mia moglie è andata via di casa con mio figlio 13enne,si è inventata tramite un centro antiviolenza, violenza psicologica, in prima istanza ma ancora senza notifica il giudice ha deciso che dovrei lasciargli la casa con mutuo cointestato entro fine settembre, e 350 euro al mese.Come è possibile che una che si inventa una cosa del genere non rischi nulla anzi viene premiata con l’assegnazione della casa, tra l’altro guadagna più di me e si può permettere un affitto,e il marito debba solo subire, e lottare per il figlio completamente manipolato da lei
Se ho capito bene, hai «subito» una separazione giudiziale, c’è già stata l’udienza presidenziale e il presidente ha assegnato la casa familiare a tua moglie, prevedendo il pagamento di un mantenimento di 350€ al mese, non si capisce se a favore di tua moglie o per tuo figlio.
Non capisco, a riguardo, cosa c’entri la notifica. La notifica dei provvedimenti presidenziali viene fatta solo quando uno è contumace, se conosci il contenuto dei provvedimenti mi sembra improbabile che tu sia rimasto contumace.
Ad ogni modo, una soluzione di questo genere è quello che avviene di solito in casi di questo tipo, anche senza un contesto di eventuale violenza. Per la tutela del figlio minore, la casa familiare viene assegnata alla madre, che così viene a godere indirettamente di un vantaggio, ma non in quanto tale bensì quale genitore che comunemente viene ritenuto come più adatto alla cura del figlio.
Ovviamente tutto questo è oggetto di contestazione da molti anni e attualmente c’è un disegno di legge volto a cambiare questa situazione, che però non mi convince del tutto perché eventuali nuove disposizioni sono comunque destinate a fare i conti con la realtà delle famiglie disgregate che è diversa da caso a caso.
Il tuo caso, peraltro, sarebbe da approfondire perché in queste poche righe si intuisce che ci sono tematiche molto complesse, ma in questa sede non si può dire più di tanto.
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In questo periodo della violenza alle donne si legge spesso. Dall’analisi dei dati statistici sembra che una donna su tre nella sua vita sperimenta la violenza di genere. Nel 2013, la legislazione internazionale con la Convenzione di Istanbul, ratificata nel 2014 dall’Italia, definisce la violenza di genere domestica come “…. tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano nell’interno della famiglia o tra attuali o precedenti coniugi e/o partner, indipendentemente che l’autore condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima”.
La legislazione tutela il diritto di tutti gli individui e segnatamente delle donne, di vivere liberi dalla violenza sia nella vita pubblica che privata; garantisce anche a livello internazionale adeguati meccanismi di cooperazione efficaci tra tutti gli organismi statali competenti: -le autorità giudiziarie, -i pubblici ministeri, -le forze dell’ordine, -le agenzie regionali e locali. Si intende far fronte ad un problema che investe non solo la sfera giuridica del singolo, ma, prima ancora, la società, che vive tuttora imprigionata negli stereotipi di genere: la donna sottomessa, obbediente, dipendente dall’uomo. Questi ruoli, a mio modesto avviso, sono obsoleti; educazione, cultura, sensibilità insegnano che le persone sono libere di essere sé stesse, interdipendenti le une verso le altre; non è dato sapersi però se questa mia convinzione sia concreta o realizzabile o utopistica. Si distinguono due generi di violenza: a rischio elevato e a rischio non elevato: in entrambi i casi- anche con la Convenzione di Istanbul, ratificata con la legge 77 /2013 in Italia-, si pone l’attenzione sulla violenza psicologica come fattore di rischio che può portare alla morte della vittima. Viene minato il benessere della persona spezzando lo sviluppo delle sue potenzialità umane; la persona viene relegata ad un ruolo di assoluto subordine. Le modalità sono varie, tante quante sono le persone. Si raggruppano sotto definizioni giuridiche tipizzate ad esempio: minaccia, ingiuria, maltrattamento; azioni od omissioni reiterate nell’arco di un tempo, veramente in molti casi lunghissimo, inflitte al fine di rendere completamente succube la vittima. La vittima soffre di depressione, ha paura, ha bassa autostima, si sente impotente, è isolata e soprattutto ha vergogna. Si è detto che un terzo della popolazione femminile subisce violenza: se le conseguenze sono quelle pocanzi illustrate, è plausibile sostenere che una larga fetta di popolazione è in stato di sofferenza e assolutamente bloccata, non libera di utilizzare le proprie potenzialità per lo sviluppo; si direbbe un grave danno.
Questo disegno criminoso ha un movente così misero rispetto al danno che causa, eppure il colpevole si avvale della complicità di una società che impone alla donna ancora di obbidire all’uomo.
