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Nella convivenza non c’è nessun obbligo di fedeltà.

Note dell’episodio.

Oggi parliamo di convivenza e obbligo di fedeltà, rispondendo alla seguente domanda di un nostro lettore:

«Salve in realtà mi sto preoccupando per mio cognato che è da diversi mesi che la sua attuale compagna lo tradisce ma lui ha paura di fare qualcosa perché un amico sua gli ha detto che non deve fare niente sennò lei lo può buttare fuori di casa e poi deve pagare un botto noi abbiamo foto e video delle macchine che stanno insieme in una casa di un’altra persona e fanno le loro cose (intime) lei esce dal lavoro alle 29 e torna a casa alle 00/01/02 di notte mi può dire cosa POSSIAMO FARE per non prenderlo di dietro?»

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Indennità post convivenza: è dovuta?

vorrei sapere se la mia ex-compagna ha diritto ad essere ricompensata del contributo per la casa post separazione di fatto (non eravamo ne sposati ne co-abitanti legali). Inizialmente abitavamo in affitto e condividevamo tutte le spese a meta. Ho poi comprato una casa – prendendo mutuo e pagando tutti lavori.
Una volta trasferiti nella nuova casa, la mia compagna ha continuato a contribuire alle spese relative alla casa con un contributo pari piu o meno quanto era la sua meta dell’affitto in precedenza ma meno della meta della rata del mutuo e circa 1/3 delle spese per la casa una volta incluse anche spese condoiminiali. Ora siamo separati e sto vendendo la casa: la mia ex dice che dovrebbe esser rimborsata – almeno in parte – di questo contributo sul mutuo che mi ha dato. E’ corretto? Come dovrebbe essere calcolato questo rimborso?

Non ci sono criteri precisi per una situazione come la vostra, anche perché ogni situazione è diversa.

Da un lato è vero che lei ti ha aiutato a pagare il mutuo, ma se tu non avessi acquistato una casa lei quei soldi che ha pagato a te per pagare il mutuo li avrebbe comunque pagati come affitto.

D’altro canto è vero che a te adesso rimarrà la proprietà di un immobile mentre a lei non rimarrà nulla…

In sostanza, l’unica possibile soluzione è quella equitativa, cioè una valutazione di buon senso, equilibrio ed equità sulla base della volontà di definire i rapporti tra di voi.

Potete provare a definire da soli una somma a tale riguardo, oppure potete rivolgervi ad un mediatore o ad un avvocato, per aiutarvi, dopo aver esposto il caso ed ascoltato entrambe le versioni, a determinare una cifra considerabile accettabile da tutti e due.

È abbastanza importante che, una volta raggiunto l’accordo su questa eventuale cifra di liquidazione, venga redatta, approvata e sottoscritta una apposita scrittura privata con la quale sia stabilito che, con il pagamento di questa somma, ogni rapporto tra di voi resta definitivamente definito, senza possibilità di richieste dall’uno nei confronti dell’altro.

In questa scrittura, si potrebbero inserire le eventuali altre questioni rimaste fuori.

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Conviventi di fatto o con accordo di convivenza?

La famiglia di fatto

Da15 anni io e il mio compagno viviamo insieme ed abbiamo da subito dichiarato al Comune di abitare presso lo stesso domicilio. Se chiediamo uno stato di famiglia, questo risulta composto da me, lui e i nostri figli (9 e 11 anni). Vorrei capire, quindi, come siamo inquadrati dal punto di vista legale, cioè se diritti e doveri sono uguali a quelli matrimoniali. Se non è così, vorrei sapere cosa fare per poterci avvicinare il più possibile alla situazione legale che costituisce il matrimonio, senza doverci sposare. Ad esempio, nel caso di morte di un coniuge, quello che resta in vita gode di pensione o altro trattamento economico per il fatto di essere sposati. Nel nostro caso abbiamo qualche tutela oppure niente?

Al momento, la vostra è una famiglia di fatto. I vostri diritti e doveri reciproci, tra genitori, non sono affatto uguali a quelli di una famiglia unita in matrimonio, dal momento che la vostra è una convivenza di fatto, una unione libera, dove non esiste obbligo di coabitazione, fedeltà reciproca, collaborazione e così via.

Verso i figli, invece, le situazioni giuridiche sono invece molto più simili, comparandole con quelle dei figli nati da persone unite in matrimonio, anche se ci sono ancora residue differenze, specialmente a livello processuale, dove l’affido dei figli di persone non coniugate viene sempre regolato passando dal tribunale, mentre nel caso dei «figli matrimoniali» si possono fare gli accordi in house.

Ci sono una serie di situazioni che sono state recentemente parificate, in tutto o in parte, a quelle di cui «godono» i coniugi, proprio per dar conto della sempre maggior diffusione delle convivenze, appunto già per i conviventi di fatto.

