplicemente.
In prima battuta, dovete provare a invitare la madre davanti ad un mediatore familiare, per vedere se possibile instaurare un percorso di una o più sedute in cui discutere di persona il problema e trovare una soluzione concordata.
Nel caso in cui ciò avvenisse e si raggiungesse un accordo, bisognerebbe poi formalizzarlo tramite un accordo in house, per maggiori dettagli sul quale rimando alla scheda relativa.
Se la madre non venisse alla mediazione familiare, oppure, pur partecipando, non si raggiungesse nessun accordo, l’unica soluzione per determinare il cambio delle condizioni sarebbe un ricorso appunto per modifica condizioni, in cui chiedere, in prima battuta, l’audizione del figlio di 15 anni che vuole trasferirsi dal padre.
Ovviamente se la cosa si potesse definire tramite un accordo davanti al mediatore sarebbe preferibile per svariati motivi, dunque vale la pena investire un po’ di tempo, attenzione e denaro in questo tentativo.
Solo se la mediazione dovesse fallire, si potrebbe considerare il passaggio alla fase successiva.
Se vuoi un preventivo, sia per la fase di mediazione che per quella di ricorso in giudizio, puoi chiederlo compilando il modulo apposito nel menu principale del blog.
Sono in alterco con un mio parente per un tetto che si deve ripristinare. Vengo al sodo. Dopo la morte dei miei suoceri abbiamo diviso l’immobile. A me è toccato il piano dove abitava mia suocera che era fornita di tutte le utenze. Il mio parente cioè il figlio abitava all’ultimo piano ma non aveva le utenze perchè usufruiva degli stessi contatori che erano allocati nell’appartamento dove abitava mia suocera. Dopo che abbiamo fatto l’atto e mi ha dato la chiave dell’appartamento con grande stupore notai che nell’appartamento mancavano tutte le utenze. Praticamente si è fatto la voltura di tutte le utenze trasferendoli nel suo appartamento senza dire niente a nessuno principalmente a me. Io ho dovuto fare tutti gli allacciamenti delle utenze con una spesa non indifferente. Adesso mi fa pervenire una diffida da un avvocato per il rifacimento del tetto.
Se hai già ricevuto una diffida da parte di un avvocato, è pressoché d’obbligo che tu metta la materia in mano prima possibile ad un tuo avvocato di fiducia, per confezionare una risposta adatta, ma soprattutto per gestire la situazione con la strategia migliore.
Detto questo, in generale la questione dei contatori è e resta una questione diversa da quella del tetto, che evidentemente, almeno a giudizio del tuo parente, abbisogna di interventi di manutenzione, riparazione, rifacimento e così via.
Questa richiesta ovviamente non la puoi paralizzare sostenendo che in passato sono stati fatti degli illeciti riguardo le utenze, ma intanto devi valutare la situazione del tetto, anche perché potrebbero derivarne problemi anche di sicurezza, sia vostra come condomini sia di eventuali terzi.
Tutto quello che puoi fare, sempre che la questione riguardante le utenze sia fondata, sarà richiedere un risarcimento danni, coltivando una vertenza a parte, la cui opportunità e convenienza potrai valutare con il legale che sceglierai intanto comunque per la questione del tetto.
È importante capire che non si può operare compensazione di somme di denaro finché le somme che si vorrebbero mettere in compensazione non sono state entrambe liquidate, cioè determinate nel loro preciso ammontare, salvo che non si raggiunga, a riguardo, un accordo.
Anche per il raggiungimento di un accordo, tuttavia, credo che sia per te assolutamente indispensabile l’assistenza di un avvocato o, tutt’al più, di un mediatore.
