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Scommetti cbe quando Biden o la cazzo di Ka …

Scommetti cbe quando Biden o la cazzo di Kamala twitteranno a favore dell’aborto, che é la forma di violenza più grave e vigliacca cui si possa dar corso, gli account resteranno belli attivi?

«Twitter ha bannato per sempre l’account di Trump, 88 milioni di follower, diffondendo questa nota: «Dopo un’attenta analisi dei recenti tweet dell’account “RealDonaldTrump” e del contesto in cui operava abbiamo sospeso in via definitiva l’account a causa del rischio di ulteriore incitamento alla violenza»»

Si chiude un'era: Twitter sospende per sempre l'account del presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Il Primato Nazionale
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Un’altra violenza contro la donnah!!!1!1 Un …

Un’altra violenza contro la donnah!!!1!1 Un altro caso di
omofobia!!!1!1!! Un altro schifoso prete pedofiloooooooh!!!1!

Ah no…

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Diventa ogni giorno più forte: serve per amare.

Oggi il peggiore degli equivoci è che la forza serva per far male, o infliggere violenza, quando, all’esatto opposto, la forza, nel corpo e nello spirito, è quanto di più necessario ci sia per poter amare davvero.

Perché amare significa innanzitutto proteggere, ma soprattutto perché per continuare ad amare anche nel dolore, da cui prima o poi veniamo attinti, magari proprio dalla stessa persona che stiamo cercando di amare, l’anima deve essere la più grande possibile e deve sempre restare in alto.

Diventa ogni giorno più forte, diventa ogni giorno una versione migliore di te stesso.

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Violenza e odio: lati oscuri dono di Dio.

La violenza é sempre indesiderabile, anche se non dobbiamo affatto farne un’ossessione o una nevrosi come ti vorrebbero obbligare a fare oggi, tant’è vero che nei rapporti più profondi della vita di ognuno di noi un po’ di violenza, anche fisica, c’è quasi sempre – e a volte devo dire che serve persino!

Pensa alle mazzate che hai ricevuto da tuo padre ad esempio… Io quando ci penso ne concludo sempre di averne ricevute troppe poche e che se ne avessi avute di più sarebbe stato sicuramente meglio.

Per l’uomo di oggi é difficilissimo crederlo – tra attese di «persona giusta» e fede, magari a sessant’anni, nell’«amore con la A maiuscola» – ma ci si può amare follemente anche scambiandosi qualche mazzata ogni tanto.

Anzi, ciò rappresenta proprio la normalità, perché tutti i rapporti intensi di amore contengono sempre necessariamente una parte di odio (oddio, chi lo dice adesso alla commissione Segre?), perché é normale che quando si arriva ad una intimità così profonda ci siano anche tanti conflitti.

Per inciso, la nostra capacità di odiare é un dono di Dio, serve a farci proteggere noi stessi e tutte le persone che abbiamo care. Non è un difetto di fabbricazione, siamo così per design e in questo c’è una grande saggezza, Dio la sa molto più lunga di Lilli Gruber e compagnia cantante.

Sono le famose nostre ombre, i nostri lati oscuri: facciamoci pace, sono là perché servono. Poi dipende sempre dalle nostre scelte, perché, come insegnano sia il Vangelo che Harry Potter, noi siamo le nostre scelte.

Bene.

Lo scopo della campagna, ormai ubiquitaria, contro la violenza di genere, di per sé discriminatoria e ingiusta perché solo a favore di un sesso tra due, é creare un pregiudizio negativo sulla figura del maschio, completamente ingiustificato dal momento che gli uomini che proteggono le donne e i loro figli, e magari muoiono sul lavoro (il 99% dei morti sul lavoro sono maschi) per dare loro da mangiare, sono la pressoché totalità.

Queste sono balle che ti iniettano nella testa per farti sentire sempre più sbagliato, inadeguato, colpevole e di conseguenza smarrito, privo di scopo, isolato e, alla fine, bravo consumatore e docile elettore.

Prendi consapevolezza e combatti indietro, sia come uomo che come donna.

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Maltrattamenti: annotazioni metodologiche.