La convivenza dopo la legge 76 del 2016

La legge 76, celebre per aver introdotto nel nostro paese le unioni civili, ha previsto una serie di diritti e situazioni tutelate anche per i conviventi di fatto come voi, in maniera da dare altrettante coperture a situazioni che in passato avevano determinato problematiche.

Già da ora, avete già queste tutele, mentre, se vorrete avvicinarvi di più al matrimonio, potrete stipulare un accordo di convivenza, come ti dirò meglio nel prossimo paragrafo.

I conviventi di fatto, da questo punto di vista, sono coloro che rientrano nella nozione data dall’art. 36 della legge: «due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile». Per l’accertamento di tale situazione, deve esserci una risultanza anagrafica corrispondente, come previsto dall’art. 37. Quindi la convivenza non si può «inventare» ma deve risultare effettivamente a partire innanzitutto dalla coabitazione e dallo stato di famiglia.

I conviventi di fatto rientranti in questa nozione, che sostanzialmente non innova rispetto a quanto già si opinava precedentemente, sono tutelati nelle seguenti situazioni:

  • in caso di detenzione in carcere di uno dei due, l’altro gode dei diritti di visita e altre facoltà previste per i coniugi dalle leggi di ordinamento penitenziario (art. 38)
  • in caso di malattia o ricovero, l’altro convivente ha diritto di visita, assistenza e accesso alle informazioni sanitarie e personali che spettano ai coniugi (art. 39)
  • ciascun convivente può stabilire che sia l’altro a prendere le decisioni sanitarie su di lui in caso cada in stato di incapacità di intendere o di volere, come ad esempio in ipotesi di un incidente a seguito del quale cade in coma (art. 40): questa nomina può avvenire anche con semplice scrittura privata o addirittura di fronte ad un testimone (questa può sembrare una innovazione intelligente, ma è una scelta disgraziatissima, pensa solo a cosa può accedere in caso di testimone falso; già solo per questo varrebbe la pena fare una dichiarazione scritta e metterla in un luogo sicuro);
  • il convivente ha diritto di continuare ad abitare nella casa familiare in caso di decesso dell’altro convivente, analogamente a quanto previsto per il coniuge superstite dall’art. 540 del codice civile, ma per un periodo sensibilmente più breve (due anni o un periodo pari alla convivenza, ma comunque non superiore ai cinque anni) (art. 42); se la casa familiare era condotta in locazione, il convivente ha diritto di succedere all’altro convivente deceduto nel contratto (art. 44); per conseguire l’assegnazione di una casa popolare, il convivente conta come il coniuge (art. 45)
  • il convivente di fatto ha diritto ad un risarcimento uguale a quello che sarebbe corrisposto al coniuge nel caso in cui l’altro convivente resti ucciso in un sinistro stradale o altro incidente o fatto illecito di terzo (art. 49)

Tutti questi sono diritti di cui godete già adesso, per il semplice fatto di essere conviventi di fatto.

Gli accordi di convivenza.

Per avvicinare la vostra situazione giuridica a quella delle coppie unite in matrimonio, potete stipulare, con l’assistenza anche di un avvocato, un contratto di convivenza.

I contratti di convivenza sono stati introdotti in Italia nel 2016 – si tratta dunque di una riforma recente – sempre con la legge n. 76, articoli 50 e seguenti, dettati appunto dopo quelli che prevedono i diritti di tutti i conviventi, anche quelli che non hanno stipulato un accordo.

Con i contratti di convivenza i conviventi regolano, secondo la legge, i «rapporti patrimoniali relativi alla … vita in comune» (art. 50), ma questa definizione è fuorviante perché in realtà, se è vero che con il contratto non si regolano rapporti personali, è anche vero che la sua conclusione, tra i conviventi, determina conseguenze anche sui loro rapporti personali, determinando l’insorgenza di obblighi di famiglia, dal momento che comportano la necessità di mantenimento nel caso in cui uno dei due cada in stato di bisogno.

Ma vediamo le cose con ordine.

Per stipulare questi contratti, che a mio giudizio, regolando situazioni che hanno riflessi sugli obblighi di famiglia, sarebbe molto più corretto chiamare «accordi», si può andare da un avvocato.

L’avvocato assiste i conviventi nella determinazione congiunta dei contenuti dell’accordo, dopodiché – e questa è una cosa molto importante – ne autentica le sottoscrizioni, in modo che sia accertato con valore legale che le firme apposte nei contratti siano appunto genuinamente state apposte dalle persone che vi figurano come parti. Inoltre, entro dieci giorni, l’avvocato deve trasmettere l’accordo di convivenza al comune di residenza dei conviventi stessi per l’annotazione nei registri dello stato civile (art. 52). Questa annotazione è fondamentale in quanto, con l’accordo, i conviventi possono adottare un «regime patrimoniale della famiglia» corrispondente alla comunione legale tra coniugi, che ha dei riflessi, delle conseguenze legali, per i terzi che vengono a contrarre con uno dei due conviventi, del tutto analogamente a quanto avviene con la comunione tra coniugi.