Se vuoi un preventivo da parte del nostro studio, puoi chiedercelo compilando il modulo apposito che trovi nel menu principale del blog.
sono titolare di uno studio che si occupa di consulenze, visure, accertamenti e certificazioni. Sono stato incaricato da un avvocato, che è anche amministratore di condomini, di eseguire la trascrizione di un pignoramento e successivamente di reperire la documentazione ex art.567 cpc, per il recupero di un credito relativo ad condomino moroso. Al termine della mia prestazione l’avvocato mi ha detto di intestare la fattura al condominio. Sono trascorsi già oltre due anni e, nonostante i vari solleciti, il condominio non ha ancora saldato la mia fattura. Siccome dubito che provvederà al pagamento di quanto mi spetta, volevo sapere come poter soddisfare il mio credito ed in particolare se è possibile rivalermi direttamente nei confronti del legale quale soggetto che mi ha richiesto la prestazione.
La cosa andrebbe approfondita maggiormente.
Intanto, può anche darsi che questo «avvocato» sia l’amministratore stesso del condominio, molti avvocati infatti lavorano come amministratori condominiali.
Se questa fosse l’ipotesi, l’avvocato avrebbe agito come rappresentante del condominio e non sarebbe tenuto anche in proprio.
Se, invece, fosse ad esempio un consulente esterno del condominio e del suo amministratore, potrebbe essere chiamato a rispondere del debito insieme al condominio dal momento che è stato lui stesso a dare l’incarico.
Al momento, la mossa strategica da fare è quella di inviare una diffida ad entrambi, cioè sia all’avvocato che ha conferito l’incarico, sia al condominio, in persona del suo amministratore, richiedendo il pagamento ad entrambi.
Dopodiché si valuta, anche in base alle risposte pervenute.
Qualora il professionista che ha conferito materialmente l’incarico non fosse comunque coinvolgibile nell’azione di recupero, resterebbe ad ogni modo la responsabilità del condominio che, solitamente, nonostante le lentezze e le difficoltà a prendere decisioni, è un soggetto solvibile.
Consiglio per il resto di leggere la scheda sul recupero crediti.
Ultimamente, mi piace molto scrivere post in cui ho assolutamente ragione, ma si tratta di una di quelle ragioni che per molti è meglio ignorare, non dire, far finta che non esista. Così il mio blog diventa ogni giorno di più unico e io mi diverto sempre di più a riempirlo di contenuti.
Oggi ti voglio parlare di formazione forense, quella cosa per cui ogni avvocato iscritto all’albo, a certe condizioni, è obbligato a frequentare corsi e altre iniziative di «aggiornamento», con lo scopo finale di garantirne la miglior preparazione e idoneità ad assistere le persone che si rivolgono al suo studio.
Siccome non c’è un altro modo per esprimere questo concetto, dirò subito che la formazione permanente degli avvocati è, dal punto di vista funzionale (non invece, come ti spiegherà meglio dopo, da quello commerciale), una colossale idiozia perché nella pratica non funziona, non può funzionare e, il giorno in cui funzionasse, sarebbe probabilmente molto più dannosa che utile.
Non funziona e non può funzionare perché propone approfondimenti ad una platea di operatori che per larga parte manca di una formazione adeguata, delle famose «basi», della capacità di inquadrare correttamente un problema in diritto, di capire il diritto stesso.
Non ci credi?
Fai come vuoi.
Io, che ci vivo in mezzo da oltre vent’anni, ti dico che una non trascurabile fetta di avvocati non è in grado di capire il diritto e nemmeno di «leggere» il codice civile, cioè di sapere cosa significhino davvero le disposizioni del codice o come debbano essere interpretate individualmente ed in relazione al sistema in cui sono inserite.
Per fortuna, il diritto serve a poco per la risoluzione dei problemi legali…
Li avete visti anche voi, quegli avvocati alla perenne ricerca di una sentenza di Cassazione, come se fosse un feticcio o una panacea in grado di risolvere tutto (quando magari si versa in una materia o caso o aspetto in cui e su cui una sentenzanon ci può essere), o che agitano massime giurisprudenziali trovate facendo una sciatta ricerchina nelle banche dati, di cui non hanno capito granché e che ha scarsa, per non dire nulla, attinenza col caso concreto.