Approccio delle forze dell’ordine nei maltrattamenti

 

Vi sono  due importanti metodologie di approccio, determinate da protocolli delle forze dell’ordine nei casi di maltrattamento per violenza domestica e /o di genere:

1) intervento della volante presso le strutture di pronto soccorso

2)la vittima si reca in un ufficio di PG per la denuncia

1)al PRONTO SOCCORSO: si ascoltano i sanitari che hanno accolto la persona maltrattata, con richiesta di indicazioni sullo stato della persona esaminata; si accerta se vi sono lesioni, genitali, extra genitali e, in caso affermativo, si esige dal personale sanitario accurata cura anche nella documentazione.

Occorre poi preservare tutte le prove rintracciabili quali ad es. indumenti, tracce di DNA, ecc. ed acquisire tutti gli elementi utili per lo sviluppo dell’indagine giudiziaria.

Si prendono contatti con il Pubblico Ministero incaricato, per verificare l’opportunità di procedere alla raccolta immediata delle dichiarazioni.

2) In ufficio dalla Polizia Giudiziaria; come premesso la PG deve già formare per questi reati ad essere pronti a qualsiasi ora e con metodologia particolare;

la denuncia viene redatta con acquisizione del maggior numero di elementi informativi e di possibili fonti di prova. Ha particolare rilevanza l’interazione fra modalità di acquisizione della denuncia ed aspetti psicologici della vittima; pertanto ha rilevanza particolare l’analisi delle dichiarazioni assunte in denuncia per una immediata valutazione delle potenzialità offensive e della possibile RECIDIVA dei comportamenti vessatori da parte del presunto autore del reato. Si possono prendere contatti con i centri antiviolenza; l’importanza maggiore viene data alla valutazione sull’opportunità di procedere alla misura di prevenzione personale, dell’ammonimento del Questore.

Se vi è necessità di sopralluogo, occorre verificare personalmente lo stato di tutti i locali, annotando le condizioni in cui si presentano come ad es. la presenza di oggetti danneggiati chiaramente fuori posto, di pareti imbrattate, di tracce ematiche ecc.ecc.

Se vi è necessità, si eseguono fotografie sulle lesioni presenti sul corpo della vittima, con il suo consenso, ove sia possibile.

Si assumono testimonianze: vengono sentite le persone presenti e facilmente reperibili redigendo verbale di Sommarie Informazioni, se le indicazioni sono rilevanti; solo se indispensabili, si sentono i minori di età, fra 14 e 16 anni.

Si sottolinea che: le indagini devono essere preordinate anche alla tutela della vittima che in tutti i casi presenta un elevato disturbo post traumatico da stress e profondi sensi di colpa.

occorre instaurare un rapporto empatico, finalizzato alla responsabilizzazione della vittima per creare una proficua collaborazione con gli operatori di polizia.

Nel maltrattamento: ambivalente, la vittima ha sperimentato la spirale della violenza e questo rende più complessa l’attività investigativa che si deve confrontare con il rischio di recidiva; solo il 7% delle vittime denuncia il fatto. Nello stalking la vittima ha una forte determinazione ad uscire dalla relazione ed è determinata a denunciare; questa determinazione potrebbe paradossalmente essere pericolosa per la sua incolumità.

 

Per meglio comprendere l’attività degli operatori di diritto e di coloro che svolgono le indagini, segnalo una raccolta di definizioni di violenza e maltrattamento.

L’OMG definisce la violenza sessuale “un atto sessuale non corrisposto il tentativo di consumare un atto sessuale, commenti o insinuazioni a sfondo sessuale indesiderato o azioni volte a commercializzare o usare la sessualità di una persona tramite coercizione indipendentemente dalla reazione con la suddetta persona ed in qualsiasi contesto, inclusi l’ambiente domestico e quello lavorativo”. il denominatore comune è la MANCANZA DI VOLONTA’ della vittima a pestarsi alla situazione.

Le principali forme di violenza sessuale:

LA MOLESTIA: forma di violenza psicologica in cui una persona esercita pressione intimidazione coercizione o si avvale del ricatto nei confronti di un’altra con l’obiettivo di ottenere un rapporto sessuale.

ABUSO SESSUALE: corrisponde ad una qualsiasi situazione in cui una persona si trova obbligata a condotte sessuali contro la sua volontà; la forma di violenza più pericolosa

AGGRESSIONE SESSUALE include qualsiasi forma di contatto con il corpo di una persona che non ha acconsentito all’invito sessuale; verbali, includono allusioni al corpo di un’altra persona o espressioni intente ad invaderne in maniera simbolica la sessualità.