Questo è un argomento molto tecnico, che vale la pena approfondire con un’apposita consulenza, specialmente se uno dei due conviventi ha un’attività in proprio.

Con l’accordo, i conviventi possono (art. 53):

  1. indicare la residenza;
  2. stabilire le modalità di contribuzione alla vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo;
  3. adottare il regime patrimoniale della comunione dei beni

Il punto n. 2 è molto interessante, perché conferisce ai conviventi un potere che non spetta neanche ai coniugi, che invece, a riguardo, devono sottostare ad una regola già preformata dalla legge, di cui parlo in un altro post che ti consiglio di leggere con attenzione: clicca qui.

Con questo accordo, ad esempio, i conviventi possono ad esempio stabilire che uno dei due va a lavorare fuori casa, mentre l’altro rimane in casa, ad accudire i figli e gestire la casa stessa, mentre quello che lavora e percepisce un reddito deve darne una parte prestabilita all’altro.

Fai attenzione però. Questo potrebbe risolvere i problemi di tutela di un convivente, che tipicamente in questo caso sarebbe la donna (che sono sessista è ormai noto ;-)), ma in realtà dura solo finché dura il contratto di convivenza.

Poniamo che una donna faccia un accordo di questo genere con un dirigente d’azienda che guadagna 6.000 euro al mese e si obblighi a rigirargliene 2.000. Tutto questo dura solo finché dura l’accordo di convivenza, quindi questa donna dovrebbe progettare adeguatamente la sua vita anche finanziaria perché se a cinquant’anni venisse lasciata dal convivente essendosi sempre occupata di casa e figli avrebbe ben poca professionalità da spendere nel mondo del lavoro a quel punto e si ritroverebbe con niente in mano!

Come insegna l’uomo ragno, insomma, da grandi poteri grandi responsabilità: tutti questi nuovi «diritti», come tanti altri diritti esistiti in passato, spesso finiscono per rovinare le persone, specialmente se c’è inconsapevolezza. Sarei solo più contento se i media, i giornalisti, gli intellettuali, cui spetterebbe questo compito, fossero meno «giulivi» nel presentare queste radiose innovazioni e fornissero alle persone gli strumenti per capire davvero di che cosa si tratta e come devono maneggiare queste cose.

Del punto 3 abbiamo già detto. I conviventi possono adottare il regime patrimoniale della comunione dei beni tra coniugi, come appunto i coniugi, sistema di cui ho parlato tante volte nel blog ed al cui archivio ti rimando. In particolare, puoi leggere un post miliare sul tema: clicca qui.

Conclusioni.

L’importanza è la consapevolezza e progettare adeguatamente la tua famiglia in base alla vostra situazione concreta, a quello che fate fuori e dentro casa.

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Convivenza e spese: chi e come deve contribuire?

Io ed il mio compagno non siamo sposati, conviviamo da un paio d’anni. Lui è separato ed ha due figli che abitano con la madre a 500 km da casa mia in cui vive anche lui. Ha un lavoro stabile e guadagna discretamente, unico problema lo stipendio gli basta appena a coprire le sue spese; per casa praticamente non gli rimane nulla. Se capita un imprevisto deve anche ricorrere al mio aiuto o a quello dei suoi parenti. Sostiene che devo sopportare tutte le spese di casa io in quanto guadagno più di lui (non molto ma vero) e non ho tutte le spese che ha lui (i viaggi su e giù dai figli in particolar modo incidono molto, poi la rata della macchina e varie). Io gli ho detto che a mio avviso dovrebbe sempre comunque riservare una parte del suo stipendio, che siano 50, 100 euro per il suo di mantenimento in casa mia. Mi fa sapere cosa ne pensa, come può immaginare è motivo di varie discussioni.

Non esistono, ovviamente, disposizioni di legge, specialmente così granulari, in materia di contribuzione di ciascuno dei conviventi al menage famigliare, specialmente appunto per quanto riguarda la convivenza, che è una libera unione di fatto, dove non si applicano le regole previste per l’unione di natura matrimoniale, che i membri della coppia non hanno potuto ho voluto realizzare.

Questi aspetti sono lasciati interamente agli accordi tra i conviventi.

Peraltro, il tema del denaro e del suo utilizzo è uno degli argomenti che genera maggior conflitto all’interno della coppia. È evidente però che questo conflitto non può essere risolto con l’applicazione di norme giuridiche…

Ti proporrei di valutare il ricorso piuttosto a uno strumento come la mediazione familiare, facendo alcune sedute con il tuo compagno in cui discutere con l’aiuto di un mediatore queste e altre tematiche che eventualmente dovessero esserci con alcuni problemi all’interno della vostra coppia.