Li avete visti perdersi nel dettaglio senza avere una buona idea di base circa l’impostazione del procedimento, soprattutto dal punto di vista della strategia.
Queste lacune, che sono enormi voragini, non potranno mai essere colmate da convegni, seminari, riunioni dove chi partecipa può fissare lo sguardo sull’oratore di turno ma pensare ai casi suoi per tutto il tempo, senza che ci sia una verifica di quanto appreso – verifica che, sia detto per inciso, non si auspica affatto, perché significherebbe solamente aggiungere una buffonata ad un’altra buffonata – chi farebbe le verifiche, altri somari?
Il punto, alla fine, è proprio che con la formazione forensesi propongono approfondimenti ad una platea che, spesso, non dispone delle basi.
Non ne dispone perché la formazione universitaria è completamente insufficiente a tale scopo, mentre per quella post universitaria il giovane professionista è lasciato per lo più al caso (che è per lo più sfavorevole): se ha la fortuna di avere un buon maestro che gli apre davvero lo studio (gli fa vedere fascicoli, appuntamenti, udienze, ecc.) allora impara e assorbe (e questo maestro andrebbe pagato, non certo essere lui a pagare il praticante – altra colossale idiozia di cui magari parleremo), viceversa nel caso contrario.
Vi sembra normale che durante l’intero corso di studi universitari di cinque anni si sostenga un solo esame di diritto privato o civile, che è in realtà il «diritto comune» che si applica quando non vigono legislazioni speciali, peraltro al primo anno, quando uno studente è troppo acerbo e giovane per assimilarlo davvero, finendo per dimenticare quel poco che ha imparato nei due o tre anni successivi, ancor prima di laurearsi?
Un avvocato, in sostanza, quella materia che poi dovrà maneggiare per tutto il resto della sua vita professionale la studia per tre, quattro mesi circa al primo anno e poi la mette via per tutti gli altri cinque anni cui corrispondente la durata del suo corso di studi.
Come può possedere adeguate basi giuridiche?
Per rendersi conto delle proporzioni del disastro, basta essere un giudice o un avvocato e leggere tutti i giorni atti processuali scritti da altri avvocati.
That simple!
Quando si aprono certi atti, per niente rari, che non sono scritti nemmeno in Italiano, si capisce che l’autore dovrebbe ripartire da capo con la sua formazione giuridico legale, ma anche linguistico grammaticale e logica, perché manca il famoso «ABC», non solo del diritto ma della logica comune.
La gente comune pensa che il problema degli avvocati siano il cinismo, la scaltrezza, la cialtroneria, la corruttibilità, il menefreghismo, gli intrallazzi, ma in realtà questi sono fenomeni di fatto relativamente molto rari.
La maggior parte degli avvocati è onesta ed è seriamente intenzionata a far del meglio per il proprio cliente, solo che un po’ troppo spesso non è in grado di farsi venire l’idea giusta.
Per fortuna, il diritto serve, come cennato, davvero a poco per la risoluzione dei problemi legali, mentre quella che importa di solito è la capacità di definire una strategia e una tattica vincenti.
Sempre per fortuna, una buona parte delle vertenze viene definita con accordi amichevoli, che sono un vero dono di Dio sia per i protagonisti delle vertenze stesse, che magari non se ne rendono nemmeno bene conto, sia per la salute del sistema giudiziario in generale, che meno viene oberato e meglio è.
Dicevo prima che la formazione forense non è una idiozia dal punto di vista commerciale. In effetti, l’unico valore che ha rivestito questa riforma, che non ha certamente accresciuto la preparazione degli avvocati – che, per quanto mi riguarda, non può che poggiare al 90% sullo studio e l’impegno individuali – è stato quello di determinare l’incremento degli affari degli enti di formazione vari che sono spuntati sul mercato e che costantemente spammano le caselle mail degli iscritti agli albi con i loro eventi.