Quando la violenza è a rischio elevato, significa che vi è rischio che la vittima venga uccisa: la Convenzione di Istanbul prevede il divieto di metodi alternativi di risoluzione del conflitto fra cui mediazione e conciliazione; prevede l’immediato allontanamento della vittima. Nel caso di rischio non elevato si inserisce la persona nella rete di accoglienza psicosociale al fine di pianificare un ritorno alla vita senza violenza e costrizioni. In entrambe i casi la donna deve superare – la vergogna ed il timore del giudizio degli altri -il senso di colpa che la porta ad auto attribuirsi la responsabilità della violenza, -il rischio di non essere creduta.
Per favorire la difesa concreta dalla violenza mi permetto di accennare a due dei tanti mezzi utilizzabili per la tutela di sé stesse contro la violenza domestica: 1) rivolgersi al consultorio familiare più vicino, il quale prevede il seguente protocollo di accoglienza: colloquio in un luogo protetto ed inserimento nella rete di protezione; l’ascolto nel colloquio è privo di giudizio e mirato ad individuare la situazione di rischio della vittima. A seguito di tale colloquio, il consultorio forma un’equipe per assistere la vittima, in relazione anche a rischio valutato che essa corre. Se vi è violenza, vi è obbligo di denuncia; 2) scaricare applicazione del cellulare: 112 ARE U per chiamare il numero europeo di emergenza anche in chiamata silenziosa.
Vivo una storia da tre anni con un uomo sposato, con alti e bassi. Lui in più occasioni ha detto di voler lasciare la moglie, con cui ha due figli, per costruire una famiglia con me, e ha anche compiuto dei passi concreti in questo senso, come affittare una casa, però ultimamente, in questi giorni, mi ha detto di aver deciso di provare a ricostruire con sua moglie. Io sono disperata, per lui avevo anche lasciato il mio ragazzo, ma soprattutto lo amo… Da quando mi ha detto così sto malissimo, passo momenti in cui vorrei metterli sotto con la macchina, lui e sua moglie, inoltre mi sono imposta di non scrivergli e non parlargli, vorrei farlo ma penso che sia meglio per il momento stargli lontana. Non so cosa fare, so solo che sto malissimo. Mi date un consiglio? Spero di fare cose buone…
Non è con la violenza che puoi uscire da una situazione di questo genere, violenza contro di «loro» (anche solo immaginata, di metterli sotto con la macchina) ma soprattutto contro di «te» (l’imposizione di non telefonare, non incontrarlo, non fare altre cose che vorresti fare ma pensi che non sarebbero opportune).
Tutto al contrario, è solo con l’amore che si può uscire da vicoli ciechi di questo genere, amore che però deve essere:
a) genuino e animico e non, invece, egoico;
b) rivolto verso tutti i protagonisti della situazione, compresa lui, la moglie del tuo lui e, soprattutto, te stessa.
Non è un discorso facile da capire e soprattutto da praticare, ma proviamo ugualmente ad affrontarlo perché credo che queste siano le uniche parole che potrebbero davvero servirti. Ti rimando, a riguardo, anche alla lettura di questa lezione sulla differenza tra amore animico ed amore egoico.
Cosa significa amare?
Significa forse desiderare una persona sino al punto da provare l’impulso di metterla sotto con la macchina nel momento in cui si pensa di stare per perderla?
Facciamo un passo indietro.
Nessuno di noi è completamente unitario e autentico, ma frammentario. Quello che facciamo, e anche quello che proviamo nelle nostre vite, è come se fosse la risultante di una serie continua di «votazioni» o elezioni che le svariate parti e personalità di cui siamo composti svolge, con una maggioranza che emerge volta per volta… Funzioniamo, anche se appariamo all’esterno come individui e «monadi», come tanti piccoli staterelli, con una popolazione interna che si divide in opinioni e punti di vista…
Tra le varia parti di cui siamo composti abbiamo una o più manifestazioni egoiche e una parte animica, una parte dell’anima.
Quindi, detto questo, amare cosa significa, nel suo significato letterale e rigoroso?
È semplicissimo, anche se tendiamo a dimenticarcelo o a non volerlo vedere.
Amare significa, molto semplicemente e incontrovertibilmente, mettere il bene di un’altra persona sopra al nostro.
Detto questo, se tu amassi quest’uomo di un amore vero, puro ed animico, avresti dovuto… fare dei salti di gioia nel momento in cui ti ha comunicato che voleva ricostruire con sua moglie, con cui ha anche dei figli, cosa che corrisponde probabilmente al suo bene, per come comunque lo ha valutato lui e per come generalmente avviene in situazioni del genere, in cui la separazione di una coppia con figli rappresenta sempre una ferita profonda per diversi aspetti.