Ti consiglio di cercare un mediatore operante nella tua zona, solo se non dovessi proprio trovarne uno puoi provare a chiederci un preventivo per fare alcune sedute telematiche. ricordati di iscriverti al blog e radio solignani per non perdere post come questo che non trovi da nessuna altra parte.

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Nuovo 570 bis codice penale: e i figli di conviventi?

1)Il principio della “riserva di codice”, contenuto nel Decreto legislativo, 01/03/2018 n° 21, pubblicato in G.U. 22/03/2018 ed entrato in vigore dal 6 aprile, ha voluto unificare in un unico alveo tutte le disposizioni in materia penale già contenute in diverse previsioni legislative allo scopo di dare maggior protezione a beni di rilievo costituzionale. L’essenziale ratio del principio è stata quella di migliorare la conoscenza dei precetti e delle sanzioni da parte dei soggetti e, conseguentemente, tentare di concretizzare la effettività della funzione rieducativa della pena. Il principio viene attuato mediante l’inserimento, all’interno del codice penale, di tutte le fattispecie criminose previste da disposizioni di legge già in vigore, per dare più forza alle stesse e per evitare la dispersione delle tutele. Oggetto della riserva di codice, fra le altre, sono state le norme sanzionatorie per il mancato pagamento dell’assegno di divorzio e delle somme stabilite in sede di separazione dei coniugi;

2)Fra le conseguenze dell’introduzione del ridetto principio vi è, per l’appunto, l’introduzione nel codice penale dell’art 570 bis, che così dispone “Le pene previste dall’articolo 570 si applicano al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero vìola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli

3)Detta previsione è stata al centro di numerose polemiche e non è attualmente scevra dal rischio di pronuncia di incostituzionalità dato il riferimento esclusivo alla famiglia “tradizionale” evidenziato dal primo comma. Nel riferirsi al coniuge ed esclusivamente ad esso, la norma riprende la tutela che era prevista dalla disposizione ex art. 12-sexies della legge 898/1970, (abrogandolo) in materia di divorzio e perciò espressamente riferita al coniuge ed alla crisi del matrimonio, ma, allo stesso modo, non include anche la tutela che era prevista dalla legge dall’articolo 3 della legge 54/2006 nei confronti di tutti i figli naturali anche se non riconosciuti, o comunque di coppie non sposate. L’art 570 bis infatti è espressamente abrogativo dell’art 3 citato, come anche delle altre tutele previste in materia di famiglia non contenute nel codice penale, in virtù del principio della riserva di codice. L’articolo 570 bis pertanto, seppur voglia concentrare e specificare tassativamente la punibilità del soggetto che viola gli obblighi familiari, concentrando la censurabilità della condotta solo nei confronti del coniuge, implicitamente ammette che il medesimo comportamento, cioè la violazione degli obblighi familiari, da parte di un soggetto non coniugato, ma che ha procreato, non possa essere perseguita proprio perchè in assenza di vincolo giuridico di coniugio, superando tutte le agognate e raggiunte condizioni di uguaglianza fra figli naturali e riconosciuti che si erano attestate da poco tempo nell’ordinamento.

Conseguenze

Per il principio di tassatività dell’ordinamento penale quindi, che, a tutela del cittadino, obbliga il giudice ad applicare solo ed esclusivamente ciò che viene sancito dalla norma, l’art. 570 bis configura come soggetto punibile solo ed esclusivamente il coniuge che non provvede ai figli, non essendo prevista altra figura punibile dalla lettera della previsione normativa. La tutela della posizione di figli di persone non coniugate però continua e continuerà ad essere effettiva ricorrendo all’art. 570 c.p. che, riferendosi indifferentemente a violazione di obblighi familiari, punisce chi abbandona il domicilio domestico, o comunque serba una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie e si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale.

Il riferimento alla responsabilità genitoriale mette in luce tutte le possibili applicazioni ampie del concetto di famiglia, potendo farvi riferimento indifferentemente per coppie coniugate o non coniugate. Condotta contraria alla morale della famiglia è certamente rappresentata dalla violazione degli obblighi di mantenimento dei figli, legati indissolubilmente dal rapporto genitoriale che è immutabile nel tempo. I genitori sono tali a prescindere dai rapporti fra loro, ed hanno specifici obblighi che non possono essere limitati od esclusi da nessuna definizione normativa. Il passaggio auspicato dal concetto civilistico di “potestà genitoriale”di stampo fortemente ottecentesco e privatistico, che conferiva la proprietà dei figli ai genitori, a quello più moderato e costituzionalmente orientato di “capacità genitoriale”, che conferiva un rapporto più equilibrato fra genitori e figli, a quello più moderno e completo di “responsabilità genitoriale” non può e non deve subire limitazioni o bruschi arretramenti culturali, da nuove previsioni che apparentemente ampliano le tutele per le famiglie ed i figli ma che in realtà non modificano alcunchè ed addirittura possono limitarle.

