Parliamo di una delle innumerevoli fonti di attriti e contenziosi: protagonisti animali e condominio, in merito alla quale tentiamo di illuminare un po’ il fosco panorama.
La legge di riferimento in materia è la 220 del 2012, integrata nel giugno 2013 (per la precisione 18 giugno 2013) con l’inserimento dell’articolo 13, che si occupa di disciplinare la permanenza degli animali negli appartamenti: non è infrequente, infatti, imbattersi in regolamenti di condominio che vietano in maniera più o meno assoluta di detenere animali da compagnia in appartamento.
Ebbene, tale divieto contrasta non solo con la disposizione di cui sopra, poiché le norme del regolamento condominiale non possono vietare di possedere o di detenere gli animali da compagnia, ma anche con la nuova formulazione dell’art. 1138 del Codice Civile, che ha disposto quanto sopra.
Certamente si osserva un cambiamento anche culturale, da molti auspicato e ritenuto tuttavia ancora insufficiente, ove nel primo testo di riforma il divieto riguardava “gli animali da compagnia”, mentre proprio di recente è stato riconosciuto “un vero e proprio diritto soggettivo all’animale da compagnia nell’ambito dell’attuale ordinamento giuridico” che “impone di ritenere che l’animale non possa più essere collocato nell’area semantica concettuale delle cose” ma “deve essere riconosciuto anche come essere senziente”.
Lo ha affermato la nona sezione civile del Tribunale di Milano con il suo decreto del 13 marzo 2013 nel quale, richiamando tali principi, ha ritenuto che “il gatto, come anche il cane, deve essere considerato come membro della famiglia e per tali motivi va collocato presso il coniuge separato con regolamento di spese analogo a quello del figlio minore”.
Nel caso di cui viene ad occuparsi il Tribunale di Milano, viene stabilito che i gatti di famiglia restino a vivere nell’ambiente domestico della figlia minorenne e della moglie, che provvederà alle spese ordinarie, mentre quelle straordinarie saranno sostenute in ugual misura da entrambi i coniugi.
Così, in precedenza, il Tribunale di Varese, sempre con decreto datato 7 dicembre 2011, aveva riconosciuto ad una persona anziana e malata, soggetta all’ amministrazione di sostegno, un vero e proprio diritto soggettivo all’ animale da compagnia, assecondando il desiderio della stessa di poter frequentare il proprio cane anche dopo il ricovero in casa di riposo.
Nel caso in questione, la beneficiaria, rimasta sola e priva degli affetti familiari, ricoverata in una struttura per anziani che non ammetteva gli animali, ha ottenuto il riconoscimento del diritto di poter vedere il suo cane, da anni con lei convivente ed al quale era molto legata: il giudice ha infatti disposto che tra i compiti dell’amministratore di sostegno rientri anche la cura del cane affidato, a spese dell’assistita, attraverso la nomina di un ausiliario che abbia il compito, nella vicenda, di ospitare il cane.
Giova ricordare come il concetto di animale inteso come “essere senziente” è già contenuto nel Trattato comunitario di Lisbona del 12 dicembre 2007 (art. 13), dove si afferma che “L’Unione e gli stati membri tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti”.
Ed alla stessa logica di valorizzazione del rapporto fra uomo ed animali, anche l’articolo 30 del Codice del Turismo (Decreto Legislativo 23 maggio 2011, n. 79), che ha sancito l’obbligo dello Stato di “promuovere ogni iniziativa volta ad agevolare e favorire l’accesso ai servizi pubblici e nei luoghi aperti al pubblico dei turisti con animali domestici al seguito”.
Insomma, la sostituzione della locuzione “da compagnia” nella stesura finale del nuovo testo dell’art. 1138 del Codice Civile con quella dell’aggettivo animali “domestici“, non può certo essere qualificata come meramente stilistica, ma appare rispondente ad un profondo cambiamento della coscienza sociale che si rifrange poi nell’ambito giuridico.
La differenza, tuttavia, potrebbe dare vita a nuovi contenziosi dovendosi definire con esattezza quali siano gli animali che possano essere inquadrati all’interno della categoria in questione.
Tanto per fare un esempio, gli animali esotici come i serpenti possono essere detenuti senza limitazione alcuna oppure no? Il criceto o il furetto sono animali domestici?
Nel contempo bisogna sottolineare che occorre comunque rispettare le disposizioni contenute nell’ordinanza del Ministero della Salute in vigore dal 23 marzo 2009, che prevede, tra le altre, l’obbligo per i proprietari di mantenere pulita l’area di passeggio degli animali (con particolare riguardo alla raccolta delle deiezioni), nonché di utilizzare sempre il guinzaglio e, in caso di animali particolarmente aggressivi, di usare la museruola.