Invece, tutto al contrario, sei caduta nella disperazione perché hai perso qualcosa che sentivi come tuo.
Quello che provi, dunque, al momento non è tanto amore, quanto un tuo desiderio di possesso, un volere una persona, al punto tale da immaginare di punirla gravemente per non voler essere più tua.
È, con tutta evidenza, più una manifestazione del tuo ego. Non c’è molto altruismo in questo, non c’è amore, c’è più che altro un capriccio egoico.
Almeno in questa fase. Non sto affatto dicendo che sei una donna egoista, materialista, che vuole comprarsi un uomo e tenerselo come oggetto. Siamo frammentari, l’abbiamo detto poco fa. In questo momento, la tua ferita è una ferita dell’ego.
Ma l’anima ce l’hai ancora. Anche perché è nella sofferenza che gli dei ci fanno visita e, quando lo fanno, ci ricordano della nostra dimensione animica.
Come sempre succede, è nelle tue ultime parole che, anche se sicuramente non te ne sei resa conto, fa capolino la tua anima, quando dici «spero di fare cose buone».
Qui abbandoni la tua dimensione individuale e intuisci che l’unica via d’uscita da questa situazione in cui ti sei cacciata da sola, come fanno tutti del resto (ognuno si costruisce da solo l’inferno in cui vive), è quella di elevarti al di sopra del tuo egoismo ed iniziare a capire davvero sia te, sia lui, sia l’altra donna e cioè sua moglie.
È solo cercando di fare la cosa giusta che uscirai da questa situazione, accettando che la cosa giusta possa anche essere finire per non avere quest’uomo.
Quello che devi iniziare a fare è provare sentimenti di compassione, benevolenza, amore per tutti e tre i protagonisti cioè per te, per lui, per sua moglie.
Devi capire che ognuno di voi tre sta soffrendo terribilmente per la situazione in essere, che ognuno di voi è una persona che desidera solo vivere, amare, essere amata e non provare dolore o sofferenza e che invece lo prova.
Al momento, pensi che sia difficile provare sentimenti di questo genere per lui, che vorresti mettere sotto con la macchina, per sua moglie, che probabilmente vorresti ugualmente imballare con la macchina, ma solo dopo averla torturata adeguatamente per almeno una settimana, ma io ti dico che la persona, delle tre, che ti sarà più difficile da amare davvero sarai tu stessa.
Ti senti in colpa verso di loro, ti stai giudicando per esserti ficcata in questa situazione, pensi di essere stupida, avventata e chi più ne ha più ne metta, sei molto crudele con te stessa e più soffri e più ti dai addosso. ti imponi delle regole – non chiamare, non parlarci – pensando che ti possano aiutare mentre accrescono solo il tuo fastidio.
Inizia proprio da qui, smettila di giudicarti e accettati per quello che sei e per quella che è stata la tua vita sinora. Può darsi che sia stato tutto un errore, ma chi non commette errori? E, se anche fosse, l’importante poi è ravvedersi e rimediare, per quanto possibile.
Devi essere inflessibilmente tenera e dolce con te stessa, come una madre lo sarebbe con un proprio figlio che pur sbaglia o ha sbagliato.
Fatto questo, dovrai riuscire a guardare la sofferenza anche degli altri due ed averne compassione.
Se riuscirai a fare tutto questo, ti eleverai ad un livello più alto dell’essere, quello della tua dimensione animica, che c’è e vuole uscire fuori, lo testimoniano le tue ultime parole, e uscirai da questa situazione, anche se non è detto che sia con l’uomo che desideri al tuo fianco: ma ricordati che lo scopo non è mai avere un uomo, una donna, un animale, ma essere felici e grati in e per questa vita.
Dovrà nascere una nuova e migliore versione di te.
È sempre lo Spirito che ci porta nel deserto e lo fa per farci diventare più grandi, più capaci di amore, più felici. Sta a noi fare quello che è necessario per portare tutto a compimento.
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Si è celebrata da poco, il 25 novembre, la giornata mondiale contro la violenza sulle donne, un evento che considero demenziale in quanto restringe la violenza deprecabile a quella perpetrata contro le donne, come se invece la violenza non fosse sempre un evento negativo a prescindere dal sesso della vittima, insieme, ovviamente, a tutte le altre giornate mondiali, che servono per lo più a dimostrare la più completa inutilità delle sia pur costosissime organizzazioni internazionali come l’ONU.