Se anche tu hai problemi inerenti la violazione di obblighi familiari o di mancati pagamenti per il mantenimento dei tuoi figli, contattaci o chiedici un preventivo compilando i moduli appositi nel menu principale del blog.

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Padre che consuma stupefacenti e servizi sociali: che fare?

>Sono Manuela madre di 2 figli meravigliosi. Ho ricevuto dagli assistenti sociali una raccomandata dove siamo invitati io e il papà a vari colloqui x valutare se i miei bimbi sono a rischio. Ora premetto che la denuncia é partita dai carabinieri del paese xké il padre, é stato trovato a fumare cannabis con amici. Dato cio sono arrivati a casa a fare una perquisizione senza nessun mandato, solo a lui, quando agli amici in possesso di molto più, non sono andati. Forse sulla base della precedente perquisizione, effettuata solo 5 mesi prima, sempre da carabinieri ma di altro paese. La prima perquisa è stata traumatica, con i bimbi presenti, sempre senza un mandato, x non parlare del fatto ke devi solo subite in silenzio x non aspettarti di peggio. Con la seconda arrivo a casa con i bimbi e trovo già i caramba all’interno. Dico a loro di uscire e andarsene da casa mia due volte tranquilla. Stessa dinamica: il padre buono e semplice , collaborativo al massimo, consegna tutto ciò ke ha. Il padre è x me il primo responsabile della sua superficialità nel trattare la cosa. Un uomo spesso, dato ke tutte le mamme in passato hanno sbagliato nel crescerli, matura molto dopo una donna. Come molto dopo capisce cosa siglifichi essere genitore.Diciamo ke arrivano lentamente .
Arriviamo al dunque: io molto stanca dei soprusi subiti, in ogni settore di questa società in declino, alla fine li ho buttati fuori di casa quasi a calci, urlando come una pazza ma sana di mente. Figurarsi toccare uno dell’ arma!!! Chiaramente poveretti questi carabinieri ke partono al giuramento con tutte le più buone intenzioni, è difficile spiegare ke ormai nella società fungono più come riscossori di tributi, ke come salvatori dei cittadini. Diciamolo apertamente ke , x noi cittadini, sono visti più come un problema, ke un aiuto. Smettiamola d’essere ipocriti socialmente.Uno va da loro solo x casi gravi. Te li trovi x strada e ti tocchi. Sono segno di vergogna se vanno a casa di qualcuno. Nessuno vuole avere a ke fare con loro. Di una cosa sono certa, stiamo vivendo un crollo totale della democrazia. Un popolo affamato, derubato di ogni diritto non può ke arrivare alle armi. Cittadini costretti a stare in silenzio, pur ammettendo i propri errori, x evitare il peggio. Zitto, taci, subisci cosi non ti succederà niente…Non ti porto via i bambini, questa è La loro arma. Così ti costringono a abusi di potere e conflitti di interessi. Io ai miei figli ho detto No.!! Agire, siate liberi, usate cuore amore e saggezza nel capire ke si può dire no. No come tutti i grandi ke hanno detto No ai soprusi. Denunciate, provate a cambiare le cose. Come lo fecero i nostri partigiani. No al silenzio. Disgregazione, distruzione della famiglia, questo è l’obbiettivo. Divisi, separati siamo tutti più deboli e governabili. La famiglia è l’unica cosa ke abbia realmente valore in questa vita così breve. I figli, le persone, gli affetti. Invece Viene demolita, resa esanime. Il padre dei bimbi non è un cattivo, e un semplice e umile ke hanno schiacciato, trattato da criminale. Non ha più vita sociale, tolto ogni dignità. X riuscire forse a tenere i miei bimbi, io ke sono pulita, devo chiaramente dissocciarmi da lui. Tutto questo accanimento ha portato a una frattura tra me e il padre. Quello ke ti insegnano è vai, abbandona pure il famigliare ke ha bisogno di aiuto. Pensa solo a te se vuoi riuscire a tenere i bimbi. Questo è quello ke mi sono sentita dire. Mi chiedo? X i carabinieri i miei bimbi sono a rischio, perché x loro hanno possibile accesso a sostanze. Dato ke ai carabinieri ha dato tutto il padre io mi chiedo come fanno a dichiarare una cosa simile? Secondo loro forse un bimbo di 4anni è capace di salire, aprire mobili e andare a cercare quella cosa specifica di cui non ne sa l’esistenza x mangiarla forse oppure x fabbricarsi una sigaretta. Non so. Guarda come sono preoccupati x i miei bimbi, quando non si sono fatti il minimo problemi ad entrare in casa con dei minori senza uno straccio di documento.
Chissà xké dopo ke li ho buttati fuori di casa a insulti, il ragazzino di 18 anni, sotto leva ke sapeva ancora di latte mi ha sfidata caricandomi, mentre comandate e altro volevano arrestarmi su due piedi fregandosene di farlo di fronte a dei bambini con denuncia annessa. Questo è secondo voi l’atteggiamento di persone ke sono realmente preoccupate x i miei bambini? Sono pultroppo poveretti assuefatti da un meccanismo vizioso ke li ha privati di tutti i loro buoni propositi. Della capacità di giudizio, schiavi della burocrazia e dei giudici ke liberano i reali assassini e criminali. Chi paga sono i miseri, il popolo al quale avevano giurato di proteggerlo. Dopo questo riassunto/sfogo. Vorrei sapere se sia meglio cercarmi subito un avvocato civilista ke si occupa di diritto dei minori o cos’altro? Cosa posso fare x evitare il peggio? Cosa posso fare x i miei bambini? Sicuramente mettermi Occhiali rosa x riuscire ad essere tranquilla e positiva anche se mi risulta molto difficile. Forse dovro dimostrare d’essere incrollabile come madre, fingere???? Le confesso ke essendo una ex malata di cancro senza più scudi e bariere mi risulta difficile recitare. Fingere. Sono sempre stata sincera in tutto e ora acor piu. Difficile ma x i piccoli se dovro farlo lo farò.