Con questo non voglio fare il complottaro e dirti che la formazione forense è stata introdotta solo per ragioni lobbistiche e di business. Probabilmente è stato invece un onesto, ma maldestro, tentativo di risolvere il problema della preparazione in alcuni casi scarsa degli avvocati, che però non ha risolto il problema ed è stato benefico più che altro per gli affari di chi è finito ad occuparsene professionalmente.
Quale può essere allora la soluzione?
Non spetta a me proporlo, quello che mi premeva dirti con questo post è che la formazione forense andrebbe intanto completamente smantellata, perché determina una mera perdita di tempo per i professionisti che vi sono sottoposti, tempo che gli stessi devono sottrarre alla cura delle pratiche che sono state a loro affidate (quanti colleghi che si portano il computer per lavorare ai convegni), ed è quindi alla fine, se si vuol dire la verità fino in fondo, un danno per la produttività degli avvocati, quella poca che, pur con tutti i loro limiti, possono dare ai loro clienti.
Per garantire una preparazione adeguata dei professionisti temo che si debba partire da molto più lontano e cioè da un serio percorso universitario e post universitario, soprattutto da una pratica e post pratica fatte come si deve.
È tutto per oggi…
Se il post vi piace, condividetelo come se non ci fosse un domani.
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Sei coinvolto in un procedimento o in una vertenza legale e vuoi avere un grosso vantaggio competitivo sull’altra parte della lite che stai per affrontare?
C’è un primo passo molto importante da fare, che è difficile più a livello psicologico che altro, che però ti conferirà un vantaggio netto su tutti gli altri soggetti coinvolti nella vertenza.
Questo passo è: ammettere di non capirci un cazzo e fidarti del tuo avvocato.
Ne ho già parlato nel post sull’utilizzo della posta elettronica nel mondo del lavoro contemporaneo e la tematica ha molto colpito, torno quindi sul tema con un post a parte.
Il primo problema: ripulire la testa.
Un grosso problema che presentano i clienti degli avvocati nel mondo di oggi è quello di arrivare a studio regolarmente con la testa infarcita di cazzate.
Queste cazzate sono state accuratamente raccolte, di solito, con qualche ricerca su google, parlando con un cancelliere del giudice di pace di Canicattì in pensione, con un cugino che ha affrontato una causa civile che non finiva più – pensa! – 30 anni fa, con uno che una volta ha visto un avvocato entrare in tribunale e, persino, da un figlio o altro parente laureato in giurisprudenza.
L’illusione della laurea in giurisprudenza.
Tra tutte queste «fonti di cazzate» – chiamiamole così – che, peraltro, sono solo alcuni esempi, dal momento che qualsiasi elemento può essere prezioso agli occhi di una persona che comunque non si fida degli avvocati e vuole disperatamente capirci qualcosa da solo, la peggiore di tutte, perché più insidiosa, è sicuramente quella del parente laureato in giurisprudenza.
La laurea in giurisprudenza non conferisce affatto la facoltà di capire come deve essere trattato un problema legale.
Per acquisire in modo completo questa competenza bisogna:
a) aver svolto la pratica legale per almeno dieci anni; b) non avere la testa piena di segatura (testa con la quale invece una laurea in giurisprudenza si può prendere benissimo).
Per questo la laurea in giurisprudenza del parente è la fonte di cazzate più insidiosa, perché può apparire autorevole ma non lo è affatto.
Chi si laurea in giurisprudenza in Italia non capisce, quando esce, ancora nemmeno il diritto, cosa per la quale è necessario studiare per diversi anni di più. Se si considera che il diritto raramente serve per definire la corretta strategia di trattazione di un problema legale, si può ben capire che un laureato in giurisprudenza ha davvero poche carte in più da spendere di una persona comune. È un soggetto che si è letteralmente fermato a metà e, da quella posizione, tutto quello che può pensare o dire può solo fare enormi danni.