E’ sempre prevista, in ogni caso, la responsabilità ex art. 2052 Cod. Civ. e penale del proprietario in caso di danni o lesioni a persone, altri animali o cose.
Gli altri condomini, poi, in caso di rumori molesti o di odori sgradevoli per i quali ricorrano gli estremi per una tutela volta a far cessare la turbativa in ragione della violazione delle norme sulle immissioni intollerabili ex art. 844 Cod. Civ nonché sul minor godimento delle parti comuni, possono richiedere un provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c. con conseguente cessazione della turbativa ed eventuale allontanamento dell’animale dall’abitazione (Trib. Salerno, 22.03.2004).
Gli animali, inoltre, non possono essere abbandonati per lungo tempo sul balcone o nelle abitazioni, anche se è evidente come una certa vaghezza della formulazione del disposto lascia ampi margini di opinabilità in caso di contenzioso: ciò posto, la fattispecie penale che potrebbe essere integrata è quella di cui all’articolo 727 del Codice Penale, proprio quella che punisce l’abbandono di animali e che prevede l’arresto sino ad un anno o l’ammenda da mille a diecimila euro per chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività e per chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze.
Sul punto, la Cassazione (sentenza numero 14250/2015) ha ritenuto circostanza idonea a provare il malessere di un animale ed a configurare quindi il reato di cui sopra anche l’abbaiare incessante del cane, spia di uno stato fisico e psichico dell’animale, appunto essere senziente.
Quello che è certo è che anche coloro che non gradiscono la presenza di animali in condominio dovranno attenersi ad alcune regole di comportamento: non solo non si potrà vietare in alcun modo al vicino di casa di possedere un animale (Cass. civ. sez. II n. 3705/2011 ove “
In tema di condominio negli edifici, il divieto di tenere negli appartamenti i comuni animali domestici non può essere contenuto negli ordinari regolamenti condominiali, approvati dalla maggioranza dei partecipanti, non potendo detti regolamenti importare limitazioni delle facoltà comprese nel diritto di proprietà dei condomini sulle porzioni del fabbricato appartenenti ad essi individualmente in esclusiva”), ma non si potranno neanche attuare iniziative repressive nei confronti delle colonie feline, che in base alla legge del 1991 hanno diritto alla territorialità e qualsiasi forma di allontanamento attuata nei loro confronti è da considerare appieno come maltrattamento. Tale connotazione viene però a decadere nel momento in cui si debba intervenire per comprovate motivazioni di carattere igienico- sanitario.
Importante è rilevare tuttavia come la legge del 2013 non sia retroattiva ed abbia quindi efficacia a partire dalla sua entrata in vigore, essendo quindi in alcun modo applicabile ai regolamenti condominiali approvati in precedenza: se quindi il regolamento condominiale che vietava la permanenza degli animali da compagnia è stato approvato prima del 18 giugno 2013, tale divieto non potrà essere annullato, anche se su questo specifico punto i pareri – come di consueto- non sono concordi.
Si rileva infatti una tesi restrittiva che richiama il principio di irretroattività di cui all’art. 11 comma 1 disposizioni preliminari Codice Civile secondo cui la normativa recente sarebbe efficace solo per l’avvenire con esclusione dei regolamenti di tipo contrattuale, che conserverebbero quindi la loro idoneità per così dire strutturale a prevedere limitazioni alla proprietà privata anche vietando la detenzione e il possesso degli animali da parte del condomino, trovando il loro unico limite nell’inderogabilità delle norme imperative e di interesse pubblico.
Ma si rileva anche una tesi estensiva, secondo la quale il nuovo disposto normativo comporterebbe la caducazione di ogni norma regolamentare contrastante, sia di natura assembleare che contrattuale, in ragione di una nullità sopravvenuta.
Allo stesso modo, la natura privatistica di un contratto di locazione fa sì che il locatario possa inserire una clausola di divieto alla detenzione di animale da compagnia nel proprio appartamento, clausola legittima in ragione- appunto- della natura del contratto in questione.
Senza dubbio si tratta di materia oggetto di grande fermento, nell’ambito della quale debbono comunque contemperarsi vari interessi anche potenzialmente confliggenti, ma non in grado comunque di arrestare le istanze di tanta parte della popolazione, per la quale gli animali di casa divengono sempre più membri della famiglia.