La mia impressione al momento è che tu stia ingigantendo una situazione che è in realtà molto più semplice, probabilmente per i contraccolpi emotivi di quello che hai vissuto recentemente o meno.

Se il tuo convivente è stato trovato in possesso di sostanze stupefacenti, c’è stato il problema di capire se questo possesso era indice solo di un uso personale o anche di spaccio e, per accertare questo, uno dei mezzi principali è disposizione è la perquisizione domiciliare, in cui si vede se la persona in questione possiede altre quantità di stupefacente insieme ad altri «attrezzi» tipici di chi fa commercio di queste sostanze come bilancini, confezioni, ecc.

Come saprai, l’uso personale, infatti, al momento, non è reato, ma solo un illecito di altro tipo – il consumatore viene considerato più una vittima che un criminale e viene seguito dai servizi pubblici per aiutarlo a superare le abitudini di consumo. Chi invece fa commercio degli stupefacenti commette un vero e proprio reato, considerato abbastanza grave perché promuove tali abitudini presso la generalità del pubblico.

Nei casi in cui una persona viene colta intenta a consumare stupefacenti insieme ad altre persone, c’è sempre il problema di capire se si tratta di un uso personale per tutti o se invece uno del gruppo è lo spacciatore che ha procurato di sua iniziativa la sostanza per tutti e gli altri semplici consumatori. Anche per questo si è resa necessaria la perquisizione.

Se la perquisizione, e tutti gli altri elementi raccolti, tra cui l’esame tossicologico che ha esaminato la quantità di principio attivo contenuta nella sostanza rinvenuta al tuo convivente, hanno alla fine tratteggiato un quadro più di consumatore che di spacciatore, ora il servizio pubblico vi sta seguendo per tale motivo – si tratta di una cosa non solo normale, ma opportuna, dal momento che a tutela dei minori è giusto che gli assistenti sociali intervengano in nuclei familiari in cui c’è una persona almeno che fa uso di stupefacenti, per tanti motivi che non è davvero il caso di richiamare.

Tutto ciò premesso e chiarito, credo che l’atteggiamento migliore da parte vostra, non solo esteriore, ma anche interiore (non c’è bisogno di recitare parti o copioni di nessun genere), sia quello di accettare innanzitutto l’intervento del servizio, dato che l’«errore», a parte le modalità di intervento delle forze dell’ordine e tutto quello che può esservi spiaciuto, è comunque inizialmente del tuo convivente stesso.

Dopo aver accettato come giusto o comunque inevitabile l’intervento del servizio, il mio consiglio è quello di collaborare con lo stesso, seguendo anche le indicazioni che verranno impartite al tuo compagno per seguire un percorso presso il SERT per trattare la sua situazione di consumatore di sostanze.

Una consulenza orientativa di partenza da un avvocato che comunque interessato del caso potrebbe, se opportuno, in seguito intervenire più prontamente non sarebbe affatto male. Se vuoi acquistarne una da noi, puoi cliccare sul link apposito nel menu del blog, altrimenti puoi scegliere qualsiasi altro avvocato degno di fiducia, chiedi ovviamente sempre prima un preventivo.

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Chi tradisce il partner può perdere i figli?

In caso di tradimento in coppie non sposate ma con un bimbo minorenne l’affidamento può essere tolto alla madre perché è lei che ha tradito?