Tra l’altro, con queste costruzioni marce frutto del peggior politicamente corretto odierno, si finisce col colpevolizzare la figura degli uomini, che rimangono per lo più privi di tutele significative nel momento in cui purtroppo finiscono anch’essi vittima di violenze.
Pubblico di seguito il testo di un mio «amico di facebook», Riccardo Poleggi che approfondisce ulteriormente questo aspetto, che condivido in pieno e che volevo trasmettere anche ai miei lettori del blog.
La violenza non ha sesso, la violenza fa parte del genere umano. Tramite la violenza siamo sopravvissuti in questo mondo e abbiamo imparato a dominarlo.
Purtroppo bisogna constatare che il genere maschile è ritenuto dall’intellighenzia nazionale l’esclusivo perpetuatore della violenza, come se nei geni del maschio fosse insito il male. Colpevoli di questo pensiero nefasto sono le istituzioni corrotte e gli agenti culturali prevenuti e ignoranti.
A causa di questa menzogna diversi uomini sfigurati con l’acido sono stati totalmente abbandonati da quel gelido mostro che è lo stato, mentre le donne vittime diventano cavalieri (cavalieress*) della repubblica con tanto di sovvenzioni per le operazioni.
Per colpa di questo pensiero vittimista e falso molti uomini non hanno il coraggio di denunciare le molestie e le percosse per paura di essere derisi o non creduti.
Erin Pizzey, famosa attivista del 68, fondò prima un centro antiviolenza per poi esserne cacciata. La sua colpa? Aver osato dire che anche le donne commettono violenza domestica, aver voluto accogliere anche gli uomini nel suo centro.
L’evoluzione naturale di questa infamia è un odio generalizzato verso l’uomo, in particolare verso l’uomo bianco visto come eterno vessatore, come criminale genetico. Tutto ciò priva i sessi della vitalità nata dall’incontro e rovina letteralmente milioni di donne che diventano incapaci di rapportarsi con il sesso maschile senza venire frenate da milioni di pregiudizi. Altrettanto rovina gli uomini, spaventati di subire denunce o accuse di molestie per un semplice saluto o di vedersi riproporre la violenza psicologica e fisica che troppo spesso hanno subito dalle madri o altre donne della famiglia, il tutto taciuto per vergogna.
Invidio quelli che la violenza non l’hanno mai vissuta e che si sono potuti permettere di disquisire ipoteticamente dal loro comodo salotto.
Una giornata in fondo non vale molto, perché chi ha subito violenza convive con la paura e con la percezione costante di pericolo ogni giorno e purtroppo il trauma se lo porterà dentro.
Da un momento all’altro qualcuno può decidere di rifarsi da anni di frustrazioni su di noi, che il nostro corpo gli appartiene o che non meritiamo di continuare a esistere su questa terra. La risposta immediata purtroppo non sono le manifestazioni o le sensibilizzazioni (quelle servono di certo per cercare di far capire alla gente che la soluzione dei problemi non sono per forza calci, pugni e bastonate) ma imparare a difendersi. Allenarsi per anni sperando che SE E QUANDO dovesse MALAUGURATAMENTE succedere i nostri riflessi saranno pronti. Colpire duro per salvarsi la vita, o per assicurarsi un futuro psicologico sano, perché finché esisterà l’essere umano esisterà anche la violenza.
Grazie per la lettura.
E voi, cosa ne pensate? Non credete anche voi che le tutele debbano essere fornite a tutti, a prescindere dal sesso?
mi sono rivolta in passato al tribunale dei minori ( ho un figlio ora 14enne) xchè il padre beveva smodatamente ed era diventato un problema. il tribunale sentenziò la presa in carico del sert ,servizi sociali e NPI. per un paio di anni le cose andarono bene poi ricominciarono come prima ,quando una grave malattia colpì il padre di mio figlio ( un aneurisma a luglio 2012 e poi crisi epilettiche recenti) . appena uscito dall’ospedale lui ha ripreso a bere e con le terapie che fa basta sempre meno . Ora mio figlio nn vuole piu andare da lui ne sentirlo al telefono . E lui ci perseguita per poterlo vedere e sentire. Io non posso permettermi un avvocato ma non rientro nel patrocinio gratuito (reddito netto 13895 €). cosa è in mio potere di fare? posso rivolgermi al tribunale dei minori senza avvocato?i servizi sociali possono fare una segnalazione?
Al tribunale dei minorenni non credo tu possa rivolgerti senza un avvocato, dato che la materia è indisponibile.
Quello che puoi provare a fare è proprio rivolgerti ai servizi sociali, esponendo agli stessi il problema e lasciando che siano loro a fare una relazione al tribunale dei minorenni.