Conseguenze:

–        Disturbo da stress post traumatico: si tratta di una situazione in cui la vittima soffre di ansia e rivive spesso i ricordi di quanto è accaduto insieme a sintomi di angoscia e depressione. La rabbia è latente e manifesta.

–        Vergogna e senso di colpa: si sentono responsabili dell’accaduto; “se l’è cercata”;

–        Depressione

–        Abuso di sostanze

Da ultimo: la persona vittima di violenza sessuale è bloccata dalla paura non riesce a reagire neppure dopo l’accaduto; è una forma di reazione: la scarica di adrenalina durante l’accaduto è tanto intensa, da rendere impotenti le aree del cervello associate al ragionamento ed alla presa di decisioni.

Chi è vittima ha seria necessità di sostegno psicologico professionale.

alla violenza sessuale si aggiungono anche  VIOLENZA FISICA: comprende l’uso di qualsiasi atto volto a far male o a spaventare la vittima; in senso generale per maltrattamento fisico intendo un danno provocato non accidentalmente e con mezzi differenti; rientrano in questa categoria contusioni morsi colpi di testa violenti scossoni bruciature fratture.VIOLENZA ECONOMICA: essa è finalizzata a introdurre una situazione di assoluta dipendenza nella vittima onde poter esercitare sulla stessa un controllo indiretto tra questi atteggiamenti rientrano ad esempio l’impedire la ricerca di un lavoro la privazione o il controllo dello stipendio il controllo della gestione della vita quotidiana la determinazione a privare il partners della benché minima disponibilità economica.VIOLENZA PSICOLOGICA: consiste in una serie di atteggiamenti minacciosi vessatori e denigratori nei confronti della vittima, nonché in tattiche di isolamento, in certi caso il maltrattamento psicologico è così pesante da trasformarsi in un vero e proprio “lavaggio del cervello”; esposte ad abusi, le vittime perdono l’autostima sviluppano gravi danni sul piano psicologico; l’aspetto psicologico spesso in ombra sia nelle indagini che nelle aule di tribunale che nelle carte giudiziarie, merita a mio avviso una trattazione specifica, in un prossimo futuro post.

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Violenza di genere: riflessioni sulle tutele.

In genere tutte le misure previste per i reati di violenza di genere, come anche lo stalking, trovano la loro applicazione con alcune difficoltà, processuali e sostanziali; sono state sollevate tante eccezioni in merito alle norme che tutelano in via straordinaria la vittima e sottopongono il reo ad un trattamento diverso. Fra tutte si rilevano:

–l’eccezione di incostituzionalità dell’art.612 bis c.p. (atti persecutori stalking) in relazione all’art 25 Cost., per presunta indeterminatezza della condotta, respinta con sentenza della Corte Costituzionale num.172 /2014;

-la difficoltà più volte sollevata dell’interpretazione dell’espressione “violenza alle persone”; che attualmente viene intesa per giurisprudenza quasi costante come comprensiva non solo delle aggressioni fisiche ma anche morali o psicologiche.

Sottolineo infine la particolare considerazione data al materiale probatorio, che solo qualche anno fa era impensabile: “ la testimonianza della persona offesa del reato può costituire da sola prova sufficiente per pervenire ad un giudizio di colpevolezza, anche in assenza di riscontri esterni, purché il Giudice sottoponga tale prova dichiarativa ad un vaglio scrupoloso in quanto la persona offesa è, al pari dell’imputato, portatrice di un interesse nel processo; per tale valutazione per tutti, Giudice, PG, avvocati, va superato lo stereotipo di inattendibilità sulla base di un racconto diversificato che non sia sovrapponibile, di assenza di denuncia per molti anni, di sentimenti di ambivalenza verso l’imputato.”

L’interpretazione di fatti è di cruciale importanza per determinare il capo di imputazione, per individuare il reato da parte della PG e dell’autorità giudicante e degli avvocati. Detta interpretazione fa scattare o no il diritto alle particolari forme di protezione a favore delle vittime di violenza di genere e a mio avviso oggigiorno genera una sorta di condanna alla gogna che è sin troppo generalizzata, ma purtroppo stigmatizzata dall’opinione pubblica, a scapito sia della vittima, che del carnefice; lo stalker come l’untore manzoniano e la vittima come la donzelletta leopardiana.