Chiudiamo comunque la parentesi e torniamo al tema principale.
Il tempo che si perde per la pulizia.
A volerlo ridurre ai minimi termini, il punto è che, se si inizia a trattare un problema legale con un appuntamento di un’ora, la prima mezzora di tempo – peraltro tempo di un avvocato, quindi pagato non a poco prezzo – viene buttata per svuotare la testa del cliente da tutte le cazzate che lui stesso ci ha messo dentro e che non solo non servono a niente ma possono essere infinitamente dannose per la trattazione della vertenza.
Partiamo, come sempre, dalla realtà.
La realtà l’abbiamo già accennata ed è che una persona che non ha preso una laurea in giurisprudenza, un titolo di abilitazione, non ha svolto la professione, risolvendo problemi ed affrontando casi, per almeno 10 anni non è assolutamente in grado di capire come debba o possa essere trattato un problema legale.
Non è in grado nemmeno di averne un’idea.
Ci sono troppi profili di diritto, sia sostanziale che processuale, per cui è inutile.
Non si può neanche spiegare più di tanto – questa è la cruda e per molti poco accettabile verità.
La favoletta per cui l’avvocato deve illustrare al cliente la propria strategia, il cliente la deve condividere e poi si parte funziona fino ad un certo punto perché il cliente non la può capire mai davvero e l’avvocato, per spiegare cosa conviene fare nel suo caso, non può dargli in mezzora spiegazioni equivalenti ad un corso di laurea quinquennale in legge e all’esperienza accumulata in dieci anni.
Si può parlare, evidentemente, solo per sommissimi capi.
La profonda tenerezza di quelle persone che «Ho già capito come funziona, ho parlato con un geometra che fa le CTU in tribunale che mi ha detto questo e quello…».
Che bello, mi fa ridere ogni volta ancora oggi dopo ventidue anni che la sento.
Il vero motivo di tutte queste cazzate.
Bene. Detto questo, andiamo a vedere perché la gente si punisce così, si priva della possibilità di poter condurre efficacemente la vertenza che le sta a cuore.
Magari ci sono varie spiegazioni, ma il fattore principale è uno solo – anche qui dobbiamo regalarci una verità: la gente non si fida degli avvocati.
Questo è sicuramente legittimo e, in alcuni casi, molto più circoscritti di quel che si crede comunemente, anche conveniente.
Ma un rapporto basato sulla non fiducia, dove c’è un soggetto che deve continuamente controllare l’altro in una materia in cui non ha alcuna speranza di capire un cazzo, può mai funzionare?
Facciamo un esempio.
Sei un imprenditore. Devi assumere una persona per fare un certo lavoro. Sai che non è in grado di farlo, ma pensi che facendola controllare da un’altra persona possa svolgerlo. La assumi lo stesso? Non ti conviene forse assumere un’altra persona che sembra in grado di svolgere da sola questo compito?
La realtà è che tutti i rapporti umani che si basano sulla convinzione di una delle due parti che sia opportuno cambiare l’altra sono destinati a naufragare.
Funzionano i rapporti con le persone che ti vanno già bene così come sono e devi solo pregare che non cambino più di tanto e ringraziare Dio di averli così.
Quindi la «brutta notizia» è che la fiducia del cliente nel proprio avvocato è radicalmente irrinunciabile.
No fiducia, no party!
Questo è il messaggio da portare a casa.
Non pensi di poter avere fiducia nel tuo avvocato? Cerca di capire bene questo punto, valutando al netto delle cazzate di cui è magari piena la tua testa e di cui prima abbiamo fatto degli esempi.
Ma se ritieni che non sia degno di fiducia cambialo, tutto il resto è inutile. Non lo puoi controllare, aiutare, stimolare, incoraggiare, fargli fare un lavoro che non sei in grado di capire.
Ascoltare gli avvocati: il vero segreto.