Oggigiorno, generalmente, non si ragiona più, sia per le coppie unite in matrimonio che per le famiglie di fatto o convivenze, in termini di affido, ma di collocazione prevalente, nel senso che l’affido è sempre condiviso, con – di solito – collocazione prevalente presso uno dei due genitori – anche se sempre più spesso ultimamente vedo praticare la parità di tempi di permanenza.

Quando il giudice deve decidere con quale dei due genitori deve stare più tempo un figlio, difficilmente considera eventuali fatti di tradimento della fedeltà, sia essa coniugale o, ancora a maggior ragione, di fatto.

Nel caso delle coppie sposate, la fedeltà è un obbligo, la cui violazione può determinare l’addebito della separazione, cosa che tuttavia non ha influenza sul regime di collocazione dei figli, ma determina per lo più la perdita del diritto al mantenimento del coniuge «infedele» – e sempre che sia dimostrato il nesso causale.

Nel caso della convivenza, la fedeltà, come obbligo giuridico, non esiste nemmeno, dal momento che si tratta di una unione libera, in cui la fedeltà è solo un impegno morale, etico ed affettivo dei membri della coppia, la cui violazione non ha alcuna conseguenza legale.

Fatti di tradimento possono venire in rilievo per quanto riguarda i figli sia nelle coppie sposate che in quelle non sposate solo quando vi sono particolari modalità che determinano l’insorgere di legittimi dubbi sulla capacità genitoriale o sulla bontà dell’ambiente di vita che avrebbe il minore. Pensiamo ad esempio al caso di un genitore che si accompagna ed inizia una nuova convivenza con un delinquente abituale o con una persona con un problema di alcolismo o tossicodipendenza o cose del genere.

Concludo ricordando come faccio sempre che nel caso di figli «non matrimoniali» è sempre meglio far regolare l’affido, come spiego meglio nella scheda relativa.

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Recuperare la casa familiare: si può solo negoziare

mi sono appena separato, non siamo sposati ma abbiamo due bambine. Abbiamo comprato casa di 193 mila euro. Io ho venduto una mia casa mettendo 114 mila euro subito (documentabile) la mia ex 10 mila euro tramite mutuo mensile. Attualmente è stata data a lei la casa e i giudici hanno suddiviso il mutuo di 400 euro mensili, 200 io e 200 la mia ex. I giudici consigliano di derimere la situazione della casa ma la ex non accetta nulla, vendere, acquistare la quota ecc e rifiuta la mediazione. La banca sarebbe anche disposta a bloccare il mutuo per un anno ma la ex non vuole. Io non so più cosa fare, vivo in affitto e adesso cambierò casa, più grande, e non ho più i soldi per pagare il mutuo. Cosa posso fare?

Non c’è molto che tu possa fare «d’imperio», è una situazione che, come abbiamo detto ormai dozzine di volte, puoi affrontare solo negozialmente, cioè trattando con la tua ex.

La casa familiare, attualmente, a prescindere dal titolo di proprietà e da chi l’ha pagata, è stata destinata dai giudici a servire le tue due figlie. Questa situazione perdurerà finché entrambe le stesse non saranno non solo maggiorenni ma anche autosufficienti, quindi, se sono ancora piccole, potenzialmente per altri vent’anni.

Per poter trovare una soluzione che ti consenta di recuperare valore spendibile per una tua abitazione, puoi solo negoziare con la tua ex, dal momento che la legge è dalla sua parte e le conferisce il diritto di abitare gratuitamente in quella abitazione per il tempo di cui abbiamo detto.

Per fare questa trattativa, può essere molto utile, ad esempio, andare da un mediatore familiare.

Per cui, come primo passo in assoluto, ti consiglio di rivolgerti ad un mediatore familiare e mandarle un invito a partecipare alle sedute di mediazione.

Se questo non dovesse funzionare, o non dovesse magari neppure iniziare, ci sono altre cose che si possono tentare, ma si possono vedere solo in seguito.

Fatti seguire da un bravo avvocato, esperto di diritto di famiglia e con spiccata propensione alla negoziazione: il contrario del legale «aggressivo» che le persone, che non hanno capito niente di come si gestiscono i problemi legali, si solito cercano.

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Mediazione familiare: quando è nata?

Come avrete visto, recentemente parliamo ancor più spesso del solito di mediazione familiare nel blog. Può essere interessante vedere quando è nata e come si è evoluta questa pratica, importante per molte famiglie e relazioni, dapprima a livello internazionale e, poi, nel nostro Paese (magari in un post a parte).

La mediazione familiare, prima ancora che una disciplina codificata ed istituzionalizzata, è appunto una pratica, probabilmente, sotto certi profili, addirittura anche un atteggiamento, di talché è impossibile definirne una data precisa di «inizio», nel contesto storico, come se fosse un qualsiasi altro evento incastonato negli annali dell’umanità. Probabilmente, forme di mediazione familiare sono state praticate sin dai primi agglomerati umani, come tipicamente quelle stesse comunità ben descritte nei meravigliosi libri del sociologo Jared Diamond e che ogni antropologo e sociologo conosce bene.