L’interpretazione di fatti fa scattare il diritto a protezione ma non è detto che detto diritto venga applicato ed anche questo è di cruciale importanza per difesa ed accusa; trascuratezze/eccessi si leggono nelle righe degli atti giudiziari.

Insomma, buon senso e buona volontà impongono particolare scrupolo per tutti gli operatori del diritto.

A mio avviso, al di là di tutte le difficoltà che emergono sempre, nel caso specifico per i reati di violenza di genere va tenuto conto dei seguenti aspetti che hanno generato la tutela della vittima / la condanna del reo:

1)l’agente violento normalmente non è ritenuto soggetto malato sul piano clinico-giudiziario: ex art 85 c.p. ha piena capacità di intendere e di volere, pienamente consapevole; i provvedimenti cautelari adottati contro di lui però vengono trasmessi all’autorità di P.S., alla Parte Offesa, ed ai servizi al territorio. L’agente violento può intraprendere un percorso di “ravvedimento”.

2) la parte offesa ha un ruolo rafforzato, ex art. 90 c.p.p. ecc.: se vi è incertezza sulla minore età è disposta perizia; se anche dopo la perizia permangono dubbi vi è presunzione di minore età; qualora la PO è deceduta permangono le facoltà ed i diritti previsti dalla legge in capo ai prossimi congiunti della Po o dalla persona legata da relazione affettiva e con la stessa stabilmente convivente. Viene introdotto il diritto alla conoscenza alla informazione consapevole; inoltre la P.O. può essere dichiarata soggetto particolarmente vulnerabile.

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Violenza di genere: parla una donna maltrattata.

Violenza di genere” è un insieme di parole con un significato preciso e soprattutto concreto; un significato letto dai tecnici nei codici, nelle sentenze, negli atti, discusso ai congressi; colto in mezzo a tante altre parole, diventa un reato; per la vittima è il risultato di una narrazione completa e difficile, composta da fatti concreti. Condivido una raccolta di pensieri di una donna maltrattata, che, con lucida determinazione, ha risposto ad alcune domande sulla sua vita affettiva, intima, sul sentimento dell’amore. Ne è nata una delicata ricostruzione del suo mondo, dei suoi valori e del suo dolore. La lucidità della narrazione, l’uso del verbo al passato, tradiscono la dolorosa consapevolezza della violenza subita. Con il tempo la consapevolezza si potenzia e diventa pietà e compassione- verso sé e verso gli altri-; la pietà rivela e dona a questa donna la vera cifra del suo valore e le dà la forza di ricostruire quello che secondo lei era stato distrutto, perduto. Lascio al lettore la libertà di fare le sue valutazioni, ma anche la mia professionale conferma che dalla violenza di genere ci si può difendere.

  1. Cosa ti ha fatto innamorare? Mi ha fatto innamorare la sincerità con cui mi parlò subito di suoi sentimenti verso i membri della sua famiglia, e l’intraprendenza: era divorziato, un uomo pieno di dolore, e tuttavia non si dava per vinto: sembrava accettarsi e spingersi verso di me con intraprendenza. Nel porsi e nel muoversi aveva qualcosa che piaceva; le strinsi le mani: erano grassottelle, con le fossette; le dissi che mi piacevano e sorrise. Con il tempo perse quel sorriso, quel corpo intraprendente non c’era più e con lui i modi gentili (…)
  2. Cosa aveva in comune con te? Non si sentiva amato, nella coppia- come era successo a me- si sentiva una cosa da usare, da esporre agli altri: il bravo marito. Tutti questo aveva poco a che fare con l’intimità della vita coniugale o di coppia.
  3. Come mai ti sei messa in secondo piano, come mai ti sei annullata per lui? Il suo dolore esplodeva in occasione dei problemi che la vita le poneva dinanzi, e che doveva affrontare. Lui si concentrò solo su sé stesso anche se i suoi problemi travolgevano me; divenni per lui perfino un peso: se chiedevo spiegazioni, mi venivano negate; piano piano, mi costrinsi a stare in silenzio. Io ero presente nella sua vita per sua scelta; lui ha iniziato ad impormi le sue scelte; se non le accettavo, mi metteva in competizione con le altre donne, tutte, qualunque; le sue attenzioni erano per loro e non per me; dovevo esserci e stare in silenzio, ma non sapevo più chi fossi. Io non ho più ritrovato me, ho perso tutti i contatti, la mia vita precedente era svanita nel nulla.
  4. Perché non ti ribellavi? Credevo di meritare tutto. Pensavo di aver causato dolore al mio compagno, pensavo di aver rovinato il rapporto; mi annullavo, volevo sparire, non mi difendevo, ritenevo che aveva ragione: io sola sbagliavo e dovevo pagare, essere punita. Al tempo stesso mi vergognavo, mi rendevo conto che la situazione non era così; perché subivo non so dirlo, ero persa; mi sentivo un’altra e altrove, in uno spazio ed in tempo della mia vita dove decisioni importanti non venivano prese da me; mi rifiutavo di cercare una via d’uscita, mi sembrava giusto pagare. Mi sentivo indegna di essere madre: pur desiderando un figlio, non avevo un compagno che lo volesse da me; avevo invece un compagno che mi derideva per i miei desideri.
  5. Che aspettative avevi? Volevo una famiglia.
  6. Lui ti ha fatto da specchio, Cosa non ti piaceva? Era un uomo tormentato e sbagliato. Trovavo in questo la conferma di essere io stessa sbagliata, la conferma che non ero degna di essere valorizzata come donna, capace di generare e di essere sostenuta.