Quando hai trovato un avvocato in cui hai fiducia – meglio ovviamente all’inizio del rapporto, piuttosto che cambiarlo in corso di vertenza – allora semplicemente fai quello che volta per volta ti consiglia lui.
Ascoltalo.
Questo è molto importante. Oggigiorno, la gente paga gli avvocati in media 100 euro all’ora per andare a sentire cosa ne pensano del loro caso e poi non li ascolta.
Parla per sfogarsi, poi quando è ora di aprire le orecchie per sentire e capire – non da google, non dal cugggggino, non dal carabiniere in pensione, non dal nipote laureato in giurisprudenza, non dalla televisione, ma da uno che è veramente in grado di dire cosa bisogna fare e che hanno pagato apposta – non lo fa, non ascolta!
Qui c’è il compito più interessante dell’avvocato, quello di fare da cerniera tra il mondo della pratica legale e gli utenti finali, adeguando anche lo stesso linguaggio a quello dell’utente del caso che c’è da affrontare volta per volta, per fargli capire davvero quelle linee strategiche essenziali che riguardano la sua vertenza.
Ma anche qui il cliente a volte non fa la sua parte. Rifiuta di abbandonare le cazzate cui ormai si è affezionato, non si dispone ad ascoltare, continua a suonare una lamentela.
Come se questo potesse servire a qualcosa!
Qui l’avvocato deve tirare fuori tutta la sua pazienza per disseppellire il cuore e il cervello del cliente e riuscire a parlare davvero con lui.
Ma che davero?
In tutto questo, a volte arriva qualcuno che chiede «Ma io devo pagare 100 euro solo per parlare del mio problema?»
Il mio messaggio per costoro è un semplice: andate affanculo.
Lo dico a questo genere di utenti, per fortuna pochi, che ogni tanto si affaccia.
Non sapete parlare, non sapete ascoltare, non avete idea di cosa comporta il problema che avete, ve lo siete probabilmente procurati da soli con la vostra stessa dabbenaggine e io, che sono l’unico che può davvero aiutarvi, anche se facendo il quadruplo della fatica vista la partenza, dovrei dedicarvi gratuitamente il mio tempo e la mia attenzione, sottraendolo ad altri come voi, più assennati di voi, che li hanno regolarmente acquistati e a cui li devo?
Andate affanculo, that simple.
Ecco, un primo grande aiuto. Uno che vi manda affanculo. Una funzione formativa di livello apicale. Purtroppo, non tutti gli avvocati lo fanno e così probabilmente continuerete a cuocere nel vostro brodo.
Il messaggio da portare a casa.
Ma chiudiamo anche quest’altra parentesi.
Qual è il messaggio da portare a casa per chi ha un problema legale, capisce che l’unico che può aiutare a risolverlo è un bravo avvocato e vuole avere un rapporto sano e costruttivo con il proprio avvocato?
Dimenticare tutto. Fare tabula rasa. Prendersi una giornata libera dal lavoro, chiedere un favore ad un amico e farsi dare ripetutamente un mattone – usate quelli pieni, non i forattoni – in testa finché non si sarà raggiunta l’amnesia completa. Bisogna scordarsi persino che esiste google, i carabinieri, i cugini, le lauree in giurisprudenza.
Scegliere un avvocato che sia una brava persona, davvero intenzionato ad aiutare i propri clienti, con un minimo di intelligenza tattica e strategica, al di là della conoscenza del diritto. Attenzione, altra grande verità: per scegliere una brava persona, per capire se un avvocato è una brava persona, una persona autentica, non serve sapere assolutamente niente di diritto.
Rassegnarsi ad avere fiducia pressoché completa in quell’avvocato e seguire i consigli e le indicazioni che, con la sua saggezza derivante dall’esperienza, fornisce.
Rassegnarsi al fatto che le vertenze si vincono, si perdono, si pareggiano. L’importante è cercare di curarle nel modo migliore e l’unico modo per farlo è seguire i tre punti precedenti.