In tali forme di aggregazione sociale, i conflitti erano gestiti tramite l’intervento di una persona che non rappresentava l’autorità come si conosce nelle società contemporanee, ma l’autorevolezza – tipicamente il capo villaggio, il soggetto più anziano e di riconosciuta saggezza, che risolveva ed affrontava i diversi casi non applicando regole costituite di diritto, ma secondo quello che gli pareva più giusto nel caso concreto.

Tra le varie vertenze che venivano poste all’attenzione di questi «saggi» vi erano anche quelle di famiglia. In tali casi, l’intervento aveva diversi stigmi della mediazione familiare contemporanea o comunque assomigliava molto di più alla stessa di quanto non gli assomigli l’intervento giudiziario in tema familiare.

Quest’ultimo, infatti, si basa sull’applicazione di norme di diritto, pertanto precostituite, da parte di un funzionario inserito in un apparato statale, tramite l’intermediazione necessaria di professionisti abilitati, anche a prescindere, purtroppo, della giustizia ed equità del caso concreto. Nel caso, invece, della risoluzione dei conflitti familiari all’interno delle strutture tribali, i protagonisti della vicenda venivano ascoltati personalmente, senza alcuna intermediazione, e il «saggio» interveniva con indicazioni volte a ricercare un buon componimento, una soluzione migliore e quindi in base ad equità, tendendo non a fare una sentenza, ma a fluidificare la comunicazione tra le parti e a proporre una soluzione che fosse convincente per la sua ragionevolezza, il più possiile riconosciuta dai soggetti coinvolti.

Sulla base di queste notazioni, identificare il momento preciso di nascita della mediazione familiare è dunque impossibile, essendo verosimilmente nata con l’uomo stesso o con la sua aggregazione in società più o meno elementari, nelle quali comunque vi era, necessariamente, una forma di famiglia, anche se molto diversa da quella contemporanea – che, peraltro, è diversissima anche solo da quella del secolo scorso.

Ciò premesso, dunque, l’indicazione di un momento di origine della mediazione familiare può essere solo convenzionale e, dunque, di comodo, per la individuazione di un punto di riferimento al riguardo.

Da questo punto di vista, la maggior parte degli autori individua la «nascita» della mediazione familiare negli Stati Uniti, più precisamente nel corso dell’anno 1974, quando un avvocato e psicoterapeuta, di nome O. James Coogler, si pose il problema di trovare un metodo affinché si potesse arrivare allo scioglimento del vincolo matrimoniale nel modo meno traumatizzante possibile.

La istituzione, avvenuta nel 1939, della Los Angeles Conciliation Court, non si ritiene invece significativa, in quanto tale organismo non aveva come scopo la mediazione familiare, bensì la riconciliazione, che è appunto una cosa molto diversa dalla mediazione.

L’attività di Coogler, che partiva appunto dalla riflessione sull’opportunità di evitare che la gente consumasse le proprie tragedie familiari nelle inadatte aule dell’apparato giudiziario statale, consistette nella fondazione, avvenuta nel 1975, della Family Mediation Association. Questo servizio fu aperto a tutte le coppie che si stavano separando o divorziando o, ulteriormente, avevano la necessità di rinegoziare le condizioni a suo tempo concordate, proprio perché nel frattempo erano cambiati i presupposti di fatto (evitando, in questo ultimo caso, il ricorso ad un procedimento di modifica condizioni, che occupa molto lavoro ad esempio nei tribunali italiani contemporanei).

Coogler definì un proprio modello operativo, che chiamò di «mediazione strutturata».

Sulla scorta del buon esito delle opere di Coogler, nacquero diverse altre scuole e servizi volti alla mediazione familiare. Coogler costituì quindi nel 1978 la rivista Family mediation e nello stesso anno compilò il manuale Structured Mediation in Divorce Settlement.

Per la prima volta, dunque, per le coppie di coniugi, conviventi o genitori era disponibile un servizio e una pratica strutturata che consentisse loro di gestire il difficile momento dello scioglimento della coppia stessa, particolarmente delicato in caso di presenza di figli.

In seguito, si diffusero altri approcci e altri metodi alla mediazione familiare. Tra questi, va menzionato quello del canadese John Haynes, fondatore della Accademy of Family Mediators, che introdusse – siamo già negli anni 80 – nella mediazione familiare tecniche proprie della negoziazione commerciale, la cosiddetta negoziazione ragionata (brainstorming), formulando una declinazione della mediazione che avrebbe avuto poi largo seguito in Europa.

Un altro pioniere della mediazione familiare da menzionare è Howard Irving, che attivò il servizio Toronto Conciliation Project, che proponeva la mediazione in caso di divorzio al fine di fluidificare i conflitti e facilitare la comunicazione.