Ho smesso di essere quella donna: mentre io continuavo a sostenerlo, accettando tutto, mi sono accorta che dovevo invece chiedere a lui di sostenere me: ero io, che dovevo essere sostenuta, protetta, amata, perché non avevo nessuna colpa. Così chiesi aiuto. 

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Violenza di genere: il centro antiviolenza.

In un mio precedente post descrivevo la violenza domestica con alcuni cenni su come il nostro paese, a seguito della Convenzione di Istanbul, si è attivato per evitare questo fenomeno che porta addirittura alla morte della vittima- più spesso di quanto l’opinione pubblica riesce a capire-.

Vorrei continuare ad indicare altri mezzi utili di protezione contro la violenza domestica, al fine di sensibilizzare tutti sul problema e consentire, nel mio piccolo, la liberazione dagli stereotipi di genere che vedono la femmina succube del maschio, una situazione veramente inconcepibile.

Non tutti sanno che quando si è allo stremo delle forze cercare aiuto diventa una impresa ciclopica: ci si sente isolati dal mondo. Innanzitutto, mi riporto al mio precedente post e invito a chiamare il n. 112 AREU oppure rivolgersi del consultorio familiare più vicino i cui recapiti sono facilmente reperibili, oppure è possibile contattare un centro antiviolenza.

A seguito della convenzione di Istanbul una serie di accordi, protocolli, fra stato e regioni italiane, fra il 2014 ed il 2017, hanno permesso di dare maggiore sostegno ai centri antiviolenza e alle case rifugio. Per la regione Lombardia cito “il piano quadriennale regionale per le politiche di parità e di prevenzione di contrasto alla violenza di genere 2015/2018”.

Esiste in Lombardia, come mi auspico anche nelle altre regioni italiane, una rete territoriale che aiuta le vittime di violenza a difendersi, il mio invito è di rivolgersi anche a queste strutture.

Spendo due parole sul centro antiviolenza per come lo conosco e ne approfitto per ringraziare coloro che gentilmente mi hanno aiutato dandomi i dati e le conoscenze che riporterò di seguito.

Antiviolenza è una parola a mio avviso terribile perché significa ammettere a sé stessi di subire violenza, tuttavia è positiva perché quando si riesce ad uscire dalla paralisi della paura, si viene a sapere che vi sono persone che aiutano contro la violenza.

Dette strutture hanno una loro precisa diffusione territoriale e sono sostenute principalmente da volontari, formati al compito di aiuto e difesa.

Quando ci si rivolge seriamente a detta struttura si “viene presi in carico” da una equipe; consapevoli in modo sufficiente che ci si impegna in gruppo ad uscire dalla situazione di violenza.

Si ha sostegno psicologico e legale; in alcuni casi si ha sostegno economico, accoglienza ed ospitalità. Giova ripetere cosa sia la violenza: comportamenti che consistono in maltrattamenti psicologici, fisici, sessuali, economici, da una persona legata da relazione intima verso l’altra, al fine di ottenere potere, controllo, ed autorità. Ha come conseguenze: isolamento sociale, familiare, perdita delle relazioni significative, perdita del lavoro, perdita della casa, e del tenore di vita precedente la violenza.

L’aspetto più sconcertante a mio avviso è la perdita del valore di sé, che ad esempio si manifesta in comportamenti autolesionisti (uso di alcool o di droga) la perdita dei meccanismi di autoprotezione.

Il centro antiviolenza in primo luogo dà un sostegno psicologico che implica un graduale riavvicinamento a sé come ad un valore inestimabile, attraverso l’elaborazione fino alla fine della violenza subita, con il racconto completo; attraverso il recupero delle risorse della persona, il recupero delle proprie competenze genitoriali -se necessario viene attivata una consulenza psicopedagogica nel ricostruire la relazione genitore figlio-; non ultimo, vengono presi in carico minori vittime di violenza assistita.

Dal punto di vista legale occorre individuare il tipo di difesa più utile da approntare nell’immediato sia in ambito penale che in ambito civile.

Si assiste alla stesura di denunce /querele e le persone vengono accompagnate dalle autorità competenti.

Valutati i rapporti costi benefici dei procedimenti giuridici da intraprendere nell’esclusivo interesse della vittima e dei minori, vengono inoltre calcolati i tempi e le modalità più appropriate caso per caso. Viene applicato l’istituto del gratuito patrocinio.

Viene comunque per prima cosa valutato il rischio della vittima; se è alto, vi è allontanamento della casa e la denuncia.

Diversamente si agisce tentando di dirimere i dissidi che causano la violenza cercando soluzioni alternative alla convivenza o al rapporto tossico.

In caso di dipendenza economica si crea il reinserimento della vittima nel mondo del lavoro e si ricerca di una nuova casa, se possibile, per la ricostruzione delle basi della normale vita dignitosa.

Da queste basi si cerca di riallacciare i rapporti con la famiglia e quelli sociali.

Tutto questo viene fatto non senza grande sofferenza della vittima.

 

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Moglie si inventa violenza e ottiene la casa: che fare?

mia moglie è andata via di casa con mio figlio 13enne,si è inventata tramite un centro antiviolenza, violenza psicologica, in prima istanza ma ancora senza notifica il giudice ha deciso che dovrei lasciargli la casa con mutuo cointestato entro fine settembre, e 350 euro al mese.Come è possibile che una che si inventa una cosa del genere non rischi nulla anzi viene premiata con l’assegnazione della casa, tra l’altro guadagna più di me e si può permettere un affitto,e il marito debba solo subire, e lottare per il figlio completamente manipolato da lei

Se ho capito bene, hai «subito» una separazione giudiziale, c’è già stata l’udienza presidenziale e il presidente ha assegnato la casa familiare a tua moglie, prevedendo il pagamento di un mantenimento di 350€ al mese, non si capisce se a favore di tua moglie o per tuo figlio.

Non capisco, a riguardo, cosa c’entri la notifica. La notifica dei provvedimenti presidenziali viene fatta solo quando uno è contumace, se conosci il contenuto dei provvedimenti mi sembra improbabile che tu sia rimasto contumace.

Ad ogni modo, una soluzione di questo genere è quello che avviene di solito in casi di questo tipo, anche senza un contesto di eventuale violenza. Per la tutela del figlio minore, la casa familiare viene assegnata alla madre, che così viene a godere indirettamente di un vantaggio, ma non in quanto tale bensì quale genitore che comunemente viene ritenuto come più adatto alla cura del figlio.

Ovviamente tutto questo è oggetto di contestazione da molti anni e attualmente c’è un disegno di legge volto a cambiare questa situazione, che però non mi convince del tutto perché eventuali nuove disposizioni sono comunque destinate a fare i conti con la realtà delle famiglie disgregate che è diversa da caso a caso.

Il tuo caso, peraltro, sarebbe da approfondire perché in queste poche righe si intuisce che ci sono tematiche molto complesse, ma in questa sede non si può dire più di tanto.

Se credi, valuta di acquistare una consulenza. Ti raccomando, con l’occasione, di iscriverti alla newsletter del blog, o, se non ti piace la mail, al gruppo Telegram, in modo da non perderti importanti e utili aggiornamenti quotidiani

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Violenza domestica contro le donne: che fare in concreto?

In questo periodo della violenza alle donne si legge spesso. Dall’analisi dei dati statistici sembra che una donna su tre nella sua vita sperimenta la violenza di genere.
Nel 2013, la legislazione internazionale con la Convenzione di Istanbul, ratificata nel 2014 dall’Italia, definisce la violenza di genere domestica come
“…. tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano nell’interno della famiglia o tra attuali o precedenti coniugi e/o partner, indipendentemente che l’autore condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima”.

La legislazione tutela il diritto di tutti gli individui e segnatamente delle donne, di vivere liberi dalla violenza sia nella vita pubblica che privata; garantisce anche a livello internazionale adeguati meccanismi di cooperazione efficaci tra tutti gli organismi statali competenti: -le autorità giudiziarie, -i pubblici ministeri, -le forze dell’ordine, -le agenzie regionali e locali.
Si intende far fronte ad un problema che investe non solo la sfera giuridica del singolo, ma, prima ancora, la società, che vive tuttora imprigionata negli stereotipi di genere: la donna sottomessa, obbediente, dipendente dall’uomo.
Questi ruoli, a mio modesto avviso, sono obsoleti; educazione, cultura, sensibilità insegnano che le persone sono libere di essere sé stesse, interdipendenti le une verso le altre; non è dato sapersi però se questa mia convinzione sia concreta o realizzabile o utopistica.
Si distinguono due generi di violenza: a rischio elevato e a rischio non elevato:
in entrambi i casi- anche con la Convenzione di Istanbul, ratificata con la legge 77 /2013 in Italia-, si pone l’attenzione sulla violenza psicologica come fattore di rischio che può portare alla morte della vittima.
Viene minato il benessere della persona spezzando lo sviluppo delle sue potenzialità umane; la persona viene relegata ad un ruolo di assoluto subordine. Le modalità sono varie, tante quante sono le persone. Si raggruppano sotto definizioni giuridiche tipizzate ad esempio: minaccia, ingiuria, maltrattamento; azioni od omissioni reiterate nell’arco di un tempo, veramente in molti casi lunghissimo, inflitte al fine di rendere completamente succube la vittima.
La vittima soffre di depressione, ha paura, ha bassa autostima, si sente impotente, è isolata e soprattutto ha vergogna.
Si è detto che un terzo della popolazione femminile subisce violenza: se le conseguenze sono quelle pocanzi illustrate, è plausibile sostenere che una larga fetta di popolazione è in stato di sofferenza e assolutamente bloccata, non libera di utilizzare le proprie potenzialità per lo sviluppo; si direbbe un grave danno.

Questo disegno criminoso ha un movente così misero rispetto al danno che causa, eppure il colpevole si avvale della complicità di una società che impone alla donna ancora di obbidire all’uomo.

Quando la violenza è a rischio elevato, significa che vi è rischio che la vittima venga uccisa: la Convenzione di Istanbul prevede il divieto di metodi alternativi di risoluzione del conflitto fra cui mediazione e conciliazione; prevede l’immediato allontanamento della vittima.
Nel caso di rischio non elevato si inserisce la persona nella rete di accoglienza psicosociale al fine di pianificare un ritorno alla vita senza violenza e costrizioni.
In entrambe i casi la donna deve superare
– la vergogna ed il timore del giudizio degli altri
-il senso di colpa che la porta ad auto attribuirsi la responsabilità della violenza,
-il rischio di non essere creduta.

Per favorire la difesa concreta dalla violenza mi permetto di accennare a due dei tanti mezzi utilizzabili per la tutela di sé stesse contro la violenza domestica:
1) rivolgersi al consultorio familiare più vicino, il quale prevede il seguente protocollo di accoglienza: colloquio in un luogo protetto ed inserimento nella rete di protezione; l’ascolto nel colloquio è privo di giudizio e mirato ad individuare la situazione di rischio della vittima. A seguito di tale colloquio, il consultorio forma un’equipe per assistere la vittima, in relazione anche a rischio valutato che essa corre. Se vi è violenza, vi è obbligo di denuncia;
2) scaricare applicazione del cellulare: 112 ARE U per chiamare il numero europeo di emergenza anche in chiamata silenziosa.